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I mille volti dell'amore




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I mille volti dell'amore















Il tema dell'Amore, in tutte le sue molteplici forme, ha attratto l'estro poetico ed artistico umano fin dai tempi più antichi: già nell'Iliade si pone il funesto amore tra Paride e la bellissima Elena alla base della sanguinosa guerra di Troia; nell'Odissea si oppongono l'amore passionale, quasi morboso, della ninfa Calipso per il valoroso Ulisse e quello più maturo ma talmente forte da sopravvivere ai lunghi anni di separazione dal marito della fedele Penelope.


Con il passare dei secoli, questo argomento arriva addirittura ad assumere un ruolo di fondamentale importanza, ad essere il fulcro intorno a cui ruota tutta l'arte elegiaca latina: secondo i poeti neoteroi, infatti, il coinvolgimento totale nell'esperienza amorosa e poetica è l'unico degno di essere vissuto fino in fondo. Il maggior esponente di questo circolo poetico è certamente Valerio Catullo che, mediante i suoi versi, narra la sua personale storia d'amore con la donna da lui chiamata, secondo l'usanza della lirica erotica, con il falsum nomen di Lesbia: un amore tempestoso, complesso e tormentato, costellato di abbandoni, tradimenti, provvisorie riconciliazioni, che in modo alterno lo esaltò o lo trasse allo sconforto.

Sappiamo da Apuleio che il vero nome della donna amata da Catullo era Clodia, ma lo pseudonimo scelto dal poeta contiene un richiamo allusivo a Saffo, la poetessa dell'isola di Lesbo che aveva cantato la passione amorosa con accenti di sconvolgente intensità, ed è destinato a caratterizzare la donna amata come docta puella, dotata di cultura e di gusti letterari raffinati. Inoltre, Catullo sentì che proprio Saffo aveva cantato per tutti gli amanti la febbre dell'amore: di quell'amore che in lei è desiderio che non vuol finire, fiamma che vuole ardere sempre, passione che vive di se stessa: vibrazione perpetua di un'anima che vuol magari morire ma non cessare di amare; Saffo concepiva l'amore come gaudio e come pena, Catullo lo sentiva gioia insieme e perdizione.

Nell'insieme del liber, comunque, a emergere e a imporsi sono gli aspetti tormentosi di questo amore mai veramente corrisposto, vissuto nel segno della contraddizione. In esso vi furono ore di frenesia e ore di collera, momenti di felicità e momenti di disperazione, riprese, preghiere, invettive.sino all'abbandono finale: ma il cuore del poeta non disse mai addio a quella donna e la pena restò. Egli aveva vissuto per Lesbia lunghe ore di felicità, lunghe ore di martirio; ora restava solo il martirio, ed il doppio veleno: l'odio e l'amore.


Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.       Odio ed amo. Forse mi chiedi perché faccio ciò.

Nescio, sed fieri sentio et excrucior.                         Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.


Il contrasto di sentimenti che l'amore provoca è uno dei topoi più comuni nella letteratura mondiale di ogni tempo; ma in Catullo c'è qualcosa di più: c'è la consapevolezza della difficoltà, certo, ma il dramma si acuisce con la triste constatazione che tale difficoltà nasce indipendentemente dalla volontà umana. Al poeta non resta altro che prendere atto della situazione e soffrirne terribilmente. Il poeta soffre a causa dei tradimenti di Lesbia ed è confuso: questo aspetto appare evidente fin dall'odi et amo iniziale, un ossimoro che illustra i sentimenti contrastanti di Catullo. Ad esso segue una domanda indiretta e filosofeggiante (quare id faciam) e la risposta (v. 2). La confusione del poeta è ben visibile nell'uso di una folla di forme verbali che culmina con la climax del verso 2 il quale permette, inoltre, di comprendere il tormento dell'animo dello scrittore: excrucior, infatti, che letteralmente significa vengo messo in croce, rimanda con la sua pronuncia all'idea del dolore lacerante; in questo contesto, si traduce con soffrire, tormentarsi per rendere bene l'idea del dolore.   

All'eros, dunque, non è più riservato lo spazio marginale che gli accordava la morale tradizionale (come una debolezza giovanile, tollerabile purché non infrangesse certe limitazioni e convenienze soprattutto di ordine sociale) ma esso diventa centro dell'esistenza. Tutte le energie vitali del poeta e tutto il suo impegno morale si concentrano senza riserve nello spazio dell'esperienza amorosa: l'amore diviene l'unico autentico valore per il quale valga la pena di vivere. Catullo aspira pertanto a trasformare la sua relazione con Lesbia, di per sé instabile ed irregolare, in un legame amoroso del tutto nuovo, concepito come un vero e proprio foedus o patto sacro ed inviolabile, fondato sulla fides e garantito dalla protezione degli dèi. Soltanto in questo reciproco impegno d'amore, stretto per libera scelta dai due amanti al di fuori del matrimonio, possono trovare una conciliazione due forme o componenti dell'amore che di norma si trovano nettamente separate nella società in cui Catullo vive: da una parte la passionalità erotica, caratteristica delle libere relazioni extraconiugali (amare); dall'altra un sentimento più profondo, serio e duraturo, fatto di tenero affetto e di stima, quale si prova per i propri familiari e per gli amici più cari (bene velle). Il patto d'amore può così rivendicare, agli occhi di Catullo, non minore dignità di un'unione coniugale legittima, in un'appagante dimensione di compiutezza psicologica ed affettiva.

Ma Catullo è costretto a prendere atto dell'irrimediabile fallimento del suo progetto: i ripetuti tradimenti di Lesbia mostrano chiaramente che la puella non è disposta a condividere e rispettare il foedus amoroso. La conseguenza più drammatica dell'infrazione del patto d'amore da parte della donna è la scoperta di una lacerante scissione interiore. Con lucida forza introspettiva, Catullo, avverte che le due componenti del suo amore, passionale ed affettiva - amare e bene velle - si sono dissociate; si sente attraversato da sentimenti conflittuali, preda di forze irrazionali ed incontrollabili: la passione sensuale divampa ancora, inestinguibile, ma è paradossalmente accompagnata dall'odio e dal disprezzo.


