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Oralita' e scrittura




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ORALITA' E SCRITTURA


Ovviamente prima della scrittura esisteva la lingua narrata. La scrittura non assume tutte le funzioni che ha la lingua parlata ma ne assorbe la maggior parte. Ci permette innanzitutto ordinamento e classificazione, quindi poter leggere attraverso essa la storia e la cultura la storia della scrittura è storia di movimenti di cultura (le scritture mesopotamiche, le scritture religiose.) La scrittura si è propagata soprattutto per necessità e presenta un'universalità di principi e usi.

Fino a poco tempo fa si sottolineava l'importanza forse eccessiva della scrittura nell'evoluzione della società umana. Si è parlato di:


popoli con scrittura

popoli senza scrittura


Le abbiamo definite GRANDI civiltà (Egitto, India, Cina) perché abbiamo pensato che grazie alla scrittura fossero più evoluti, più sviluppati ecc.


Abbiamo pensato che grazie alla scrittura essi producessero storia, cultura perché lasciavano dei segni tangibili della loro esistenza


Non le abbiamo definite grandi civiltà (Paesi africani, asiatici, sudamericani.) perché essendo senza scrittura erano senza storia.


Invece...

OGNI POPOLO, CON O SENZA SCRITTURA, HA UNA PROPRIA STORIA.


Il peso della scrittura si traduce in POTERE: infatti sappiamo che i primi a saper scrivere erano sempre i più potenti CLERO, NOBILI, ma anche i COMMERCIANTI.

Chi poteva scrivere poteva conservare la propria cultura.

In Italia l'analfabetismo esisteva soprattutto nelle campagne, e chi aiutava i contadini a leggere erano i preti. Tutta la produzione culturale che si è affidata all'oralità in parte si è conservata, ma la maggior parte si è persa.

Un'altra differenza fondamentale tra un testo tramandato oralmente e un testo scritto è che:

-il primo può conservarsi per anni ma l'ultima versione non sarà mai uguale all'originale.

-il secondo non subisce cambiamenti sconvolgenti (c'è da dire però che molti tesi vecchi venivano ricopiati durante gli evi e quindi possono essere stati modificati, questo dipende anche se l'autore ha scritto di proprio pugno o se lo ha dettato a qualcuno - comunque il fattore cambiamento sarà sempre meno incisivo).

L'importanza della scrittura, quindi della conservazione, della storia e delle memoria la si è riconosciuta grazie alla costruzione delle BIBLIOTECHE.

Ecco che possiamo parlare di CULTURA EGEMONE (ci resta quasi tutto) e CULTURE SUBALTERNE (ci restano solo alcune cose).


Il problema della scrittura e dell'oralità si è posto alla mente degli uomini tanto tempo fa, Platone ci è da esempio: la scrittura non sempre corrisponde a verità, ma essa riusciamo a trovarla solo nell'oralità; la parola scritta poi è fissa e immobile, non la si può interrogare, non ci può rispondere, non ci può spiegare. Platone comunque per faci arrivare tale pensiero SCRIVE, quindi non intende "ammazzare" totalmente la scrittura.

La comparsa dell'uomo risale a 50000 anni fa, quella della scrittura a 6000 anni fa.


Le società senza scrittura vengono anche chiamate CULTURE ORALI PRIMARIE

(occorre però ricordare che la cultura orale vale per tutte le società).

Cultura orale comprende tutti quei prodotti formalizzati o non che vengono tramandati oralmente:

canti, fiabe o leggende (formalizzati) racconti di vita o autobiografie (non formalizzati).

NB Canti, fiabe, leggende non è detto che non siano stati scritti in origine.


Chi è alfabetizzato riesce malissimo a immaginare una cultura esclusivamente orale.

Waterong (antropologo):       "immaginate una cultura in cui nessuno ha mai cercato una parola su un vocabolario"

Senza la scrittura le parole non hanno una presenza visibile. Nelle culture orali primarie esistono solo dei suoni, degli eventi.


Il punto focale e rivoluzionario è la STAMPA. Comunque attualmente c'è un recupero dell'oralità grazie a TV, radio, cinema ecc. PAROLE LEGATE A IMMAGINI.

La scrittura è stata studiata al proprio interno da sempre. Solo ultimamente se è cominciato a studiare anche i modi di comunicare.



CHE COS'è L'ANTROPOLOGIA?

L'antropologia è in pratica lo studio dell'uomo. Questa materia ha impiegato due categorie di persone: gli antropologi e i non antropologi, anche se tutti gli uomini hanno un lato antropologo nascosto. L'uomo che viene studiato (il suo essere e la sua produzione) non è solo un singolo oggetto di studio ma è una specie di "enorme continente" (citazione) che viene studiato attraverso tante antropologie diverse (dall'anatomia alla letteratura, alla storia etc.). Certo per definire l'antropologia occorrono dei criteri ben definiti e adesso non possiamo dire che tutto è antropologia.

Antropologia è un sapere di frontiera (fra culture diverse)

Antropologia è lo studiare l'uomo rispetto ad altri uomini

Questa frontiera, questi confini sono stati stabiliti dagli studiosi: selvatichezza, barbarie, magia, scienza. Ciò che l'uomo ha fatto e fa, ciò che l'uomo ha prodotto e produce.

L'antropologia è una disciplina fatta di teorie, ma che devono essere sempre suffragate dalla pratica.

ANTROPOS = UOMO

LOGOS = SCIENZA

Per la prima volta viene utilizzato tale termine, nella forma greca, nel XVII secolo. Nata in Europa, tale scienza inizialmente comprendeva TUTTI GLI STUDI SULL'UOMO.

Tra il XVIII secolo e il XIX secolo ha finito per essere impiegata insieme al termine ETNOLOGIA (studio dei tratti differenti e comuni delle varie popolazioni).

C'è da dire però che in ogni nazione il termine antropologia iene associato ad altri termini:

in Germania è unito al FOLKLORE

in Francia a ETNOGRAFIA o DEMOLOGIA

nei paesi anglosassoni a ETNOLOGIA.

C'è quindi in generale una situazione sicuramente molto mobile e variabile ma se dobbiamo fare una certa interpretazione possiamo ridurre il tutto a:

ANTROPOLOGIA generalità

ETNOLOGIA specificità

Da notare che in Italia le 2 discipline più la demologia vengono riunite sotto un'unica materia, quando si tratta di Università, concorsi etc..


Negli Stati Uniti c'è ancora un'ulteriore distinzione.

ANTROPOLOGIA GEOGRAFICA

ANTROP. LINGUISTICA

ANTROP. CULTURALE uomo all'interno di una società che prende in considerazione le differenze culturali e sociali. Analisi delle organizzazioni sociali, dei comportamenti etc.

ANTROP. FISICA sviluppo dell'uomo, scienza che dopo il 1860 (teorie evoluzionistiche di Darwin) si inserisce negli studi evoluzionistici. Dopo il XVIII sec. Si definisce il concetto di razza, grazie a dei parametri e caratteri (intabellati) di tipo morfologico.

Dopo il 1940 ci sono stati nuovi impulsi grazie alla genetica, che ha introdotto anche l'importanza dei processi storici che hanno influenzato lo sviluppo diverso a seconda delle popolazioni.

I genetisti tolgono il concetto di razza sostituendolo con il termine stock genetico, stabilendo anche l'impossibilità di fissare una precisa evoluzione omogenea e continua.

Ecco che a questo punto c'è un DISTACCAMENTO TRA ANTROPOLOGIA FISICA E CULTURALE (FINO AD ALLORA UNITE)


COS'è CHE NOI CONSIDERIAMO DIVERSO?

Oggi leghiamo questo concetto alla relazionalità. Non è che siamo diversi per forza, ma lo siamo rispetto ad altre persone. L'idea di diversità si riferisce allo scarto culturale che c'è tra due individui, ma solo quando è realmente percepito e non è un concetto assoluto.

Gli europei (nei tempi del colonialismo soprattutto) hanno guardato alla diversità soprattutto legando il termine alla lontananza. Si sono costruiti una propria immagine che era diversa da tutti coloro che non fossero europei, i quali venivano chiamati selvaggi. Solo dopo un lungo periodo ci si è relazionati e si è "moderato"il termine gli europei vedevano il selvaggio come una persona che viveva in una società, in armonia con la natura, cosa che gli europei avevano perso col passare del tempo, con lo sviluppo e la civilizzazione.

Negli studi antropologici il termine "selvaggio" è stato sostituito con primitivo, rendendo più chiara così l'idea tra i civilizzati e i non. Oggi, pur se chiaro che questi termini non sono più adatti, vengono ugualmente utilizzati, ma la maggior parte delle volte vengono sostituiti da "tradizionale" (≠ moderna) o "semplice" (≠ complessa).

