L'ordine cosmologico di Esiodo e il caos politico
secondo Polibio
Il termine italiano caos deriva dal greco E l'intento che Esiodo, uno dei più grandi
esponenti della letteratura greca arcaica, si pose era proprio quello di
giungere dal Χάος, che fino ad allora era presente
attorno alla genealogia divina, al Κόσμος, dare
cioè un ordine e sistemare il materiale mitico circolante nelle credenze
popolari, che aveva creato una serie di figure e di storie divine che rendevano
ardua l'impresa di ricavare un coerente ordine teologico. Nacque cosi la Teogonia
(in greco Θεογονία) , opera di
1022 versi, che è apparentemente una serie di cataloghi interrotta da vari
episodi. Dopo aver cantato brevemente l'origine dell'universo, il poeta enumera
le generazioni degli dei corrispondenti a tre periodi della storia del mondo,
di Urano, di Crono e di Zeus, interrotta da sei episodi, che sono la nascita di
Afrodite, l'episodio di Stige, l'inno a Ecate, la nascita di Zeus, il mito di
Prometeo e la Titanomachia. In principio era il Caos, inteso come il vuoto
indifferenziato e aperto a ogni possibilità. Esso produce la Terra ed Eros, poi
Erebo (le tenebre) e la Notte; da quest'ultima hanno origine i suoi contrari,
Etere (l'aria luminosa) e Giorno; dalla Terra si formano il Cielo, i Monti e il
Mare. Per l'azione di Eros ha quindi inizio la serie degli accoppiamenti e
delle genereazioni lungo tre linee che risalgono alla Notte, all'unione di
Cielo e Terra, e al Mare. L'iniziale cosmogonia si trasforma così in una
descrizione delle cose e delle forze presenti e operanti nel mondo, dove la
realtà viene interpretata secondo la dimensione del mito. Ad esprime
quest'interpretazione concorrono più di trecento figure divine, in cui si
devono riconoscere - secondo un modo di pensare che si è già visto in Omero e
che rimarrà peculiare della civiltà greca - le immagini attribuite alla
presenza del divino in tutti i fenomeni dell'universo. L'epicentro di tale
sistema è rappresentato dal racconto della successione dei re divini, che parte
dalla coppia formata da Cielo e Terra, ossia Urano e Gea. Urano odia i figli
nati da Gea, e immediatamente dopo la nascita li nasconde nelle viscere enormi
della sposa, che soffre immani dolori. Essa allora produce il ferro e fabbrica
una falce, consegnandola al figlio Crono. Costui evira il padre mentre
s'accinge a congiungersi con Gea; e dai testicoli amputati e caduti nel mare si
forma una schiuma, da cui nasce Afrodite. Crono a sua volta s'unisce a Rea, e
man mano che nascono i figli li inghiotte, poichè sa che verrà detronizzato da
uno di loro. A compiere quest'impresa è Zeus, salvato dalla madre che in sua
vece presenta a Crono una pietra perchè la divori, nascondendo il neonato, con
la complicità di Gea, in una caverna di Creta. Una volta cresciuto, Zeus vince
il padre e lo costringe a vomitare i figli nati in precedenza, tra cui ci sono
Ade e Poseidone che diventeranno rispettivamente signori dell'oltretomba e del
mare. Così Zeus può istituire il suo regno destinato a durare per tutti i
tempi, al quale sono soggetti i mortali e gli immortali. Dopo avere sconfitto i
Titani figli di Urano con l'aiuto dei giganteschi Centimani, gli dei della
terza generazione creano a loro volta, unendosi con dee, ninfe e donne, una
stirpe divina di cui fanno parte Atena e Apollo, Ermes e Artemide e molti
altri; e in concordia tutti abitano l'Olimpo. Infine il pomea si conclude con
l'elenco delle dee che si unirono a uomini mortali. Particolare importanza ha
l'ampio proemio dedicato alle Muse, un vero e proprio inno che contiene in sè
un racconto, notevolissimo perchè per la prima volta un poeta greco parla di sè
stesso, e per la significativa opposizione della sua poesia che canta la verità
a quella omerica che cantava «menzogne simili al vero». La Teogonia ha
una stretta unità pur essendo apparentemente 'spezzata' dagli
episodi: essa non vuole essere soltanto un elenco di generazioni diverse, ma
una storia degli dei dall'origine del mondo al regno di Zeus. Si nota la
stretta connessione con la cosmogonia, da cui la teogonia (intesa come
generazione degli dei) dipende come secondo momento dall'origine dell'universo
e dall'uomo; e questo accade non solo perchè la nascita degli dei segue quella
formazione del cosmo, ma anche perchè la narrazione tende a mettere un ordine
nel mondo divino. L'opera di Esiodo non nasce quindi da un intento religioso,
ma piuttosto dall'esigenza di un ingenuo razionalismo che si propone di dare un
ordine ad un sistema di conoscenze. Con Esiodo si presenta nella civiltà greca
il primo uomo che manifesti un personale panorama di pensieri e di convinzioni,
in cui la meditazione individuale si confronta con i dati della tradizione per
costituire un'interpretazione dell'universo e dell'esistenza umana.
