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Il mestiere dell'archeologo




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IL MESTIERE DELL'ARCHEOLOGO


Appunti dalle lezioni tenute da Agata Febbraro negli a.s. 2006/07 e 2007/08


LO SCOPO DEL LAVORO DELL'ARCHEOLOGO


Compito fondamentale di un archeologo è portare alla luce i reperti storici che costituiscono la base materiale sulla quale si costruisce la storia dell'uomo: manufatti artistici e semplici oggetti d'uso quotidiano, resti umani e animali, tracce di edifici, di strade e di qualsiasi altra modifica che l'azione dell'uomo ha prodotto nella natura, ecc.

Tali reperti si trovano infatti spessissimo sotto terra, nascosti alla vista di chi oggi abita quegli stessi luoghi o si trova a passare sopra di essi inconsapevolmente.

L'archeologo dovrà quindi essere in grado:

di individuare i luoghi nei quali è presumibile che si trovino simili reperti;

di effettuare lo scavo con modalità che permettano di raccogliere il maggior numero di informazioni possibile sugli uomini che sono vissuti nel luogo dello scavo nel corso del tempo.


In quali condizioni si trovano concretamente a lavorare gli archeologi?


L'attività dell'archeologo si trova però a dover fare i conti con molti limiti pratici, tra i quali due condizionano particolarmente il suo lavoro:

la vita e le attività di chi per caso ancora vive in siti abitati da molti secoli, come accade in grandissima parte delle città italiane;

i costi di un'attività che non ha in genere un ritorno economico, ovvero che difficilmente produce ricchezza, se non, in casi rari e fortunati, in termini di sviluppo del turismo in determinate aree geografiche.


Quali sono dunque oggi le effettive condizioni di lavoro di un archeologo dalle nostre parti?

Un archeologo oggi in Italia si trova spessissimo ad effettuare scavi urgenti in siti archeologici emersi casualmente, ad esempio nel corso di lavori avviati per realizzare nuove costruzioni o nuove infrastrutture (metropolitane, strade, ecc.). Egli viene interpellato perché la legge in Italia obbliga chiunque trovi per caso dei reperti storici nel corso di uno scavo ad interrompere i lavori e ad avvisare la Soprintendenza alle Antichità. In questo caso l'archeologo si limita ad effettuare lo scavo e deve spesso farlo in tempi rapidi (scavi d'emergenza)

Sono invece molto più rare, in quanto costose, le campagne di scavo avviate deliberatamente alla ricerca di tracce storiche di civiltà del passato. In questo caso l'archeologo si occupa anche di individuare i siti di scavo e, nel caso fortunato in cui vi riesca, di effettuare lo scavo stesso.

E' infatti impensabile procedere a caso, anche individuando un'area non trppo estesa nella quale si presume ci siano resti interessanti, a causa degli alti costi di una campagna di scavo condotta con i metodi odierni: lo scavo vero e proprio va dunque avviato solo dopo aver precisamente individuato i precisi confini del sito archeologico.

E' infine rarissimo che un sito di scavo sia già evidente di per sé: questo infatti accade solo quando vi siano resti di opere antiche che affiorano dal terreno; ma simili luoghi praticamente sono stati già  tutti scavati.


LE COMPETENZE DELL'ARCHEOLOGO: individuare i siti di scavo


Il primo compito di un archeologo di professione è saper individuare il luogo dove andare a scavare alla ricerca di reperti storici (RICERCA PRELIMINARE).

Per fare questo dovrà padroneggiare diversi metodi per l'individuazione di un sito di scavo, metodi che in genere vanno tra loro incrociati, cioè messi in pratica contemporaneamente, onde avere un risultato più efficace: delimitare con precisione il luogo dove intraprendere lo scavo.


Questi i principali metodi per l'individuazione di un sito di scavo che ci ha presentato Agata:


a. metodi che non prevedono un lavoro sul campo


L'analisi di fonti storiche

Come ben noto, da Schliemann in poi, le fonti storiche sono fondamentali per avere un'idea più o meno precisa dei luoghi nei quali si è svolta l'esistenza delle civiltà del passato. Tali fonti possono essere più o meno precise e non coincidono necessariamente con testi di carattere storico: miti, racconti, leggende, tradizioni orali (tramandate cioè solo per voce e mai messe per scritte), rientrano a pieno tra le fonti storiche. Per un archeologo che si occupi delle civiltà antiche vissute intorno al Mediterraneo saranno fonte primaria tutti gli scrittori greci e latini.

