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Il tempo nella storia della filosofia
Il tempo come circolo
La convinzione dell'esistenza di una realtà continua, omogenea, immutabile e trascendente gli eventi ha la sua prima formulazione nel pensiero classico, che per lo più, concepì il tempo come circolarità ( immagine della ruota), in un ritmo ciclico eternamente ricorrente
Presso gli Ionici di Mileto soprattutto Anassimandro e Anassimene espressero questa idea di ciclicità cosmica; secondo Anassimandro tutte le cose hanno origine da un indefinito e indeterminato, chiamato apeiron, e nel quale tutto si dissolve, seguendo una legge di ciclicità necessaria. La stessa teoria viaìene assunta da Anassimene, il quale assume come elemento primordiale l'acqua.
Questo movimento circolare ed eterno della natura, attraverso cui si percepisce e si misura lo scorrere del tempo, con l'Orfismo si riverbera anche sul destino dell'uomo, considerato prigioniero del ripetersi delle stesse vicende e dell'eterno ritorno di tutte le cose. La concezione dei filosofi presocratici e quella orfica si possono definire naturalistiche, dal momento che intendono il tempo comeritmo della natura.
Sempre a questa concezione naturalistica appartiene anche la concezione eraclitea dell'"eterno divenire" ( panta rei ) in cui la realtà è unn flusso perenne simile ad un fiume le cui acque non sono mai le stesse
Il tempo come movimento circolare della natura
La concezione del tempo in Platone è trattata nel Timeo, scritto risalente all'ultimo periodo del filosofare platonico. Il Demiurgo, buono artefice dopo aver plasmato la natura a modello delle idee, per rendere questo mondo-copia simile al regno eterno delle idee, ha voluto generare il Tempo, che Platone definisce come" immagine mobile dell'eternità", volendo dire che il succedersi ordinato del tempo in giorni, mesi, anni, riproduce nell'aspetto del mutevole, l'ordine immutabile dell'eternità
In Aristotele il tempo assume connotazioni differenti da quelle precedenti;infatti egli pensa che il tempo non sia il mutamento delle cose, ma semplicemente la misura del loro divenire secondo il prima ed il poi. Siccome ogni misura presuppone una mente misurante, risulta perciò impossibile l'esistenza del tempo senza quello dell'anima.
Anche nello stoicismo troviamo una concezione naturalistica del tempola vita del mondo ha un solo ciclo, alla fine del quale accade una conflagrzione e la distruzione di tutti gli esseri; e di nuovo si forma lo stesso ordine cosmico.
Se la concezione greca del tempo è ciclica e naturalistica, quella biblica è rettilinea e storica. Secondo la concezione ebraico-cristiana, infatti, il tempo ha un inizio ( la creazione), ed un termineo fine verso il quale si dirige (l'avvento del Regno di Dio). La temporalità è dunque svolgimento storico e non vicenda naturale: è evidente l'opposizione tra la concezione greca della realtà come cosmo, o natura ordinata e prevedibile, e la visione ebraica che la concepisce come storia, successione di eventi unici, cioè come progresso ed imprevedibiltà
Proseguendo sulla strada inaugurata da Aristotele, i filosofi di ispirazione platonica cercano di andare oltre la relazione tra il tempo e il movimento. Per Plotino il tempo non va collegato al movimento fisico, ma piuttosto al movimento dell'anima che non è quella individuale del soggetto che misura il tempo (Aristotele), ma l'Anima del mondo, quale principio generatore del tempo. Il tempo, dunque, è "estensione della vita del mondo": essa genera il mondo sensibile generando il tempo. Va tenuta in conto la differenza tra il significato cosmologico della "distensio animi" (che Plotino riprende da Platone) ed il significato psicologico che S. Agostino attribuirà alla stessa formula.