Diverso è il discorso per quanto
riguarda Polibio, considerato il più grande storico della letteratura greca
assieme a Tucidide e Erodoto. La sua concezione storica si discostava in parte
dai suoi predecessori; egli riteneva la storia 'pragmatica', fondata
ovvero sull'analisi dei fatti e nata dalla perfetta coesione di verità e
obiettività. Ad essa sono estranee le genealogie e le storie di origini e
fondazioni; il compito dello storico infatti è unicamente la ricerca della
verità obiettiva. Questa concezione della storia è in stretto rapporto con la
finalità che Polibio assegnava ad essa, ossia l'utilità pratica. L'esatta
conoscenza dei fatti politici e militari servirà all'uomo di stato e al
condottiero di eserciti per valutare al meglio le situazioni sulla base delle
analogie con gli avvenimenti del passato. Il suo valore è dunque essenzialmente
formativo, e perchè l'indagine storica realizzi tutta la sua intrinseca
utilità, occorre che essa guidi a comprendere le cause di ciò che è accaduto.
Un'altro requisito essenziale della storia è il suo carattere universale: essa
deve coordinare in una visione completa i fatti dell'intera terra abitata. E
secondo Polibio Roma era il centro del mondo da cui si emanavano e verso cui si
concentravano tutti gli avvenimenti e gli eventi storici dell'allora mondo
conosciuto. Lo splendore di Roma, sempre secondo lo storico, era dovuto alla
sua organizzazione politica, ossia la costituzione mista in cui erano presenti
in perfetta armonia la monarchia (i consoli), l'aristocrazia (il senato) e la
democrazia (gli organi popolari). Ciò fa
parte del cosiddetto processo dell' anaciclosi (in greco
Аνακύκλωσις), ossia il
ritorno ciclico delle costituzioni; da un apparente ordine dato dalla monarchia
si sofcia nel caos che la tirannide porta con sè, cosi come dall'aristocrazia
all'oligarchia o dalla democrazia all'oclocrazia. La teoria riprende anche il
principio di decadimento in base al quale ogni cosa prodotta dall'uomo è
destinata a degenerare. Quindi ogni sistema politico è destinato a svilupparsi,
a degenerare e ad essere superato, finché il ciclo non ricomincerà. La
monarchia è ritenuta platonicamente la forma di governo "naturale", l'uomo
d'innanzi al caos del mondo cerca in qualche modo l'ordine e il riconoscimento
di individualità, per cui trova sfogo a queste necessità oggettivando le stesse
necessità verso un uomo capace e "giusto". Primitivamente la monarchia era
scelta come forma di governo "migliore e giusta" in quanto adatta al contesto
storico in cui si manifestava. Tuttavia questa forma governativa è soggetta ad
una deformazione essenziale trasformandosi in tirannia, caratterizzato
dall'egoismo dispotico. Per cui la stessa tirannia verrà soppiantata dal
governo dei cittadini "giusti" ovvero l'aristocrazia, ma l'inevitabile essenza
egoistica dell'uomo porterà alla degenerazione anche l'aristocrazia che si
trasformerà in oligarchia. Il "governo dei pochi" verrà capovolto dal popolo
con sete di potere, che istituirà la forma più sviluppata di governo ovvero la
democrazia. La democrazia, tuttavia, sarà a sua volta deformata nella propria
essenza dalla massa e dai demagoghi che la trasformeranno in oclocrazia. La stessa
oclocrazia, ultimo anello del ciclo, riporterà le istituzioni al punto
iniziale. L'anaciclosi di Polibio la si può contestualizzare e storicizzare
individuando l'origine del Totalitarismo. Anche una costituzione mista come
quella romana, che egli ammirava, alla fine però degenera, e anche quel
capolavoro sarebbe finito. Questo elemento attenua quella sterminata
ammirazione dì Polibio per lo stato romano. Con l'anaciclosi, Polibio
sembra voler dire ai potenti che si avvicendano nella storia, di evitare di
cadere nella tentazione dell'orgoglio, proprio perché è soprattutto la fortuna
che ha dato ai romani questi benefici e, proprio perché si ottengono per mezzo
della fortuna, tali benefici sono provvisori. E significativo che Polibio
riporti la notizia che Scipione, distrutta Cartagine, pianse per la sorte dei
suoi nemici. Polibio commenta che piangendo, Scipione capì che la sorte degli
Stati, come quella di tutti gli uomini mortali, muta col tempo e, piangendo su
Cartagine ormai distrutta, Scipione pensava a quando sarebbe accaduta la stessa
sorte anche a Roma. Riportando quest'episodio, Polibio mostra di avere una
concezione della storia, molto più universale di quanto lui stesso, con la sua
narrazione dei fatti di Roma, ci aveva indotto a credere, aveva quindi compreso
quali sono i ritmi della storia.