Sono infine fonti scritte anche quelle iconografiche: mappe carte, disegni. Rare per l'antichità, diventano più numerose e fondamentali per l'età moderna.

Un archeologo completo non sarà solo un tecnico, che sappia usare strumenti scientifici di indagine e di scavo, ma dovrà conoscere al meglio tutta la produzione di testimonianze scritte e orali che riguarda una certa civiltà vissuta in una determinata epoca e luogo.


Lo studio dei toponimi

I toponimi (da τόπος = luogo) sono i termini con i quali vengono denominate delle ben precise località geografiche: non solo città, montagne e altri elementi  ben riconoscibili del territorio ma anche luoghi che spesso oggi non mostrano caratteri fisici particolarmente distintivi (ad esempio una radura, una collina, un campo, una zona di pianura, un boschetto, una valletta ecc.) ma ai quali è rimasta "appiccicata" nei secoli una denominazione tradizionale. Tale denominazione porta talvolta con sé un'informazione fondamentale per l'archeologo: suggerisce ad esempio che in quella località, oggi più o meno anomima e indistinta dai dintorni, esisteva un tempo un qualche oggetto (edificio, attività, ecc.) oggi non più visibile.

Sono esempio banalissimo di toponimi di questo genere i nomi delle strade nei centri storici delle città: se può servire poco all'archeologo sapere che una via del centro di Milano sia chiami ancora oggi "Pantano", può interessare molto di più sapere che esiste una via "Arena".

I toponimi urbani, con tutte le informazioni che si portano dietro, spesso sono stati già ben studiati. Ma quando si tratta di scavare fuori da centri abitati spesso questi nomi geografici sono ancora fondamentali: una località calabrese nota come "trappeto vecchio" celerà quasi sicuramente i resti di un'antico frantoio (trappeto) per le olive, anche se oggi non se ne vede traccia.

Come si fa a conoscere questi toponimi? A parte eventuali testimonianze orali, si trovano riportati spessissimo in carte geografiche: sia carte storiche che mappe attuali, purché sufficientemente dettagliate, come le mappe dell'I.G.M. (Istituito Geografico Militare italiano).

b. metodi che prevedono un lavoro sul campo


Lo studio delle fonti storiche e dei toponimi può permettere di individuare una zona in cui si ipotizza possano esserci strutture da scavare.

In altri casi esistono già strutture visibili fuori terra o una probabile zona di scavo viene individuata tramite il casuale affioramento di qualche reperto sul suolo, ad esempio in occasione dell'aratura di un campo).

Comunque si sia individuata un'area interessante, si procede con l'analisi dell'area stessa attraverso una prima analisi del visibile (se esistono strutture fuori terra) e quindi una serie di:

indagini diagnostiche non invasive

indagini diagnostiche invasive


Elenchiamo di seguito una serie di indagini diagnostiche, specificando sempre se sono invasive o meno:


1) La fotografia aerea e l'aerofotointepretazione (= interpretazione di fotografie effettuate ad alta quota) - NON INVASIVE

Molte tracce di strutture nascoste sotto terra non sono rilevabili a occhio nudo ad altezza d'uomo, ovvero da chi percorre il suolo, ma sono visibilissime se si osserva il medesimo suolo da una notevole distanza, ad esempio se lo si sorvola ad una certa altezza, magari con particolari condizioni di luce che mettono in evidenza le medesime tracce: questo perché delle strutture nascoste a non eccessiva profondità sotto terra possono provocare delle anomalie nel terreno superficiale.

Che tipo di tracce sono? Gli archeologi distinguono due anomalie:

- i crop marks (letteralmente: segni nella vegetazione coltivata). Sono quelle irregolarità nella crescita della vegetazione coltivata provocata dalla presenza di strutture sotterranee che modificano la composizione del terreno, rendendolo più fertile o meno fertile. In generale sopra un muro sepolto la vegetazione cresce con più fatica e sarà più bassa e più rada, mentre sopra un fossato sepolto da altra terra si accumulano acqua e fosfati che fanno crescere la vegetazione più alta e più fitta. La differenza non è così forte e improvvisa da esser colta da chi percorre il campo coltivato a piedi, ma per chi lo sorvola diventa visibile, perché il terreno diventa più chiaro sopra i muri sepolti e più scuro sopra i fossati.

gli shadow marks (segni delle ombre): sono ombre anomale visibili sul terreno in condizioni di luce radente (quando il sole è basso nel celo e il fascio di luce corre quasi parallelamente al terreno invece che provenire dall'alto). Sono prodotte da leggeri rilievi o affossamenti del terreno, sempre prodotti dalla presenza di strutture sotterranee.