I criteri per stabilire se una società è tradizionale o semplice sono erroneamente: industrializzazione, produzione, istituzioni etc.. Questi sono sbagliati perché sono adattati alla nostra società per giustificare molto spesso movimenti violenti, colonialismo, guerre etc.

Non si può comparare 2 sistemi organizzativi di due luoghi diversi, con un grado di industrializzazione diverso

Non si può non vedere le diverse difficoltà di sviluppo di uno o un altro sistema, poiché ci sono in gioco variabili che dipendono da molti fattori.


L'antropologi culturale adotta altri criteri di comparazione: RELIGIONE

RITI CERIMONIALI

RELAZIONI DELLA PARENTELA

QUALITA' DEI RAPPORTI SOCIALI

...

E. B. Tylor definisce la CULTURA:

La cultura o civiltà è quel complesso insieme, quella totalità che comprende le conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro di una società


In antropologia CULTURA è un concetto vasto, che non si limita alla cultura che ogni persona si fa grazie alla scuola, all'università, ai libri etc. perché in questo caso non esiste nessuno che sia privo di cultura.

Tylor definisce la cultura nel pieno del periodo delle teorie di Darwin. In seguito per un secolo si susseguiranno moltissime altre definizioni.

Tylor isola dei tratti culturali, li classifica e qui sta il suo errore.

Nel 1911 Franz Boas sostiene che ogni tratto è legato all'altro e non può essere isolato.

Il termine cultura è stato poi impiegato al plurale, CULTURE perché ci siamo resi conto che non ne esiste una soltanto e qualsiasi individuo dipende da più sistemi di cultura (famiglia, città, nazione, universo, politica..)



Non esistono assolutamente individui privi di cultura e questa non è data da tratti isolabili: questi sono due punti fermi a cui possiamo sempre fare riferimento studiando l'antropologia. La cultura non è una sola ma molteplici, poiché molteplici sono i sistemi.

Gli antropologi che hanno studiato il rapporto uomo-ambiente si sono divisi in 3 direzioni:

1) Gli uomini esprimono dei modelli di comportamento che si tramandano e ci manifestano come l'uomo si sia adattato all'ambiente in cui si trova (MODELLO ADATTIVO)


2) Culture come sistemi irrazionali. La cultura è il sistema delle conoscenze ovvero tutto quello che le persone di un gruppo devono sapere per vivere in quel gruppo.


3) Culture come sistemi simbolici condivisi (Lèvi Strauss). Se non c'è condivisione l'uomo va verso la guerra-distruzione.


Il termine cultura viene usato correntemente in altre materie oltre alle scienze antropologiche; è usato abitualmente in tutti i sistemi sociali, si pensa soprattutto grazie al contatto che hanno le diverse società (immigrazione).

L'importante è che quando noi parliamo di culture e parliamo in modo analitico si possa parlare di analisi ma non di un dato di fatto; ovvero: poiché cultura è un sistema complesso, non posso considerare un elemento singolo senza considerare tutto ciò che gli sta attorno.

La cultura esprime ogni pensiero, e questo pensiero è espresso anche attraverso la fisicità, il nostro corpo. Il nostro corpo è veicolo di certi atteggiamenti e di una certa educazione che noi abbiamo ricevuto. Diciamo che il corpo è una specie di spia per rivelare la nostra cultura. Facciamo degli esempi concreti: tra amici non è insolito abbracciarsi, toccarsi, stare vicino; tutt'altra cosa è se siamo in treno con persone sconosciute, siamo un po' più restii a stare vicino ad altre persone.

In ambienti istituzionali (in Chiesa ad esempio) il nostro corpo è più rigido, ma è un atteggiamento incosciente che assumiamo senza renderci conto (perché lo abbiamo "acquisito"). Arriviamo così a comprendere come mai le reazioni emotive di ogni persona sono diverse, anche questa sfera è conseguente alla cultura. Basti pensare a come differenti culture (quindi anche società) percepiscono la nascita o la morte:nonostante siano elementi costanti e comuni per ogni cultura, ogni società li vive differentemente dall'altra.

Parliamo di INCULTURAZIONE quando i tratti culturali di un gruppo vengono trasmessi ad un individuo di questo stesso gruppo, e che poi diventano tradizione. Quindi la cultura ricordiamo che è comunque sempre collettiva e non solo individuale. Questi tratti culturali però non sono fissi ma cambiano e si modificano, si adattano con l'evolversi del tempo.


Tutto ciò che un individuo elabora o che costruisce mentalmente non è unico e isolato ma sempre all'interno di un contesto, ed è creato a partire da schemi preesistenti. Queste costruzioni mentali richiamano la cultura , ma anche gli stimoli interni dell'individuo stesso.

Tutti gli uomini hanno qualcosa in comune: per esempio quello di dare un ordine alle cose, l'esigenza di classificare. Tra gli anni '70/'80 delle ricerche hanno insistito sul fatto che ci fosse della coerenza tra le classificazioni fatte da diversi gruppi umani, però qui l'antropologia ha dimostrato che è vero che c'è molta complessità, ci sono forme di pensiero ma ci sono anche misure che ti possono dare (?)


Z

SOCIETA' ~ SISTEMA SOCIALE


UNITA' SOCIALI      + o - PERMANENTI domina SISTEMAZIONE

ISTITUZIONALIZZATE strutturale o funzionale


COS'E' CHE SI ACCOMPAGNA A CULTURA?

Accanto a CULTURA (termine astratto) abbiamo SOCIETA', altro termine che non riusciamo a definire chiaramente. E' stato a lungo utilizzato per definire "un gruppo di persone, che riesce a gestirsi e a darsi delle regole autonomamente" (spesso, non sempre). E' comunque un'operazione arbitraria pensare questo, perché SOCIETA', così come CULTURA, non è cosa concreta, non è un sistema chiuso e ben confinato ma è qualcosa d più ampio e aperto.

Secondo la proposta di alcuni SOCIETA' deve indicare delle unità di analisi prodotte dallo sguardo di chi guarda e osserva, l'antropologo quindi.

Se utilizziamo così il termine SOCIETA' e lo applichiamo ad un insieme di individui, possiamo determinare degli elementi che essi condividono attraverso rapporti ordinati (anche istituzionali)

Talvolta perché il termine SOCIETA' non risulti troppo schematico, utilizziamo "SISTEMA SOCIALE", ponendo così l'accento sul fatto che i rapporti tra gli individui sono più fitti e articolati.

In questo sistema troviamo delle unità sociali più o meno permanenti e istituzionalizzate. Tali unità danno luogo a delle relazioni che sono sottoposte a una sistemazione strutturale o funzionale.

Queste relazioni hanno una dimensione culturale, dando così l'idea che SOCIETA' e CULTURA possano sfumare l'una nell'altra. Ecco perché spesso sottintendiamo una certa uguaglianza tra le due parole.


Accanto a CULTURA possiamo ancora mettere "STRUTTURA SOCIALE": ci si occupa in questo caso degli aspetti formali e durevoli (se non c'è relazione durevoli e permanente non possiamo parlare di sistema o struttura)


SOCIETA'

(i cui individui)

hanno STATUS

svolgono RUOLI

sono ORGANIZZATI

sono regolati da NORME


Ecco altri termini tecnici molto usati in antropologia. Ricordiamo però che ogni elemento che sta nella società non può essere visto e studiato da solo ma come elemento facente parte di un insieme.

STRUTTURA SOCIALE aveva un requisito fondamentale per il funzionalismo britannico ed era quello di essere molto concreta e fissa, così in seguito si è pensato a rendere il termine più "elastico" e trasformalo in ORGANIZZAZIONE SOCIALE.


Ogni individuo ha uno STATUS (ovvero una posizione che occupa nella società, individualmente o con un gruppo di persone), quindi facciamo riferimento a categorie sociali gerarchizzate. Lo STATUS influisce molto sul ruolo e sulla vita di una persona. Viene reso esplicito attraverso: simboli (es. la corona per un re - status symbol) oppure comportamenti (modo di vestire, di mangiare, di parlare..).

Gli STATUS possono inoltre essere ascritti (ovvero indipendenti dalla volontà dell'individuo, es. uomo/donna, giovane/vecchio..) oppure acquisiti ("costruiti" dagli individui stessi, ottenuti per qualche motivo; es. la laurea, facendo carriera.)

Facciamo adesso un esempio concreto:       lo STATUS di un anziano, a parte le eccezioni, oggi non è valorizzato; ma in certi contesti sociali l'anziano viene molto più valorizzato, e viene preso più in considerazione per certe decisioni (perché membro più anziano e quindi più saggio.)

Al di là di quelli che sono i modi di intendere lo STATUS, esso ha una dimensione codificata nel mondo della relazionalità.


