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MoRE Museum. Ceci n'est pas un musée
Abstract
Questo articolo si propone di affrontare la natura di MoRE - a Museum of refused and unrealised art projects in relazione alla sua definizione come museo e alle modalità con cui esso si inscrive nell attuale dibattito museologico e museografico. Per farlo tenterò di analizzare e prendere in considerazione una serie di aspetti e tematiche che caratterizzano la ricerca artistica e l esercizio della critica contemporanea sulle arti visive proprio a partire dagli elementi e dalle attività considerati imprescindibili per definire un istituzione come museo" sanciti dalla definizione ICOM - International Council of Museums Seul 2 0 .
This article wants to discuss the nature of MoRE - a Museum of refused and unrealized art projects considering how and why it has been defined a museum, and the modalities through which it is inscribed in the current debate about museology. Doing so, I will try to analyze and consider a range of issues and themes that characterize the artistic research and the practice of contemporary criticism on visual arts, starting from the elements and activities that are considered essential to define an institution as a museum , and are sanctioned by the ICOM - International Council of Museums [Seoul
0 ] definition.
«Il Museo è un istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto»
Definizione ICOM - International Council of Museums, Seul 2 0 )
Questo saggio si pone l obiettivo di identificare le radici culturali e critiche da cui nasce MoRE. Museum of refused and unrealized art projects in relazione alla sua definizione come museo e alle modalità con cui esso si inscrive nell‟attuale dibattito museologico e museografico. Per farlo tenterò di analizzare e prendere in considerazione una serie di aspetti e tematiche che caratterizzano la ricerca artistica e l esercizio della critica contemporanea sulle arti visive proprio a partire dagli elementi e dalle attività considerati imprescindibili per definire un‟istituzione come "museo". È del resto inevitabile prendere atto da subito delle possibili obiezioni mosse a questo tentativo, considerando come il tema della smaterializzazione e della virtualità siano alla base della natura stessa di MoRE che si pone come tautologia del negativo o dell‟assenza, nel caratterizzarsi come museo digitale che conserva opere non realizzate (Modena & Scotti ).
Pur facendo parte di quell‟articolato processo di virtualizzazione della realtà descritta da Pierre Levy ) infatti, MoRE non si pone come copia di un museo reale e non si riconosce dunque solamente in quell‟attitudine del museo contemporaneo che vede nella digitalizzazione una ulteriore possibilità per attrarre, promuovere e far conoscere le proprie collezioni, fisicamente e materialmente
conservate all‟interno di un edificio fisico
Al contrario esso ha l ambizione di inserirsi nel dibattito contemporaneo sul museo (e necessariamente e trasversalmente dunque anche sull‟esposizione, sull‟archivio e sull‟odierno significato della conservazione nella sua specifica natura di entità virtuale che vive solo ed esclusivamente sul web. Abbandonata ogni pretesa di esaustività su un tema così complesso e su un dibattito che ha interessato gran parte della ricerca e della critica nel corso del XX secolo e fino a oggi, possiamo affermare che MoRE nasca da una situazione di crisi. La crisi a cui alludiamo è una crisi culturale e poi economica che ha coinvolto anche il museo - torre d‟avorio e in
particolare il museo di arte contemporanea accusato di generare esclusione invece che coinvolgimento, estraneità e distacco invece che comprensione e accessibilità (ed. Chiodi ). La crisi del museo e la cosiddetta "nuova museologia" (ed. Desvallées ) trovano del resto terreno fertile - fin dalle contestazioni della fine degli anni Sessanta maturate in primo luogo tra gli artisti - nella critica postmoderna degli anni Ottanta. Il White Cube di Brian O‟Doherty (1 ), e il sogno del museo modernista hanno infatti mostrato tutti i loro limiti e ripensare il museo ha significato ripartire dal visitatore, aprire agli artisti la possibilità di intervenirvi concretamente e concettualmente e concepire il museo stesso come un medium (Putnam ) utile a favorire la possibilità di comprendere e incoraggiare un‟esperienza culturale seria e accessibile. Ma è innegabile come a fronte di queste riflessioni ad avere la meglio sia stato (o sia ancora ) in certo senso il museo brand e la moda delle architetture museali - opera d‟arte che la globalizzazione ha saputo così bene supportare e promuovere (Suma ) ma che sono entrate in crisi "nella" crisi economica e che hanno svelato i loro limiti nell‟incontro con un pubblico che sta diventando sempre più "comunit " coinvolta e partecipe. Interrogandosi dunque sul «museo a venire» Stefania Zuliani parla di «un museo mai veramente compiuto, mai veramente concluso che [.] non concede alcuna rassicurazione, consolazione, richiedendo piuttosto l esercizio costante del dubbio e il coraggio, personale e collettivo della responsabilit » (Zuliani , p. ).