Dicebas quondam solum te nosse Catullum, Un tempo dicevi di amare soltanto Catullo,

Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem. o Lesbia, e di non voler tenere per me neppure Giove.

Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam, Allora ti amai non tanto come il popolo ama l'amante,

sed pater ut gnatos diligit et generos. ma come un padre ama i figli ed i generi.

Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror, Ora ti ho conosciuta: perciò sebbene io bruci più fortemente,

multo mi tamen es vilior et levior. tu sei tuttavia per me molto più vile e spregevole.

Qui potis est, inquis? quod amantem iniuria talis     Come è possibile, tu dici? poiché una tale offesa

cogit amare magis, sed bene velle minus. costringe chi ama ad amare di più, ma a volere meno bene.


Il carme è chiaramente suddiviso in due parti: la prima (vv.1-4) narra la felicità passata con l'utilizzo di tempi storici (dicebas, nosse, dilexi) ed avverbi che richiamano un tempo ormai finito (quondam, tum); la seconda, introdotta dal nunc te cognovi che crea una brusca interruzione della rievocazione nostalgica del passato, spiega la situazione attuale, più dolorosa, del poeta con l'utilizzo di tempi presenti (cognovi, uror, es,  potis, inquis) ed avverbi che richiamano la durezza del presente ed il turbamento dell'autore (nunc, tamen). La domanda che apre il verso 7 evidenzia la condizione psicologica di Catullo, già presente nel carme LXXXV (odi et amo); ma, mentre in quest'ultimo egli non sapeva trovare risposta alla sua domanda, qui chiarisce immediatamente il suo pensiero risolvendo razionalmente l'incongruenza.





Un altro grande autore latino, invece, trattò l'amore mitico: questo scrittore è Apuleio la cui opera, Le Metamorfosi o L'asino d'oro (nella quale il protagonista narra la sua trasformazione in asino), è l'unico romanzo latino a noi giunto integralmente.

Nel testo Apuleio aggiunge molte sottotrame nate da leggende popolari. Tra le più belle troviamo senza dubbio Amore e Psiche, una delle più squisite composizioni artistiche della letteratura latina imperiale nella quale lo stesso Apuleio, l'unico antico che ci abbia trasmesso l'immortale leggenda, ha impiegato tutte le risorse del suo stile fastoso ed immaginoso e della sua indole insieme oscena e tragica, mistica e beffarda; in questa fabella, l'incanto della credenza popolare è mescolato, anzi che fuso, con la schernitrice rappresentazione del vecchio mondo divino.

Psiche è una bellissima principessa, così bella da causare l'invidia di Venere:


Erant in quidam civitate rex et regina. Hi tres numero filias forma conspicuas habere, sed maiores quidem natu, quamvis gratissima specie, idonee tamen celebrari posse laudibus humanis credebantur, at vero puellae iunioris tam precipua tam praeclara pulchritudo nec esprimi ac ne sufficienter quidem laudari sermonis umani penuria poterat.

Vi erano in una città un re e una regina. Questi avevano tre bellissime figliole. Ma le due più grandi, quantunque di aspetto leggiadrissimo, pure era possibile celebrarle degnamente con parole umane; mentre la splendida bellezza della minore non si poteva descrivere, e non esistevano parole per lodarla adeguatamente. 


La dea invia suo figlio Eros perché la faccia innamorare dell'uomo più brutto e avaro della terra, affinché Psiche sia coperta dalla vergogna di questa relazione. Ma il dio si innamora della mortale, e, con l'aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo, dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua. Ogni notte Eros va alla ricerca di Psiche, ogni notte i due bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto. La ragazza è, dunque, prigioniera nel castello di Eros, legata da una passione che le travolge i sensi. Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, pronta a tutto, anche all'essere più orribile, pur di conoscerlo. Le malvagie sorelle, infatti, sono riuscite a convincere l'ingenua fanciulla ad uccidere quella stessa notte lo sposo invisibile, insinuando che si tratti di un mostro e che si appresti a divorarla. Ella deve, dunque, ucciderlo; ma, nell'attesa del momento propizio, si rende conto che, contemporaneamente, in eodem corpore odit bestiam, diligit maritum ("nel medesimo corpo, ha ribrezzo dell'animale, ma ama il marito"). Ma Psiche, spinta dalla curiosità, decide di compiere comunque il misfatto,


sed cum primum luminis oblazione tori secreta claruerunt, videt omnium ferarum mitissimam dulcissimamque bestiam, ipsum illum Cupidinem formonsum deum formonse cubantem.


ma appena la luce si offerse a rischiarare l'intimità del letto nuziale, essa vede la più tenera e la più dolce di tutte le fiere, proprio Cupido in persona, il leggiadro dio, che leggiadramente riposava.


È, quindi, questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante:

sic inustus exiluit deus visaque detectae fidei colluvie prorsus ex oculis et manibus infelicissimae coniugis tacitus avolavit.

sentendosi scottare, il dio balzò in piedi e vide la sua fede tradita e oltraggiata. Immediatamente volò via, senza far motto, sottraendosi ai baci e agli abbracci dell'infelicissima consorte.

Il dio, dunque, vola via e Venere poco dopo cattura Psiche per sottoporla alla sua punizione. La dea sottopone la nuora a diverse prove nelle quali quest'ultima viene aiutata dagli "spiriti della natura". L'ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un po' della sua bellezza in un vasetto. Psiche avrebbe dovuto consegnarlo a Venere senza aprirlo, ma, durante il ritorno, mossa ancora una volta dalla curiositas, la giovane aprirà l'ampolla che in realtà contiene non la bellezza, ma il sonno più profondo. Questa volta verrà in suo aiuto lo stesso Amore, che la risveglierà dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera (uscita dalla ampolla); non solo: il dio otterrà per lei da Giove l'immortalità e la farà sua sposa. Dalla loro unione nascerà una figlia, chiamata Voluptas.