I RUOLI sono i comportamenti richiesti a coloro che hanno un certo STATUS.

Anche qui avvaliamoci di un esempio:        Un ragazzo (status ascritto) studia per diventare magistrato, e quando lo diventerà dovrà attenersi a regole (scritte e non). Al momento che sarà un magistrato (status acquisito) ci saranno dei RUOLI che non potrà "giocare" (rubare, falsare un processo, prendere mazzette.) questo starà anche e soprattutto alla sua coscienza.

Potrà perdere il suo STATUS ACQUISITO ma non quello ASCRITTO (può non fare più il magistrato ma rimane un uomo)

Si possono quindi "giocare" più ruoli e stare in più status, spesso però non sono sovrapponibili.


Poi abbiamo le ISTITUZIONI (famiglia, sport, lavoro.) organizzate che servono alla funzionalità e alla continuità del sistema sociale. Alcuni antropologi pensano che le ISTITUZIONI siano dei meccanismi inventati per rispondere a dei bisogni dell'uomo (Malinowski), e anche quest'affermazione può avere delle verità ma non sempre.

Queste ISTITUZIONI possono anche plasmare il modo di pensare dell'individuo.

Per chiarire facciamo un altro esempio:      Un medico (che quindi fa parte dell'ISTITUZIONE MEDICA) può applicare la fecondazione assistita o l'eutanasia, ma se è anche religioso si può scontrare con l'ISTITUZIONE CHIESA che invece non lo permette.

(sono entrambe istituzioni legittimate da individui)


Le ISTITUZIONI possono anche sanzionare l'individuo perché sono regolate da NORME a cui la persona si deve attenere. Il tipo di sanzione dipende anche dal reato commesso. Diciamo che va (in generale!) dalla derisione alla pena di morte.

Piccola parentesi: il termine TABU' (che deriva dal polinesiano tapù poi dall'inglese taboo) veniva inizialmente usato per esprimere divieto o interdizione, e nelle maggior parte dei casi in situazioni riguardanti il sacro o l'impuro.


Accanto alle sanzioni "ufficiali" ci sono le cosiddette "percezioni", ovvero le sanzioni comminate dall'ISTITUZIONE RELIGIOSA, esempio: un tempo chi prendeva la sifilide era accusato di aver infranto delle regole religiose e quindi era una punizione "divina".


Un'altra nozione è HABITUS, che indica le predisposizioni interne dell'individuo, la sua mente. Il termine viene introdotto da un antropologo francese, che afferma che ogni esperienza viene interiorizzato dall'uomo e poi pesa in futuro a livello di gruppo, di istituzioni, di società. L'HABITUS è generalmente il comportamento che noi consideriamo "normale".


Altra nozione è PRATICA/E che permette di spostare l'attenzione degli antropologi sulle azioni degli individui (specialmente dagli anni '80 in poi), quindi anche sulla dimensione del vivere sociale. Si sono focalizzate più le strategie individuali che quelle di gruppo, si è guardato meno alla collettività più sulla persona (anche grazie alla fioritura delle scritture memorialistiche, delle bibliografie.)


FRANZ BOAS - IL PARTICOLARISMO STORICO - IL RELATIVISMO CULTURALE

Franz Boas, antropologo di origine tedesca, cercò di rifondare l'antropologia americana:

critiche al periodo evoluzionista

contro le generalizzazioni affrettate senza prima avere conferma

contro che teorizzava avendo solo informazioni riferite, senza dati certi e rilevati in prima persona.

l'importanza della RICERCA SUL CAMPO

contro l'etnocentrismo europeo e occidentale

l'importanza delle proprie percezioni, ma soprattutto delle percezioni delle popolazioni studiate.

(importante quindi anche l'imparare le altre lingue, ma molto difficile!!)



ETNOCENTRISMO vs RELATIVISMO CULTURALE

ETNOCENTRISMO un tempo si pensava che la nostra cultura (che fosse continentale, nazionale, ma anche regionale o cittadina) fosse quella più importante, che oltre i confini di essa non ci fosse più nulla (si diceva "noi toscani", "noi italiani".). Oppure ancora dei gruppi umani che per definire se stessi usavano "noi uomini" e per definire gli altri, i vicini o semplicemente chi non apparteneva al gruppo come "barbari", "eschimesi" (letteralmente "mangiatori di carne cruda"). In questo fondamentalmente consisteva (ma ancora esiste) l'etnocentrismo.

Positivo/giusto : quello che si conosce ed appartiene a noi

Negativo/sbagliato : ciò che è sconosciuto e lontano da noi.

Proprio la lontananza è il metro di giudizio più frequente che viene usato; se poi col passare del tempo cominciamo a sentire più familiare una certa persona, e vediamo che non è poi tanto diverso da noi allora in questo caso è più vicino.

Altre forme di etnocentrismo:

-nonostante il riconoscimento di certe diversità, si cerca di gerarchizzare ponendo al livello inferiore quello che abbiamo riconosciuto diverso

-misurare la diversità in base al grado di sviluppo, per cui l'occidente è sicuramente il modello migliore e mai arrivabile.


BOAS criticò molto l'etnocentrismo, perché impediva di guardare le altre popolazioni con obiettività. Nonostante tutto non si può e non si deve non ricordarci della nostra cultura e storia, ma occorre trovare un certo equilibrio.

Contro l'etnocentrimo, il razzismo, il fanatismo, l'antisemitismo e l'evoluzionismo, Boas oppone il RELATIVISMO CULTURALE:

ogni contesto sociale ha caratteristiche uniche e funzionalità proprie.

poniamo l'accento sulla ricchezza di ogni cultura.

non possiamo basarci sull'evoluzionismo, su teorie decise a tavolino, su dati vaghi e "riferiti". Da qui non possiamo generalizzare.

non si può, per la volontà di generalizzare, attribuire a tutte le società ciò che è caratteristico di un solo contesto sociale


Ciò che veniva contestato a Boas è che lui, rifiutando l'evoluzionismo, rifiutasse in qualche modo la storia; in effetti lui rifiutava l'evoluzionismo, ma importante era il fatto che le ricostruzioni storiche fossero fatte in base a ciò che gli antropologi trovavano sul campo, e non per vie indirette e scorrette.

Sostenere, come facevano gli evoluzionisti, che in luoghi diversi ci fosse stata un'evoluzione simile poteva far credere che ci fosse unità psicologica degli uomini. Boas crede invece che le cause potessero essere simili ma non con stesso significato o origine.

Il metodo per conoscere bene una popolazione, secondo Boas è "circoscrivere" il nostro campo di ricerca: ad esempio circoscriverlo ai costumi di un gruppo; poi, in seguito, spostarmi alle società o ai gruppi vicini e compararle tra loro. Questo approccio sarebbe capace di determinare le cause storiche che avrebbero portato alla formazione di certi caratteri di quel gruppo.

Questo studio è chiamato PARTICOLARISMO STORICO (riuscire a considerare il punto di vista interno, singolo, isolato etc.)

Il relativismo, teorizzato però solo in seguito (perché Boas non amava teorizzare) è d tipo etico/politico, in base al quale valutiamo dei comportamenti secondo dei valori che proprio questi comportamenti hanno espresso.

Il RISCHIO è esasperare l'atteggiamento relativista e rendere impossibile una qualsiasi relazione con altre culture. Tutto è relativo? Se pensiamo questo possiamo perdere il nostro punto di vista, la nostra obiettività, non possiamo riuscire a "guardare oltre" e così potremo rischiare di giustificare comportamenti e gesti spesso "brutali" (violenze come l'infibulazione, la lapidazione, etc.)

Un altro rischio più sottile ma importante è quello di vedere i contesti sociali come cose chiuse, impermeabili, dove niente può penetrare, mentre sappiamo bene che nessuna cultura può essere confinata o isolata. Così l'atteggiamento più giusto sarebbe utilizzare strumenti di analisi estranei, usare sì il relativismo ma critico, guardare il punto di vista interno ed esterno.


INCULTURAZIONE, ACCULTURAZIONE(guarda dispense)

Inculturazione nella nostra società comprende anche l'insegnamento della scuola, tutto ciò che è scritto, anche la storia. Se parliamo invece di "subculture" minori, come i contadini o i pastori, parliamo strettamente di ciò che è tramandato oralmente. A volte l'acculturazione non avviene per contatto tra due popoli, ma solo per scelta o per "fascino" (che attrae le società più deboli a "imitare" quelle più forti). Questo caso lo definiamo come ADOZIONE CULTURALE. Quando invece un popolo perde tutte le sue origini "trasformando" le proprie abitudini in altre si parla di ASSIMILAZIONE.



Per l'antropologia servono generalmente due cose: la teorizzazione e la ricerca sul campo.

