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Esistenzialismo: esistenza e pensiero




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ESISTENZIALISMO:

L'esistenzialismo (filosofia dell'esistenza) è quella corrente di pensiero che nasce in Europa a partire dal 1930 grazie all'apporto di Heidegger, Jaspers e Sartre, esponenti di spicco di un più vasto movimento filosofico.L'esistenza di cui si occupa l'esistenzialismo ha un significato preciso: l'esistenza è il divenire, secondo la definizione di Heidegger è "ex-sistere "("non permanere'), ovvero ciò che è sottoposto a un continuo mutare e a un continuo proiettarsi verso ciò che ancora non è. L'esistenza si configura così come luogo dinamico e diveniente per eccellenza: se nel corso della storia filosofica l'esistenza è stata intesa come luogo dell'essenza stabile di cui è composto ogni uomo e ogni cosa, per l'esistenzialismo il carattere proprio dell'esistenza è quello di avere dentro di se il mutamento continuo delle sostanze che compongono le cose e gli uomini. Sempre secondo quanto esposto da Heidegger, l'uomo 'ha sempre da essere il suo essere', ovvero l'esistenza non è la sostanza stabile, ma è il modo in cui l'uomo decide da sé che forme prende il suo essere. L'esistenza è quindi per l'esistenzialismo la condizione propria dell'uomo che vive il dinamismo della realtà non solo nella propria coscienza ma anche e soprattutto nel proprio essere. Proprio in quanto priva di un essenza immutabile, l'esistenza si configura così come possibilità libera e aperta, il luogo entro il quale può accadere ogni cosa senza possibilità di previsione. Il carattere radicalmente diveniente dell'esistenza è dunque la negazione più radicale dell'episteme, ovvero del sistema filosofico che spiega in modo certo e incontrovertibile ogni aspetto degli accadimenti: l'esistenza è il divenire, e il divenire è ciò che si oppone contro ogni possibilità di concepire la realtà come un insieme di fatti che possono essere determinati da una qualsiasi legge.

Forti sono i debiti dell'esistenzialismo verso pensatori quali Kierkegaard e Nietzsche, come del resto verso la fenomenologia di Husserl. Se dalla fenomenologia viene preso il nuovo senso della realtà, ovvero la decisione di accogliere come base dell'indagine filosofica i dati apparenti nella loro fluidità ed entro i loro limiti, da Kierkegaard e da Nietzsche l'esistenzialismo eredita l'affermazione che il divenire si mostra più di ogni altro nell'individuo, nelle sue libere scelte come nella sua volontà di creare da sé la propria esistenza e i propri valori.

Nell'esistenzialismo, l' 'esistenza' assolve quindi il compito di 'essere l'orizzonte - la radice, la condizione - del divenire, l'orizzonte che da un lato rende possibile il divenire e dall'altro gli conferisce quei caratteri di radicale minaccia, insicurezza, instabilità, problematicità, finitezza, labilità, contingenza, che avvolgono la vita dell'uomo quando ci si rende conto che essa non può esser garantita da alcun riparo, rimedio, rifugio e che quindi, e innanzitutto, non può esistere alcuna episteme al cui riparo si possa affrontare e risolvere il problema della vita, l'uscire dal nulla e il ritornarvi.' (E. Severino, La filosofia contemporanea).

Quindi l'uomo è impotente di fronte alla realtà del divenire, nel quale ogni cosa si genera e si distrugge. L'uomo si erge, assieme alla sua esistenza, al di sopra del nulla, ma in questo rimanere sospeso al di sopra del nulla (in quanto se non rimanesse sospeso sopra il nulla sarebbe egli stesso un nulla) la realtà oggettiva entro la quale si sviluppa la sua vita è indifferente al suo intervento (il mondo è composto da sostanze mortali, che mutano, divengono, nascono e periscono).
'E' all'interno di questa impotenza rispetto alla realtà, che, nell'esistenza, l'uomo sceglie e decide il proprio essere' (E. Severino, la filosofia contemporanea). L'uomo decide le direzioni che deve prendere la propria esistenza ben sapendo che la realtà è indifferente alle sue scelte, e che il suo destino è quello di ritornare nel nulla. L'esistenza è infatti la condizione umana di essere 'fuori' dal nulla, ma la realtà oggettiva che da sempre accompagna l'esistenza propria dell'uomo è indifferente al suo intervento relativamente al problema più eminente: la possibilità del nulla, la quale è invece, per l'esistenzialismo, nella stessa natura dell'esistenza e del mondo.