La storia di Amore e Psiche, come il resto de L'asino d'oro, ha un significato allegorico: Cupido (identificato con il greco Eros, signore dell'amore e del desiderio), unendosi a Psiche (cioè l'anima), le dona l'immortalità, ma Psiche per giungervi deve affrontare innumerevoli prove, tra cui quella di scendere agli Inferi per purificarsi. La favola, insomma, rappresenterebbe il destino dell'anima, che, per aver commesso il peccato di hybris (tracotanza) tentando di penetrare un mistero che non le era consentito di svelare, deve scontare la sua colpa con umiliazioni ed affanni di ogni genere prima di rendersi degna di ricongiungersi al dio. Inoltre, la posizione centrale della favola nel testo originale aiuta a capire lo stretto legame che lega questo 'racconto nel racconto' con l'opera principale; è infatti facile scorgere in questa favola una 'versione in miniatura' dell'intero romanzo: come Lucio, anche Psiche è una persona simplex et curiosa, e come Lucio compie un'infrazione, che viene duramente punita, e solo in seguito a molte peripezie potrà raggiungere la salvezza.

In ogni caso, qualunque sia il rivestimento allegorico voluto dall'autore, il nucleo originario di questa favola è popolare, e della fiaba popolare ha tutti gli elementi, ancora oggi vivi, sin dalle prime parole: erat in quidam civitate rex et regina.Ma quando? Dove? In che paese? In che tempo? Non si sa. Ed appaiono il re, la bella principessa esposta al mostro, il palazzo incantato,le sorelle cattive e punite, lo sposo invisibile e divino; poi le tante disavventure e le imprese tremende ed impossibili che la principessa compie grazie ad aiuti miracolosi; la felicità finale.

Nonostante tutti gli artifici stilistici e la prosa coinvolgente di Apuleio, è questa la fiaba popolare che continua a vivere oltre i confini della letteratura.




Questo stesso tema fu ripreso moltissime volte nella storia dell'arte: basta vedere, per esempio, il dipinto Amore e Psiche di François Gèrard. In esso, Eros, rappresentato con le ali come gli antichi amorini, bacia la bellissima principessa; quest'ultima, però, a causa del divieto divino secondo il quale non può guardare lo sposo, volge lo sguardo un po' malinconico verso l'osservatore.


Psiche è una parola greca che etimologicamente significa soffio: è il soffio che anima e vivifica il corpo; i latini tradussero il termine con anima mantenendo il dualismo platonico di anima e corpo laddove vige la distinzione tra mentale e fisico. Ma psiche significa anche farfalla: infatti, nel quadro sopra citato, si può vedere una delicata farfalla volare sopra il capo della fanciulla.



Per lo stesso motivo, nella scultura raffigurante i due amanti, Canova pone tra le mani di Eros quest'elegante insetto le cui ali richiamano quelle (in questa statua assenti) del dio Amore.


Ma il capolavoro di Canova, per quanto riguarda questo soggetto, è certamente il gruppo scultoreo Amore e Psiche esposto al museo del Louvre a Parigi. Ne esiste anche una seconda versione, conservata all'Ermitage di San Pietroburgo, in cui i due personaggi sono raffigurati in piedi e una terza, sempre esposta al Louvre, in cui la coppia è stante. Delle tre versioni, la prima, cronologicamente parlando, è la più famosa e acclamata dalla critica

La scultura è realizzata in marmo bianco, materiale prediletto dall'artista in quanto adatto al fine della resa di forme morbide e flessuose, levigato e finemente tornito, sperimentando con successo il senso della carne (dato anche dalla trattazione con cera rosata o ambrata per rendere l'incarnato dei corpi) che Canova mirava ad ottenere nelle proprie opere. La monocromia, in contrasto alla drammaticità e al pittoricismo barocco, è un canone del neoclassicismo che Canova riprende per menomare la carica espressiva.



Con quest'opera, Canova sceglie di rappresentare il momento finale della favola antica, quando Eros rianima Psiche svenuta in seguito all'apertura del vaso di Proserpina contro il volere di Venere. Si ha, quindi, l'idea del fluire continuo della bellezza dell'amore nella misteriosa dimensione di un sonno profondo come la morte; non a caso Psiche è rappresentata nel momento cruciale in cui vien meno (circondata dai vapori stigi del vaso di Proserpina da lei appena aperto): la sua figura, dunque, così delicatamente protesa verso Amore, è colta dal Canova un attimo prima del completo risveglio da una morte che sarebbe stata certa se non fosse sceso dal cielo l'alato salvatore.

Ecco il passo che ha ispirato l'artista e che descrive il momento in cui la curiosa Psiche apre il vasetto che dovrebbe contenere il segreto della bellezza:


Nec quicquam ibi rerum nec formositas ulla, sed infernus somnus ac vere Stygius, qui statim coperculo relevatus invadit eam crassaque soporis nebula cunctis eius membris perfunditur et in ipso vestigio ipsaque semita conlapsam possidet. Et iacebat immobilis et nihil aliud quam dormiens cadaver.


Ma dentro non c'era niente, e di bellezza neppur l'ombra. V'era solo un sonno infernale, un sonno davvero degno dello Stige, che, appena libero dal coperchio, la assalì: una densa nube gravida di sonno le avvolse le membra e si impadronì di lei, e Psiche cadde a terra proprio sulla via, nel luogo stesso ove aveva posato il piede. E così la giovane giacque immobile, in tutto simile a un cadavere sepolto nel sonno della morte.


