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Teatro greco




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TEATRO GRECO


Tutte le notizie che si hanno sull'origine del teatro greco vengono tratte dai resti archeologici, dalla pittura vascolare e dalle fonti scritte dagli scrittori del tempo. Si pensa che il teatro greco abbia avuto origine dalle feste religiose in onore del dio Dioniso. Durante queste feste, che si svolgevano in primavera, gli abitanti di Atene formavano delle processioni che facevano terminare con un sacrificio, davanti all'altare del santuario della divinità e durante le quali eseguivano canti ditirambici. La tradizione attribuisce le prime forme reali di teatro, a Tespi, venuto dall'Icaria, verso la meta' del VI secolo, e giunto ad Atene su di un carro su cui trasportava degli attrezzi di scena, gli arredi, i costumi e le maschere. Tespi ebbe grande successo in tutta la Grecia tanto che fu necessario farlo partecipare alle feste dionisiache che quell'anno erano inaugurate dagli agoni drammatici. Durante le Dionisie cittadine o Grandi Dionisie si faceva un concorso tra le varie tribù dell'Attica per stabilire quale fosse il miglior cantico ditirambico e un concorso tra i poeti Greci con in palio tre premi da assegnare: al miglior corega, al miglior poeta e al miglior attore. Oltre alla tragedia, più tardi verso il 501 a.C., si introduce nelle gare il dramma satiresco e solo nel V secolo a.C. la commedia.lo spettacolo teatrale, inteso come una rappresentazione del mito, veniva ritenuto come un complemento essenziale nell'educazione dei cittadini. La partecipazione alla festa teatrale, infatti, era richiesta come per le altre grandi occasioni della vita sociale della città, e veniva retribuita a compenso del tempo lavorativo perduto. La polis è committente e organizzatore degli spettacoli, e al tempo stesso loro destinatario; ma la comunità intera è soprattutto l'oggetto di riflessione evocato e dibattuto, nel complesso dei suoi problemi, dalla rappresentazione drammatica. Il teatro è un luogo socialmente regolato di rappresentazione delle contraddizioni che lacerano la città (contraddizioni politiche e di classe) e le coscienze dei suoi membri (esperienze psicologiche fondamentali: la morte, la paura, la giustizia). In questo modo esso svolge di fronte all'intera città una fondamentale funzione educativa, non solo nella celebrazione dei valori comuni, ma anche nell'evocazione dei conflitti di base che vengono resi disponibili alla comprensione ed al controllo collettivo. Già nei palazzi cretesi di Cnosso e Festo esistevano degli spazi destinati a rappresentazioni religiose e corali racchiusi entro gradinate rettilinee o a squadra. In Grecia, in origine, il teatro era costituito semplicemente da un declivio naturale attrezzato probabilmente con panche di legno dove prendeva posto il pubblico e da uno spazio piano (l'orchestra) dove aveva luogo la rappresentazione con alle spalle un semplice fondale mobile (la scena) di tela. La piu' antica struttura teatrale conosciuta e' quella di Poliochni, nell'isola di Lemno, antica di circa tremila anni. Essa era di forma rettangolare allungata, dove gli attori recitavano su un palchetto di pietra. Con il passare del tempo le strutture mobili e in legno acquistano carattere più solido e definitivo a partire dal V secolo. Ma soltanto nel corso del IV secolo a.C. l'edificio teatrale acquista una rilevanza non solo per la propria funzione, ma anche dal punto di vista architettonico e viene ad assumere una struttura compiutamente definita e stabilmente ripresa in Asia Minore e nella Magna Grecia.



L'edificio teatrale greco, all'aperto e sprovvisto di tetto, constava di tre parti: orchestra, cavea, scena; una struttura che si ripete pressoché costante in Grecia, in Asia Minore, in Sicilia.