ESISTENZA E PENSIERO Appunti sull'esistenzialismo heideggeriano.

L'esistenzialismo di Heidegger tende  a ridimensionare l'importanza di tutte quelle realtà che non sono direttamente riferibili all'esistenza. In questo senso, l'essere dell'uomo viene ad imporsi come l'argomento centrale di una ricerca definita non casualmente "analitica esistenziale". Heidegger sembra in qualche modo aprire la strada a quel umanismo antropocentrico che pure, inteso come soggettivismo metafisico, in seguito diventerà il soggetto della sua critica. Si tratta di un paradosso che l'autore di Essere e tempo non ammette, in linea con la sua singolare metafisica che proclama la fine del discorso metafisico pur continuando ad occuparsene! Nella prospettiva esistenzialistica l'uomo è la sua situazione, oggetto passivo di un destino che lo sovrasta e determina come progetto "gettato", non più teso a raggiungere il cielo ma irrimediabilmente legato alla terra.  

Mentre dal punto di vista della Tradizione l'essere dell'ente e quindi anche dell'esistente si rinviene a partire dal suo rivelarsi, non nel senso della dissolvenza ma come luce che appare nell'oscurità e determina il giorno, nell'ottica nichilista heideggeriana l'ente convive con una nientificazione (Nichtung) legittimante, che non corrisponde al non-essere, bensì al niente (nihil) del nichilismo.

La metafisica della luce, non si rivolge all'esistenza, ma ad una dimensione a un tempo conciliante e dialettica nella quale rientrano i diversi aspetti del mondo reale: l'essere.

Heidegger considera il nichilismo come valore di senso, accanto all'esistenza che emerge dal nulla, al contrario, la metafisica tradizionale non tematizza esplicitamente il nulla, visto essenzialmente come non-essere, né l'esistenza. L'Essere non è e non può in alcun modo essere soltanto l'esserci. Per Heidegger, l'ente che noi stessi siamo si manifesta presso l'orizzonte della fine, considerato un completamento dello stesso cammino esistenziale. Ma, nella prospettiva della Tradizione, il finire dell'ente che si riscontra già nella percezione della precarietà esistenziale non  può essere posto come fondamento dell'ente stesso.

Nell'impostazione ontologica scelta dal primo Heidegger l'ente-cosa, come struttura reale e permanente nel-mondo, viene interpretato nel senso di una semplice-presenza, di un elemento passivo della conoscenza.

Il concetto di angoscia è forse l'aspetto più disorientante dell'analitica esistenziale heideggeriana, non in quanto situazione emotiva o tema di riflessione, bensì come presupposto del nostro essere-nel-mondo. Secondo Heidegger, infatti, "il <<davanti-a-che>> dell'angoscia è l'essere nel mondo come tale".L'importanza esistenziale dell'angoscia rispetto ad altre situazioni emotive segnala di una preoccupante involuzione del pensiero, ormai reso sterile nell'esercizio di un dolente sentire e ragionare, nell'ambito di una visione del mondo che non accorda più un ruolo di rilievo alla spiritualità, almeno esplicitamente. Nessuna verità di carattere metafisico è possibile, per il giovane Heidegger, sostenitore principale di vari miti dissolutori del pensiero della Tradizione, dall'angoscia alla gettatezza, fino all'assurdo dell'essere-per-la-morte che destituisce di ogni significato la vita stessa e finisce per esaurirne la positività. Dal punto di vista della Tradizione, l'essere, come modalità peculiare dell'ente, rappresenta un livello differente rispetto all'esistenza. Tra l'esistenza e l'essere intercorre una distanza, assoluta. In prospettiva metafisica, infatti, l'Essere vanta un primato rispetto all'esistenza immanente. Tale primato non indica un alto grado della gerarchia, ma qualcosa che è inscritto nel codice della realtà, come il fatto che la montagna sia  più elevata della valle.