Solo in questo momento Eros arriva a salvare l'amata commentando il suo gesto con poche e tenere parole:


"Ecce - inquit - rursum perieras, micella, simili curiositate"


"Ecco - dice - che per la seconda volta tu, poverina, ti sei perduta per la stessa curiosità"


A questo punto, si può affermare che il genio canoviano sa mettersi in perfetta sintonia con un testo letterario: egli, infatti ne interpreta non soltanto le strutture narrative e le allusioni iconografiche, ma anche l'interna tensione morale, sentimentale e stilistica. A tal proposito, basterà sottolineare come il gesto delle braccia di Amore circondi tenerissimo il corpo delicatamente composto e roseo di Psiche, che appare circonfuso da un sottile incanto erotico, pronto a ricevere i palpiti di carezze conosciute e lungamente attese. È un gesto che compie un rito misterioso togliendo accuratamente il sonno dall'amata per riporlo nuovamente all'interno del vasetto.

Nel raffigurare Amore e Psiche, Canova evita in parte di accentuare l'elemento drammatico della favola, per incentrare l'attenzione sul forte vincolo d'amore che lega le due creature esaltandone la straordinaria bellezza.

La scultura ha fermato un momento dove la tensione dei giovani corpi è leggera. Si tratta dell'attimo che precede il bacio, i due infatti, non ancora abbracciati, sono tesi per il momento fatale che la postura dei fisici e degli sguardi preannuncia.

L'opera rappresenta, con un erotismo sottile e raffinato, il dio Amore mentre contempla con tenerezza il volto della fanciulla amata, ricambiato da Psiche da una dolcezza di pari intensità. Le figure sono rappresentate nell'atto subito precedente al bacio, un momento carico di tensione, ma privo dello sconvolgimento emotivo che l'atto stesso del baciarsi provocherebbe nello spettatore. Questo è il momento di equilibrio, dove si coglie quell'istante di amoroso incanto tra la tenerezza dello smarrirsi negli occhi dell'altro e la carnalità dell'atto. Le due figure si intersecano tra di loro formando una X morbida e sinuosa che da luogo all'opera che vibra nello spazio.

Si ha, inoltre, una ricerca formale tesa verso la realizzazione di un tipo di bellezza cristallizzata in precise rispondenze lineari e volumetriche di impronta classico manieristica. Infatti, il gruppo marmoreo Amore e Psiche del 1788 è un capolavoro nella ricerca di equilibrio. Essa si fa complessa per la posa divergente delle due figure (che si uniscono, tuttavia, armonicamente mediante l'incrocio delle diagonali), per il movimento che queste imprimono al gruppo scultoreo e per la molteplicità dei punti di vista che costringono lo spettatore a girare intorno all'opera. L'insieme, pertanto, costituisce una forma aperta, inserita nello spazio pluridirezionalmente, mentre la compresenza di pieni e vuoti fa sì che questi ultimi siano parte integrante della scultura con la stessa importanza dei volumi.

In questo squisito arabesco le due figure sono disposte diagonalmente e divergenti fra loro. La disposizione piramidale dei due corpi così ottenuta è bilanciata da una speculare forma triangolare costituita dalle ali aperte di Amore. Le braccia di Psiche invece incorniciano il punto focale, aprendosi a mo' di cerchio attorno ai volti e il movimento circolare si conclude nell'incrocio degli sguardi All'interno del cerchio si sviluppa una forte tensione emotiva in cui il desiderio senza fine di Eros è ormai vicino allo sprigionamento. Inoltre, l'artista sembra voler sfidare la legge di gravità, perché questa composizione con gli elementi protesi verso l'esterno, sottili come le membra dei personaggi e soprattutto le ali spiegate di Amore, sottilissime e quasi impalpabili, portano una materia inerte e pesante come il marmo alle sue estreme possibilità di resistenza fisica, facendola sembrare leggera e soffice. I movimenti appaiono sciolti, aggraziati, continui e ben sincronizzati, si sviluppano con gesti delicati ed espressivi, studiati in una coreografia perfettamente equilibrata.

La gestualità e il movimento introducono anche la dimensione del tempo, ma anzichè manifestarsi con un suo naturale trascorrere, il tempo viene eternizzato dall'artista in un attimo 'sublime', che rimane in sospeso.

L'elegante fluire delle forme sottolinea, allora, la freschezza dei due giovani amanti: è qui infatti rappresentata l'idea di Canova del bello, ovvero sintesi di bello naturale e di bello ideale, di bellezza assoluta e spirituale.

In questa ricerca di equilibrio tra naturalismo e idealizzazione Canova risponde in pieno al principio di 'grazia' insegnato da Winckelmann, ma allo stesso tempo introduce già alcuni valori che saranno propri del Romanticismo. La dolcezza e la sottile sensualità dell'opera, l'uso delle linee di tensione interne, il dinamismo compositivo impostato su un ritmo avvolgente e crescente, la stessa componente emozionale che si sviluppa attorno alla scena, sono elementi che appartengono alla sensibilità romantica.








Per dimostrare che questo non è un tema che riguarda solo la letteratura classica, anche nella cultura letteraria in lingua volgare quello dell'amore è un tema largamente trattato.

In questo caso uno degli autori più conosciuti è certamente Dante Alighieri che si occupa di questo argomento, dalla sua forma più terrena e passionale a quella puramente divina e platonica, oltre che nei vari sonetti stilnovisti, anche in alcuni canti della Divina Commedia.

Egli, infatti, introduce questo soggetto nel quinto canto dell'Inferno con le famose terzine:


Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,

prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer si forte,

che, come vedi, ancor non m'abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.


e lo rende più concreto attraverso il racconto di Francesca da Rimini, figlia di Guido da Polenta (signore di Ravenna) e costretta a sposare Gianciotto Malatesta (signore di Rimini) che era zoppo e deforme; innamoratasi di Paolo, fratello di Gianciotto, fu uccisa dal marito che la sorprese con l'amante.


Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse;

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma un sol punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser basciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.

Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante.


In seguito, nel Purgatorio, lo scrittore ritorna sull'argomento attraverso le poche, gentili parole di Pia dei Tolomei la quale, invece di rivolgere parole ingiuriose al marito che l'ha uccisa, preferisce ricordare l'uomo che un tempo aveva fatto di lei la sua sposa:


Siena mi fé, disfecemi Maremma:

salsi colui che 'nnanellata pria

disposando m'avea con la sua gemma.