Il terreno superficiale può inoltre, in determinate condizioni atmosferiche, cambiare colore al di sopra di un muro sepolto: in caso di gelate il terreno al di sopra del muro, trattenendo di più l'umidità, forma una brina bianca più fitta e persistente, determinando una traccia chiara sul terreno, visibile dall'alto.

Frequente è anche l'assenza di vegetazione spontanea alta (alberi ad alto fusto) sopra resti archeologici sepolti (perché lo sviluppo delle radici è più difficile): questa anomalia è evidente qiuando in un fitto bosco compaiono improvvise radure prive di alberi.

Per avere una base sicura su cui lavorare, l'archeologo non si limiterà a sorvolare il terreno ma lo fotograferà con due modalità:

- foto zenitali: fotografie scattate da una certa distanza, in serie (in modo da poter essere collegate da loro creando un quadro complessivo) con la macchina orientata a 90° (zenitale) rispetto al suolo. Rivelano i crop marks e in generale tutti i mutamenti di colore e permettono di avere, attaccate l'una all'altra, una sorta di veduta generale del sito, che può anche essere tradotta in una cartina. Una cartina può essere direttamente ottenuta, senza fare faticosi collage di foto, se l'aereo è dotato di un fotorestitutore analogico: una macchina che è in grado di tradurre le immagini dall'alto in una mappa. In entrambi i casi il vantaggio della mappa è quello di fornire all'archeologo un'immagine del terreno che percorrerà a piedi in scala, precisa, con indicazione delle ventuali emergenze.

- foto oblique: fotografie scattate sorvolando il suolo a bassa altezza e tenendo la macchina inclinata rispetto ad esso. Rivelano meglio delle altre gli shadow marks.

Quali sono i limiti della fotografia aerea?

- è molto costosa. Ci si accontenta spesso di foto fatte da un pallone aereostatico e spessissimo non si può effettuare e basta.

- dà spesso esiti incerti o negativi: evidenzia tracce che non significano nulla di interessante (ad esempio i segni lasciati sulla superficie del terreno da una mietitrebbia, che non rivelano nulla di nascosto sotto terra). Viceversa può non evidenziare nulla quando invece delle strutture nascoste sotto terra ci sono: o perché sono sepolte ad eccessiva profondità, o perché le fotografie non sono state fatte, ad esempio, nelle condizioni ottimali di luce o climatiche.


2) Le indagini termiche dall'aereo - NON INVASIVE

Sono complementari alle fotografie: possono cioè completare, confermandole o meno, le informazioni date dalle fotografie. Grazie ad un sensore presente sull'aereo capace di rilevare il calore emanato dal suolo (analizzatore termico) si evidenziano delle discontinuità: si rileva cioè se il terreno che si sorvola (ad esempio un campo, un prato, ecc.) in alcuni punti bene precisi improvvisamente è più freddo o più caldo. Le zone più fredde possono corrispondere a dei muri sepolti, confermando eventuali rilevazioni fotografiche.


Rientrano invece tra le indagini diagnostiche invasive (= che provocano danni irreversibili al terreno) buona parte delle:


3) Le indagini geognostiche

Sono indagini compiute al suolo, o con degli appositi misuratori o prelevando campioni del terreno (con dei carotaggi) che si andrà a scavare. Consentono di studiare le caratteristiche chimiche e fisiche del terreno: la composizione chimica del terreno (legata alle sostanze in esso contenute che possono derivare a loro volta dalla presenza di reperti antichi); il "comportamento" del terreno (anch'esso condizionato dalla presenza di reperti sotterranei). Il concetto che sta alla base di queste indagini è ancora una volta il fatto che la presenza di oggetti o resti di edifici nel terreno provoca delle anomalie, delle irregolarità, nel terreno in punti limitati e ben precisi. Questo consente di trovare il punto esatto dove avviare uno scavo.