L'orchestra (orcheomai, io danzo),era lo spazio riservato ai movimenti del coro, dietro al quale c'è la scena che serve da fondale all'azione degli attori. Aveva forma semicircolare del diametro in media di 20 metri, ; intorno ad essa un canale fungeva da scolo per le acque piovane. Il piano era in terra battuta. Ai lati dell'ochestra due passaggi laterali (parodoi) chiusi da porte, consentivano l'accesso degli spettatori a teatro. Di norma da destra entravano i personaggi provenienti dalla città o porto, da sinistra i personaggi provenienti dal contado.

La cavea (il cui nome originario era Theatron, luogo in cui si vede), cioè le scalinate dove sedevano gli spettatori, fu all'inizio trapezoidale; poi prevalse, perché più razionale per guardare, e più efficace per accogliere i suoni, la forma a semicerchio abbondante. Nel teatro di Epidauro, celebre per la sua perfetta acustica, la cavea che fu costruita in più tempi, è più avvolgente. Come appoggi per la cavea si sfruttavano declini naturali, creando un rapporto organico con il panorama. Era attraversata verticalmente da scalette e in orizzontale da corridoi.

La scena, in origine costruzione provvisoria, si trasformò successivamente in una costruzione in legno ed in seguito in pietra. La scena si sviluppò poi ulteriormente: fu rialzata e spinta in avanti da un proscenio (palcoscenico rialzato), la cui fronte era di solito un porticato a colonne con tavole di legno dipinte. Quinte girevoli su pali con decorazioni di paesaggi o zone della città consentivano i mutamenti di scena.

Non esistono in nessun teatro tracce di servizi igienici.



I Greci furono probabilmente i primi ad affrontare in modo sistematico lo studio dei fenomeni sonori, per opera soprattutto di Pitagora e di Aristoxenos. Di qui anche la ricerca cosciente di forme di edifici adattate all'esigenza auditiva. Un peso dominante, e in certi momenti decisivo, ebbe l'acustica anche nello sviluppo del teatro greco, per aumentare la sonorità dell'ambiente. E' da notare ad esempio che sotto il piano ligneo del palco vi era una cavità profonda m.2,50 e lunga quanto tutto l'edificio scenico. Mentre l'interno di questo ambiente veniva anche sfruttato per manovrare gli scenari dipinti, una funzione esclusivamente acustica aveva l'altra cella sotterranea che si trovava al centro dell'orchestra, sfruttata evidentemente per gli spettacoli timelici. Anche la larghezza limitatissima del palcoscenico difficilmente potrebbe spiegarsi senza attribuirla alla necessità che gli attori non si allontanassero mai troppo, durante lo spettacolo, dal fondo della scena, perdendo così l'effetto di rinforzo della voce, dovuto alla superficie riflettente. Come esempio riportiamo Epidauro, dove, per compensare l'aumentata altezza della cavea, fu necessario alzare il palcoscenico sopra il piano dell'orchestra. L'alto proscenio così ottenuto venne negli intercolumni tamponato con i 'pinakes', riquadri di legno, che formavano, insieme con la pedana del palco, una vera e propria cassa di risonanza.



I generi che solitamente venivano rappresentati erano la tragedia, il dramma satiresco e la commedia.

La tragedia (da tragos cioè capro, l'animale che simboleggia Dioniso) pare tragga la propria origine, a detta di Aristotele nella Poetica, dai cori ditirambici fatti in onore di Dioniso, che da spontanei assunsero via via forma letteraria di cantici da cerimonia, cantati dagli adepti sotto la direzione di un capo.

Del dramma satiresco non si conosce l'origine, alcuni storici pensano che si tratti della prima forma di dramma da cui deriveranno poi la tragedia e la commedia. Si sa per certo che Pratina inventò il dramma satiresco nel VI secolo a.C. Il nome deriva dal coro dei Satiri che accompagnava Dioniso, e si esprimeva con un linguaggio osceno e con danze frenetiche.