L'essere è sempre l'essere di tutta la realtà, non  si può ridurre alla sola esistenza..

Solo dopo la Svolta Heidegger riscoprirà il valore speculativo dell'essere, in relazione al linguaggio, pur continuando ad affermare il crepuscolo della Tradizione e la necessità di una sua distruzione-decostruzione. La svolta compie il significato pieno e profondo dell'analitica esistenziale, la quale, non elevandosi alla dimensione linguistica, non rende sufficientemente conto della specificità di un pensiero "puro", non più contaminato dalla "metafisica" che va superata rivoluzionando i nostri rapporti col fenomeno linguistico.Il rapporto di Heidegger con la storia della metafisica non è semplice; in effetti da parte sua c'è un atteggiamento ambivalente, di rifiuto-attrazione. La relazione già "post-filosofica" con la storia della metafisica è designata dall'espressione "passo-indietro" (Schritt-Zurüch) che in sostanza ripropone in chiave ermeneutica la decostruzione fenomenologica precedentemente intrapresa in "Essere e tempo". Lo Schritt-Zurüch (passo-indietro) può essere assimilato a uno dei concetti più importati e ambigui della logica hegeliana, che è l'Aufhebung, nel senso di togliere e superare.

Questo toglimento-superamento della metafisica si rende necessario al fine di risalire all'essere autentico come qualcosa di più profondo e originario rispetto all'esistenza. Anche nell'ultima fase l'interrogazione sull'essere conserva il suo primato nell'ambito del pensiero, subendo una grande trasformazione e riavvicinandosi in certa misura alla prospettiva  tradizionale. Questo riavvicinamento è comunque legato a scoprire quell'essenza nascosta della metafisica che per Heidegger va rintracciata al di fuori di essa, nella filosofia delle origini .La ricerca heideggeriana si pone all'insegna di una modalità di riflessione poetica, che rinvia al pensiero oracolare di Eraclito e degli altri Presocratici. Heidegger non guarda tuttavia solo al passato più remoto, ma anche a un filosofo per certi versi già postmoderno pur collocandosi alla fine dell'Ottocento romantico, cioè il profeta della morte di Dio e di ogni sistema metafisico chiuso: Nietzsche.Il Dire originario, che, come il Logos greco, è pensiero e linguaggio, determina una filosofia di nuovo modello, notevolmente alleggerita dall'ingombrante impalcatura delle strutture speculative di marca razionalista. La riflessione della Svolta è più aperta alle ragioni dello spirito e alle possibilità di un nuovo inizio dell'Essere, attestata dall'invocazione dell'ultimo dio, la quale non può non essere intesa che in senso mistico o trascendente. Critica dell'esistenzialismo negativo: Non basta, a caratterizzare una filosofia, l'esposizione dei suoi temi preferiti. Non basta ad es. dire che l'esistenzialismo è la filosofia dell'angoscia o dello scacco o della nausea; ci sono infatti altre forme di esistenzialismo che hanno per tema preferito l'Essere o il Valore o il Mistero (in senso teologico), senza che nessuno di questi temi possa essere assunto a qualificare l'insieme del movimento. Il giudizio su di una filosofia deve, in ragionevole misura, prescindere dai temi che l'hanno resa popolare o che ne hanno fatto una moda, temi che, se anche sono quelli polemicamente più attivi perché colpiscono la fantasia o urtano contro credenze radicate, non sempre possono essere assunti a fondamento di un giudizio ben equilibrato. Il modo più diretto e meno arbitrario per determinare il carattere e le direttive di una filosofia, consiste nel tener d'occhio la maniera in cui essa intende e pratica lo stesso filosofare. Per es. si può dire che lo spiritualismo intende e pratica la filosofia come introspezione cioè come ricerca ed analisi dei 'dati della coscienza'; che il positivismo logico intende e pratica la filosofia come 'analisi del linguaggio' (comune o scientifico), ecc. Analogamente si può dire che l'esistenzialismo è caratterizzato dal fatto di intendere ed esercitare il filosofare come 'analisi dell'esistenza'. Per 