È proprio in relazione a queste riflessioni che si apre uno spazio, un interstizio possibile per MoRE e per una possibile nuova esperienza museale virtuale pur alla luce della odierna diffidenza nei confronti delle possibilità concrete del web di apportare un contributo decisivo alla ridefinizione del museo stesso (Zuliani , pp.
Come tentare di capire allora quali possono essere le possibili dinamiche di inserimento di MoRE all‟interno di questo dibattito? Forse partendo proprio dal concetto di museo", dei suoi scopi e della sua funzione culturale: i tentativi di definire il museo nella contemporaneità hanno infatti portato ad una sua definizione istituzionale condivisa e sancita nel convegno ICOM International Council of Museums) di Seul nel 4 in cui viene definito che il museo è un'istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell'uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto5.
Quali le differenze tra il museo tradizionale e MoRE? Quali le criticità che possono essere sollevate in relazione alla sua possibile definizione di museo? Quali le novità che esso apporta?
Il primo requisito che viene sancito nella definizione citata è la natura permanente del museo inteso come "istituzione". Consapevoli della complessità del concetto stesso di "istituzione" e delle sue necessarie implicazioni con il potere e il controllo così come descritto brillantemente da John Welchaman nell‟analizzare il convegno (e pubblicazione) Institutional Critique and After (ed. Welchman ) in relazione alle teorie di Foucault Welchman ) applicate dal critico proprio al museo, possiamo evidenziare la natura giuridica di MoRE, prodotto dall‟associazione culturale no profit Others, e il fatto che vivendo nella rete esso si è da subito posto il problema della longevità e della garanzia della conservazione delle sue collezioni. In questo senso l‟ "istituzionalizzazione" di una sua collaborazione con l Università e in particolare con il centro CAPAS del Dipartimento LASS dell‟Università di Parma ha reso possibile l utilizzo della piattaforma DSpace come repository che garantisce ai dati archiviati la reversibilità dei formati e dunque la loro conservazione "a vita".
Da questo punto di vista MoRE dunque sottolinea l importanza primaria della costituzione di una collezione che si dà innanzitutto come archivio strutturato e organizzato e non come semplice showcase/elenco di immagini e documenti digitali. Proprio per questo motivo esso si è dotato di uno spazio museale che risponda ai criteri e alle esigenze che la moderna museografia ha dettato per i musei "reali". MoRE infatti ha una sede, seppur virtuale, che dal punto di vista della sua architettura ha una triplice struttura: quella teorica debitrice delle discipline storicamente impegnate nella riflessione sul tema del museo, della museologia e della museografia per cui il museo propone uno spazio dedicato all‟esposizione delle collezioni "permanenti" e un archivio (che per MoRE coincidono), un ambiente per mostre temporanee e uno dedicato al dibattito e al confronto oltre che una facciata/home page che avvisa il visitatore sulle mostre in corso e sulle novità legate alle attività museali. Il secondo livello di struttura è quello "effimero" che il software Omeka (Salarelli & Zinelli ) offre insieme alle interfacce di presentazione del progetto e che ne permette il suo allestimento e le scelte grafiche ed estetiche supportato infine da quello strutturale invisibile dei codici binari che ne compongono l architettura virtuale.
Un secondo aspetto da analizzare è quello della funzione sociale del museo e della sua disponibilità a darsi come spazio e luogo pubblico. In questo senso appare innanzitutto evidente come la collocazione di MoRE sul web (e l‟uso della lingua inglese) abbatta - almeno parzialmente - la contestualizzazione territoriale del museo: il suo essere "al servizio della societ " è dunque intrinseco alla sua larga accessibilità dovuta alle modalità di fruizione che sono infatti nettamente diverse da quelle di un museo reale se consideriamo la sua facile raggiungibilità e l‟opportunità di forme di serendipity che casualmente consentono l accesso gratuito ai suoi spazi anche se non direttamente ricercati
Sempre di più il dibattito contemporaneo pone al centro dell attenzione il rapporto con il pubblico e le modalità di costruzione della proposta e funzione culturale che il museo rappresenta nel contesto in cui è situato (Simon ). Una tra le possibili risposte che i musei si sono dati è quella della costituzione di un pubblico specifico e microcomunità di utenti che dovrebbero rivolgersi all‟istituzione con continuità e curiosità in dinamiche partecipative e di crescita e sviluppo reciproco, collettività che vengono oggi fidelizzate anche tramite l uso dei social network e la comunicazione . . Da questo punto di vista allora MoRE vivendo solo nella rete rappresenta un caso esemplificativo di come la comunicazione e l uso dei social venga indirizzato a una comunità digitale che però nel caso del nostro museo coincide con la totalità o quasi del suo pubblico e dunque con il target stesso (e non solamente con un segmento del target) che viene così invitato a rimanere aggiornamento sulle acquisizioni, attività ed esposizioni legate al museo. Più complessa la questione del coinvolgimento effettivo del pubblico nelle dinamiche di selezione e produzione dei contenuti del museo, un tema che del resto si pone anche per i musei fisici e che trova nel web risposte ancora solo parzialmente convincenti come la possibilità per esempio di commentare le opere stesse, lasciare feedback o interagire concretamente con gli artisti, ipotesi al vaglio del comitato scientifico, ma non attualmente disponibili e più facilmente immaginabili e gestibili come occasioni specifiche, call o bandi.