La commedia (da comos, corteo di buffoni e personaggi grotteschi che accompagnano Dioniso) comincia a delinearsi nell'ambito delle processioni religiose fatte in onore di Dioniso, durante le quali al canto satirico di un corteo buffonesco rispondevano motteggiando gli astanti. Di qui la presenza di due cori nella commedia, rispetto invece alla tragedia che ne aveva uno solo. Non si sa bene come si sia sviluppata la commedia, ma come forma drammatica viene riconosciuta ufficilmente solo nel 487-486 a.C., dopo la tragedia e il dramma satiresco. Le commedie si svolgevano soprattutto durante le feste Lenee e il luogo deputato era il lénaion. La commedia antica è quella che risale al VI e V secolo a.C. La commedia nuova è quella di Menandro che sarà di modello a tutte le commedie moderne.

Durante le Dionisie cittadine o Grandi Dionisie si faceva un concorso tra le varie tribù dell'Attica per stabilire quale fosse il miglior cantico ditirambico e un concorso tra i poeti greci con in palio tre premi da assegnare: al miglior corega, al miglior poeta e al miglior attore. Oltre alla tragedia, più tardi verso il 501 a.C., si introduce nelle gare il dramma satiresco e solo nel V secolo a.C. la commedia.



Gli Autori Greci di tragedie del VI sec. a.C. sono: Tespi, Cherilo, Pratina e Frinico. Di essi non conosciamo alcun dramma. Gli autori Greci di commedie dal VI al V secolo a.C. sono: Epicarmo, Chionide, Magnete, Ecfantide, Cratino, Cratete, Eupoli, Aristofane. Gli autori Greci di tragedie del V sec. a.C. sono: Eschilo, Sofocle ed Euripide.

Aristofane (448-380 a.C.) è il commediografo greco più importante e le sue commedie per struttura e contenuto rimangono un fenomeno a sé nella storia della drammaturgia. Autore delle commedie: Gli Acarnesi, I Cavalieri, Gli Uccelli, Le donne alla festa di Demetra, Le donne a parlamento, La Pace, Le Rane, Le Nuvole, Le Vespe, Lisistrata e Pluto.

Aristofane nei suoi drammi parla soprattutto di fatti politici, sociali e culturali che riguardavano Atene. Prendiamo in considerazione una commedia che si distingue per contenuto da tutte le altre: Gli uccelli. Gli uccelli è una commedia di Aristofane che si distingue dalle altre per la grande ingenuità che trionfa in essa. Si narra la storia di due ateniesi che abbandonano la loro città, stanchi per le continue ingiustizie che affliggono la società, e vanno alla ricerca di un posto tranquillo. Fonderanno insieme agli uccelli la città ideale, di nome Nubicuculia, posta tra il cielo e la Terra, e inviteranno tutti gli uomini a trasferircisi. Nella parabasi di questa commedia, Aristofane invece di affrontare problemi di attualità, fa tutto un discorso per dimostrare l'antichità e la divinità degli uccelli, invitando gli uomini a lasciare la loro miserabile vita per diventare uccelli.

Eschilo (525-456 a.C.) è autore delle tragedie: Le supplici, Prometeo Incatenato, I persiani, I sete a Tebe, la trilogia di Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi). Egli nei suoi drammi affronta soprattutto i problemi della giustizia e dell'impotenza dell'uomo di fronte al destino. A lui si attribuisce l'introduzione del secondo attore.

Sofocle (496-406 a.C.) è autore delle tragedie: Aiace, Antigone, Edipo re, Elettra, Le Trachinie, Filottete, Edipo a Colono; del dramma satiresco: I Segugi, di cui rimane una sola parte. La volontà dell'uomo è al centro dei drammi di Sofocle. A lui si deve l'introduzione del terzo attore e l'aumento del numero dei coreuti da 12 a 15, pur spostando l'attenzione dal coro agli attori che assumeranno via via sempre più importanza.

Euripide (480-406 a.C.) è autore di alcune tragedie fra cui Ecuba, Elena, Elettra, Eracle, Ippolito, Le Baccanti, Le Fenicie, Le Supplici, Le Troiane, Oreste; del dramma satiresco: Il Ciclope. Nei suoi drammi prevale la critica verso il senso di giustizia degli dei e servendosi dei miti Euripide afferma che l'uomo nella vita non fa altro che soccombere al caso.