'esistenza' basta preliminarmente intendere il complesso delle situazioni in cui l'uomo viene a trovarsi o in cui si trova solitamente o per lo più. Tale analisi è fatta con la procedura seguita in qualsiasi campo in cui si voglia istituire l'analisi: cioè utilizzando in larga misura il linguaggio comune o scientifico e correggendolo o integrandolo, dove lo si ritenga opportuno, con elementi linguistici della tradizione filosofica o escogitati e proposti ad hoc. Ma l'analisi di una situazione esistenziale esige che siano considerati inclusi, dentro di essa, tutti gli elementi che entrano a comporla: cioè non soltanto l'uomo singolo, nei suoi specifici modi d'essere e di agire, ma anche gli altri uomini, le cose ecc. e, in una parola, il 'mondo' in generale: giacché solo rispetto a questo complesso di fattori gli specifici modi d'essere e di agire del singolo uomo possono essere compresi. In altri termini, una situazione presenta sempre l'uomo in rapporto con gli altri uomini, le cose e (nei limiti in cui l'espressione è valida) se stesso. L'analisi esistenziale è perciò analisi dei rapporti, i quali si accentrano bensì intorno all'uomo, ma vanno immediatamente al di là di lui perché lo connettono (in modi diversi, che occorre determinare) con altri esseri e cose. Ora parlare di rapporti significa parlare di condizioni cioè significa dire che un qualsiasi soggetto di rapporti possiede caratteri o qualità solo nei limiti di questi rapporti, che pertanto lo condizionano, nel senso che gli rendono possibile essere quello che è. Ma proprio a questo punto appare chiaramente in luce lo strumento principale della analisi esistenziale: la nozione di possibile. Ciò che entra in un rapporto esistenziale, in quanto è condizionato da tale rapporto, è un possibile e soltanto un possibile. In altri termini, l'esistenza, in quanto modo d'essere in una situazione è esistenza possibile. Il tratto che la caratterizza, è quello d'essere una possibilità d'essere e, come tale, anticipazione e progettazione. La sua dimensione temporale primaria è perciò il futuro: non tuttavia un futuro indeterminato, nel quale o per il quale tutto sia possibile, ma un futuro delimitato dal passato che solo consente la determinazione delle possibilità che si prospettano. Il passato condiziona e limita il futuro - cioè le possibilità che si prospettano all'uomo, nelle situazioni particolari, sotto la forma anticipatoria di previsioni o progetti.
I vari indirizzi dell'esistenzialismo, nonché i loro urti polemici, possono essere spiegati con l'uso che essi fanno di questa nozione fondamentale. Si possono grosso modo distinguere due interpretazioni della nozione di possibile, le quali costituiscono ognuna la base di un gruppo ben definito di filosofie esistenzialistiche. Secondo la prima di queste interpretazioni, il possibile è la prospettiva negativa che accompagna tutto ciò che l'uomo può essere o progettare e che rende pericolosamente fittizia, e al limite nulla, ogni sua iniziativa nel mondo. Kierkegaard, che è stato il primo a sottolineare nell'età moderna la nozione di possibile, è anche colui che più fortemente ha insistito sull'aspetto nullificante del possibile, mostrando come esso roda e distrugga ogni aspettativa o capacità umana e come sconfigga ogni calcolo ed accortezza col giuoco del caso e delle possibilità insospettate. Perciò, secondo Kierkegaard, colui che è educato all'angoscia (che è per l'appunto il 'sentimento del possibile') è portato a ritenere nulla ogni possibilità mondana ed a rivolgersi alla fede, cioè a Dio che è Colui 'al quale tutto è possibile'. Senza l'alternativa religiosa proposta da Kierkegaard, la stessa interpretazione del possibile si trova in Heidegger, Jaspers e Sartre per i quali tutto ciò che si prospetta all'uomo come possibile, condizionato com'è dai limiti e dalla situazione in cui si prospetta, non fa che ricadere in questa situazione, appiattirsi in essa, e rivelarsi da ultimo come autenticamente impossibile.