Proseguendo nell‟analisi della definizione di museo da cui siamo partiti evidenziamo che il nostro museo non ha inoltre scopo di lucro, perché il suo obiettivo è quello della ricerca, conservazione e comunicazione dell‟arte stessa, un aspetto questo caratterizzante di MoRE che porta avanti un‟indagine proprio sul sistema stesso dell‟arte e sulle meccaniche della produzione delle opere.
Lo scopo del museo, che si lega all‟università grazie alla già citata collaborazione con CAPAS, è infatti principalmente quello della ricerca nel settore dell‟arte contemporanea. Ma oltre all‟obiettivo di contribuire a colmare il vuoto sul tema del non realizzato e aprire dunque spazi di rilettura sulla storia dell‟arte recente , la natura stessa degli oggetti conservati in MoRE invita a considerazioni critiche e metodologiche innovative.
Esse sono al momento essenzialmente due: le dinamiche e le modalità di produzione dell‟opera d‟arte e il sistema in cui esse vengono realizzate.
Sul primo aspetto considerare la natura dell‟opera d‟arte in rapporto alle sue modalità di produzione significa rimettere al centro della discussione l‟idea di progetto e di progettualità e dunque la figura stessa e il ruolo dell "artista". A questo proposito il dibattito , lo sappiamo, accesissimo e lo scollamento tra arte e sistema e opinione pubblica appare quasi definitivo e senza soluzione alcuna. Comprendere come lavora un artista affidandosi ai materiali di progetto, bozzetti e maquette reali o metaforici dei processi mentali, creativi e produttivi può in questo senso essere d‟aiuto? Forse s , e questo è uno degli obiettivi che MoRE si è posto fin dalle sue origini. A fronte infatti della progressiva smaterializzazione dell‟opera d‟arte a cui si è assistito negli ultimi decenni corrisponde da parte dei curatori uno sforzo analitico e descrittivo maggiore rispetto a un‟opera concreta e finita. In questo senso la componente testuale, descrittiva o se vogliamo narrativa dell‟opera d‟arte viene
grazie a MoRE svelata nella sua complessit . Come ricorda Iolanda Ratti9 nel suo
contributo infatti, una delle situazioni più complesse nella schedatura di opere d‟arte contemporanea è la descrizione che ne viene fatta, sempre faticosamente corrispondete alla specifica qualità dell opera d‟arte "originale" o perlomeno "originariamente allestita". La comprensione non solo delle dinamiche installative delle opere, ma anche dei significati stessi dell‟opera d‟arte dipende infatti da una imprescindibile componente descrittiva che si sofferma sulle sue modalità di produzione, utilizzo e fruizione (vere e proprie istruzioni e didascalie ragionate). In questo senso, sul ruolo del curatore come mediatore Boris Groys scrive di come il pubblico sia infastidito dall‟idea che l opera d‟arte non riesca ad esprimere autonomamente il suo valore intrinseco agli occhi del visitatore e abbia necessità appunto di un "curatore", di un presunto intenditore che se ne prenda "cura" e ne sveli significati incomprensibili al grande pubblico che preferisce dunque il mercato dell‟arte in cui l opera si presenta decontestualizzata e in qualità di merce, piuttosto che la problematicità del museo (Groys ). Su questo frangente MoRE può certamente offrire un contributo nel palesare le modalità di ideazione e produzione dell‟opera d‟arte contemporanea e nel renderla più comprensibile: la stessa smaterializzazione, le nuove modalità e forme di realizzazione delle opere, la natura dei materiali eterogenei e spesso deperibili o immateriali che la costituiscono hanno del resto imposto nella stessa critica d‟arte anche uno sforzo riflessivo sulla natura dell‟opera, sul concetto di identit , autenticit , autorialità e proprietà delle opere stesse.
In questo senso MoRE compie un passo successivo in direzione del secondo tema a cui abbiamo accennato, quello del sistema", e acquista un significato particolarmente interessante in rapporto alla questione del diritto d‟autore e alla proprietà intellettuale non solo di opere d arte di natura materiale, parzialmente materiale o immateriale, ma anche alle sole idee e addirittura alle idee non realizzate. Il progetto e soprattutto l idea come testimonianza immateriale che deve essere adeguatamente tutelata e riconosciuta si colloca alla base della società dell‟informazione e della comunicazione come atto dovuto e maturato già nel dibattito sull‟arte degli anni Settanta (Donati ).