La ricerca sul campo diventa il mezzo per permettere di analizzare, interpretare e tradurre le culture. I dati in seguito vengono utilizzati secondo vari livelli di importanza. Grazie Franz Boas c'è una specie di rivoluzione degli studi antropologici: Boas rivendica il fatto che i dati debbano essere raccolti di prima mano; occorre quindi anche sapere la lingua del luogo dove si fanno gli studi.


MALINOWSKI E LA SUA OPERA DI RICERCA

L'opera alla quale la tradizione antropologica fa riferimento è "Argonauti del Pacifico Occidentale", che fonda la moderna ricerca sul campo. Malinowski ha un certo parallelismo con Boas, come lui si oppone all'evoluzionismo alle teorie decise a tavolino, ai dati incerti.

Con Boas condivide anche la formazione che nasce all'interno del panorama scientifico lontano dalle scienze naturali. Malinowski esce dall'Europa molto presto e nel 1914 si reca in Australia, lì viene bene accettato nonostante le divergenze tra i due paesi (per via della II GM), nel '18 fa tre viaggi in Nuova Guinea per un totale di 30 mesi, e nelle isole Tropian(?) attua la sua osservazione partecipante. "Argonauti." inizia con la descrizione dell'oggetto di studio, del luogo, degli scopi che lo hanno portato lì. L'oggetto di studio è "CULA" (ovvero uno scambio cerimoniale tipico).

Malinowski è una sorta di mito per gli antropologi, perché è riuscito a diffondere lo studio antropologico ed è stato un grande professionista. Nonostante tutto ci sono anche giudizi non favorevoli.

L'osservatore partecipante vive a stretto contatto con le persone del posto, riesce a stabilire una relazione con loro, un rapporto di reciprocità. Se però non riesce è difficile ce riesca a studiare così anche il posto.

Il mito di Malinowski viene infranto a fronte della pubblicazione dei suoi diari (1967): uno di essi, "Lo stretto senso del termine" è un diario da cui emerge non solo lo stereotipo dell'uomo coraggioso, tollerante e partecipante, ma anche l'uomo afflitto dalla noia, dalla depressione, dalla voglia di andarsene e di abbandonare tutto, ma soprattutto una persona che si lascia anche andare a pesanti giudizi sui suoi "nuovi compagni". Malinowski fa nascere così un grosso problema mai affrontato, ma a cui lui stesso non riesce a dare risposta esauriente, se non una spiegazione scarna.

Per farci capire cosa sia in realtà l'ETNOGRAFIA Malinowski ci spiega che non è come la fisica o la chimica, in cui puoi applicare sempre le stesse regole e avrai un risultato sicuro: l'ETNOGRAFIA è un lavoro di interpretazione, di percezione, di rapporto con altre persone sconosciute, ed è un'operazione molto difficile, e non ripetibile in sequenza.


Fondamentalmente l'OSSERVAZIONE PARTECIPANTE è un binomio quasi contrastante: al pensiero di osservazione accostiamo subito quello di oggettività, ma se pensiamo alla parola partecipare implichiamo una soggettività che si scontra con la precedente. Non c'è una vera e propria soluzione, ma dei punti cardine a cui bisogna sempre fare riferimento:

- vivere con le persone

- cercare di non emettere giudizi

- mantenere comunque il proprio punto di vista

- essere sempre chiari



IL FOLKLORE E LE TRADIZIONI POPOLARI

Folk è un termine che nasce in Inghilterra quando si comincia a studiare la vita dei borghi o degli illetterati. Il primo a farne uso è THOMS.

FOLK (qualcosa che riguarda il passato) così come POPULAR (popolare in quanto a grande diffusione di massa, ma che non indica necessariamente il passato) sono stati ereditati in Italia e tradotti come FOLKLORE e POPOLARE.

Parlando normalmente spesso usiamo i due termini indistintamente, come se fossero sinonimi, accanto a loro c'è comunque la storia della disciplina da un punto di vista istituzionale STORIA DELLE TRADIZIONI POPOLARI.

Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, GIUSEPPE PITRE', etnologo italiano propone il termine demopsicologia, perché toccato dalla scuola anglosassone, purtroppo però non avrà molto successo. CIRESE negli anni '60 propone il termine demologia (demos - popolo; logos - studi) perché gli studi si rivolgono al popolo, agli uomini, ma senza reale distanza se non quella sociale: quindi uno studio delle CULTURE lontane SOCIALMENTE dalla cultura occidentale.


POPOLARE perché? Perché riguarda il popolo, ma cos'è questo popolo? Inizialmente con "popolo" si indicava le plebi fuori dal circuito cittadino e industrializzato, quindi quelle più rurali (quindi l'80% della pop. italiana!!). Il dibattito diventa più "forte" quando questo popolo si fa più "variegato": quindi al momento dell'arrivo dell'industrializzazione, quando le persone si trasferiscono in città, altre emigrano, molte cambiano lavoro, tutto abbastanza improvvisamente (si crea così anche uno shock culturale: persone abituate a impiegare il tempo in un modo, adesso sono costrette a cambiare stile di vita).

Così il concetto di POPOLO che per anni si riferiva a un insieme più o meno omogeneo di persone, è stato sostituito a poco a poco da GENTE: - non più un unico gruppo; - non più dislivello sociale; - più varietà; - termine più neutrale.


DA FOLK ALLA CULTURA DEL POPOLO

Nel 1811 Napoleone, appena conquistati dei territori italiani, manda dei funzionari napoleonici a fare una sorta di censimento con domande a livello culturale ecco il primo STUDIO DEL SAPERE DEL POPOLO IN ITALIA.

Chi sono questi funzionari? Studiosi soprattutto di letteratura, perché si guardava più alla conoscenza di racconti, di fiabe, di leggende. (ricordiamo che siamo nel periodo romantico, che prevede la ricerca della genuinità contro l'artificiosità).

Dove possiamo trovare spontaneità, genuinità se non nella POESIA POPOLARE? Da qui in poi si raccolgono ogni sorta di canto lirico, fiaba, o racconto.

Verso il 1842 (siamo in pieno Risorgimento) TOMMASEO fa una raccolta di "canti popolari toscani, corsi, lirici e greci" in nome delle entità nazionali espresse. La tappa successiva è rappresentata dapprima da ALESSANDRO D'ANCONA, poi da COSTANTINO NIGRA.


Alessandro D'Ancona era uno studioso della letteratura delle origini e popolare. Studiava il volgare (il primo esperimento: l'Indovinello Veronese), ma anche i canti orali. Studiò anche il teatro popolare e scrisse "Origini del teatro Italiano", ove parlava delle sacre rappresentazioni teatrali.

Riprendendo il teso di D'Ancona, nel 1945 Paolo Toschi scriverà "Le origini del teatro italiano", dove c'è un'attenta analisi a quelli che erano i riti popolari: il ciclo annuale (che nemmeno la Chiesa era riuscita a cancellare, ma solo a "smorzare" - basta pensare alla vicinanza tra il solstizio d'inverno e il Natale) il ciclo della vita (i suoi aspetti cerimoniali, il concetto di vita o morte. studiato anche da Vangiaret)


Costantino Nigra fu un ministro del Risorgimento, ma anche un grande studioso della poesia EPICA o NARRATIVA. Nigra sottolineava che anche in Italia ci fosse questo tipo di poesia, ma non prendeva la stessa concezione di poesia di formazione che invece aveva in Inghilterra o in Germania, perché in effetti l'Italia non aveva una vera poesia propria di fondazione (l'Eneide non era italiana). Nigra teorizza la TEORIA DEL SUBSTRATO ETNICO, tracciando una linea immaginaria a nord della quale si parla la lingua romanza (e la poesia è epica) a sud si parla la lingua italica (e la poesia è lirica).










1° SCHEMA


CULTURA



NON POPOLARE                  POPOLARE



NON TRADIZIONALE TRADIZIONALE


2° SCHEMA


CULTURA


NON POPOLARE POPOLARE


NON TRADIZIONALE TRADIZIONALE NON TRADIZIONALE TRADIZIONALE


NON ORALE ORALE NON ORALE ORALE NON ORALE ORALE NON ORALE ORALE


Nel saggio "Schemi, terminologie e scheletri (nell'armadio)", A.M. Cinese presenta questo tipo di schema, più articolato ed elaborato rispetto all'originale. Questo viene poi riportato e spiegato nella rivista "La ricerca folkloristica", nel 1980. (L'intervento di Cinese appare sul primo numero della rivista, rivolta non solo a folkloristi ma anche ad antropologi e studiosi).

