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Cavallo




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Cavallo


Al genere cavallo (Equus) appartengono tutti i mammiferi perissodattili della famiglia degli equidi, comprendente le specie asino, zebra, emione, onagro e cavallo domestico, con tutte le varie razze. Ancora non si conoscono i capostipiti del cavallo domestico; tuttavia si pensa che i suoi progenitori siano l'Hyracotherium d'Europa e l'Eohippus dell'America Settentrionale, dai quali deriverebbe per riduzione del numero delle dita, aumento delle dimensioni e allungamento dei denti. Questi due generi furono raggruppati nella famiglia Hyracotheriidae, che rappresenterebbe la prima tappa dell'evoluzione del cavallo.

Sono note varie specie di cavalli selvatici, tra cui i più rappresentativi sono il tarpan (Equus gmelini), che viveva nelle steppe dell'Asia e della Russia meridionale, e l'Equus przevalskii, attualmente vivente, scoperto da Przeval'skij nella Zungaria (tra l'Altai e il massiccio del Tien shan), che potrebbe essere una varietà del tarpan e dell'emione (Equus hemionus); ha il mantello color isabella come l'emione, con una striscia dorsale nera; i peli, più scuri sul dorso, diventano bianchi sul ventre; la coda è folta solamente verso la fine e la criniera eretta non si prolunga a ciuffo sulla fronte.

Il cavallo domestico (Equus caballus) è caratterizzato da quattro arti allungati e sottili, muniti di castagna (placchetta cornea posta nella parte interna) e di robusti zoccoli più larghi e più arrotondati che negli altri solipedi. Ha orecchie piccole, mantello folto e lucente, privo di striature, variamente colorato (nero, bianco, sauro, baio, ubero, grigio, pezzato, roano, ecc.), criniera folta e coda formata da lunghi crini. Gli arti presentano un unico zoccolo in corrispondenza del terzo dito mentre il secondo e il quarto sono ridotti alle cosiddette ossa stiliformi. Nello zoccolo la parte esterna è ad accrescimento continuo, con margine grosso e duro che tocca il suolo, e nella parte interna si osserva la suola cornea. Questa conformazione degli arti del cavallo lo rende adatto alla corsa. La dentatura è completa, con molari selenodonti e canini (detti scaglioni, mancanti nelle femmine), separati dagli incisivi e dai premolari da un ampio spazio o barra. I cavalli si nutrono di erbe, avena, orzo, ecc. e generalmente vivono fino a trent'anni, talvolta anche di più; l'età si può riconoscere esaminando la dentatura, in particolare gli incisivi.

Il cavallo si riproduce dall'età di due-tre anni e dopo un periodo di gestazione di undici-dodici mesi nasce un solo piccolo (talvolta due, raramente tre, di cui in genere uno solo sopravvive). Il giovane maschio del cavallo domestico è chiamato puledro, la femmina giumenta; il maschio adulto «intero» destinato alla riproduzione viene detto stallone; castrato se ha subito la castrazione. La femmina adulta destinata alla riproduzione viene chiamata fattrice. Le andature naturali del cavallo sono il passo, il trotto e il galoppo non da corsa; sua caratteristica è la stazione su tre gambe, con la quarta soltanto appoggiata con la punta dello zoccolo; tale posizione è mantenuta anche nel sonno. Per difendersi od offendere il cavallo usa i denti per mordere, gli arti anteriori per zampare e quelli posteriori per scalciare.

Dotato di viva intelligenza, il cavallo ha rappresentato fin dalla più alta antichità uno dei più utili compagni dell'uomo. Il suo addestramento presenta problemi particolari sia per la sua indole, insieme fiera e timida, docile e riottosa, sia perché esso richiede cure individuali e regolari, a cominciare dal fatto che deve essere domato perché lo si possa cavalcare. Per la sua grande robustezza, velocità, capacità di adattarsi alle esigenze più diverse dell'uomo, il cavallo ha costituito fin dalle origini della civiltà un elemento di primissimo piano nella sua storia; è però un animale molto più delicato di altri fra i mammiferi domestici (cammelli, bovini, ovini), soggetto a particolari malattie e a fratture alle gambe, che spesso costringono ad abbattere l'animale ormai inutilizzabile.