Per S. Agostino, infatti, soggetto e sostanza del tempo è l'individuo che ricorda e spera muovendosi così muovendosi così nelle due direzioni del passato e del futuro. La filosofia approda così ad una concezione spiritualistica e soggettivistica del tempo, e non viene ppiù inteso come vicenda ciclica del cosmo, fatto naturale che si impone dall'esterno alla coscienza., ma come qualcosa che vive nell'anima, dal momento che essa lo sente scorrere in sé. La concezione agostiniana bene si adatta all'idea biblica del tempo come escatologia ( il tempo è tensione dell'uomo verso uno scopo ultimo)
Il tempo come numero del movimento: Kant
Nella prima parte della Critica della ragion pura, Kant studia i princìpi a priori della sensibilità cioè lo spazio e il tempo. In quel periodo Newton aveva supposto l'esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti, mentre Leibniz aveva negato che spazio e tempo avessero una realtà in se stessi e aveva proposto di considerarli come semplici relazioni tra corpi. Kant affronta questo problema tentando di conciliare le due ipotesi e giunge alla soluzione che spazio e tempo non sono né una realtà oggettiva in se stessa, né semplici relazioni tra oggetti, ma piuttosto forme a priori della sensibilità umana. Esse condizionano ogni nostra esperienza sensibile in quanto le cose ci sono presentate sempre situate all'interno di uno spazio e di un tempo. Da un lato questi dunque operano solo in presenza dei dati dell'esperienza, ma dall'altro sono ricavati per astrazione dalla sensazione.
L'estetica trascendentale è in Kant 'l'apprensione immediata dei dati sensibili e ordinati nelle relative forme a priori'. Questa intuizione è la sintesi del contenuto extrasoggettivo che deriva dalle impressioni sensibili, e della forma, propria del soggetto che colloca i dati nello spazio e nel tempo.
Nell'intuizione si costituisce dunque un mondo dell'esperienza organizzato nelle forme dello spazio e del tempo: noi sintetizziamo i dati che ci provengono dalla sensibilità e con le forme a priori che strutturano tali dati. Fondandosi sui dati delle intuizioni, le operazioni conoscitive sono formulate attraverso giudizi sintetico a priori.
Il problema viene affrontato partendo dall'analisi della nostra capacità di conoscere con i sensi: la sensibilità, che ha come caratteristiche fondamentali la passività e la recettività. Noi conosciamo perché siamo modificati dagli oggetti che agiscono sulla nostra capacità di rappresentazione producendo una sensazione. Attraverso questa sensazione però non conosciamo direttamente gli oggetti come sono in se stessi, ma solo come ci appaiono dalle modificazione che provocano su noi stessi cioè attraverso il fenomeno.
Nella conoscenza sensibile che Kant chiama intuizione empirica vengono distinti due elementi: la materia, cioè il contenuto della modificazione sensibile che sta alla base della nostra conoscenza, e la forma, che ordina il contenuto secondo determinati rapporti. La materia è fornita a posteriori dall'esperienza, mentre la forma viene a priori dalla sensibilità. Perciò le forme priori dalla sensibilità non derivano dall'esperienza e per questo Kant le chiama intuizioni pure.
Bergson con le sue teorie aveva cercato di recuperare quei valori spirituali che il positivismo sembrava aver dimenticato con la crisi della ragione fra '800 e '900; una delle concezioni più originali di Bergson, che rappresenta anche uno dei fondamenti del suo sistema filosofico, e che influenzerà tutti i campi della cultura, dalla letteratura all'arte (il futurismo per esempio), è la distinzione fra il tempo della scienza ed il tempo della vita.