La seconda interpretazione è quella che riconduce la nozione di possibilità a quella di potenzialità nel senso aristotelico del termine. Così inteso, il possibile perde il suo aspetto negativo e preoccupante giacché una potenzialità è sempre 'destinata a realizzarsi'. Questa trasformazione del possibile, da categoria dell'instabilità e dell'incertezza problematica in categoria della stabilità e della fiduciosa certezza, è operata agganciando le possibilità esistenziali ad una realtà assoluta (l'Essere, il Valore ecc.) da cui esse deriverebbero la loro stabilità e certezza, la loro garanzia di realizzazione infallibile. Le possibilità esistenziali si trasformano, per questa via, in rosee prospettive di successo per le quali nulla di ciò che l'uomo veramente è, o dei suoi valori fondamentali, può andare perduto, dal momento che ad essi è concessa una garanzia assoluta e trascendente.
Riferendosi certo alla prima di queste interpretazioni, Norman Cousins scriveva recentemente in un editoriale della 'Saturday Review' (10 luglio 1954) intitolato The Decline and Fall of Existentialism: 'La causa del fallimento dell'esistenzialismo deve essere cercata, crediamo, nell'indirizzo nichilista che esso ha preso. La personalità umana non è nichilista. Forse, sotto certe circostanze e per limitati periodi, l'uomo) può farsi una virtù del disfattismo, ma alla lunga il suo equilibrio si ristabilisce ed egli diventa avido di ispirazione e di valore positivo'. Questo è senza dubbio vero per le filosofie che abbiamo raggruppato sotto la prima interpretazione della categoria del possibile. Ma, in forma diversa, è anche vero di quelle che fanno capo alla seconda interpretazione. Questa in realtà non conduce che ad una giustificazione post factum dell'esperienza umana e costituisce un panegirico della realtà umana più che un tentativo di comprenderla. Se difatti si ammette che tutte le possibilità esistenziali sono destinate a realizzarsi, in quanto fondate sull' Essere o sul Valore, non si fa che coprire d'un manto verbale gl'insuccessi e le miserie dell'uomo. Se si ammette invece che non tutte le possibilità umane sono così fondate, quindi non tutte sono destinate a realizzarsi, ci si trova di fronte all'imbarazzante problema di riconoscere quali sono quelle realmente ben fondate; ed a questo problema il presupposto del loro fondamento trascendente non reca alcuna possibilità di soluzione. Le due tesi generali che le possibilità umane sono destinate all'insuccesso e che esse sono destinate al successo non fanno alcuna differenza nell'atteggiamento che suggeriscono all'uomo; l'una e l'altra lasciano infatti l'uomo senza difesa e senza mezzi per affrontare le situazioni reali. La prima lo abbandona all'angoscia, alla disperazione ed alla nausea, la seconda lo abbandona al sapere fittizio, alla superstizione ed al mito.
L'alternativa positiva dell'esistenzialismo:
Se le due interpretazioni accennate della categoria di possibile fossero le sole possibili, non bisognerebbe esitare a pronunciare un giudizio critico negativo sull'esistenzialismo. Il giudizio dovrebbe essere negativo per ciò che riguarda, s'intende, la funzione a venire di questa filosofia; giacché non c'è dubbio, mi pare, sulla funzione, risolvente e liberatrice, che essa ha esercitato negli anni scorsi ed a cui ho accennato nella prima parte di questo scritto. Per ciò che riguarda l'avvenire, invece, pare che l'esistenzialismo abbia lasciato l'uomo allo sbaraglio; che si sia rifiutato di proporgli qualsiasi mezzo, strumento, tecnica o atteggiamento atto ad affrontare l'instabilità delle faccende umane, a consentire di guardare al futuro con ragionevole, se pure guardinga fiducia, e di affrontare 'rischi calcolati'. Oscillando tra il nulla ed il tutto, tra l'instabilità più radicale e la più granitica stabilità, tra l'impossibile ed il necessario, queste filosofie pare si siano disinteressate di ciò che l'uomo può conseguire nei gradi della misura finita, nelle forme della stabilità parziale e relativa, e nella cauta considerazione del probabile. Ed in realtà sono state trascurate, da questo esistenzialismo, le due fonti da cui l'uomo trae gli strumenti e le tecniche delle sue attese positive: la natura e la società.