A seconda del servizio a cui sono destinati, i cavalli si suddividono in cavalli da sella (per la caccia, la guerra, l'equitazione, le corse ippiche), cavalli da soma, cavalli da tiro (leggero o pesante). Se l'impiego del cavallo per la caccia, la guerra e il trasporto si è andato sempre più limitando fino a scomparire quasi del tutto, sempre vivo rimane l'interesse per i cavalli da sella e da corsa; negli ultimi anni si è anzi risvegliata fra sempre più larghi strati di persone la pratica del cavalcare. Inoltre i cavalli vengono utilizzati per la produzione di sieri anafilattici (antidifterico, antitetanico). Anche sotto l'aspetto economico il cavallo, da lavoro o da macello, è ancora relativamente diffuso: se ne contavano nel 1996 circa 61,5 milioni nel mondo (di cui circa 10.038.000 in Cina, 6.300.000 in Brasile, 6.250.000 in Messico, 6.050.000 negli Stati Uniti, 3.300.000 in Argentina; in Italia circa 353.000).


Le razze equine


Dal  punto di vista zootecnico i cavalli possono venir classificati in tre grandi gruppi in base alle proporzioni corporee: razze dolicomorfe, in cui il diametro longitudinale prevale nettamente su quelli trasversali; razze brachimorfe, in cui i diametri trasversali hanno grande sviluppo; razze mesomorfe, caratterizzate da un maggior equilibrio fra i vari diametri. A questa distinzione morfologica corrisponde una netta differenziazione funzionale. Le razze dolicomorfe comprendono infatti cavalli atti ad andature veloci o molto veloci (da corsa piana al galoppo su lunga, media o breve distanza, da corsa a ostacoli, da corsa al trotto), di forme eleganti e slanciate, con altezza al garrese di circa 165 cm, testa piccola, tronco lungo, ventre retratto, groppa pressoché orizzontale, torace ampio e profondo, arti lunghi e asciutti, temperamento molto vivace: tipici rappresentanti di questo gruppo sono il purosangue arabo, il purosangue inglese e le razze da essi derivate (l'anglo-arabo, l'anglo-normanno, il trottatore americano, ecc.). Le razze brachimorfe invece comprendono i cavalli atti al tiro pesante (lento o rapido), capaci di sviluppare una grande forza ma con movimenti piuttosto lenti, con statura compresa fra 160 e 170 cm e peso che spesso supera i 10 q; hanno testa grossa, collo corto, groppa lunga e inclinata, petto ampio e muscoloso, tronco cilindrico, arti brevi, forme arrotondate per il grande sviluppo delle masse muscolari, temperamento calmo: a questo gruppo appartengono il cavallo belga da tiro pesante, il boulonnais, il percheron, il bretone, lo shire-horse (che supera facilmente i 2 m di altezza al garrese e i 12 q di peso), il clydesdale. Le razze mesomorfe infine comprendono cavalli con caratteri intermedi fra quelli dei due gruppi precedenti, di forme armoniche ed equilibrate, di temperamento energico, ben dotati di «fondo» e di «sangue», capaci di compiere sforzi notevoli anche a buone andature. Al tipo mesomorfo appartengono infatti le varie razze da sella come l'hunter, il cob, il pony o poney (il pony irlandese e lo shetland pony hanno statura da 90 a 115 cm, mentre il polo-pony, docile e molto robusto, è alto circa 140 cm); i cavalli militari da sella, da tiro dell'artiglieria, da basto; i cavalli carrozzieri, come il celebre lipizzano, l'hackney, l'oldenburghese, il norico, ecc., il cui allevamento è oggi molto ridotto; il cavallo agricolo, brachimorfo o mesobrachimorfo, è in declino per la progressiva meccanizzazione dell'agricoltura.