Tra le indagini geognostiche, per fare alcuni esempi, ci sono quelle che rilevano:

l'orientamento del campo magnetico (INDAGINE NON INVASIVA): il campo magnetico della terra è fisso. Se nel terreno c'è sepolto qualcosa, ad esempio un muro, improvvisamente questo orientamento muta, per poi tornare normale dove l'oggetto non c'è più (perché la presenza di strutture sotterranee non consente al misuratore di campo magnetico di misurare il campo della terra)

la resistività elettrica (INDAGINE NON INVASIVA): si tratta della capacità del terreno di condurre corrente elettrica (capacità che dipende dalla quantità di acqua presente nel terreno). Anche in questo caso improvvisi mutamenti di questa capacità possono dipendere dalla presenza di un muro sepolto

Altre indagini geognostiche più che aiutare a trovare un sito, permettono di avere informazioni più precise su un sito già individuato e vengono talora avviate durante lo scavo. Ad esempio:

i carotaggi (INDAGINE INVASIVA) consentono di rilevare la presenza di frammenti di ceramica o di strati di bruciato in un campione di terreno prelevato con un perforatore. Permettono di delimitare precisamente i confini di un sito già individuato o di avere notizie su eventi accaduti nel sito (incendi)

l'analisi granulometrica (letteralmente: della dimensione dei granuli che compongono il terreno) consente di analizzare la composizione chimica di un terreno trovando indizi della presenza nel passato di oggetti che sono andati in disfacimento: oggetti come un cadavere dentro una cassa di legno che non è più visibile ma che ha lasciato come sua traccia particolari sostanze chimiche nel terreno (ad esempio ha reso il terreno più ferroso nel punto in cui i chiodi della cassa si sono ossidati e poi ridotti in polvere) o che ha lasciato resti anche molto piccoli di ossa, che possono segnalare la presenza in antico di una necropoli; oggetti come vasi di ceramica, che possono lasciare frammenti molto piccoli di argilla cotta.


4) La ricognizione a piedi del sito (INDAGINE NON INVASIVA)

E' un'operazione che si fa sempre, sia per la sua utilità che per il basso costo (basta un po' di "manovalanza"). Si tratta di percorrere attentamente a piedi il terreno individuato precedentemente con altri metodi, documentando (annotando, disegnando, fotografando, indicando la posizione) tutto ciò che di interessante affiora sulla supeficie del terreno. Il sito va diviso in strisce di ampiezza limitata (per essere sicuri di non lasciare fuori nulla) e ognuna viene percorsa da una persona. Quando il sito coincide con un campo arato è frequente che reperti storici prima concentrati in una piccola area siano stati dispersi su un'ampia zona dall'azione dell'aratro; segnando su una cartina come sono distribuiti tali reperti, si può avere un'idea del punto centrale da cui inziare lo scavo.


Quali metodi capita in pratica di utilizzare più frequentemente?


Visti gli alti costi di molte indagini e il fatto che quasi sempre si interviene su siti individuati per caso nel corso di tutt'altre operazioni (ad esempio scavi per realizzare un edificio o l'aratura di un campo che fa affiorare qualche reperto) un'archeologo si trova di fatto ad applicare nella gran parte dei casi solo le indagini geognostiche e la ricognizione a piedi.

In altri casi tali metodi non conducono a realizzare degli scavi: servono a disegnare le "carte di rischio archeologico". Si tratta di mappe in cui si segnalano le zone di terreno entro i confini di un Comune nelle quali è probabile ci siano reperti archeologici. Il Comune dovrà tenerne conto nel momento in cui andrà a pianificare gli interventi sul proprio territorio: quando cioè deciderà come usare il terreno comunale (edificazione o no, di che tipo, tracciato delle strade, ecc.). Se vi sono aree a rischio archeologico si eviterà di programmare azioni che potrebbero distruggerle. Al Piano Regolatore Generale (PRG) Comunale, sarà allegata la carta del rischio.


LE COMPETENZE DELL'ARCHEOLOGO: lo scavo


Il sito di scavo viene innazitutto recintato con picchetti. Quindi inizia lo scavo stratigrafico vero e proprio.


Quando nasce e che cos'è uno scavo stratigrafico?


