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L'IMPORTANZA DEL TEMPO PRESENTE: Orazio: "Carpe Diem"
Dum loquimur fugerit
invida aetas:
carpe diem, quam minimum credula postero.»
Mentre parliamo sarà già
fuggito l'invidioso tempo:
cogli l'attimo, credi al domani quanto meno ti è possibile.»
(Orazio, Odi, 1, 11, 8)
Il poeta latino Orazio scrive, in un carmen delle Odi (1, 11, 8), "Carpe Diem", locuzione diventata celebre e spesso tradotta in "Cogli l'attimo".
Non bisogna interpretare questa frase come incitamento a vivere edonisticamente la vita, perché la filosofia oraziana del carpe diem si fonda piuttosto sulla considerazione che all'uomo non è dato di conoscere il futuro, né di determinarlo. Per questa ragione l'uomo può intervenire solo sul presente, e perciò è nel presente che deve concentrarsi il suo agire, cercando sempre di cogliere le occasioni, le opportunità e le gioie che si presentano oggi, senza condizionamenti derivanti da speranze per il futuro o rimpianti per il passato.
Seneca: "De Brevitate Vitae"
Non dovremmo preoccuparci di aver vissuto a lungo,
ma di aver vissuto abbastanza.»
(Seneca)
L'idea che la maggior parte degli uomini renda più breve la propria vita a causa della sua stessa follia sarà passata spesso per la mente di Seneca negli ultimi anni dell'esilio in Corsica. Al suo rientro a Roma, nel 49, scrisse il "De brevitate vitae" indirizzandolo all'amico Pompeo Paolino, un alto funzionario imperiale, in cui Seneca vede un uomo che, anche in vecchiaia, non riserva un momento per la sua vita interiore. Nell'opera, il poeta dà all'amico il consiglio epicureo e "antiromano" di lasciare la vita pubblica e ritirarsi per dedicarsi all'otium. Tutta la società romana è messa in discussione in questo dialogo: i negotia (le cariche pubbliche), gli officia (gli obblighi sociali) e gli oblecatmenta (passatempi e divertimenti).
Tra i negotia che rubano il tempo all'uomo, e quindi l'uomo a se stesso, ci sono anche gli affari pubblici. Seneca capovolge la tradizionale gerarchia dei valori. Inizialmente, infatti, aveva partecipato attivamente alla vita politica, svolgendo il ruolo prima di pedagogo e poi di consigliere del princeps. Tuttavia, ridotto al silenzio politico, egli è costretto nuovamente a riflettere sul rapporto fra vita dedicata all'otium e vita politica: deluso da quest'ultima, sceglie di dedicarsi interamente agli studi filosofici e assume il compito di guida spirituale, capace di condurre verso la tranquillità dell'animo. Infatti, attraverso il modo di procedere della diatriba, Seneca ci aiuta a farci riconoscere i nostri errori, prima di correggerci: non svolge logicamente il suo argomento, ma lo presenta e ripresenta sotto diversi punti di vista, mirando a persuadere attraverso la ripetizione delle motivazioni, piuttosto che mediante la loro articolazione dialettica.
Il titolo dell'opera, come spiega lo stesso autore, si riferisce al paradosso nel quale incorre la maggior parte degli uomini, che lottano per impadronirsi di beni materiali irrilevanti e non per salvaguardare il proprio tempo, disperso in occupazioni futili.
«I. 1. Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur, quod in exiguum aevi gignimur, quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant, adeo ut exceptis admodum paucis ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat. Nec huic publico, ut opinantur, malo turba tantum et imprudens uulgus ingemuit; clarorum quoque uirorum hic affectus querellas euocauit. 2 Inde illa maximi medicorum exclamatio est: 'vitam brevem esse, longam artem'. Inde Aristotelis cum rerum natura exigentis minime conveniens sapienti viro lis: 'aetatis illam animalibus tantum indulsisse, ut quina aut dena saecula educerent, homini in tam multa ac magna genito tanto citeriorem terminum stare.' »
(Seneca, De brevitate vitae, I, 1-2)
«I. La maggior parte degli uomini, Paolino, protesta per l'avarizia della natura, perché siamo messi al mondo per un briciolo di tempo, perché i giorni a noi concessi scorrono così veloci e travolgenti che, eccetto pochissimi, gli altri sono abbandonati della vita proprio mentre si preparano a vivere. E di questa disgrazia, che credono comune, non si dolse solo la folla e il volgo sciocco: tale stato d'animo provocò la protesta anche di grandi uomini. 2. Di qui l'esclamazione del più grande dei medici, che la vita è breve, l'arte lunga; di qui l'accusa di Aristotele, indegna di un saggio,che se la prende con la natura, perché essa ha concesso agli animali di poter vivere cinque o dieci generazioni, e all'uomo, nato a tante e così grandi cose, è fissato un termine tanto più breve »
(traduzione a cura di Alfonso Traina)
Gli uomini si lamentano perché la vita è breve, perché la natura è maligna, ma la protesta è ingiustificata: c'è abbastanza tempo se questo non viene sciupato.
Non exiguum temporis habemus, sed multum perdimus. Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene collocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei impenditur, ultima demum necessitate cogente, quam ire non intelleximus transisse sentimus. 4 Ita est: non accipimus brevem vitam sed fecimus, nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum pervenerunt, momento dissipantur, at quamvis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt: ita aetas nostra bene disponenti multum patet.»
(Seneca, De brevitate vitae, I, 3-4)
Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perduto molto. Abbastanza lunga è la vita e data con larghezza per la realizzazione delle cose più grandi, se fosse tutta messa bene a frutto; ma quando si perde nella dissipazione e nell'inerzia, quando non si spende per nulla di buono, costretti dall'ultima necessità ci accorgiamo che è passata senza averne avvertito il passare. 4. Sì: non riceviamo una vita breve, ma tale l'abbiamo resa, e non siamo poveri di essa, ma prodighi. Come ricchezze grandi e regali in mano a un cattivo padrone si volatilizzano in un attimo, ma, per quanto modeste, se affidate ad un buon amministratore, aumentano con l'impiego, così la durata della nostra vita per chi sa bene gestirla è molto estesa.»
(traduzione a cura di Alfonso Traina)
Il saggio, che sa che la durata della vita non è decisa da lui, deve sforzarsi di farne buon uso, dato che questo solo dipende interamente da noi.
L'antitesi tempo-saggezza domina in tutto il "De Brevitate vitae", traducendosi nell'antitesi tra le vittime del tempo, cioè gli affaccendati, e chi riesce a dominarlo, cioè i sapienti. E' proprio l'uso del tempo, infatti, a dividere chi sa e chi non sa vivere.
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