Il 1980 segna un punto di frattura, uno stimolo per rinnovare la ricerca italiana ed aprirla alle nuove culture moderne dopo che la ricerca e gli studi demologici erano stati a lungo fermi durante il periodo fascista (infatti il regime non permetteva agli antropologi di recarsi nelle colonie e approfondire la conoscenza di tali abitanti). Diciamo quindi che il 1980 rappresenta una sorta di apice per gli studi italiani gli scheletri nell'armadio di Cinese sono proprio quegli anni addietro in cui per un motivo o per un altro non si riusciva a guardare alle nuove culture del nuovo sistema mondiale.

Adesso per folklore non intendiamo più ciò che diceva Thoms, ma paliamo di "studio del spere dell'uomo, degli oggetti e dei fatti", ovvero un insieme di culture: orale, popolare, tradizionale e adesso operaia. Un insieme di fatti per cui demologia ne indica lo studio.

Un'altra proposta molto più recente (2001) del prof. Clemente incita a ripensare e ad andare verso un'antropologia che recuperi la lezione del passato ma che si spinga verso uno studio "omnicomprensivo" (più "allargato", diciamo).


Nel 1° SCHEMA la cultura si divide in POPOLAR e NON POPOLARE. La cultura popolare può essere NON TRADIZIONALE o TRADIZIONALE. La cultura tradizionale può poi essere ORALE o NON ORALE (scritta). Ciò che è importante e che non possiamo parlare di tradizionale senza prendere in considerazione il non tradizionale, stesso discorso vale per l'oralità.

La cultura POPOLARE sarà percorsa de elementi che sono tradizionali oppure non tradizionali.

Facciamo un esempio:           un contadino toscano (quindi appartenente a una cultura popolare subalterna) poco alfabetizzato che legge l'Ariosto o Dante e li recita a memoria. Tale conoscenza il contadino ce l'ha (sia che l'abbia imparata da solo o abbia assistito a delle letture a voce alta) come uno secolarizzato. Accanto a ciò conosce racconti, leggende, storie tramandate oralmente (tradizionali) - sempre tenendo conto del fatto che possano essere originariamente state scritte su quale libro o foglio volante - Non possiamo parlare, quindi , di cultura ESCLUSIVAMENTE POPOLARE .


Nel 2° SCHEMA: cultura popolare o non popolare, sono culture che "corrono" parallelamente, dove abbiamo dei dislivelli interni. Non dislivelli all'interno di culture omogenee o compatte, ma di tante culture divise in ceti sociali. Una cultura, quindi, che coesiste.

Quindi abbiamo 2 schemi totalmente vicini e simili Cultura, popolare o non popolare, divise in tradizionale o non tradizionale. I due rami (popolare e non popolare) sono paralleli, da millenni, e viaggiano insieme, scambiandosi a volte degli elementi, che diventano da tradizionali a non tradizionali e viceversa.


(Tedlock studia proprio questa cultura popolare orale presso il popolo zuni)


1846 - Thoms conia il termine folklore

1871 - Tylor conia il primo concetto di cultura

Per gli evoluzionisti il processo di sviluppo è unitario, dall'altra parte invece c'è una lettura "verticale" della cultura: classi sociali capaci di acculturarsi o meno (quindi uno sviluppo cronologico e storico).

Nella definizione di Tylor non si fa mai riferimento alla scritture, al prodotto concreto, ma in Thoms si.

Secondo la Seymour (autrice del dizionario sulle dispense) il folklore ha "un'essenza spontanea ed organica", ma effettivamente di spontaneo non c'è e non ci potrà mai essere nulla (ogni gesto, comportamento o carattere è frutto di inculturazione).

Chi studia oggi le culture sul campo parte da un processo SINCRONICO (fare tutto qui ed ora). Chi invece le studiava prima partiva da un processo DIACRONICO (quello che ha saputo, quello che gli hanno riferito. Gli studi antropologici non sono tutti nati per processo sincronico, poiché studiano anche gli aspetti folkloristici, quelli del passato, tradizionali che però sono arrivati qui ed ora.

Tedlock attinge proprio in questo. Ci racconta della cultura scritta e orale, del passato e del presente zuni e quiché. Sempre Tedlock attua la ricerca sul campo (altro pilastro) ma si appoggia comunque su supposti teorici ben precisi (come in effetti dev'essere).



COME AFFRONTARE LA RICERCA SUL CAMPO (TEDLOCK E IL SUO ESEMPIO)

Una barriera linguistica può essere anche quella dialettale. Il problema linguistico è il primo importante problema per lavorare sul campo. L'etnologo guarda e ascolta: è una sorta di testimone/informatore. Il suo ruolo della passare attraverso alcune fasi:

FASE 1: conoscere e abbattere il muro della diffidenza, ascoltando e capendo le dinamiche delle comunicazioni si può apprendere tanto delle comunità da studiare

Dopo aver rotto il ghiaccio è lo studioso che comincia a "condurre il gioco" (nel caso di Tedlock capire l'oralità)

FASE 2: conoscenza premessa, l'importante è che l'etnologo quando si presenta in una comunità deve già conoscere gli usi, i costumi e la storia, così che egli possa esercitare una certa forma di controllo e scrematura delle informazioni ricevute. (già siamo nella terza fase) La verificabilità è qualcosa di soggettivo.

FASE 3: operare un controllo all'interno della società da studiare.

Non è consigliabile intervistare solo tre persone che fanno parte della stessa cerchia, ma in compenso non bisogna avere rapporti "fuggevoli" con gli intervistati: occorre reintervistarli a distanza di tempo.

FASE 4: mettere in relazione e interpretare i dati. Normalmente tutto questo è più facile dove si ha una tradizione scritta.

JEAN VANSINA nel discutere di tradizioni orali risponde ad un dibattito sull'oralità con 6 enunciati.

1- la tradizione orale non è mai degna di fede.

2- la tradizione orale può avere qualche credibilità

3- non si può determinare la credibilità di una tradizione orale.

Gli altri 3 tendono a pensare che comunque all'interno della tradizione orale ci sia sempre un fondo di verità. E' necessario trovare quindi un metodo per dimostrare la validità storica della lingua orale. C'è anche da ricordare il pensiero di Platone per cui il discorso scritto è statico, la parola no.


Un dato importante è dato dal modo in cui l'oralità si trasmette: esistono delle scuole anche nelle tradizioni orali, dove il maestro è il "depositario" della voce ufficiale, una sorta di leader del gruppo. Però non tutti possono esprimere il loro parere: una parte può perché conosce, un'altra è esclusa.

Gli allievi di Boas dicevano che si doveva andare cauti con i dati forniti dal passato remoto. (Il problema della storia è sempre stato affrontato dalla Scuola Americana - ETNOSTORIA - branca della storia che si occupa dell'oralità)

L'ETNOSTORIA studia anche l'atteggiamento mentale d chi fornisce le informazioni. Se è patrimonio culturale condiviso da tutti l'etnostorico potrà chiedere a qualsiasi dei suoi informatori se può dare la propria versione personalizzata e "colorita".

Lo scopo è quello di ricostruire i fatti storici. La storia della tradizione orale è composta da tante cose: poemi, racconti mitologici, fiabe, epica..

Il poema è una forma di testo a struttura fissa.

Nella tradizione greca scritta il compito di riportare i poemi di fondazione è stata di Omero. In sintesi si pensa che qualcuno sia stato incaricato di riscrivere quello che da secoli era riportato oralmente. La scrittura aveva quindi il compito di riportare ordine dove prima c'era il caos. Un altro esempio è l'epopea carolingia che adesso sappiamo con certezza essere stata frutto dell'oralità inizialmente.

Accanto al testo in forma fissa c'è il testo in forma libera (canovaccio).

Tedlock fa in modo che il testo possa diventare una performance (dicendo come si muovono i narratori, come parlano) come invece accade sempre nell'oralità.

La capacità di poter tradurre il significato è la base del nostro studio.

La trascrizione è di fondamentale importanza, ma non deve avvenire come nel medioevo con i copisti che copiavano spesso senza capire, ci deve essere un'analisi e comprensione del significato.

Quando facciamo una ricerca sul campo servono anche dei mezzi di riproduzione tecnica (registratore). La nascita di questi mezzi ha cambiato gli studi antropologici.

Nell'800 Malinowski non poteva, come del resto i suoi contemporanei, ricorrere alla tecnologia: perciò o prendevano appunti stenografati o li riscrivevano a posteriori.

Nel corso del tempo sono cambiate due cose:

1- il modo in cui ti poni con l'altro (poiché inizialmente i primi registratori causavano imbarazzo e inibizione)

2- l'atteggiamento sul campo (adesso posso vedere e capire le cose sotto una luce diversa)

L'osservazione partecipante oggi avviene anche grazie a questi strumenti, ma l'osservazione più importante resta data dell'atto comunicativo vero e proprio.

C'è chi afferma che ci sia incomunicabilità totale tra i popoli e chi al contrario pensa che ci sia una comunicabilità universale.