In Italia l'allevamento dei cavalli è diffuso soprattutto nella pianura padana, in Sardegna, in Sicilia, in Toscana, nel Lazio, in Puglia, in Campania e in Calabria. Nelle regioni settentrionali e centrali si allevano di preferenza i purosangue da corsa e i cavalli da tiro pesante come il belga, il bretone e il cremonese; nell'Alto Adige (altopiano di Avelengo) si alleva l'aveglinese; a Lipizza, presso Trieste, il lipizzano; nella maremma tosco-laziale, il maremmano. Altre antiche razze italiane di pregio sono la siciliana, la salernitana, la calabrese, la Ieccese, la napoletana; ma hanno perduto in parte la loro purezza a causa dei ripetuti incroci con il purosangue arabo e quello inglese.


Malattie del cavallo


Possono dividersi in malattie funzionali, che sono connesse con la funzione economica che l'animale svolge, cioè col tipo di lavoro che compie, e malattie infettive, spesso trasmissibili all'uomo e per le quali esiste l'obbligo di denuncia in base alle vigenti norme di polizia veterinaria. Tra quelle del primo gruppo si possono ricordare tutte le malattie causate dagli arnesi da lavoro (piaghe, fiaccature, infiammazioni delle articolazioni, desmiti, teniti, corba, cappelletto, lupia, giarda, spavenio, schinelle, sobbattiture, inchiodature, ecc.); quelle provocate da traumi (distorsioni, distrazioni, fratture, lacerazioni); quelle di natura trofica o ambientale (amaurosi, bolsaggine, oftalmia periodica, cancro del fettone, podofillite, ecc.); quelle della pelle (eczemi, edemi, dermatiti varie). Le malattie infettive sono provocate da batteri (adenite equina, carbonchio ematico e sintomatico, aborto infettivo, edema maligno, botriomicosi, farcino, linfangite, morva, ecc.); da virus (aborto, influenza, esantemi, ecc.); da protozoi (emoglobinuria, nagana, surra, durina, teileriosi, ecc.); da parassiti diversi (erpete, filariosi, gastrofiliasi, strongilosi, ecc.).


Storia

Oriente antico


Il cavallo, che fece la sua comparsa in Mesopotamia nel II millennio a.C., pare fosse originario delle steppe a settentrione del Mar Nero e del mar Caspio, dove era stato addomesticato dagli Indoeuropei, probabilmente verso il XX sec. a.C. Sconosciuto invece all'Oriente mediterraneo sarebbe rimasto nelle età più antiche il cavallo della Zungaria.

L'addestramento del cavallo fu per lungo tempo specialità degli Hurriti, che sapevano attaccare ai carri i cavalli accoppiati, e a un hurrita, un certo «Kikkuli della terra del Mitanni», appartiene il più antico manuale ippologico della storia del mondo, un testo di circa mille righe scoperto negli scavi di Hattusa. Il carro leggero trainato da cavalli fu il travolgente strumento di guerra che, tra i secc. XVIII e XIV a.C., permise il grande flusso verso sud dei cosiddetti «popoli dei monti», le cui aristocrazie dominanti erano in parte indoeuropee: lttiti, Hurriti, Cassiti. In Egitto il cavallo fu, in quest'epoca, introdotto dagli Hyksos, ma non vi fu allevato. In Asia Minore, al contrario, l'allevamento dei cavalli fu molto sviluppato, soprattutto in Cilicia e in Licaonia. Al principio del I millennio l'Egitto importava cavalli dall'Asia Minore attraverso la Palestina, dove famose furono le stalle del re Salomone. L'equitazione, che era entrata in uso presumibilmente nei secc. XV -XIV a.C., fu in onore presso gli Assiri e poi presso i Persiani, che allevarono così cavalli da tiro come da sella; ma quest'arte fu spinta al più alto grado di perfezione dai popoli della steppa, Sciti soprattutto e Parti. I loro cavalli, tozzi e massicci, erano originari della Battriana, donde furono introdotti in Cina.