Infatti il tempo spazializzato della fisica trova la sua immagine in una collana di perle (i vari momenti della fisica), tutte eguali e distinte fra di loro, differenti solo quantitativamente, mentre l'immagine del tempo della durata (o della vita) è il gomitolo di filo (o la valanga), che continuamente muta e cresce su se medesimo, con momenti diversi anche gualitativamente (tant'è vero che nel linguaggio comune si dice ad esempio che cinque minuti possono sembrare, talora, 'una eternità'). Inoltre il tempo della fisica e dell'osservazione scientifica è invertibile, poiché un esperimento può essere ripetuto ed osservato un numero indefinito di volte, mentre il tempo della psiche è fatto di momenti irripetibili. Infatti il tempo della coscienza (durée réelle, temps concret) è costituito da momenti 'che non sono esterni gli uni agli altri' ma che si fondono l'uno con l'altro in un processo continuo di crescita, alla maniera di una valanga. Ciascun momento, infatti, unendosi alla durata fino ad ora già trascorsa, dà origine a qualcosa che prima non esisteva ed è eterogeneo rispetto al passato. Nella durata non ci possono essere due momenti uguali, se non altro perché ciascuno di essi si fonde alla durata già trascorsa, che, a causa del trascorrere stesso del tempo, è differente per ciascun momento. La durata interna alla coscienza è, dunque, costituita da momenti che sono l'uno all'altro eterogenei, ma non sono reciprocamente separati.
Questa conservazione totale è nello stesso tempo una creazione totale, giacché in essa ogni momento, pur essendo il risultato di tutti i momenti precedenti, è assolutamente nuovo rispetto ad essi. 'Per un essere cosciente, - dice Bergson, - esistere significa mutare, mutare significa maturarsi, maturarsi significa creare indefinitamente se stesso'.
Coloro che ritengono che ogni azione spirituale, come ogni altro fatto della natura, necessariamente determinato dalle sue cause, si fondano su un concetto del tempo che non si può applicare alla vita spirituale. Immaginano cioè il tempo secondo lo schema spaziale, come fa la scienza, perciò esteriorizzano l'azione e il motivo dell'azione considerandoli quasi come due cose esterne l'una all'altra e di cui una agisca sull'altra
L'analisi del tempo condotta da Heiddeger
è segnata dall'insuperabile dimensione di finitezza umana: il tempo non è che
finitezza. L'uomo è esistenza (Esserci)ma esistere significa essere mortali,
disporre di un tempo limitato. Il tempo è l'orizzonte di ogni comprensione, in
particolare di quella dell'esistenza, poiché a partire dal suo
essere-per-la-morte, dal fatto cioè di essere temporale e mortale, l'uomo può
accedere ad una comprensione autentica di se stesso. Nel 1924 pronuncia dinanzi ai teologi
di Marburgo una conferenza che muove dall'interrogazione fondamentale: Che cos'è il tempo? Heidegger risponde con
una serie di appassionate e profonde riflessioni che lo conducono a un'analisi
storica del concetto di tempo, attraverso l'esame delle forme dell'esistenza e
del suo rapportarsi al mondo (definizione dell'esistenza come Dasein,
esser-ci), fino alla comprensione del senso stesso dell'esser-ci come
temporalità: "L'esser-ci, compreso nella sua estrema possibilità d'essere, è il
tempo stesso, e non è nel tempo." (M. Heidegger, Il concetto di tempo, tr.
it. Milano, 1998). Il tempo dunque è una modalità dell'esistenza, anzi la
modalità dell'esistenza: la risposta alla domanda che "cos'è il tempo?" non è
un che cosa ma un come.