Nello scavo stratigrafico il principio fondamentale è che non si va semplicemente a rimuovere della terra per cercare degli oggetti, come si faceva nel 1700 e ancora fino agli anni Sessanta del 1900. Questo perché la terra che si scava e che comprende al suo interno i reperti contiene moltissime informazioni sugli eventi accaduti nel corso tempo nel sito di scavo e quindi sulle persone che hanno fatto uso degli oggetti o degli edifici che emergono a mano a mano scavando. L'archeologo dovrà dunque:

rimuovere la terra con grandissima attenzione, usando strumenti piccoli e delicati (il trowel = piccola cazzuola), che gli permettano di rilevare con precisione tutti i mutamenti nel terreno: i passaggi da uno strato ad un altro

ricostruire quali azioni hanno fatto sì che il terreno presenti quella ben precisa stratificazione, ovvero capire la causa che sta dietro la formazione di ogni singolo strato


Come si riconoscono gli strati? Perché il terreno si presenta a strati?


Il terreno appare diviso in strati che si differenziano per colore, consistenza (sabbiosa, gommosa, ecc.) e composizione (terreno argilloso, ferroso, ecc.). Alcuni strati possono differenziarsi dagli altri anche per la presenza di intrusi (cocci, frammenti di mattoni, tracce di bruciato, ecc.)

La stratificazione del terreno è il risultato di una sequenza di azioni (ciascuna coincidente un ben determinato strato) e momenti di pausa, coincidenti con l'interfaccia (cioè la superficie di contatto) tra uno strato e l'altro.

Le azioni (o cause) che determinano la formazione di uno strato di terreno possono essere:

naturali = erosione, trasporto e accumulo di terreno per cause naturali - pioggia, vento - frane - terremoti - eruzioni, ecc. Sono esito di processi molto lunghi nel tempo e determinano una stratificazione geologica.

umane = azioni di scavo e trasporto di materiale esercitate dall'uomo, in tempi ovviamente molto più rapidi. Determinano una stratificazione antropica.

Quando si va a scavare in un qualsiasi terreno si incontreranno una serie di strati, che solo raramente  sono perfettamente orizzontali. L'archeologo dovrà:

- riconoscerli, rimuovendoli con un ordine ben preciso, uno ad uno, dal più recente al più antico;

- capire con quale sequenza o ordine temporale si sono sovrapposti l'uno all'altro;

- capire possibilmente l'origine di ciascun strato, ovvero la causa che ha prodotto ciascuno di essi (naturale o antropica);

- datare ogni strato, in particolar modo quegli strati che contengono reperti archeologici.

Tutto ciò (con l'aiuto indispensabile di disegni e fotografie) permetterà di ricostruire cosa è successo nel luogo di scavo nel corso dei secoli e aiuterà a datare e a dare un significato ai reperti archeologici trovati.


Secondo quale criterio si procede a scavare?


Si applica la cosiddetta "legge di sovrapposizione": si scava a partire dallo strato prodottosi più di recente, proseguendo con ordine a rimuovere strati via via sempre più antichi: non va mai rimosso uno strato a cui ne sia sovrapposto un altro.

Se si trovano fianco a fianco due aree di terreno di aspetto differente (ovvero "strati" diversi), si va a scavare sul confine tra le aree, per capire quale delle due si sovrappone all'altra; se nessuo dei due strati copre l'altro, ma continuano ad affiancarsi anche scendendo in profondità nel terreno, si procederà a scavare contemporaneamente entrambe le aree di terreno.

Ogni strato - nel linguaggio degli archeologi ogni Unità stratigrafica (U.S.) - viene numerato, fotografato e continuamente misurato nella sua estensione e profondità. Le misure vengono riportate su disegni in scala: piante (su fogli di carta da lucido) e sezioni. L'aspetto dello strato viene registrato su un'apposita scheda: la scheda di unità stratigrafica. In questi disegni si rappresentano anche tutti gli oggetti (reperti) che a mano a mano emergono nello scavo: anch'essi sono rappresentati in scala, registrando l'esatta collocazione e la posizione specifica dell'oggetto.

Quando non si trovano più reperti o tracce dell'azione dell'uomo lo scavo si ferma: si è raggiunto il cosiddetto terreno vergine.


Cosa si ha in mano alla fine dello scavo?


Innanzitutto si avrà un grande vuoto nel terreno dove si è effettuato lo scavo. Se nello scavo sono state trovati resti di architetture, questi saranno stati liberati dalla terra soprastante e possibilmente li si lascerà sul posto.

