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Contestualizzazione storica e soluzioni formali del dipinto di Carrà I funerali dell'anarchico Galli
Era l'anno 1904 quando il giovane Carrà, simpatizzante ora socialista ora anarchico, presenziò ai funerali dell'anarchico Galli. Nonostante l'ordine di Giovanni Giolitti allora Ministro degli Interni, di non usare armi contro le proteste dei contadini e degli operai, Galli rimase ucciso negli scontri seguiti al primo grande sciopero generale dello stesso anno. Durante il funerale si verificarono altre proteste e scontri con i Lancieri del re che caricarono contro la folla. Il ricordo di quella terribile giornata venne impressa sulla tela nel 1911 da Carrà, rimasto profondamente impressionato dalla scena cruenta e brutale. Niente di meglio dell'esagitato movimento fluttuante della folla, sotto la minaccia delle forze dell'ordine, poteva offrire argomento per la tela futurista in cui vediamo sintetizzata la concezione del movimento nei cavalli e nelle lance puntute, moltiplicate all'infinito a destra e sinistra, e nella figura dell'uomo al centro che occupa più posizioni contemporaneamente. Lo spettatore si ritrova al centro del quadro, come Carrà desiderava, avendo fatto dettare questa frase nel Manifesto tecnico della pittura futurista.
Evidenzia le caratteristiche stilistiche del linguaggio artistico di Schiele.
Già al primo sguardo di un'opera di Egon Schiele, immediatamente possiamo notare che l'artista austriaco ben si distingue dagli artisti della Secession e dal "padre spirituale" che il pittore riconosceva in Gustav Klimt. Disegnatore eccellente, Schiele ha un tratto spesso e marcato, energico e sicuro, a volte persino violento. Senza concessioni al decorativismo o al compiacimento estetico, nelle sue opere egli utilizza una linea tagliente ed incisiva per esprimere la sua angoscia e per mostrare impietosamente il drammatico disfacimento fisico e morale. Maggiormente impegnato nella realizzazione di ritratti ed autoritratti, che assumono talvolta toni caricaturali, la fisicità del corpo viene rappresentata attraverso un'aggressiva distorsione figurativa. La sessualità diventa ossessione erotica che, accanto al tema della solitudine angosciosa ed inquieta, assume un'altissima tensione emotiva. Lo spazio diventa una specie di vuoto che rappresenta la tragica dimensione esistenziale dell'uomo, in continuo conflitto tra la vita e la morte.
Affinità e differenze tra il Futurismo ed il Dadaismo.
Indubbiamente sia il Futurismo che il Dadaismo, hanno come denominatore comune l'intento di proporre un'arte nuova alla società europea dei primi del Novecento: un'arte che si distacchi totalmente dal passato tramite linguaggi assolutamente innovativi. Troviamo comune anche la scelta di accostare forme e materiali inusuali nelle loro opere. Tuttavia vi è una differenza basilare negli intenti. Mentre il Futurismo, il cui manifesto appare nel 1909 - quindi prima del conflitto mondiale, intende glorificare nella sua estetica l'uomo moderno, le sue creazioni e magnificare la guerra, ritenuta «sola igiene del mondo», il Dada, abbrutito dalle conseguenze che la guerra ha portato, vuole annullare sì il passato, ma perché lo ritiene inutile in quanto non è stato capace di salvare l'umanità dalla follia della guerra. In poche parole, mentre il movimento Futurista esalta la modernità attraverso la modernità stessa, il movimento Dadaista rifiuta questa modernità, ripudiandola e cercando di salvarla con nuove forme. Possiamo infine riconoscere che i due movimenti sono nati e sono stati propagandati allo stesso modo, pur con le dovute differenze nello stile, ovvero tramite «Serate», spettacoli teatrali dal carattere a metà tra la rappresentazione e il comizio, consistenti di declamazioni di poesie, esecuzioni musicali, animazioni nelle quali il pubblico era chiamato ad interagire.
Delinea la temperie storica, artistica e culturale che vide la nascita del movimento dadaista, facendo riferimento agli artisti che ne furono protagonisti ed ai linguaggi da loro usati.