La tragedia di Eschilo, Sofocle, Euripide e degli altri tragici minori dell'età classica consiste essenzialmente in una serie di episodi recitati (in trimetri giambici o tetrametri trocaici), alternati con cori (in versi lirici). Vi sono poi parti miste: dialogo lirico tra attori e coro, monologo lirico dell'attore, dialogo lirico tra attori.

La serie degli episodi e dei cori che costituiscono l'azione tragica è preceduta di solito da un prologo recitato, che poteva avere anche forma dialogica e che serviva ad informare il pubblico degli antefatti dell'azione drammatica. Successivamente al prologo vi era la parodo che consisteva in un canto d'ingresso eseguito dal coro. In seguito vi erano gli episodi, in genere erano tre o quattro, che erano costituiti o da monologhi o da dialoghi, o da dialoghi serrati tra due o tre attori, prevalentemente in trimetri giambici.


Non era un mestiere semplice quello degli attori: non essendoci l'abitudine di utilizzarne più di tre per spettacolo dovevano sostenere le parti maschili e quelle femminili, e si cimentavano, nel corso della recita, in doppie e triple parti. Il protagonista aveva il ruolo di preminenza e gli altri attori pur importanti, dovevano sottostargli. L'attore tragico antico, nell'immaginario moderno, era una figura imponente, dalla fronte allungata, con occhi fissi, bocca aperta. Doveva possedere una voce tonante, ottima dizione, saper cantare. La voce era molto importante per gli attori Greci, la bravura stava proprio nel modularla con diverse tonalità per interpretare in modo credibile i diversi ruoli, anche se non amavano la perfetta identificazione dell'attore con il personaggio. Inoltre poiché portavano la maschera che dava fissità espressiva al loro volto, dovevano muoversi con eccezionale capacità mimica con il resto del corpo.

L'assenza di donne attrici non può stupire: è un fenomeno sociale molto diffuso che troviamo anche nel teatro rinascimentale di corte. Ad Atene la donna per tutto il quinto secolo visse in condizioni di semi-clausura: lavorava in casa, usciva solo in occasioni solenni (matrimoni e funerali)e, pare, per assistere alle rappresentazioni teatrali.

Sugli attori greci non si abbatté mai il peso del disprezzo sociale, come succederà a Roma: esibirsi in pubblico non era considerato contrario ai principi della dignità.

Sui testi gli attori si permettevano aggiustamenti, trasponevano versi, semplificavano o rendevano più carica una battuta, miglioravano una frase che non avevano inteso bene.

Quando il coro interveniva con il canto e la danza, gli attori avevano il tempo di andarsi a cambiare per un nuovo travestimento. Infatti, accanto alle voci soliste, esiste nel teatro attico fino alla fine del V secolo una voce collettiva: il coro. (15 persone per la tragedia, 24 per la commedia). Lavorare nei cori pare facesse bene alla salute, l'esercizio fisico a cui erano sottoposti li rendeva abili a combattere. All'allenamento, comunque, i coreuti trovavano gradevole compenso nei pranzetti ad essi riservati; chi veniva defraudato del pranzo finale se ne lamentava. Nella tragedia il coro prendeva posto nell'orchestra disponendosi in cinque file, l'ingresso avveniva con una certa compostezza a passo cadenzato. Nel corso della tragedia nei momenti più dolorosi il coro intonava una melodia trista facendo eco al parlato gemente di un personaggio. Quando il coro tragico non era attivo forse si disponeva ai limiti dell'orchestra rimanendo immobile sul fondo; in alcuni casi il coro si allontanava con un personaggio dalla scena, e dopo rientrava.




Attori e coro portavano una maschera che copriva di solito volto e testa. Forse essa assolveva anche un compito pratico di amplificazione, con una specie di piccolo imbutino posto davanti alla bocca, ma l'effetto megafono non è così certo. Improvvisi cambiamenti di stati d'animo non trovavano rispondenza negli immodificabili tratti della maschera: così i drammaturghi si trovavano spesso costretti a fornire spiegazioni sull'impassibilità di un personaggio in una situazione per lui sconvolgente.