La nostra riflessione infatti abbraccia in modo allargato il concetto di progetto e l ipotesi iniziale è quella che propone Francesca Zanella trattando di mostre (e nello specifico del ruolo del progettista - architetto) quando si chiede quale sia il ruolo del progetto [.] e in che misura possa essere considerato un atto di riflessione critica» (Zanella , p. ).
Oggi però questa tematica assume un ruolo ancora più determinante in relazione a quello che sottolinea ancora Boris Groys sul tema del progetto e della progettazione che lo studioso tedesco definisce come essenza della società contemporanea sempre impegnata a redigere progetti e budget per servizi, prodotti e opere che non necessariamente saranno accettati, finanziati e quindi realizzati e che costituiscono sia un pratica produttiva ordinaria che un serbatoio di futuro imprescindibile, ma non ancora completamente compreso (Groys 12b).
Il valore delle idee è del resto alla base di operazioni di raccolta di progetti non realizzati come nella recente pubblicazione di Cecilia Guida (ed. Guida ) che non mira a costruire una realtà d‟archivio ma a salvare dall‟oblio idee, utopie e progetti di artisti, intellettuali, scienziati etc., una Wunderkammer di possibilità selezionate da un curatore, così come il progetto di Han Ulrich Obrist, The Agency of unrealized art project, si propone come call aperta alla raccolta non filtrata di progetti artistici abortiti.
Al pari di un museo invece, la ricerca, la selezione, la decostruzione e ricostruzione del senso contraddistinguono invece il lavoro del gruppo curatoriale (e di archivisti) di MoRE il cui scopo rimane quello dell‟indagine, della ricerca e della comprensione delle dinamiche che regolano il contemporaneo mondo della produzione artistica e dei suoi principali attori (istituzione e committenza, progettazione e realizzazione e infine esposizione e mercato).
Proprio in questo senso è utile approfondire le modalità di acquisizione delle opere e quindi la strategia di costituzione dell‟archivio e del museo stesso in MoRE.
Un‟opera (non realizzata) come quella di Cesare Pietroiusti e del suo Museo degli artisti dimenticati ci offre uno spunto utile per considerare il ruolo delle scelte curatoriali e museali di inclusione ed esclusione di artisti e opere nelle collezioni museali.
Si tratta di un aspetto strettamente politico e di sistema - cui abbiamo già accennato parlando del concetto di istituzione - imprescindibile però da affrontare in relazione alle pretese dinamiche di rottura che MoRE si pone nel suo statuto.
Se è vero che MoRE accoglie infatti opere di arte contemporanea non realizzate e fallite o rifiutate o censurate e che quindi vivono ai margini del sistema, è anche vero che il museo non è un museo aperto, ma controllato e gestito da un comitato scientifico e da norme che definiscono le acquisizioni. Questo elemento, necessariamente limitante, ma imprescindibile per controllare la qualità della proposta del museo stesso (e per non rinunciare all‟esercizio della critica), non può del resto mettere in ombra un dato costitutivo, originale e caratterizzante del museo che è la sua impossibilità di gestire direttamente una "committenza" e quindi di farsi attivo soggetto del sistema, e la sua modalità di acquisizione che si basa sul concetto di donazione e nel dettaglio sulla cessione dei soli diritti di esposizione di materiale digitale o digitalizzato.
L‟idea del possesso fisico quindi di un oggetto, e conseguentemente del suo valore di mercato, è quindi lontana dagli obiettivi fondanti anche solo nella prospettiva della costituzione di un archivio fisico di documenti progettuali, ove presenti, come backup. Il nostro archivio repository dunque, DSpace vive solo sul web e garantisce la reversibilità dei formati in considerazione della loro rapida obsolescenza.
Lontani quindi da ogni compiacimento collezionistico o speculativo l obiettivo di MoRE sta nella conservazione, nella documentazione e nell‟apertura di spazi di ricerca attivi sul tema del non realizzato pur non prescindendo dalla presa d‟atto della (presunta) democratizzazione che caratterizza altri già citati esperimenti , ma che avrebbe definito lo spazio virtuale più come Wunderkammer .0 che come "museo", titolo al quale come spiegato, MoRE ambisce nella sua "missione" culturale.
E uno degli esercizi più significativi di ricerca diviene dunque non solo la classificazione delle motivazioni di mancata realizzazione delle opere conservate, ma anche e soprattutto l indagine sui limiti del sistema dell‟arte stesso, sui legami con il mercato dell‟arte e sulla considerazione dell‟arte come merce (Ferrari 2009).