Il Dada vide la sua nascita in Svizzera, che rimanendo estraneo al conflitto mondiale, fu l'unico in grado di accogliere quel gruppo di intellettuali ed artisti che ripudiavano la guerra. Questo movimento, nonsenso per definizione già a partire dal nome che non significa nulla, esprimeva la voglia degli artisti di azzerare tutte le ideologie e tutti i valori di quella società che aveva portato al conflitto mondiale. L'umanità necessitava di un'arte nuova, elementare, capace di salvarla dalla follia dell'epoca. Fu così che il Dada esplose al Cabaret Voltaire di Zurigo nei modi più strampalati ed anticonformisti, secondo le stravaganti iniziative di quel gruppo che comprendeva Tzara, Arp, Janco e Ball. Ma il Dada non era nemmeno un gruppo, era un modo di essere e di sentire, un modo per dire no al passato attraverso il rifugio nella follia innocua del nonsenso e dell'ironia. Ben presto, infatti, il Dada contagiò anche a Berlino, Parigi, Colonia, Hannover e New York. La volontà di mettere in crisi modi di pensare definiti borghesi, stimola una strategia di spiazzamento incentrata sull'accostamento di forme e materiali inconsueti, sulla degerarchizzazione delle tecniche e dei generi artistici tradizionali e sulla valorizzazione dei nuovi procedimenti quali il collage, il fotomontaggio e il ready-made, dei quali si servirono esaurientemente il francese Duchamp e l'americano Man Ray.
Proposte ideologiche e formali del Futurismo quali si evincono dai manifesti.
Il Futuristi esplorando varie forme artistiche, ebbero modo anche di elaborare numerosi manifesti. Filippo Tommasi Marinetti, autore del primo manifesto, ovvero il Manifesto del Futurismo pubblicato nel 1909 riassunse i principi fondamentali del movimento, che comprendeva un appassionato disgusto per le idee del passato, specialmente per le tradizioni politiche ed artistiche. Marinetti insieme agli altri sposò l'amore per la velocità, la tecnologia e la guerra, intesa come espressione vitalista e purificatrice. L'automobile, espressione massima della macchina che trasforma la relazione tra l'uomo e l'ambiente, l'aereo e la città industriale, avevano tutte un carattere mitico per i futuristi, perché rappresentavano il trionfo tecnologico dell'uomo sulla natura. Entrando nello specifico delle varie forme d'espressione che il Futurismo abbracciò, possiamo apprendere dai due manifesti che Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini firmarono, ovvero nel Manifesto di pittori futuristi e nel Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910, le proposte ideologiche e formali proprie del movimento. Mentre nel primo troviamo in prevalenza contenuti teorici, vale a dire in esso viene ribadito il rifiuto della tradizione e della mentalità accademica e convenzionale, nel secondo ci vengono offerte indicazioni più precise riguardo al principio imprescindibile della pittura futurista, che consiste nel privilegiare l'immagine del movimento, riportandone la sensazione complessiva.
Delinea la temperie storica, artistica e culturale che portò alla realizzazione de Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo.
Terminato nel 1901, Il Quarto Stato si colloca sullo sfondo di uno scenario storico-politico e sociale che risente fortemente delle vicende italiane postunitarie. Erano venute a scontrarsi le esigenze di due schieramenti apparentemente solidali nello sforzo di raggiungere il progresso e il miglioramento economico, ma decisamente contrapposti nei fini e nei metodi. Il dualismo borghesia/proletariato aveva raggiunto il suo apice: la borghesia diffidava di qualsiasi mutamento sociale che potesse turbare l'incerto equilibrio della giovane nazione, mentre il popolo aspirava al miglioramento economico, inteso come estensione del concetto di proprietà. È evidente che Pellizza non intendeva rappresentare sulla tela esclusivamente una scena, sia pure molto importante, della vita sociale del proprio tempo, vale a dire un momento di sciopero e di protesta. Vi compaiono, infatti, delle figure che avanzano verso la piena luce, mentre sullo sfondo campeggia un tramonto: è chiara l'allegoria sociale del popolo che avanza verso un futuro radioso, lasciandosi alle spalle l'età dell'oppressione. Pellizza vi dedicò dieci anni di vita, nei quali maturò la tecnica pittorica divisionista e una nuova coscienza di classe, affrancata dal patetismo populista di sapore ancora romantico.
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