La traduzione ha segnato l'ultimo quarto di secolo, l'intesse dell'antropologia per essa nasce con Pratchord Evans, con il libro "Stregoneria, oralità e magia presso gli." (1937)

Si traduce da una cultura all'altra per avvicinarsi il più possibile, ma va ricordato che tradurre non è semplicemente "trasportare" ma INTERPRETARE.

Nel testo di Tedlock si affronta principalmente l'esemplificazione dei metodi di traduzione. Tedlock ha agito direttamente sul testo orale sia degli zuni che dei quiché.



L'ORALITA' (VISIONE DI UN FILMATO, RIFLESSIONI)

Se la voce è il punto di partenza della cultura orale, il narrare non implica solo le parole ma anche pause e gesti (performance).

Gran parte della leggibilità di un fatto è dato dalla comprensione. La performance narrativa può essere più o meno viziata dalla presenza del mezzo tecnico.

Nel caso del filmato il contesto è dato dal nord Toscana, la protagonista è una signora di Piazzalserchio di nome Giuseppa che racconta 2 fiabe: quella della gallina e quella del bimbo e il mago.

Dal punto di vista sociale ci si riferisce ad una classe povera. Il filmato è stato girato nel 1994.

La signora è secolarizzata, ha fatto le elementari, ma le fiabe che racconta fanno parte della sua cultura e le sono state raccontate dal padre quando era piccola, infatti sono da bambini.

La prima fiaba è raccontata meglio, la seconda è ricca di smagliature perché non se la ricorda molto bene. Sono fiabe che comunque tutti gli abitanti del paese conoscono. Per rimediare alle "mancanze" cerca di inserire cose che conosce meglio.

La donna non è cresciuta in una famiglia agiata, il padre non lavorava, faceva il pastore. Conosce il mondo del lavoro quando comincia a lavorare come cameriera.

Non è una bravissima narratrice perché non si appoggia ad alti nuclei narrativi. Nonostante ciò arricchisce la fiaba di elementi a volte estranei alla sua cultura popolare come ad esempio il mare, che lei aveva visto perché era andata a lavorare lontano da casa.

La fiaba della gallina era narrata ai bambini per educarli ad andare altrove. Quel mare per lei non si sa cosa sia, parla di mare legato a parti e fiori e granturco.

Gli animali si comportano come umani e spesso queste fiabe sono crudeli. La violenza è dentro quella società: i pulcini verranno mangiati dai padroni.

I bambini dovevano capire che gli animali da cortile, pur se amati, servivano a sopravvivere e quindi dovevano essere mangiati.

Il contesto probabilmente ha imbarazzato la signora Giuseppa la quale non si espressa come se fosse davanti a un gruppo di bambini.

Il mezzo l'ha inibita, infatti la donna non ha usato gesti o sottolineature, spesso si è cercato di inquadrare particolari del volto come gli occhi o la bocca. Niente è espresso al di là della voce e della mimica del volto.

Il lessico è intimo, la gallina viene chiamata mamma, i pulcini figli. Quando parla della mamma la donna sottolinea con il volto l'affettività. Usa vari toni di voce, per indicare il finale della storia, o quando si parla di fare pipì!

Il racconto di una fiaba è da considerarsi una performance. L'uso della mimica e dei gesti, il modo di modulare la voce lo fanno diventare tale.

La ricezione è l'altro momento importante quando si è davanti a un atto di parola. Se qualcuno narra un fatto e l'audience lo recepisce e lo fa proprio diventa parte della langue momento in cui il mio atto viene condiviso dagli altri.

Il racconto che abbiamo ascoltato è del tipo non formalizzato.


TEDLOCK E L'ORALITA'

Anche nella cultura zuni quindi si può parlare di tradizione, poiché le fiabe zuni sono condivise.

Quelle storie che Tedlock ha trovato sono riconosciute come testi folklorici. Non possiamo trasportare il nostro concetto di popolare all'interno di una società diversa dalla nostra come quella zuni.

E' chiaro che ci sono dei livelli societari ma non possiamo interpretarli come i nostri. La figura della sciamano è importante perché rappresenta la fusione tra magia e religione. Il ruolo sociale è forte e gli altri si considerano subalterni.

La trasmissione del potere magico si trasmette a qualcuno ben selezionato, non a tutti. La stregoneria evoca una sorta di negatività e quindi non è traducibile dalla cultura zuni alla nostra.

Nel testo di Tedlock si parla di racconto nel racconto, poiché il modo di parlare dello scrivente non è uguale a quello zuni. La produzione si riesce ad ottenere quando si riesce ad entrare dentro a una cultura. Nel momento in cui l'antropologo riesce a farti sentire dentro, è riuscito davvero a tradurre una cultura. Il processo della narrazione è la chiave di tutto.







IL "PROBLEMA" DELLA VOCE (TEDLOCK E IL PENSIERO ANTROPOLOGICO)

Nella trascrizione che Tedlock fa a pag. 49, lo studioso tenta di rendere graficamente come una voce abbia interpretato quel testo, infatti il capitolo è intitolato "Guida alla lettura ad alta voce". La voce è uno dei parametri fondamentali sui quali si basa Tedlock.

CITAZIONE DI ITALO CALVINO

"Una voce significa questo: una persona viva, gola torace, sentimenti, ha una voce diversa da tutte le altre"

La voce di ognuno è unica, singola, non ripetibile da altri. E' il pilastro dell'oralità, e le possibilità di articolazioni della voce sono infinite (scale, timbro, ampiezza, altezza.) la voce viene modulata secondo convenzioni, ovvero a seconda delle situazioni in cui ci troviamo, dobbiamo o possiamo usare un tipo di voce. Ad esempio se ci troviamo in un luogo piuttosto che in un altro, con un gruppo di persone numeroso o meno. Attraverso la voce esprimiamo un messaggio, uno stato d'animo (basta pensare al timbro, grave o acuto), legato per altro a certe gestualità.

L'uso della voce si articola anche attraverso l'oratoria, ovvero l'arte del procedere nel parlare. Anche qui ci sono certi tipi di contesti che richiedono un tipo di voce piuttosto che un altro: ufficiali (es. discorso del capo dello stato, un comizio sindacale.) collettivi (davanti a un pubblico.) informali (davanti a un gruppo di amici.).

La voce si può esprimere anche attraverso il "metalinguaggio", ovvero un codice sonoro unito alla voce, che esprime qualcosa.

La voce umana implica un senso (come Tedlock la considera), traduce cioè un universo di segni, si articola grazie anche al linguaggio. Dentro a quest'ultimo sta ogni tipo di poesia (non come la intendiamo noi ma un'oralità che arriva fino ai tempi più remoti). Le nostre voci godono di una libertà che ha il proprio culmine nel canto (legato intimamente alla poesia).

Tedlock sottolinea il valore delle tradizioni orali all'interno della storia dell'umanità, in effetti se l'oralità non ci fosse non sapremo nulla di molte comunità. E' difficile pensare a un mondo fatto esclusivamente di oralità, soprattutto per noi e per la nostra cultura basata anche sulla scrittura. Noi conosciamo e etnie tradizionalmente orali, e facciamo uno sforzo non indifferente per comprenderle.

L'altro grosso sforzo è riconoscere la validità di una narrazione orale rispetto a un testo scritto. La voce è importante ma non c'è una scienza che la studia, esiste la fonetica, la fonologia ma niente che studi veramente l'oralità nel suo mondo fatto di voce, pausa, silenzio etc.

Una filosofa, A. Caradero, si è occupata della voce e del suono, considerandola una "volontà di esistere, una presenza", di contro una scrittura senza voce è "assenza". In Tedlock sono essenziali entrambi e sicuramente se non avesse preso in considerazione la voce avrebbe commesso un grave errore.

La voce (in tutti i suoi elementi distintivi) è anche simbolica: es. in un opera lirica il soprano esprime femminilità, il tenore interpreta il giusto, il basso significa follia.

Altre culture hanno "specializzazioni vocali" più vaste della nostra.

Altre due cose molto importanti sulla voce: la nostra capacità di "sentirla", la possibilità che essa offre di legare socialmente con altre persone (ecco perché esistono i codici).

Tedlock ci dà un esempio di lettura ad alta voce, ma qualsiasi persona leggerà il testo seguendo le indicazioni, ma con un timbro e una sfumatura soltanto sue.

La voce è concretizzata nell'evento singolo, ma anche in moduli fissi e sempre riattualizzati. Ogni momento della vita umana è concretizzato dalla voce.

Un paradosso è il fatto che la voce non appartenga a nessun senso dei cinque, ma viene percepita da alcuni di essi, quindi c'è un legame stretto con il corpo.

La voce è UNICA.

Anche Paul Zumthor, come la Cardero, si occupa della voce che "si identifica con quella dell'acqua, del sangue e dello sperma" ovvero con la VITA.