Questo fatto è dovuto in effetti allo smembramento tra progetto e opera in relazione a una tradizione idealista che ha per decenni coltivato una cultura della produzione e del sistema e che ha inevitabilmente ridotto, in alcuni casi, l opera a oggetto esponibile ed emanatore della famosa "aura", alimentando in questo senso la sua feticizzazione e il sistema stesso: in questo senso alcune opere di artisti contemporanei mettono in discussione il concetto stesso di realizzazione in direzione di una rivalutazione del concetto di fallimento ed. Le Feuvre ) o di produttivit
L‟acquisizione di un‟opera non realizzata comporta invece un lavoro attivo di "scavo" - quasi archeologico - e indagine nell‟archivio dell‟artista e dunque un ingresso a volte reale e a volte virtuale nel suo atelier che non ha nulla a che fare con l idea classica di collezionismo. Nel saggio Esperienza o interpretazione Nicolas Serota ( ) affronta il tema dell‟atelier dell‟artista e di come attraverso un percorso illustrativo che va da Matisse fino a Beuys gli artisti abbiano via via acquisito interesse nei confronti delle modalità di esposizione dell‟opera d‟arte, del suo rapporto con lo spazio e infine della coincidenza del museo con l atelier e l analisi delle tassonomie e la storia del museo stesso da parte sua. In ognuna di queste letture però Serota evidenzia come la consapevolezza dell‟artista nei confronti dell‟importanza della presentazione del proprio lavoro e del proprio luogo di lavoro sia di primaria importanza. In questo senso potremmo allora sostenere, seguendo le riflessioni di Brian O‟Doherty ), che l atelier sia il luogo in cui effettivamente le opere raggiungano una loro prima definizione tramite l esposizione e la presentazione di sé stesse a un fruitore terzo, e quindi in questo senso potremmo aggiungere che anche i progetti non realizzati archiviati su MoRE, nella loro consapevole selezione e presentazione pubblica on line, siano di fatto un proseguimento di questa linea. Già la mostra Mapping the studio (Gingeras & Bonami ) interpretava la continuità di interesse che oggi mantiene lo studio dell‟artista come luogo dove nascono le idee e lo faceva considerando il contesto collezionistico in cui nasce il progetto di Punta della Dogana di François Pinault, ma poneva sullo stesso livello anche le modalità di rappresentazione dello stesso. MoRE evidenzia però ciò che del resto è ormai noto, ovvero la complessità dell‟atelier e dell‟archivio stesso dell‟artista oggi diviso tra conservazione e produzione di materiale artigianale e progettazione digitale che necessita dunque di nuovo modalità di analisi, esposizione e, se vogliamo, di conservazione. Un tema del resto ormai entrato in modo concreto nel dibattito e su cui per esempio ricordiamo il progetto In My Computer prodotto dal Link Art Center for the Arts of information Age che analizza l‟hard disk degli artisti come nuovo luogo di progettazione facendo comprendere il valore di questo patrimonio immateriale di informazioni, documenti abbozzati, e mail etc., quale strumento progettuale e di ricerca per lo studioso fino a pochi anni fa impensabile. Un argomento questo che sottolinea la natura ibrida della pratica artistica oggi al di là del rapporto con la materia e con l aura dell‟opera d‟arte feticcio e che MoRE contribuisce a rivelare.
La conservazione di una collezione è dunque, come già anticipato, uno degli elementi imprescindibili che hanno stimolato la realizzazione del progetto (Marini Clarelli 2009). Come ampiamente noto, il problema della conservazione delle opere è uno dei nodi principali del museo di arte contemporanea. Alle problematiche relative alla conservazione di progetti e installazioni complesse o di opere realizzate con materiali precari o deperibili (Ferriani & Pugliese 2009), MoRE aggiunge quelle relative alla possibilità teorica di conservare "idee"14 e quella della natura stessa dei materiali digitali archiviati.
Si è detto che MoRE conserva ed espone elementi e frammenti utili a ricostruire un percorso progettuale coerente a descrivere l‟idea di opera non realizzata che nella fattispecie sono costituiti da documenti digitali e digitalizzati. A questo proposito potremmo quindi sostenere che i primi sono degli "originali" (peraltro disseminati nei vari studi d‟artista a costituire un museo ombra diffuso) mentre i secondi corrispondono a delle riproduzioni (dal punto di vista analogico potremmo dire delle fotografie) delle opere originali.