Ma io ho sempre ritenuto e ritengo che esista un'altra alternativa nell'interpretazione di quella categoria del possibile sulla quale l'esistenzialismo s'impernia. Questa interpretazione consiste nell'assumere nell'intero suo significato la categoria stessa e nel farne un uso coerente. Per uso coerente intendo un uso che non trasformi surrettiziamente la categoria in una categoria diversa ed opposta: cioè che non trasformi il possibile in necessario od in impossibile (che è il negativamente necessario). E per 'intero significato' intendo quello che comprende le due facce del possibile ed evita di sacrificare l'una a vantaggio dell'altra. Difatti, la prospettiva aperta da una possibilità non è né la realizzazione infallibile né l'impossibilità radicale, ma piuttosto una ricerca diretta a stabilire i limiti e le condizioni della possibilità stessa e quindi il grado di garanzia relativa o parziale che essa può offrire.
Ora ritengo che solo su questa base si può porre la domanda circa la validità dell'esistenzialismo e la sua funzione nella filosofia militante. Questa domanda non avrebbe senso rispetto ai temi che hanno reso popolare l'esistenzialismo e coi quali il più delle volte viene identificato. Non ci si può chiedere quale atteggiamento positivo l'uomo può assumere nei confronti dell'angoscia, dello scacco, della nausea ecc. o dell'esaltazione moralistica o misticheggiante che è propria degli altri esistenzialismi; perché tutte queste cose sono già atteggiamenti finali e conclusivi ai quali conducono particolari interpretazioni dell'esistenza. Ma si può e si deve chiedere quali vie rimangano aperte per l'uomo se l'esistenza di lui viene veramente intesa come esistenza possibile, se cioè si utilizza in modo coerente lo strumento concettuale che l'esistenzialismo ha messo a disposizione dell'indagine filosofica.
In questo caso, si possono intravedere alcune prospettive. In primo luogo come stimolo alla ricerca ed al ritrovamento, in ogni campo di efficaci strumenti di verifica e di controllo, l'esistenzialismo si evolve verso un empirismo radicale, che eviterà tuttavia la riduzione dei dati dell'esperienza a dati sensibili (un dato è sempre una possibilità di che può essere controllata cioè ripetuta ad arbitrio). Si è già insistito sulla tendenza empiristica delle teorie dell'esistenza (J.M. Bochenski, Jean Wahl). Questa tendenza può essere esplicitamente riconosciuta ed assunta solo da una interpretazione positiva e coerente della nozione di possibile. Se un'ipotesi, una teoria o in generale una proposizione non è che un 'può essere' che apre una certa prospettiva sul futuro, la sua validità consiste non solamente nel poter essere messa alla prova ma nel poter riproporsi, dopo la prova, ancora come un 'poter essere' per il futuro. Da questo punto di vista i criteri in uso nelle scienze ed in generale nelle discipline particolari per decidere intorno alla validità delle loro proposizioni ed alla realtà dei loro oggetti possono essere assunti come determinazione e specificazione del criterio della possibilità; o reciprocamente quest'ultimo può essere assunto come una generalizzazione di criteri specifici. Questo riconoscimento non solo toglie di mezzo la polemica contro la scienza cui indulgono alcune forme dell'esistenzialismo, ma permette alla filosofia di stabilire rapporti più fecondi con le scienze specialmente con la metodologia delle scienze, consentendo di scorgere l'orizzonte comune entro il quale si muovono, con reciproca autonomia, le indagini rispettive.
