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Nella penombra e nel silenzio che regna in una biblioteca si può sentire il desiderio di rileggere vecchi testi e trovarvi rime sempre nuove, così prendendo tra le mani la Letteratura Italiana di Francesco Flora, nel volume trentuno a pagina ottocentotredici si può leggere quella che per un certo verso è la più alta canzone di Torquato Tasso:
O del grand'Appennino
Figlio picciolo sì ma glorioso,
e di nome più chiaro assai che d'onde,
fugace peregrino
a queste tue cortesi amiche sponde
per sicurezza vengo e per riposo.
L'alta Quercia che tu bagni e feconde
Con dolcissimi umori, ond'ella spiega
I rami sì ch'i monti e i mari ingombra,
mi ricopra con l'ombra.
Il poeta si fermò a
Fermignano nel millecinquecentosettantotto, e precisamente all'isola, antica
villa gentilizia circondata dal Metauro e qui iniziò a comporre quest'ode così
poco conosciuta che decanta le lodi di un fiume considerato: 'il più
celebre tra i fiumi d'Italia dopo il Tevere ed il Po', trascrivendo quello
che ci dice di lui Vincenzo Lanciarini.
Tanta storia è legata a queste rive e proprio da questo gli deriva così tanta
fama, fin dai tempi dell'antica Roma quando vi fu combattuta e vinta la grande
battaglia contro Asdrubale cartaginese, e proprio riferendosi a questo fatto il
grande poeta Orazio lo citò in una sua ode:
Quid debeas o Roma
Neronibus
Testi Metaurum flumen et Asdrubal
Devictus.
Che cosa dovresti, o
Roma, alla gente dei Neroni (è stato infatti Claudio Nerone a sconfiggere
Asdrubale nel 207 a.C) di più che ll fiume Metauro come testimone ed Asdrubale
sconfitto.
Famoso anche per la morte incontrata presso le sue acque, dall'esarca
Eleuterio, ucciso dal suo stesso esercito, mentre cercava, a danno di Eraclio,
di diventare re d'Italia, correva l'anno seicentodiciassette.
Molti scrissero di lui e ci fu anche chi lo confuse con il suo più grande
affluente: il Candigliano, infatti è quest'ultimo che scorre fra le montagne
del Furlo o come anticamente era chiamato: Forulum.
Primo a confondersi fu il poeta Claudiano che così cantò:
Despiciturque vagus
praerupta in valle Metaurus
Qua mons arte patens vivo se perforat arcu
Admistitque viam sectae per viscera rupis.
'Ed è visto dall'alto il Metauro sporgersi nella valle scoscesa, dove la
montagna si apre, in profondità in un arco naturale (più letterale: dove la
montagna, strettamente aperta, si trafigge con un arco naturale) ed ha lasciato
libero il passaggio attraverso le viscere della roccia tagliata.'
Evidentemente era un vizio perché si confuse anche il cardinale Adriano quando
vi passò nel millecinquecentosei con il papa Giulio secondo e così scrisse:
Hinc ad aquas lanias
pervenimus, unde Metaurus
Diffusus Gauno Foruli spectacula praebet.
'Di qui giungemmo alle acque sacrificatrici, da cui il Metauro, esteso tra le montagne del Furlo, offre spettacolo.'
Oggi l'orrido della gola
del Furlo ha un fascino unico, vi transita la via Flaminia incisa nei calcari
liassici del monte Pietralata e del monte Paganuccio, contenenti fossili di
tipo pilagico, ammoniti, belemniti e rettili marini: è un luogo che già conobbe
il mare ed in questi monti ancora nidifica l'aquila!
Ma il viandante di fine millennio guarda ciò in modo disincantato,
attraversando la gola con ogni comodità che l'evo moderno ha inventato per noi,
proviamo invece ad immaginarlo prima della costruzione della diga, quando il
viandante dell'inizio millennio viaggiava tra le rocce in una strada tagliata
dalla mano dell'uomo a strapiombo sul baratro dove a fatica scorreva il
Candigliano.
Fermiamoci a guardare con un occhio che 'vede' ciò che ci circonda,
come già argutamente fece l'ingegnere Pierluigi Montecchini alla fine
dell'ottocento..'in ogni stagione, in ogni era è sorprendente stupendo il
passo del Furlo, e niuno può resistere ad un certo qual senso di terrore che lo
assale al trovarsi nel fondo di quelle balze, d'onde sembra chiusa la via ad
ogni uscita.'
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