Ma questa considerazione risponde solo parzialmente al tema in oggetto e cioè al significato della conservazione di documenti digitali in un museo virtuale, che pone invece delle problematiche ben più ampie legate ancora una volta alla questione della riproducibilità tecnica delle opere d‟arte (Benjamin 1936), ma anche in chiave più contemporanea al dibattito sul ruolo del virtuale in relazione al mondo cosiddetto reale. Sposando l‟interpretazione del già citato Levy del virtuale come cambiamento d‟identità, «uno spostamento del centro di gravità ontologico dell‟oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità (una "soluzione"), l‟entità trova ora la propria consistenza essenziale in un campo problematico» (Levy 2005, p. 8), potremmo adottare allora l‟interpretazione che Boris Groys dà dell‟immagine digitale come copia di un originale fatto di codici la cui messa in scena però determina una visualizzazione che è un originale:
si può quindi affermare che l‟immagine digitale è una copia, ma l‟evento della sua visualizzazione è un originale, perché la copia digitale è una copia che non possiede un originale visibile. Questo significa inoltre che un‟immagine digitale, per essere vista, non può solo essere esposta, va messa in scena, eseguita. [.] per cui la digitalizzazione trasforma l‟arte visiva in un‟arte performativa. (Groys 2012a, p. 97)
E qui si inserisce, secondo Groys, la funzione determinante del curatore, «colui che trasforma l‟invisibile in visibile» (Groys 2012a, p. 97), una definizione questa che calza a pennello nell‟enunciazione dei significati di MoRE e che suona doppiamente vera in considerazione della specifica natura di un museo che svela ciò che anche nel mondo reale era occultato. Groys introduce inoltre il tema dell‟autorialità multipla come nuova caratteristica dell‟opera d‟arte che per esser tale deve essere inserita in un contesto ed esposta perché, «finché un oggetto non è esposto, e non appena smette di esserlo, non può essere considerato opera d‟arte. Può essere il ricordo dell‟arte passata o di quella futura ma, comunque la si veda, è solo una documentazione» (Groys, B 2012b, p. 110). MoRE opera allora su questa linea e, in relazione alla coincidenza, su cui torneremo tra poco, tra conservazione ed esposizione, abbatterebbe questo limite rendendo arte "eterna" (e sempre mutabile in considerazione della rapita obsolescenza dei formati) ciò che nel mondo reale non lo era affatto, un‟ipotesi affascinante e stimolante non solo dal punto di vista concettuale, ma anche concreto.
Come abbiamo già accennato in apertura la natura innovativa di MoRE si dà innanzitutto nella sua disponibilità e accessibilità, ma anche nella inusuale coincidenza tra ciò che è conservato e ciò che è visibile ed esposto. Il tema dell‟esposizione, altro elemento fondante nella dichiarazione ICOM del 2004, in MoRE si sviluppa su due piani: quello della semplice presenza di un progetto nell‟archivio e della sua pubblicazione sul web e quello della sua messa in scena in una mostra on line.
Il set scelto da MoRE è Omeka, un software che garantisce la possibilità di diversi strumenti utili alla presentazione di testi, immagini e contenuti in generale sul web (Salarelli & Zinelli 2014). Attualmente il museo ha allestito nei propri spazi virtuali due mostre temporanee che rimangono visibili nella sezione "exhibitions". La motivazione è chiara e legata alla concezione della mostra come racconto, come proposta curatoriale che necessita di una progettazione e di un allestimento straordinario in cui affrontare un tema specifico.
Il recente e convincente caso studio che citiamo è The Gallery of Lost Art (2012), curata da Tate, una mostra virtuale dedicata alle opere distrutte, perse o non realizzate nel XX e XXI secolo che è stata on line dal luglio 2012 al luglio 2013 e ha rappresentato un caso esemplare delle possibilità di allestimento e presentazione di materiali e ricerche storico scientifiche on line.
Le due mostre organizzate da MoRE hanno esposto ad oggi solo oggetti e documenti di "proprietà" del museo stesso, cosa che non esclude per il futuro la possibilità di accedere a forme di prestito o scambio di opere con altri musei. Ovviamente il "prestito" riguarderà lo scambio dei files, il diritto di pubblicazione e l‟utilizzo delle immagini e dei documenti piuttosto che la materialità stessa delle opere, così come del resto molta arte contemporanea si gioca oggi sul fronte della
proprietà intellettuale, dei diritti di usufrutto, della replicabilità etc.15
Se è discutibile, come vedremo, la presenza almeno in senso tradizionale del concetto di "aura" applicata a un oggetto digitale e ai suoi metadati correlati, è vero anche che l‟assenza dell‟oggetto determina un‟ulteriore riflessione in relazione al tema dell‟esposizione.
MoRE sposta del resto l‟attenzione dall‟oggetto finito in sé e dall‟inevitabile immissione dell‟oggetto nel sistema con relativa cristallizzazione formale e formazione dell‟aura, alle forme di progettazione dell‟opera stessa. Il tema conservativo di MoRE è dunque il progetto e la sua ricostruzione critico-filologica è lo scopo dell‟esposizione stessa.