Il discorso viene poi ancora ripreso nel Paradiso con Piccarda Donati. Sorella di Corso (già incontrato nell'Inferno) e di Forese (grande amico che Dante ritrova nel Purgatorio), ella entrò giovanissima nel monastero di Santa Chiara e pronunciò i voti. Ma i fratelli la strapparono alla vita claustrale e le imposero come marito Rossellino della Tosa: perciò, Piccarda è collocata tra coloro che non mantennero i voti di castità.

L'episodio di Piccarda è trattato con linee, colori e suoni stilnovistici: un linguaggio poetico che è di per se stesso memoria ed elegia poetica.

Dapprima, la donna parla al poeta della fondatrice dell'ordine monastico del quale ella faceva parte, santa Chiara di assisi:


'Perfetta vita e alto merto inciela

donna più su', mi disse, 'a la cui norma

nel vostro mondo giù si veste e vela,

perché fino al morir si vegghi e dorma

con quello sposo ch'ogne voto accetta

che caritate a suo piacer conforma.'


Dunque, Piccarda fu monaca clarissa e con il voto di castità realizzò il suo matrimonio con Cristo: la terminologia del rapporto Cristo-suora è quella del rapporto matrimoniale, qui utilizzata in senso religioso, secondo l'indirizzo mistico per cui la monacazione era un matrimonio in cui si vivevano a livello morale e psicologico le esperienze dell'incontro carnale.

La vita monacale della ragazza, però, viene bruscamente interrotta:


Uomini poi, a mal più ch'a bene usi,

fuor mi rapiron de la dolce chiostra:

Iddio si sa qual poi mia vita fusi.


Con questi versi culmina l'episodio di Piccarda, di questa mite e dolce creatura femminile che nella prima parte si è rivelata misticamente dominata dal desiderio di abbandonarsi in Dio, nella seconda dice parcamente di sé e soprattutto esprime lo stupore che nel mondo possa imperversare tanta malvagità, tanta mancanza di rispetto delle decisioni e dell'intimità altrui. Alla pace, ora raggiunta in paradiso, aveva cercato di uniformarsi durante l'esistenza terrena ed, ancora giovinetta, aveva cercato di seguire l'esempio di santa Chiara: per proteggersi contro l'aggressione del male si era vestita dell'abito monacale. Ma il mondo, più per abitudine al male che per volontà diabolica, la inseguì fin dentro il chiostro e la offese. Ma nelle parole della beata non c'è rancore, bensì un velo di tristezza per la follia degli uomini, per la stolta dissennatezza del mondo. Ella è ormai uno spirito sereno che, dall'alto del cielo, guarda con compassione la traviata vita della terra. Però, in questa ormai serena lontananza, in cui giungono come un'eco i rumori del mondo, trema, ultimo segno della presenza appena accennata, una nota malinconica nel rievocare, coprendolo con un velo di pudore, il ricordo di un'esistenza infelice dopo la violenza subita. Ma spiritualmente lei restò fedele all'ideale del chiostro e ad esso ritorna col rimpianto di chi non ha visto adempiuto il suo desiderio: l'accento batte, infatti, sulla dolce chiostra, accarezzando nel rimpianto l'immagine di quell'oasi di pace e di preghiera, alle cui soglie dovevano spegnersi i rumori e le passioni del secolo. Ma quell'ideale si realizza nel chiostro del paradiso: si realizza così la linea di continuità che lega la terra ed il cielo, e dell'esperienza terrena fa un'anticipazione di quella che culmina nell'aldilà.

L'ultimo verso indica il totale abbandono della monaca a Dio, che tutto sa, anche quella sua vita della quale non si può dire che ella rifugga dal ricordare, perché non è più per lei se non un'ombra lontana.

Infine, Piccarda parla dell'imperatrice Costanza d'Altavilla, anche lei strappata dalla vita monastica per contrarre un matrimonio di convenienza:


Ma poi che pur al mondo fu rivolta

contra suo grado e contra buona usanza,

non fu dal vel del cor già mai disciolta.


Cioè, nel cuore fu sempre una suora e continuò a considerare la vita monastica come un ideale anche nell'esistenza mondana cui fu costretta. Ovviamente, questa condizione accomuna le due donne, pertanto, ciò che detto di sé sarebbe suonato di poca umiltà, viene riferito a Costanza.


Dunque, mentre Francesca non esita a raccontare l'intera vicenda che l'ha portata alla morte, minacciando, quasi maledicendo il suo assassino (Caina attende chi a vita ci spense); Pia dei Tolomei e Piccarda, pur non sapendo resistere alla violenza, sanno compatire gli offensori: incrollabile non è la loro energia, ma il loro amore. Come Pia, anche e più decisamente Piccarda stende un velo caritatevole sui suoi offensori: non dice chi essi siano, e tanto meno che a capitanarli era stato il fratello: il plurale vela ancora più la colpa di costui. Anche il suo proprio dolore è lasciato da Piccarda nell'indefinito.

Inoltre, esiste ancora un importantissimo legame tra le tre donne: vi è come un percorso ascensionale che lega i sentimenti d'amore da esse provati. Francesca vive un amore terreno, peccaminoso, addirittura al di fuori del sacro vincolo matrimoniale ed avrà accanto a sé, fino al giorno del giudizio universale, l'anima di colui che ha peccato insieme a lei. Pia non parla del suo amore per il marito, ma, molto delicatamente, lo ricorda mentre compie un atto amoroso, non fisico come il bacio descritto dalla signora di Rimini, ma spirituale: il matrimonio; inoltre, l'uomo non è presente. Infine, Piccarda non nomina nemmeno il suo sposo terreno, ma soltanto quello che era stato scelto da lei e che la sua anima, ormai beata, continuerà ad amare in eterno: Dio.