Grecia


Nella Grecia preellenica esistevano piccoli cavalli simili al pony delle Shetland. Gli Elleni vi introdussero, dalle regioni transcaspiche, una razza più sviluppata e robusta. Per i Greci il cavallo, associato al culto del dio Posidone, era oggetto di grande venerazione. I giochi istmici erano consacrati a Posidone Ippio e ogni anno, nel solstizio d'inverno, alcuni cavalli venivano gettati in mare per fornire un nuovo tiro al carro di Apollo. Divina era l'origine del primo cavallo Arione, come pure di altri cavalli ricordati nell'Iliade: quelli nati da Borea e quelli di Achille, generati da un'Arpia e da Zefiro. Le leggende dei Centauri riflettono, poi, il rispetto e l'ammirazione per coloro che sapevano montare a cavallo dando l'impressione di formare un essere unico con la bestia. Non meno onorati furono i cavalli distintisi nelle corse dei cocchi, la cui origine è pure circondata dall'alone del mito. Nella guerra, però, la cavalleria greca ebbe parte importante solo nell'epoca di Alessandro; si mostrò, tuttavia, inferiore alla cavalleria persiana e dovette essere rafforzata con cavalieri cappadoci.


Roma


Resti  di cavalli fossili, risalenti all'era quaternaria, attestano che esisteva in Italia una razza anteriore all'introduzione delle due grandi razze indoeuropea e zungarica. La tradizione attribuiva a Pico, figlio di Fauno o di Nettuno, il possesso di cavalli da caccia e da guerra. Evandro avrebbe fondato sul Palatino un tempio a Nettuno equestre e istituito le feste dei Consualia, a cui concorrevano cavalli e muli. Alla corsa dei carri, che aveva luogo ogni anno il 15 ottobre, il cavallo di destra del tiro vincitore era ucciso con un colpo di lancia. La sua testa, tagliata, diveniva la posta della lotta fra gli abitanti di due quartieri della città, la Via Sacra e la Suburra, e veniva appesa o sulla Regia o sulla Torre Manilia. La coda del cavallo era ugualmente tagliata e portata alla Regia, dove si lasciava gocciolare il suo sangue sul focolare; altri riti, di carattere purificatorio, si compivano con il sangue dell'animale abbattuto. Sopravvivenze di tali costumi è possibile ritrovare nelle corse dei carri a Bisanzio e nelle lotte delle fazioni dell'ippodromo.

L'allevamento dei cavalli romani sembra aver avuto il centro principale in Apulia. Dopo la conquista della Gallia fu introdotta in Italia l'eccellente razza belga. Nell'esercito romano la cavalleria ebbe sempre un'importanza secondaria (1 cavaliere ogni 15-20 fanti) e non ultima causa del crollo militare dell'Impero d'Occidente fu la superiorità delle schiere barbariche a cavallo (specialmente unne), che i Romani non poterono fronteggiare. I cavalli furono ferrati solo dopo Carlo Magno, ma già prima se ne proteggeva lo zoccolo con una specie di calzatura metallica (solea, ipposandalo).