Riguardo le maschere abbiamo notizie da Polluce (sofista e grammatico greco del II sec. d.C.). Da lui si evince che le maschere usate dagli attori Greci erano molte, fatte di stoffa gessata, corredate da parrucche. La voce era molto importante per gli attori Greci, la bravura stava proprio nel modularla con diverse tonalità per interpretare in modo credibile i diversi ruoli, anche se non amavano la perfetta identificazione dell'attore con il personaggio. Gli attori avevano la faccia dipinta in bianco quando interpretavano le figure femminili e piu' scura quando interpretavano invece quelli maschili; i capelli erano biondi per un giovanetto, bianchi per un vecchio, mentre erano neri per un uomo maturo. Il pubblico, spesso, riconosceva il personaggio dalla maschera che egli indossava, cosicche', all'attore bastava un solo cambiamento di maschera e quello di un mantello, per cambiare personaggio.

Gli attori tragici indossavano il chitone, una veste che scendeva fino alle caviglie, con maniche lunghe adottate da Eschilo per impedire che una bella fanciulla rivelasse braccia da lottatore, dato che gli attori erano uomini. Altro capo essenziale è il mantello ampio e avvolto intorno al corpo, si rinserra e nasconde il volto.

Per la donna un capo di abbigliamento era costituito anche dal peplo, un abito lungo fino ai piedi, di lana. Naturalmente il re portava una corona, i vecchi si appoggiavano a un bastone e così via altri accessori per caratterizzare i personaggi.

La calzatura abituale della tragedia fu il coturno, un calzare a mezza gamba, basso e largo. Più tardi fu fornito di suole alte, e gli attori accrebbero così la propria statuarietà a scapito della scioltezza dei movimento. In testa l'attore aveva un diadema o una ghirlanda o un berretto frigio (se troiano). Le donne, se sprovviste di velo tenevano i capelli raccolti. Contribuivano a ergere l'attore anche gli onkos, delle parrucche molto alte. Il coro, non si distaccava dal vestire dell'uso quotidiano, cittadino o contadino.




Il più scatenato e cattivo dei nostri loggioni, si potrebbe definire tranquillo al confronto delle platee ateniesi del V e del IV secolo. Lasciando stare le clamorose contestazioni conto un attore, la gente esprimeva la sua antipatia anche contro chi entrava a teatro e non era gradito. In segno di disapprovazione si masticavano rumorosamente i cibi, si tiravano proiettili di ogni genere, fichi, olive, verdure (non pomodori: i greci lo avrebbero anche fatto, ma non li avevano), sassi. Ci si alzava in piedi a protestare, a chiedere spiegazioni: lo stesso Socrate, che non aveva ben afferrato l'inizio dell'Oreste di Euripide, interruppe l'attore e gli chiese di ripetere i primi tre versi. Come sempre succede, a teatro c'era lo spettacolo nello spettacolo: il maleducato applaudiva quando gli altri fischiavano, e ruttava per far voltare la gente dalla sua parte.

Anche gli schiavi avevano diritto di accedere a teatro. La rappresentazione teatrale poteva durare dall'alba al pomeriggio, dunque lo  spettatore greco mangiava e beveva a teatro, senza mai allontanarsi.

Il teatro Ateniese era alimentato, finanziariamente, da sovvenzioni statali e private. Per pagari l'ingresso ai cittadini il denaro veniva attinto da un fondo speciale, nel quale affluivano le eccedenze della varie casse.

Ai cittadini più ricchi toccava il compito di trovare e pagare i componenti del coro, i costumi, e il ricevimento.

Anche in Atene, il biglietto non lo presentavano i furbi e le autorità: i primi tentavano di entrare a spettacolo già iniziate, alle altre erano riservati i posti migliori. Erano molti a rivendicare il diritto alla bella sistemazione, minacciando ritorsioni se non venivano accontentati.








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