In secondo luogo, ed una volta riconosciuto, su questa base, il carattere individuato, concreto delle possibilità esistenziali, in quanto si radicano sempre in situazioni determinate, la condizionalità naturale e storico-sociale di tali possibilità può essere agevolmente riconosciuta e si apre la via verso l'utilizzazione delle tecniche di ricerca e di controllo e dei risultati positivi e negativi di cui l'indagine positiva dispone nei campi corrispondenti. Un atteggiamento sempre più aperto all'indagine positiva e al lavoro associato, sempre meno disposto a soluzioni puramente verbali dei problemi umani, sempre più deciso ad istituire controlli rigorosi per smantellare le pretese di soluzioni uniche e definitive - è il primo risultato che questo indirizzo. Il quale però dovrà svilupparsi nel senso di fecondare di sé le stesse ricerche positive, ispirando la loro problematico, disciplinandone i dogmatismi e fornendo loro i mezzi per l'interpretazione e la generalizzazione dei loro risultati.
In terzo luogo, e come conseguenza degli atteggiamenti su accennati, l'esistenzialismo dovrà tagliare i ponti con lo spiritualismo, con l'idealismo e con ogni forma di intimismo verso i quali ha assunto finora una posizione di compromesso e insistere (come ha già fatto in talune delle sue forme negative) sul carattere laico e mondano della ricerca filosofica cioè sulle condizioni naturali e storico-sociali che le suggeriscono i suoi problemi e le offrono gli strumenti per le loro soluzioni. Giacché, da questo punto di vista, le sole garanzie, parziali e limitate, di cui l'uomo può disporre sono quelle offertegli dalle sue tecniche e dai suoi modi di vita sperimentati, nonché dalle possibilità, che esse gli dischiudono, di trovarne e di sperimentarne di nuove. Se finora l'esistenzialismo è stato, prevalentemente, un clamoroso grido di allarme per la civiltà contemporanea, nel periodo e nella situazione in cui il pericolo per i valori su cui essa regge, era reale e immanente, d'ora innanzi esso potrà contribuire a formare negli uomini il senso misurato del rischio, a renderli meno esposti alle delusioni dell'insuccesso e alla esaltazione della riuscita, e a disporli alla ricerca, in ogni campo, di mezzi efficaci per la soluzione dei loro problemi.
Certamente un esistenzialismo siffatto non è adatto a fabbricare miti o a incoraggiarli. Esso non partecipa né al mito della Scienza né al mito dell'Anti-scienza, né al mito della Tecnica, né al mito dell'Anti-tecnica. Cerca di comprendere la tecnica e la scienza nella loro formazione storica e nella loro realtà attuale considerandole nei loro procedimenti effettivi e dal punto di vista delle possibilità umane da cui traggono origine o che da esse traggono origine. Non si nasconde né i limiti della scienza né i pericoli della tecnica. Ma non ammette che i limiti della scienza possano essere sorpassati da un sapere fittizio o superstizioso né che i pericoli della tecnica possano essere evitati con la pura e semplice condanna della tecnica stessa in nome dei 'valori dello spirito'. I pericoli oggi derivanti dalla scienza e dalla tecnica (dalla bomba atomica alla meccanizzazione dell'uomo) non si combattono con prediche, profezie e miti, ma solo trovando e mettendo a prova altre tecniche: tecniche di convivenza umana, che gli antichi chiamavano 'saggezza' e la cui ricerca è stata sempre il compito della filosofia.
Se le considerazioni precedenti hanno qualche fondamento, la discussione intorno alla decadenza e alla morte dell'esistenzialismo, perde molto del suo significato. Una filosofia non può aspirare all'immortalità dei suoi enunciati dottrinali e dei suoi atteggiamenti polemici. Questi rimangono a caratterizzare fasi o periodi determinati dall'esperienza umana nel mondo, e come possibilità ricorrenti in cui questa esperienza potrà eventualmente riconoscersi ed esprimersi nel futuro. Ma la sua fecondità storica è condizionata dalla sua capacità di spogliarsi dalle punte polemiche, di penetrare con le sue direttive nella vita quotidiana degli uomini e a fornire all'indagine umana in qualche campo qualche strumento efficace e permanente. Questa, per una filosofia, non è una morte ma una trasfigurazione. Forse, l'esistenzialismo può essere capace di questa trasfigurazione.



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