Ma Dante non si ferma ai tre personaggi femminili della Commedia per parlare d'amore: egli immagina un cielo ad infondere inclinazioni amorose sulla terra. E quale nome migliore se non cielo di Venere

Quindi, dato che dal cielo di Venere piovono sugli uomini le inclinazioni all'amore, il poeta chiarisce quale specie di amore nutrono i beati che accorrono ad incontrarlo in quel cielo, distaccandosi così dal pensiero dei pagani:


Solea creder lo mondo in suo periclo

che la bella Ciprigna il folle amore

raggiasse, volta nel terzo epiciclo


Gli antichi, egli dice, credevano che la dea Venere irraggiasse l'amore sensuale e perciò le facevano onore; avevano dato il suo nome alla stella del terzo cielo, così come avevano dato ad altri pianeti il nome di altri dei. Dante, naturalmente, non cade in questo antico errore, ma sa che esso contiene una parte di vero: anche per lui dal movimento del cielo di Venere s'irradia sugli uomini l'amore di cui esso è pieno; ma questo è un ardore virtuoso per il quale le anime della terra si accendono d'amore, secondo la loro disposizione. La contrapposizione dell'amore virtuoso al folle amore non è esplicita, ma è evidente che un amore men che virtuoso o per lo meno trasformato in esso non poteva essere premiato in paradiso. In questo luogo, infatti, non ci si pente del peccato, ma si gioisce della virtù divina che ha dato una capacità d'amore così grande che, una volta rinnegato l'amore folle, ha reso possibile un amore verso Dio tanto alto, da ispirare grandi opere meritorie. Venere, allora, irradia amore in tutta la sua estensione, attuato dai singoli secondo la disposizione di ciascuno: l'inclinazione all'amore può, sì, giungere per errore umano al peccato, ma può riscattarsi e volgersi a Dio; e può anche darsi che quest'ultimo amore non sia che trasformazione e sublimazione dell'amore sensuale.


E da costei ond'io principio piglio

pigliavano il vocabol de la stella

che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.


Dante intende, insomma, richiamarsi al principio filosofico dell'idea insita nel mito di Venere; e da tale principio afferma di derivare spiritualmente tutto il suo essere, dominato, fin dalla fanciullezza, dall'amore; questo principio, d'altra parte, non potrebbe rischiare di essere male inteso da lui, né di torcerlo a falsa credenza, come aveva già torto il mondo antico, perché per lui Venere è non più che una figura comoda ed altamente poetica.







Pour ce qui concerne l'amour caché et impossible, un bon exemple est donné par la célèbre pièce de théatre Cyrano de Bergerac écrite par Edmond Rostand en 1897 et inspirée par la figure historique de Savinien Cyrano de Bergerac, l'un des plus inspirés écrivains du dix-septième siècle français.

Cette ouvre est un drame post-romantique, véritable somme des potentialités expressives pour ce qui concerne la sphère des sentiments et des passions humaines; de plus, le héros démontre avec panache que l'on peut, dans l'adversité, garder la tête haute et faire preuve d'un très grand sens de l'honneur, avec la plus haute élévation d'ame.

Cyrano de Bergerac est un homme de haute volée, plein d'esprit, de courage, qui souffre de sa laideur; il est un ombrageux spadassin avec un très long nez, écrivain et poète avec une irrésistible vitalité. Son habilité avec l'épée et sa passion pour la poésie sont légendaires.

De plus, il nourrit secrètement un amour candide et impossible pour la belle Roxane, sa cousine (la femme idéale : belle et intelligente); mais il ne s'estime pas digne de l'aimer à cause de sa laideur rendue encore plus insupportable par son très long nez. Ce nez sera, donc, la barrière entre lui et l'amour.

Mais un autre cadet est tombé amoureux de Roxane: c'est Christian, homme très beau et habile avec l'épée, mais sans le don de l'éloquence; Roxane aussi est attirée par l'agréable figure de Christian avec lequel, toutefois, elle n'a jamais parlé.

Cyrano veut que Roxane vit l'amour, mais pas le sien (sûrement sincère, mais trop laid pour la gracieuse jeune fille): il décide, donc, de donner les mots au cour du timide Christian et d'unir sa superbe poétique à la beauté du jeune homme. Ses compositions ne sont pas seulement littéraires: elles représentent aussi un moyen, pour Cyrano, de créer une identité pour lui même qu'il sent ne pas pouvoir avoir dans la vie réelle; comme Christian ne peut pas s'exprimer avec les mots, Cyrano ne peut pas s'exprimer avec l'action: la seule action qu'il entreprend pour conquérir le cour de Roxane est cette composition, pour cela les lettres deviennent inséparables de la beauté intérieure du héros.

L'éloquence de Cyrano dans les nombreuses lettres signées avec le nom de Christian et le sentiment dans sa voix quand il déclare son amour sous le balcon de Roxane pendant une nuit sombre (la scène du balcon serait inspirée d'un fait de jeunesse, le poète ayant effectivement aidé Jérôme Faduilhe dans sa cour, jusque-là infructueuse, à une certaine Marie Castain : il lui avait écrit ses lettres d'amour) portent au mariage de Roxane et Christian juste quelques minutes avant l'ordre pour la compagnie du départ pour le siège d'Arras.      

Au fur et à mesure que le temps passe, Roxane se rend compte d'aimer Christian indépendamment de son aspect physique, elle l'aimerait même s'il était laid: un jeune avec un si noble cour, qui le fait sursauter avec la douceur de ses mots et de ses lettres, ne peut qu'être aimé.


"Ce n'est plus que pour ton ame que je t'aime                           "Per l'anima sola io mi ti sento avvinta.

[.]

Sois donc heureux. Car n'être aimé         Gioisci, dunque. Inspirar amore

que pour ce dont on est un stant costumé,                  sol per una caduca maschera esteriore

doit mettre un cour avide et noble à la torture;              dev'essere per un nobile cuore uno strazio. ma

mais ta chère pensée efface ta figure,                    l'anima tua cancella il tuo bel viso. E già

et la beauté par qoui tout d'abord tu me plus,     quella cara bellezza per cui prima ti amai,

maintenant j'y vois mieux.. et je ne la vois plus! or che ci vedo meglio, più non la vedo omai!