Si avranno inoltre da una parte tutti i reperti trovati, rimossi dal terreno, numerati, pronti per essere puliti, analizzati, studiati. Dall'altra si avranno dei disegni, delle fotografie e delle schede:

- un matrix (grafico che illustra la sequenza nel tempo tra gli strati)

- una serie di piante con i diversi strati e i reperti trovati strato per strato, accompagnate dalle relative fotografie

- una serie di sezioni

una serie di schede che descrivono le singole unità stratigrafiche


LE COMPETENZE DELL'ARCHEOLOGO: dopo lo scavo


Terminato uno scavo, innanzitutto si procede alla datazione dei reperti.

Conoscendo la posizione dei reperti nel terreno e la sequenza degli strati si avrà già in mano una datazione relativa: sarà possibile dire quali oggetti sono più antichi, quali all'incirca coevi tra loro (perché collocati in un medesimo strato), quali successivi. Nel caso fortunato che qualche reperto rechi su di sé una data sarà anche possibile precisare per tutti gli altri reperti trovati nello stesso sito di scavo un terminus post quem (letteralmente: data dopo la quale): ad esempio una moneta romana coniata da un imperatore (oggetto databile con enorme facilità) costituirà il terminus post quem per lo strato in cui viene trovata e per tutti gli strati superiori: tutti gli oggetti di quello strato potranno essere o contemporanei o successivi  alla moneta (post quem), senz'altro non precedenti.

Con analisi di laboratorio si cercherà di ottenere delle datazioni assolute per ciascun reperto. Tra le tecniche per la datazione assoluta più usate oggi ci sono:

- l'analisi del radiocarbonio (C14) nei reperti di origine organica.

- la dendrocronologia per reperti di legno.


Il radiocarbonio è presente di norma nell'atmosfera terrestre. Viene assorbito dalle piante, quindi dagli animali erbivori e infine anche dai carnivori e dall'uomo (a causa della catena alimentare). Si trova dunque in tutti gli esseri viventi. La morte dell'essere vivente (vegetale o animale che sia) comporta l'arresto dell'assorbimento del C14: la sua presenza nel essere ormai morto a partire da quel momento si dimezza ogni 5630 anni. Analizzando dunque il C14 presente in un reperto di origine organica, si può risalire alla data della morte dell'essere vivente da cui proviene il reperto.


La dendrocronologia sfrutta il fatto che il tronco degli alberi tagliato orizzontalmente presenta una serie di anelli di spessore variabile: ad ogni anello di crescita corrisponde un anno di vita dell'albero. Contando gli anelli si può dunque datare un albero vivente. Se per una località geografica si hanno a disposizione molti reperti lignei di epoche diverse, attraverso il confronto tra la conformazione degli anelli si arriva ad elaborare una catena di tronchi che parte dal presente e risale indietro di secoli. Un nuovo reperto ligneo trovato nella medesima località potrà essere datato confrontando la forma dei suoi anelli con quella di tronchi (datati) collocati nella catena. I confronti sono fatti dal computer.


NB: datare un qualsiasi reperto trovato in uno strato significa sempre automaticamente datare tutti gli altri reperti trovati nel mesimo strato: le datazioni coincidono.


I reperti in terracotta (vasi per lo più) un tempo erano analizzati con la termoluminescenza. Oggi questa tecnica viene considerata poco affidabile. Vista però l'enorme quantità di vasi che si trovano negli scavi, avendone datati parecchi grazie al contenuto dei vasi stessi o a reperti orgnaici o lignei trovati negli strati in cui erano i vasi, si procede molto semplicemente per confronti: le forme e le modalità di produzione erano così standardizzate in ciascun periodo e luogo, che dati due vasi di uguale forma e sezione, la datazione è per certo la stessa.


Cosa avviene dopo la pulizia, classificazione, analisi e datazione dei reperti?


I reperti per lo più andranno a finire in un museo.


Quanto al sito dello scavo, se non c'è necessità di realizzarvi sopra delle opere nuove (case, strade, ecc.), e se sono state rinvenute architetture rilevanti e non solo oggetti sparsi, si cercheranno i modi per rendere il sito di scavo visitabile e farlo fruire al pubblico. In alcuni casi la costruzione di edifici nuovi non comporta la totale distruzione delle strutture antiche trovate sottoterra: queste possono talore essere lasciate in luce nei piani sotterranei del nuovo edificio.

Più si riesce a far immaginare al visitatore l'aspetto originario del luogo che si va a visitare e la vita di chi lo abitò e meglio si comunica col pubblico. A questo fine sono molto utili le ricostruzioni grafiche.

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