Nell'opera maggiore di Heidegger, Essere e tempo (1927), queste riflessioni
vengono riprese e sviluppate: bisogna ripensare l'essere, la metafisica ha
sempre pensato l'essere nella forma della semplice presenza mentre l'essere va
pensato autenticamente a partire da una fenomenologia dell'esistenza, dunque
come il problema dell'esser-ci che interroga sul senso dell'essere. L'esser-ci
trova il suo senso solo nella cura (Sorge) delle cose del mondo che
entrano a far parte del suo progetto esistenziale e riconosce come sua
possibilità più autentica l'essere-per-la-morte (Zum-Tode-sein). Ma come può
l'esser-ci riconoscere la morte come sua possibilità più autentica? Attraverso
un atto che gli permetta di scegliere in anticipo tutte le possibilità della
vita come sue possibilità, attraverso la decisione anticipatrice. Siamo ora in
grado di seguire la difficile definizione della temporalità data da Heidegger:
Nelle sue Considerazioni Inattuali (1873-1876 periodo giovanile) Nietzsche muove un 'aspra critica nei confronti della storia e della storiografia sostenendo che " un eccesso di storia indebolisce le potenzialità creatrici dell'uomo sino ad assumere i tratti di una malattia". La cultura storicista porta all'idolatria del fatto e a vedere l'uomo come frutto di un processo necessario, costretto ad incurvare la schiena dinanzi alla potenza della storia. I tal modo, in balia del passato, che soffoca, l'uomo risulta incapace di creare qlcs nel presente. Egli però ammette non solo il danno ma anche l'utilità della storia: essa infatti risulta utile a patto che essa sia al servizio della vita e non viceversa. Dinanzi all'uomo si presentano tre tipi di storia , ognuna con l'aspetto positivo e negativo, e sono: s. monumentaria, antiquaria e critica. Con la prima si cercano modelli di vita nel passato che nn esistono nl presente, così facendo però si porta a mitizzare solo alcuni periodi passati. Con la seconda è proprio di chi guarda al passato cn amore e lo preserva e lo venera. Ma in questo tipo si tende a mummificare vita a paralizzare l'agire umano. La s. critica, invece, è propria di chi guarda al passato come un peso di cui liberarsi. Ma anche in questo modello vi è l'aspetto negativo: essa infatti pretende di recidere il passato con il coltello, dimenticando che noi siamo frutto di precedenti generazioni e che non possiamo liberarci totalmente di loro. La dottrina dell'eterno ritorno è la dottrina secondo cui tutte le realtà e gli eventi del mondo sono destinati a ritornare identicamente infinite volte. Credere nell'eterno ritorno significa:- ritenere che il senso dell'essere non stia fuori dall'essere, ma nell'essere stesso;- disporsi a vivere la vita, e ogni attimo di essa, come coincidenza di essere e di senso, ossia come un gioco creativo avente in se medesimo il proprio senso appagante. Proprio per questi motivi, l'eterno ritorno, in quanto apoteosi estrema del divenire, incarna al massimo grado l'accettazione superoministica dell'essere, ponendosi come la suprema formula dell'affermazione che possa mai essere raggiunta.
Per Croce la Filosofia si identifica con la storia, questa è l'essenza dello " storicismo assoluto. Ma qual è allora il compito della filosofia? La filosofia è metodologia della storia, elaborazione e chiarificazione di concetti storici (bello, vero, utile e bene), ma l'interpretazione della storia tramite questi concetti non va fatta una volta per tutte, dato che la storia è in continuo svolgimento. La storia si svolge circolarmente secondo il concetto di unità-distinzione delle due forme: pensare ed agire. La storia vista come unità di queste due forme è la storia contemporanea; Croce non distingue varie epoche storiche, perché ogni qual volta pensiamo ad un avvenimento passato, nel nostro presente quel periodo diviene storia contemporanea. L'arido passato è invece cronaca.
In seguito vede la distinzione di pensiero e azione. Vista come pensiero la storia diviene storiografia, una semplice conoscenza della vita vissuta. Croce intende la realtà razionale e necessaria ( alla maniera hegeliana); ma questa neccessità è logica (per cui un fatto non lo si può pensare diversamente da come è avvenuto. " La storia non è giustiziera ma giustificatrice" , volendo dire che non possiamo parlare in termini di bene-male ma vero-falso (storia coscienza logica non pratica). Con l'esperienza fascista si pose il problema del rapporto fra passato e azione presente. Egli afferma che è possibile esporre giudizi morali sul presente. Infatti partecipando ai fatti anziché limitarci alla contemplazione, noi agiamo liberamente; la nostra azione può contribuire all'attuazione di una società libera. La storiografia nasce dunque dalla prassi " per illuminare nella vita un problema di vita" e prepara la prassi "illuminando le condizioni di fatto in cui la nuova situazione si svolge".
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