[.]

Je t'amerais ancore! Ancor t'amerei!

Si toute ta beauté d'un coup s'envolait.. Anche la tua bellezza s'offuscasse del tutto!"


Quand Christian réalise que Roxane, en réalité, aime Cyrano et non pas lui, il insiste que Cyrano doit lui révéler la vérité; mais, avant qu'il puisse le faire, Christian est blessé à mort et, quand l'ami chuchote à son oreille 'J'ai tout dit. C'est toi qu'elle aime encore' ('Io le parlai. Ella ama te tuttora'), il meurt heureux.

En effet, Roxane aime Cyrano; Cyrano connait ce fait, mais il ne considère pas juste révéler la vérité à sa cousine: il reste toujours auprès d'elle fraternellement et il vit son amour d'une position détachée.

Seulement quand Cyrano récite par cour la dernière lettre de Christian, Roxane comprend qu'il en était l'auteur et que, pendant toutes ces années elle avait aimé son cousin:


'J'aperçois toute la généreuse imposture: "Tutta ora intendo l'impostura sovrumana.

les lettres, c'était vous                            Voi le lettere.

Les mots chers et fous,                                          Quei cari e folli suoi

c'etait vous detti.voi.

La voix dans la nuit, c'était vous. La voce di quella notte, voi!

L'ame, c'était la vôtre! Vostro il cuore!

Vous m'amiez!                                                  Voi mi amavate, voi!"


Ensuite, elle remarque que les larmes sur la lettre de Christian sont probablement les larmes de Cyrano; il répond que le sang est de Christian: le mélange de larmes et du sang sur la dernière lettre symbolise l'union de Cyrano et Christian dans le héros romantique.


'Pourquoi vous être tu pendant quatorze années,    "Ma perché quattordici anni.avete taciuto,

puisque sur cette lettre où lui n'était pour rien                             se vostro è questo pianto su questo foglio in cui

ces pleurs étaient à vous?'                                                            ei non era per nulla?"


'Ce sang était le sien'                                                         "Ma quel sangue è di lui!"


Auprès de cette poignante histoire d'amour, l'ouvre de Rostand présente toutes les caractéristiques d'un aventureux roman de cape et d'épée où l'auteur utilise pour chaque échange de réplique la rime  plat et il alterne un langage romantique et soutenu aux rustres répliques des cadets à la même manière avec laquelle il alterne les scènes d'amour, touchantes et suggestives, aux scènes plus comiques et bizarres.

Dans l'ensemble, on a une ouvre très fraiche et frétillante, très agréable à la lecture.

Dans cette histoire, Cyrano a toujours aimé sa belle Roxane en savant, dans son cour, qu'elle partageait son amour.même si en manière différente.

Donc, un amour n'a pas besoin d'être partagé pour être exemplaire, la fidélité à une attitude peut durer toute une vie et même une précieuse peut non seulement avoir du cour, mais préférer l'ame d'un homme à son physique ou à sa fortune: pour cela il vaut toujours la peine d'aimer, quel que soit le moyen utilisé; aussi un amour qui n'est pas partagé est amour et, comme cela, il doit être vécu:


"On ne se bat pas dans l'espoir du succès!                            Non ci si batte nella speranza del successo! Non! Non, c'est bien plus beau lorsque c'est inutile! No! No, è assai più bello quando è inutile! "
















Also in English literature we have great authors who write about Love: a very good example is given by Charlotte Brontë, the eldest of the three famous Brontë sisters whose novels have become standards of English literature and who used the pen name Currer Bell (she used a masculine name because the authoresses were liable to be looked on with prejudice).

Charlotte Brontë, listened to the call of the earth and, in an age dominated by conventional morality, decided to describe women's feelings openly: we can see that in her masterpiece, Jane Eyre, one of the most famous English novels, where the protagonist reveals her love for a man:


I had not intended to love him: the reader knows I had wrought hard to extirpate from my soul the germs of love there detected; and now, at the first renewed view of him, they spontaneusly revived, green and strong! He made me love him without looking at me. [] I must repeat continually that we are for ever sundered: - and yet, while I breathe and think I must love him.


Non avevo voluto amarlo; il lettore sa quanto io abbia lottato per estirpare dal mio cuore i germi dell'amore che vi si erano annidati; ed ora, m'era bastato rivederlo perché quel sentimento si ridestasse in me, più vivo e più forte di prima. Egli mi costringeva ad amarlo senza neppure guardarmi. [.] Devo convincermi che siamo separati per sempre, eppure so che lo amerò finché avrò vita.


In this novel, she used her own experiences, especially the ones she had in Brussels, when she fell in love with the headmaster of the boarding school where she was a teacher; but he was married and Charlotte's moral integrity made her love impossible. But she used also her life at school which she described as Lowood School; her friendship with a girl named Ellen (who becamed Helen Burns); the death of the only man of the family caused by alcoholism and the fact that, after her mother's death, she was brought up by her aunt and a servant who will be remembered because of the fables and legends that she told (like Bessie Lee who sometimes treats Jane kindly, telling her stories and singing her songs). Finally, the Gothic manor of Thornfield was probably inspired by North Lees Hall which was visited by Charlotte and her friend Ellen Nussey: it was the residence of the Eyre family, and its first owner, Agnes Ashurst, was reputedly confined as a lunatic in a padded second floor room.

Jane Eyre is a first-person narrator of the title character, a small, plain-faced, intelligent and honest English orphan. The novel goes through five distinct stages: Jane's childhood at Gateshead, were she is abused by her aunt and cousins; her education at Lowood School, where she suffers privations but also acquires role models and friends like Helen Burns who will die because of tuberculosis in Jane's arms during the typhus epidemic; her time as the governess of Thornfield Manor, where she falls in love with her employer Edward Rochester who cannot marry her because his first wife (a mad woman) is still alive; her time with the River's family, where her cold clergyman-cousin St John Rivers proposes to her; and her reunion with and marriage to her beloved Rochester at his house of Ferndean after his wife's death.