Medioevo e tempi moderni


Nella prima metà dell' VIII sec., l'invasione araba diede nuovamente alla cavalleria l'importanza che aveva perduto, per cui i signori feudali si dedicarono all'allevamento del cavallo. Il destriero era inforcato dal cavaliere soltanto al momento del combattimento; durante la marcia, egli montava un palafreno o un cavallo ambiatore; gli arcieri avevano un cortaldo, dalla coda e dalle orecchie mozze; i paggi un ronzino; le dame, oltre al palafreno, montavano la chinea; il bidetto o cavallo da soma portava i bagagli. Tra le varie razze, erano ricercate quelle straniere: il ginnetto o giannetto di Spagna, o andaluso, era più degli altri apprezzato. Con le crociate, furono importati in Europa stalloni siriani e arabi. Nell' XI sec., il cavallo cominciò a essere adibito, oltre che a usi bellici e sportivi, al trasporto, mediante l'attacco al pettorale, che fino a quel tempo non era stato inventato; e ciò moltiplicò la velocità dei trasporti, a beneficio dei rinascenti scambi commerciali. Nel XV sec., le pesanti armature di cui i quadrupedi, come gli uomini, erano sovraccarichi, esigevano cavalli particolarmente robusti. In seguito le armature si alleggerirono e il cavallo divenne nelle guerre un elemento mobilissimo. I primi a utilizzarlo in tal modo furono gli Spagnoli nelle loro conquiste d'America: i loro avversari, particolarmente gli Aztechi, ignorando l'esistenza del cavallo, presero i cavalieri spagnoli per divinità simili ai centauri, davanti alle quali fuggivano meravigliati e terrorizzati.

Nei secc. XVI e XVII, durante le guerre di religione e quella dei Trent'anni, il diffondersi e il perfezionarsi delle armi da fuoco causarono il massacro dei cavalli da guerra. Prevalse così la cavalleria leggera, che portò allo sviluppo dell'allevamento dei piccoli cavalli ungheresi o nordafricani.

In Francia, sotto Luigi XIV, si cercò di migliorare le razze acquistando stalloni stranieri, ma in questo campo fu l'Inghilterra ad avere la supremazia: i cavalli berberi e arabi importati alla fine del XVIII sec. furono all'origine del purosangue inglese, che le corse contribuirono a migliorare.

Nel  XIX sec., oltre alla necessità di porre rimedio al progressivo depauperamento dovuto alle campagne napoleoniche, il fabbisogno di cavalli per gli eserciti aumentò in misura considerevole nel numero dei capi e nella varietà dei tipi diversificati per costituzione e attitudine. In tutte le nazioni, come già in passato in Inghilterra, si provvide a ciò con un'organizzazione preposta all'incremento della produzione salvaguardando la qualità, mantenendo equilibrato il dosaggio in relazione essenzialmente alle esigenze militari, esercitando una rigida selezione per mantenere costanti le attitudini, i pregi e le caratteristiche delle razze. In Italia lo Stato, con centri dell'esercito e dell'agricoltura, manteneva degli stalloni e un limitato numero di fattrici di elevata genealogia per la riproduzione degli stalloni. Due volte all'anno gli stalloni venivano distribuiti in numerose stazioni di monta a disposizione dei privati che si dedicavano all'allevamento. I puledri castrati (castroni) venivano acquistati da commissioni militari e avviati a depositi ove venivano allevati a regime brado, semibrado e stallino sino al quarto anno compiuto; al quinto anno, dopo un periodo di congruo addestramento, erano avviati ai corpi per l'impiego. Con questa organizzazione l'Italia, che nel periodo antecedente alla prima guerra mondiale importava circa 40.000 capi all'anno, divenne autosufficiente nel periodo postbellico. Per le necessità dell'esercito i cavalli si classificavano: da tiro pesante, lento e rapido, da tiro leggero, da sella. Fra le razze pregiate allevate nei centri dell'esercito si citano quelle di Persano (costituita verso la metà del XVIII sec.) e di Lipizza (1580); la prima originata con stalloni di Andalusia e migliorata dopo la prima guerra mondiale con stalloni arabo-beduini; la seconda che conserva ancor oggi le caratteristiche dell'antico e pregiato cavallo andaluso.

Dopo la seconda guerra mondiale il cavallo ha cessato di far parte delle unità operanti, rimanendo in servizio per alcune unità dei carabinieri e del corpo guardie di pubblica sicurezza. L'esercito ha conservato una minima parte dell'antica organizzazione per l'attività ippica sportiva (Centro preolimpico ippico militare).


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