Dopo la voce viene la PAROLA, quindi la comunicazione. Tedlock si interessa della traduzione della parola, poiché la parola è comunicazione secondo il contesto, il codice e la cultura.

E' fondamentale comprendere le culture umane piuttosto che cercare di spiegarle. Tedlock propone di comprendere più che trovare una causa o un effetto, o un'universalità, un'omogeneità.

L'analisi non deve trovare leggi o spiegazioni ma deve cercare il significato, deve saper interpretare.

Il problema principe in questo periodo nell'antropologia è la TRADUZIONE. Su di essa si è sempre discusso nei secoli. Non parliamo più di traduzione letterale , ma culturale. Tradurre significa guardare alla terminologia, alla semantica. Dev'essere qualcosa di DINAMICO, non STATICO come si è sempre ritenuta.

Alla traduzione è associata l'ERMENEUTICA (perché tradurre è anche interpretare). Ma ricordiamoci che senza traduzione non c'è interpretazione che quindi dev'essere il primo presupposto, poi viene tutto il resto. L'errore è limitare tutto alla linguistica: Tedlock non si occupa solo di quanto è espresso nel linguaggio, ma tutto ciò che è anche intorno ad esso, della complessità.

La posta in gioco del processo interpretativo è l'espressione, i gesti, cosa viene detto e come viene detto, cosa arriva e come arriva, come viene interpretato. Quindi non abbiamo solo il "parlare di" ma anche il "parlare con".

Il problema è così "scottante£ che dalla metà del '900 c'è una sottosezione di studi dedicata a tale problema denominata "translation studies". I precedenti illustri possono essere: Cicerone, Lutero, San Gerolamo.

Che cosa è trasmissibile da una lingua a un'altra? Il SIGNIFICATO e la SEMIOTICA.

La forma di traduzione più immediata è quella orale in cui necessariamente compaiono tre elementi: EMITTENTE, DESTINATARIO e INTERPRETE (che sta nel mezzo), detto anche MEDIATORE.

Ogni nostra letteratura è debitrice di una forma di traduzione: la traduzione di un libro infatti può influire molto su una cultura (basta pensare alla traduzione della bibbia di Lutero)

Il processo di traduzione è implicato anche nell'incorporazione di culture diverse, soprattutto nell'età moderna; è un processo che ci coinvolge tutti, che ci porta a confrontarsi e relazionarci con qualcun altro.

Tedlock affronta poi il tema stilistico, guardando a molti antropologi e al loro metodo. Infatti non solo la traduzione è da una lingua a un'altra, ma anche ad un'altra cultura. (peraltro noi abbiamo tre fasi: zuni/quiché inglese italiano)

L'errore che Tedlock cerca di evitare è la PROSAICITA', ovvero guardare solo alla grammatica, alla formalità. Non bisogna scordarci di DENOTARE un segno, ma immediatamente dopo di CONNOTARE questo segno, e attribuirgli un significato.

Boas non ci dà il complesso ma si ferma alla denotazione.

Il problema finale è la RICEZIONE di una PERFORMANCE.


(auguri leo!)

GEERTZ E IL POST-MODERNISMO

Intorno agli anni '50 succede un grande fermento nell'antropologia britannica, per cui vengono operate distinzioni e molti studiosi si indirizzano verso altre materie, correnti.

Molti rifiutano l'antropologia come scienza a favore dell'approccio interpretativo: il che significa ancorare saldamente l'antropologia alle scienze umane.

Tedlock è uno di loro. Il padre fondatore dell'interpretativismo è C. Geertz, il cui più importante testo è

Le culture non erano più delle "grammatiche" da decifrare ma divenivano LINGUAGGI da tradurre comprensibilmente ad altre culture.

L'antropologia non è più una scienza relativa solo agli europei o agli americani, ma adesso anche in altri paesi nascono molti nuovi antropologi.

L'antropologia come linguaggio è segno di modernità. Parte da Geerts quella POST-MODERNA, per cui non c'è una teoria generale, e Tedlock fa spesso riferimento a questo.

La RIFLESSIVITA' è sinonimo di METODO ETNOGRAFICO, leggere le scritture vuol dire leggere le culture e quindi si da più importanza alla letteratura, o meglio l'antropologia diventa consapevole della letteratura.

Il testo di Clifford e Marcus "Scrivere le culture" riguarda tutto ciò, e va verso l'interesse per le poetiche e le politiche della letteratura etnografica, i due autori si concentrano sulla narrazione.

Geertz parla di descrizione densa, ovvero tornare dopo la ricerca sul campo ed esaminare i fatti e le stratificazioni della cultura e svelarle attraverso una descrizione dettagliate. Molte furono le polemiche scatenate. Geertz intende studiare a fondo il "locale", ma attraverso "la lente del globale".

Un altro fatto è il vedere l'antropologia come un sistema simbolico all'interno del quale ha luogo l'azione sociale dove si produce potere politico. Attraverso tutte queste formulazioni Geertz comincia a ricostruire il concetto di cultura, la visione del mondo, etc.

Nell'88 esce "Opere e Vita" dove riattraversa l'attività e valuta l'opera di alcuni esimi antropologi attraverso la reinterpretazione della loro etnografia. Quindi ristudia i loro strumenti i loro stili e li valuta.

Geertz sostiene che l'antropologia è semplicemente un "modo di scrivere". All'interno del post-modernismo ci sono posizioni anche più estreme.

Il testo di Tedlock è inserito in questo contesto, e anche Tedlock afferma che in qualsiasi situazione non bisogna assolutizzare ma dichiarare inizialmente ciò che abbiamo studiato, come, quando, dove e perché.


ALCUNI CHIARIMENTI SU TEDLOCK

FONETICA - disciplina di tipo descrittivo, che si occupa della classificazione dei suoni

FONOLOGIA - scienza che studia la funzione dei suoni del linguaggio che essi assolgono all'interno della comunicazione


Tedlock si occupa di tali livelli a riguardo delle lingue che lui studia. La difficoltà è che sono due lingue orali e quindi non ci sono testi scritti a cui riferirsi (la cosa interessante è che la nostra lingua ha assimilato la scrittura anche in funzione del parlato: es. "voltiamo pagina", "lo dico tra parentesi" etc.)

Nell'oralità è importantissima la pausa, l'allungamento vocale, la ripetizione, e Tedlock cerca di esprimere questa importanza.

Tedlock rende fondamentali le persone con cui parla e le loro testimonianze. Pone l'accento sul fatto che le narrazioni pur essendo fantasiose hanno una storia al loro interno, una valenza storica importante.



SCRITTURA, ORALITA', LE TESI DI JACK GOODY

La scrittura è un importante strumento di cultura, ha sempre svolto un ruolo ampio e importante in tutte le società (non orali). Sappiamo però che, se delle civiltà con scrittura (complesse) conosciamo la loro storia proprio grazie ai testi, anche le culture specificatamente orali hanno una loro storia e sono ugualmente complesse.

Molte società orali possiedono la scrittura, ma non le viene attribuita molta importanza, e la usano solo in pochi casi (in questioni legislative, giudiziarie..) ma non la legano alla storia.

Se da una parte non ci sono studi specifici sulla "voce", elemento fondamentale delle culture orali, dall'altra abbiamo tantissimi studi svolti sulla scrittura e sulla sua importanza. Tali studi però sono prevalentemente "descrittivi" ovvero non prendono in considerazione la scrittura "dal suo interno" o le sue funzioni sociali. Solo recentemente gli antropologi, i linguisti etc, si sono interessati al contesto che la scrittura esprime, a quei caratteri intrinseci della scrittura.

Ci siamo accorti che il linguaggio così detto "formalizzato" è come un atto comunicativo per scritto: in un contesto informale parliamo con un flusso continuo, senza schemi mentali, senza programmare ciò che si ha da dire e come dirlo, ma se siamo in un contesto formale (come una conferenza) il nostro parlare assomiglierà in modo quasi assoluto allo scrivere. Se ci pensiamo il conferenziere quasi sempre fa riferimento o a un discorso scritto, o comunque a degli appunti: anche se non li legge direttamente, però sa cosa deve dire, come, in che ordine, con quale tono etc. Conclusione: il linguaggio formalizzato è strettamente legato alla scrittura.

Sappiamo anche, però, che il nostro vocabolario si è impoverito e stravolto con l'influenza dei principali media (tv, radio, cinema.): si tende a semplificare sempre più il discorso, a non fare frasi o periodi troppo complessi, ad usare più le coordinate che le subordinate (quindi meno predicati), a utilizzare tante congiunzioni etc.. La nostra mente è come un archivio, la nostra memoria è schematizzata, ma se prima lo era solo per lo scritto adesso lo è anche per l'orale.