The book, which abounds with social criticism and sinister gothic elements, is divided into 38 chapters and the original novel was published in three volumes.

In this novel, the principal themes are:

Morality: Jane refuses to become Rochester's paramour; instead, she works out a morality expressed in love, independence and forgiveness (e.g. she forgives her cruel aunt).

Religion: throught the novel, Jane endeavours to attain an equilibrium between moral duty and earthly happiness: she finds a middle ground in which religion serves to curb her  immoderate passions but does not repress her true self.

Social class: Jane's ambiguous position leads her to criticise discrimination based on class.

Gender relations: this one is an important proto-feminist novel; the independent and outspoken heroine rebels against man and male authority on many occasions: she only marries Rochester once she is sure that theirs is a marriage between equal. Through Jane, Brontë refutes Victorian stereotypes about women, articulating what was for her time a radical feminist philosophy. When first published in 1847, this book struck a society imbued with Victorian prejudices and puritan attitudes as a challenge to the traditional principles of the age. The novel, in fact, was not merely the story of a modern Cinderella, but it was actually the portrait of a woman who dared to show openly her inner self, full of desire and love, a woman who had the courage to claim the right of her sex to freedom and action. To this purpose, it is worthwhile remembering this passage in which she proclaims to be equal to Mr. Rochester:


Do you think, because I am poor, obscure, plain, and little, I am soulless and heartless? You think wrong! - I have as much soul as you - and full as much heart! [] I am not talking to you now through the medium of custom, conventionalities, nor even of mortal flesh: it is my spirit that addresses your spirit; just as if both had passed through the grave, and we stood at god's feet, equal - as we are!


Crede che perchè sono povera, oscura brutta e piccola io non abbia né anima né cuore? È in errore! Io ho un'aoma esattamente come lei e un cuore altrettanto ricco. [.] Io non le parlo più come vogliono l'uso e le convenzioni, e nemmeno come un essere mortale; è il mio spirito che si rivolge al suo spirito, come se entrambi, dopo esser passati per la tomba, ci trovassimo ai piedi del Signore, uguali, come siamo.


We must also remember that sexual passion had became taboo for victorian novelists: above all, a woman was not expected to experience such feelings, so this novel is remarkable for its frank admittance of overwhelming physical attraction, especially as the object is a man under the female gaze:


I might gaze without being observed, than my eyes were drawn involuntarily to his face: I could not keep their lids under control: they would rise, and the irids would fix on him. I looked, and had an acute pleasure in looking.


Senza essere notata, fissai gli occhi su di lui e, se appena tentavo di distoglierli, inevitabilmente tornavo a guardar da quella parte. Lo osservavo, provavo in quella contemplazione un piacere vivo.


In bare of outline, the story of Jane Eyre is not very convincing, although the novel itself is extremely powerful. Its role as a forerunner of much modern romantic fiction is obvious: the poor and phisically not very attractive young governess marries her powerful and charismatic master with the classical happy ending. But the novel may be read as either a kind of spiritual quest or as a bildungsroman.





Si può quindi dimostrare che l'amore è presente in innumerevoli opere, ma in ognuna di esse si presenta da un punto di vista differente; ogni autore ha colto una delle diverse sfumature che rendono questo tema ogni volta nuovo ed inimitabile: ogni artista si è soffermato su uno dei suoi mille volti.













Bibliografia e sitografia


.Latino

Catullo, un esteta appassionato, a cura di Piera Pagliani, ed. Petrini

Letteratura latina - vol.2, di G. Pontiggia e M.C. Grandi, ed. Principato

Storia della letteratura latina - vol.1, di Concetto Marchesi, ed. Principato

www.wikipedia.org, Gaio Valerio Catullo

Magisterludi.wordpress.com, Catullo carme LXXXV; carme LXXII


Letteratura latina - vol.3, di G. Pontiggia e M.C. Grandi, ed. Principato

Storia della letteratura latina - vol.2, di Concetto Marchesi, ed. Principato

Le Metamorfosi o L'asino d'oro, di Apuleio, tradotto da Claudio Annaratone, ed. BUR

www.wikipedia.org, Le metamorfosi (Apuleio) sezione Amore e Psiche

www.digilander.libero.it, La favola di Amore e Psiche


Storia dell'arte

Canova pittore, di Ottorino e Stefani, ed. Electa

Dell'arte e degli artisti - vol.3, di Piero Adorno e Adriana Mastrangelo, ed. D'Anna

www.wikipedia.org, Amore e Psiche (Canova)

www.geometriefluide.com, Amore e Psiche che si abbracciano

www.laboo.biz, Amore e Psiche che si abbracciano


Italiano

La Divina Commedia - Inferno, di Dante Alighieri, a cura di Tommaso Di Salvo, ed. Zanichelli

La Divina Commedia - Purgatorio, di Dante Alighieri, a cura di Tommaso Di Salvo, ed. Zanichelli

La Divina Commedia - Paradiso, di Dante Alighieri, a cura di Tommaso Di Salvo, ed. Zanichelli

La Divina Commedia - Paradiso, di Dante Alighieri, a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio, ed. Le Monnier

La Divina Commedia - Paradiso, di Dante Alighieri, a cura di Natalino Spegno, ed. La nuova Italia


. Francese

Cirano di Bergerac, di Edmond Rostand, tradotto da Mario Giobbe, ed. Mondatori

Cirano di Bergerac, di Edmond Rostand, ed. Classiques Larousse

www.wikipedia.org, Cyrano de Bergerac (Rostand)

www.theatrehistory.com,Cyrano de Bergerac

www.sparknotes.com, Cyrano de Bergerac

www.anobii.com, Cyrano de Bergerac


. Inglese

Witness to the times - vol. C, di R. Marinoni Mingazzini e L. Salmoiraghi, ed. Principato

Jane Eyre, di Charlotte Brontë, ed. Penguin

Jane Eyre, di Charlotte Brontë, tradotto da Giuliana Pozzo Galeazzi , ed. BUR

www.wikipedia.org, Jane Eire




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