In questo senso potremmo allora immaginare di poter rispondere alla domanda di Stefania Zuliani sul ruolo dell‟esposizione e della messa in luce dell‟oggetto in modo consapevole: oppure anziché essere occasione di uno svelamento e di una illuminazione, l‟esposizione - che, non va dimenticato, è comunque irrinunciabile nel regno della merce - non è in realtà il luogo di uno spostamento, se non proprio un occultamento, del significato, partecipando a quel processo di feticizzazione, e quindi di perdita di valore d‟uso, di cui il museo e le grandi esposizioni sono stati protagonisti fin del loro moderno esordio? (Zuliani
2012, p. 24)
In effetti MoRE opera in questo senso scardinando il ciclo di produzione tradizionale dell‟opera d‟arte: committenza, progettazione, produzione, esposizione / comunicazione, fruizione, suo riutilizzo (postproduzione culturale), esponendo ciò che per vari motivi non è stato ritenuto fattibile o degno di essere mostrato.
Potremmo addirittura sostenere che la mancata realizzazione di un progetto artistico ne preservi da questo punto di vista la purezza ontologica - così come accade volutamente nell‟utopia - e sia utile a valorizzarne il significato che nel museo viene analizzato e messo a punto nelle singole schede critiche che accompagnano ogni opera non realizzata.
Il visitatore di MoRE è infatti necessariamente invitato a non soffermarsi a una lettura formale o a una (impossibile) percezione fisica dell‟opera stessa, ma ad affrontare un percorso di lettura e un esercizio di ricostruzione filologica prospettato tramite la presentazione di immagini e documenti che acquistano significato solo se spiegati e messi in relazione tra loro. In questo senso analizzando il recente dibattito sul "curatore" (Zuliani 2012, pp. 113-126), potremmo arrivare a sostenere che nel nostro museo il ruolo del curatore digitale è allora ulteriormente definito nella sua qualità di mediatore tra artista e pubblico e la sua competenza storico critica risulta (nuovamente?) indispensabile.
La progressiva riduzione di materiale didattico e informativo a cui si assiste nei musei di arte contemporanea in favore di una percezione individuale e di una lettura svincolata e "libera" delle opere d‟arte, spesso per la verità imposta dagli artisti stessi, cede il passo in MoRE alla descrizione, alla spiegazione, all‟esegesi. Del resto come sottolinea Marini Clarelli:
il museo autoritario, che imponeva modelli da copiare agli artisti e messaggi da recepire ai visitatori, non è più pericoloso del museo libertario, accattivante e accessibile, ma nel quale solo chi è già culturalmente attrezzato riesce a orientarsi, mentre chi non lo è si perde nel labirinto delle esperienze accessorie a sfiora appena la sostanza, di cui, all‟uscita, non conserva quasi memoria. (Marini Clarelli 2009, p. 111)
A differenza della visita compiuta dallo spettatore nel museo fisico, le modalità di fruizione di una mostra on line offrono in conclusione una serie di vantaggi e di svantaggi.
Sul fronte delle possibilità evidenziamo innanzitutto quella già citata della accessibilità immediata e gratuita e svincolata da orari fissi, della visione individuale e lontana da ogni forma di disturbo (pregio-difetto), della possibilità di approfondimento immediata e parallela alla fruizione stessa delle opere e una comprensione del progetto che va al di là dell‟apprezzamento delle sole qualità formali delle opere esposte e quindi una loro maggiore comprensione filologica e contestuale. Ciò che MoRE può inoltre vantare rispetto a un museo tradizionale è la capacità di offrire l‟accesso a singole informazioni che prescindono dalla valutazione complessiva del museo stesso (o di una esposizione) attraverso una modalità di ricerca che decostruisce così apparentemente anche la concezione di mostra, collezione e archivio dandosi anche come recupero di un singolo frammento, ma garantendo una sua ricollocazione nel giusto contesto grazie ai metadati presenti nelle schede di progetto degli oggetti visualizzati. Ancora le dinamiche di fruizione della collezione di oggetti digitali si differenzia da quelle tradizionali per il vantaggio della interconnessione ipertestuale che la dimensione del web garantisce nella presentazione del posseduto in relazione all‟artista cui l‟utente è interessato.
Sul fronte degli aspetti negativi evidenziamo invece una possibile dispersione del senso dovuta allo sfruttamento delle stesse possibilità intertestuali e quindi un alto tasso di "distrazione" dell‟utente e secondariamente, elemento che può a ragione essere considerato un aspetto positivo o negativo, la già citata mancanza di formazione della cosiddetta "aura" e quindi di un rapporto fisico tra spettatore e opera (assente per definizione la sindrome di Stendhal nel nostro museo).
