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Prima interpretazione 'astrattista' dell opera reginiana degli anni Trenta
Tra marzo e aprile dello stesso anno, Regina è altresì invitata a partecipare alla mostra Arte astrat- ta italiana. I primi astrattisti italiani 1 13-1940, allestita a Milano presso la Galleria Bompiani a cura di Guido Le Noci i lavori reginiani esposti in mostra sono Il paese del cieco che è anche ripro- dotto, con data 1936) e una non meglio precisata «scultura in ferro» in cui si potrebbe forse rico- noscere la Torre littoria presentata alla Quadriennale del 19 9 (anche se in catalogo anche questo secondo pezzo è datato 1936
In tutta evidenza, sin dal titolo, si comprende immediatamente come la rassegna in questione ab- bia costituito un momento importante nel dibattito critico sull'opera di Regina: innanzitutto perché si tratta della prima volta - e per la seconda dovranno passare molti anni - in cui almeno alcune delle sue sculture degli anni Trenta vengono interpretate in senso strettamente astrattista (e peraltro, in questo caso, con ragioni sicuramente migliori rispetto a quelle avanzate da Bracchi - un po' forzo- samente - appena qualche settimana prima), e poi soprattutto perché la scultrice pavese viene in- serita nel ristretto novero dei pionieri dell'astrattismo in Italia
I vari testi in catalogo (a firma di Le Noci , di Carlo Perogalli e di Gianni Monnet ) non trattano nel dettaglio di alcun artista, ma si limitano piuttosto a fornire delle coordinate generali per la com- prensione della mostra. Le Noci si preoccupa soprattutto - sin dal titolo del suo intervento - di sottolineare come l'astrattismo sia di fatto, a suo avviso, l'unica forma d'arte possibile nel tempo presente20. Più ampio, articolato e per noi interessante è però il contributo di Perogalli, il quale soprattutto denuncia la sottovalutazione critica di cui il Futurismo è stato e continua ad essere vittima, precisando altresì le ragioni della mostra
Si potrebbe forse dire che la «scoperta» del Futurismo da parte della critica risale a poco do- po la fine dell'ultima guerra. Molti sono gli storici e i critici che solo recentemente hanno ag- giornato la loro cultura e han finalmente dedicato la loro attenzione anche all'arte contempo- ranea; moltissimi quelli che hanno consapevolmente ignorato il Futurismo per quasi venticin- que anni.
La generazione nata, come chi scrive, dopo la prima guerra mondiale, non sentì quasi parla- re di Futurismo che sporadicamente, e spregevolmente: chi accennava al fatto che malgrado tutto era stato un movimento italiano di risonanza europea, forse l'unico, aveva l'aria di scu- sarsene per non venir giudicato avventato.
Dopo la guerra storici e critici, musei e gallerie, ed editori, accortisi a quale meschino livello medio ci aveva portato l'autarchico isolamento artistico del ventennio [.], cercarono di rime- diare al troppo lungo silenzio. E ci si mise all'opera con intenti di vera e propria rivalutazione, che culminò con le mostre dell'arte italiana a New York, a Parigi e Londra, colla mostra dei firmatari del primo manifesto futurista della Biennale veneziana del 19 0, ed in altre manife- stazioni minori.
Dicendo che esiste un canovaccio che lega i primi grandi futuristi agli ultimi astratti non si vuol negare gli innegabili rapporti [.] della pittura straniera a quella italiana, specie dopo il
1945; né si pretende di scoprire nascosto nella sua trama alcun genio ignorato: solo era op- portuno svolgerlo ed esaminarlo [.].
Monnet, infine, riprende a suo modo - ovvero in maniera chiaramente orientata dalle sue convin- zioni concretiste - le tematiche toccate nei primi due testi: innanzitutto, come per Le Noci, anche a suo avviso «non è giusto parlare di astrattismo, considerandolo una corrente fra le altre», ma «ba- sta dire 'arte moderna': essa si identifica tutta con l'astrattismo» ; secondariamente, dopo aver sottolineato come «i soli futuristi della 'seconda ondata' che abbiano lasciato qualcosa di duraturo» sono quelli che «hanno rivelato nelle loro opere dei valori oggi detti 'astratti'»23, l'architetto evidenzia come l'obiettivo principale della rassegna sia quello di distinguere tra chi si è convertito al- l'astrattismo per rispondere alla moda del momento e chi invece ha consapevolmente e continuati- vamente lavorato in quell'ambito sin dal dopoguerra, quando l'opzione astratta era certamente più difficile
Mostra e catalogo sono dunque per noi importantissimi. Innanzitutto, come detto, si tratta della prima occasione in cui almeno alcuni lavori reginiani degli anni Trenta vengono letti quali saggi di un suo precoce astrattismo (sia pure con due opere sul cui 'astrattismo' si potrebbe discutere). I- noltre, in una mostra in cui più che evidente è lo zampino del MAC , davvero assai significativo è il fatto che si individuino nel Futurismo le radici del processo di astrazione dal reale che ha condotto al concretismo vero e proprio: non solo, infatti, sono esposte opere di ex-futuristi (non solo 'secon- di', a differenza di quanto sostiene Monnet, poiché anzi Balla e Depero sono presenti con opere del 1915), ma addirittura vengono riprodotti - accanto a considerazioni degli anni Trenta di Licini, Melotti, Soldati, Radice e del trio Bogliardi-Ghiringhelli-Reggiani - anche alcuni brevi brani dei ma- nifesti boccioniani che possono adombrare (al di là degli esiti cui poi Boccioni stesso giunse) una celebrazione dell'astrattismo.
Due interessanti recensioni della rassegna, che non citano Regina ma che sono emblematiche del- l'atteggiamento dei due critici (e dei due giornali) nei confronti dell'astrattismo, sono firmate da Ma- rio De Micheli per L'Unità» e da Leonardo Borgese per il Corriere della Sera . De Micheli, in- nanzitutto, rimprovera a coloro che hanno scritto sul catalogo di procedere apoditticamente - nel loro tentativo di argomentare le ragioni dell'astrattismo come unica forma d'arte del tempo presente
- attraverso «apriorismi» e «tautologie» indimostrabili; secondariamente, e soprattutto, sottolinea come l'«ideologia» che è alla base dell'astrattismo non è «rivoluzionaria» ma al contrario «piccolo borghese»: per «L'Unità», evidentemente, le ragioni della politica (o tutt'al più della filosofia che la nutre) non possono che condurre alla proscrizione dell'arte astratta (anche se De Micheli riconosce da una parte il valore di alcuni degli artisti espositori, e dall altra l'interesse storico della mostra). Borgese, invece, non pone pregiudiziali politiche ma giudica la mostra altrettanto negativamente, soprattutto perché a suo avviso tutti i buoni artisti presenti in mostra offrono migliori prove delle lo- ro capacità quando non si dedicano all'astrazione . Vale la pena infine di sottolineare come anche Borgese, come già De Micheli, ammette che la mostra ha «un valore storico», anche se - e il giu- dizio è particolarmente interessante - «crea una certa confusione tra astrattismo e futurismo»: evi- dentemente, dunque, nonostante l avversione per entrambi i movimenti, quanto meno sul piano della forma, se non della valutazione critica, Borgese non fa di tutta un'erba un fascio, e sente la necessità di distinguere tra ciò che a suo avviso si può definire 'astrattismo' e ciò che invece, più propriamente, si dovrebbe rubricare sotto la voce 'futurismo'.
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