Ci sono molte correnti di pensiero sulla funzione e il rapporto tra oralità e scrittura:

- la scrittura impoverisce l'oralità (questo pensiero è legato alla "paura della novità, dello sconosciuto", come quando con l'avvento dei computer si aveva paura della perdita del pensiero. naturalmente questa idea è errata: la scrittura ha arricchito l'oralità, ciò che noi pensiamo e diciamo possiamo trascriverlo, ci sono si degli scotti da pagare, ma l'uso della scrittura è qualcosa di estremamente importante)

- la scrittura è legata all'oralità da un reciproco scambio di elementi

- la scrittura ha parti che l'oralità non potrà mai avere: es. il poter inserire grafici, disegni, tabelle a completare un discorso scritto, oppure la scrittura puramente matematica o scientifica che possiamo anche fare a mente ma che comunque eseguiamo attraverso uno schema mentale che si rifà allo scritto.


La cosa che sicuramente non è obiettabile è che la scrittura ha sempre portato ad avere più POTERE.

Jack Goody individua due tipologie di potere:

- il potere delle società con scrittura su quelle senza

- il potere che alcuni elementi hanno su altri nelle stesse società con scrittura (es. borghesia, clero, nobiltà, commercianti.)

Di conseguenza, come lo stesso Goody afferma, la letteratura (di Dante, Boccaccio, Petrarca) nasce in quegli ambienti letterati egemoni, e solo molto tempo dopo verrà a contatto con le culture subalterne. (vedi capitolo "La presa di Bahia" in Goody)

Sempre Jack Goody ha scritto un altro libro "La logica della scrittura e l'organizzazione della società", in cui già dal titolo comprendiamo la sua presa di posizione: la scrittura di per sé rappresenta logicità, e, se usata nei modi più giusti, aiuta a costruire una società più organizzata. Goody afferma anche che la scrittura nasce quasi sempre in corrispondenza della nascita delle religioni. Fa l'esempio delle scuole islamiche, nate apposta per insegnare il Corano, dove si fa riferimento spesso alla stessa scrittura.

E' anche per questo, se pensiamo, che le culture prevalentemente orali le troviamo solo in luoghi limitati, e ristretti: perché le religioni sono quasi sempre scritte.

La religione scritta però non ha sempre un fondo di realtà, molto spesso ha bisogno di interpretazioni (che a volte vengono date a seconda del periodo storico in cui siamo). L'oralità è mobile di per sé, la scrittura è mobile solo in un secondo tempo, attraverso appunto l'interpretazione.

Se però siamo d'accordo col pensiero che prima è venuta l'oralità, allora dobbiamo pensare che i testi religiosi scritti fissano solo 1 delle tante versioni che potevano esistere (così come Omero e i testi greci).

Anche le fiabe, le leggende (nate oralmente) possono essere scritte, ma ciò non impedirà mai loro di continuare a circolare e cambiare versione.



LA SCRITTURA E I SUOI ELEMENTI FONDAMENTALI

Scrittura e oralità hanno entrambi dei codici da interpretare, per le migliaia di scritture esistenti al mondo esistono tantissimi studi.

L'etnografia della comunicazione deve prendere in considerazione i sistemi grafici e le loro varie forme. Per rivolgersi in questo senso alla scrittura l'etnografo dovrà valutare chi è colui che scrive nella comunità e cosa scrive (ad es. tra i Tuareg si usa la scrittura solo marginalmente e per certi tipi di cose, ma non per la storia)

Quali sono gli elementi che dobbiamo considerare?

I PARTECIPANTI: che sanno e possono scrivere in quella comunità, che hanno appreso la lingua e hanno di conseguenza uno status prestigioso. Si dividono a loro volta in:

- MITTENTE: Colui che appunto emette il messaggio

- RICEVENTE : chi è? Come viene raggiunto? Come questo ricevente mette in circolazione il messaggio? E che tipo di messaggio viene messo in circolazione? A quali categorie il ricevente si rivolge?


Il SISTEMA DI SCRITTURA: (che per noi è alfabetico) implica anche dei rapporti gerarchici, e quindi prestigio (infatti può darsi che nella stessa società, chi conosce non solo il sistema di scrittura usuale sia ancora più favorito) ad esempio: coloro che colonizzano hanno un sistema diverso dai "colonizzati", ma spesso hanno più prestigio di loro, perché il sistema è ritenuto "inferiore" al loro (può accadere anche il contrario).


CANALE: il materiale, il supporto per la scrittura (e lo strumento usato per scrivere, di conseguenza) anche qui può essere implicata una specie di gerarchizzazione (legata spesso alla disponibilità di materiali)


FORMA DEL TESTO: come si presenta tale testo? Ha dei "limiti" ovvero delle forme di apertura e di chiusura? Infatti così come avviene nell'oralità la scrittura ha delle particolari formule (es. una lettera può aprirsi con "Caro amico.." E chiudersi con "baci e abbracci") La cosa da notare è che sono formule differenti dall'orale.


L'INDICAZIONE DELL'AUTORE: nasce con lo stesso parto della scrittura (nell'oralità i testi vengono ritenuti propri, a meno che non si dica "l'ha detto tizio", anche se va tenuto a mente che una fiaba nasce da un solo autore, ma dato che viene fatta circolare, e chiunque può apportare varianti, la forma autoriale tende a sparire e quindi si parla di narrazione collettiva) l'autore nella scrittura c'è!!


LA FUNZIONE per la quale viene scritto un testo: le funzioni, specialmente adesso, divengono sempre più "precise". Quindi l'argomento/genere è importante. Entra in gioco anche un problema estetico (assolutamente simulabile al problema "voce") ovvero riguardante la grafia. La grafia per essere bella occupa tempo. Adesso che è tutto abbastanza frenetico la grafia viene modificata per convenzione (ad esempio per gli sms o per gli appunti, cerchiamo un modo più veloce possibile)


Con la lingua possiamo dire tutto, ma con la scrittura non perdiamo niente. Come abbiamo detto però non tutte le società credono nella scrittura, e quindi le affidano solo un compito marginale (quando esiste!). In molti casi la scrittura viene confinata all'interno di un unico ambito (es. religioso) Facciamo un esempio: le scuole islamiche insegnano solo il corano, non insegnano né la lingua, né altre materie, ma comunque è l'unico canale di scolarizzazione e alfabetizzazione.


Attraverso la scrittura (non alfabetica, ma simbolica e matematica) abbiamo scoperto e capito la storia lontana, la preistoria, l'evoluzione dei sistemi scrittori, l'uso dei materiali, il tipo di grafia.. Non sappiamo però se questi segni siano stati associati all'espressione orale, o siano apparsi prima, o dopo. Non possiamo fare un discorso generale per tutti i luoghi, per tutte le storie, per tutti i popoli, ma bisogna guardare lo SPECIFICO PER OGNI CULTURA.


Facciamo un salto ed arriviamo alla scrittura attuale, più esattamente a ciò che ha rivoluzionato tutto il sistema: la STAMPA (libri, giornali.) quindi una diffusione che riguardava tutti (da notare che nasce nello stesso periodo della riforma protestante)

Da allora altri sono stati i momenti importanti per la scrittura:

MACCHINA DA SCRIVERE già nei primi anni del '700 era stata inventata una macchina che riusciva a imprimere una sola frase, ma quella che intendiamo noi nasce più recentemente, ed è a "caratteri mobili". E' il mezzo attraverso il quale si concretizza l'idea che abbiamo in testa. La macchina da scrivere però implicava una cosa: l'assoluta perfezione del foglio, e quindi un discorso già pensato, organizzato e composto (altrimenti il foglio è da buttare, se ci sono cancellature).

Tutto ciò viene di nuovo e ampiamente superato con la VIDEOSCRITTURA, in cui si mescolano la scrittura a mano e la macchina da scrivere: scriviamo direttamente, anche quando il pensiero non è ancora "pronto", come facciamo a mano, è il foglio che viene fuori è di bella grafia, perché è un carattere stampato (come nella macchina da scrivere). Quello che la videoscrittura ha in più è che non troveremo mai cancellature, errori, e il foglio che esce è sempre in forma definitiva (e cambiabile sempre)

Con la nascita poi di INTERNET anche la diffusione è stata rivoluzionata, adesso siamo capaci di mandare un testo anche a migliaia di km a distanza, in qualsiasi forma, e immediatamente.

E' anche questo il tipo di POTERE che Jack Goody afferma nel suo libro.

Perché nelle società con scrittura, anche nelle classi meno alfabetizzate ci sarà sempre il bisogno spontaneo di riferirsi e usare la scrittura.

Come ultima cosa è importante sottolineare che i prodotti tramandati oralmente nascono inizialmente come scritti che concretizzano un bisogno, che hanno trovato un canale per riprodursi e si sono diffusi.

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