A conclusione della nostra riflessione sulla natura di MoRE, vorrei ricollegarmi alla nostra introduzione del museo come torre d‟avorio per affrontare il tema costitutivo dell‟opera d‟arte "nel" museo, ovvero la questione già introdotta dell‟"aura".
Legandoci a quello che è ormai un dibattito annoso sulla questione della trasformazione dell‟oggetto che da semplice manufatto diventa opera d‟arte - capolavoro anche in relazione alla sua musealizzazione o esposizione, il moderno dibattito sul museo ha evidenziato come occultando le caratteristiche fisiche dell‟opera allo spettatore attraverso non solo la cornice ("cicatrice" ma anche strumento di sacralizzazione del pezzo di tela dipinto), ma anche le teche e gli impianti di sicurezza, il sistema stesso conferisce un valore di negoziabilità a quelli che Celant chiama «moncherini» e «residui» (Celant 2008, p. 104).
Seguendo questa riflessione notiamo anche che «l‟impossibilità di usare ha il suo luogo topico nel museo» (Agamben 2005, p. 96): a questa impossibilità di usare fa eco sostanzialmente una disattenzione ai processi di progettazione e produzione dell‟opera sull‟onda sia della sacralizzazione del manufatto e della cultura della conservazione, sia dello spostamento dell‟aura dall‟opera all‟artista che dal postconcettualismo ha finito col passare in secondo piano e che negli ultimi anni sta tornando al centro dell‟attenzione soprattutto in relazione alle dinamiche relazionali che concorrono alla realizzazione dell‟opera d‟arte. Ricordiamo per esempio quanto dichiara Olafur Eliasson a proposito della progettazione: «non realizzo mai un progetto di cui non abbia parlato con qualcuno, è semplicemente impossibile per me; perciò dipendo in modo decisivo dalla persone che mi aiutano stando tutto il tempo con me nel mio studio» (Obrist 2003, p. 216). A dichiarazioni come questa, fatte da artisti che in realtà operano in produzioni complesse e ambientali che presuppongono dunque per loro stessa natura il coinvolgimento di altre professionalità all‟interno della progettazione, fanno eco però anche altre dichiarazioni come quella di Stefano Arienti (Vettese 2010) la cui progettualità è completamente diversa e legata anche a un fare artigiano e artigianale che parla di un‟opera come lavoro collettivo. Si vogliono qui sottolineare, all‟interno della centralità che il progetto assume nell‟opera d‟arte, non tanto aspetti legati a pratiche relazionali in senso stretto, esempi palesi e immediati di quanto sosteniamo ed evidenti anche per la sua comprensione e fruizione, quanto al necessario coinvolgimento e alla naturale inclusione a livello di progettazione dell‟opera all‟interno di un sistema complesso che ne permette o meno la realizzazione. Un discorso questo che non concerne solo la volontà della committenza, ma anche un insieme di aspetti produttivi e normativi che diventano oggi di fondamentale importanza.
Tra gli esempi possibili si pensi al progetto conservato in MoRE di Davide Bertocchi16 che, nell‟aspirazione a lanciare un oggetto nello spazio, non può che prospettare una completa delega dell‟azione stessa ad altri e controllare progettualmente la fase preliminare ed eventualmente formale del progetto stesso. O ancora a Lorenzo Scotto di Luzio17 la cui scala mobile posta nel deserto avrebbe comportato il reperimento della scala stessa, il suo spostamento nel deserto e la richiesta di autorizzazioni a procedere nel, pur avulso, spazio pubblico.
Aspetti normativi invece diventano determinanti nel caso del progetto elaborato a cura di Roberto Daolio da sette artisti italiani per A.G.E.O.P., l‟associazione per il sostegno alle famiglie di malati oncologici che non viene realizzata e soprattutto viene confinata all‟utopia e alla irrealizzabilità - a dispetto della semplicità apparente della maggior parte delle proposte (una lampada, una valigetta gioco ecc.) - per la normativa igienico-sanitaria, eccessivamente restrittiva a detta degli stessi operatori (Modena 2014), che ne impedisce la realizzazione.
Se dunque tirando le fila del discorso MoRE ambisce a essere riconosciuto e inserito nel dibattito museologico che concerne lo sviluppo del museo odierno, dei suoi compiti e delle sue funzioni sociali e culturali come luogo di elaborazione critica, la sua natura digitale lo espone a critiche relative a una sua concreta esistenza, alla magrittiana sentenza di non coincidenza tra un oggetto e l‟immagine di quell‟oggetto
che anni dopo Marcel Broodthaers ha applicato proprio al tema del museo18. Ma proprio questa osservazione ontologica sulla natura dell‟arte e la riflessione sul suo significato apre spazi possibili per immaginare e costruire serbatoi di memoria e di Dusseldorf.
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