Decadentismo e Vita Estetica
L'artista
declassato:
la reazione estetica ad una vita imperfetta.
La fiducia nel progresso
esaltata dal Positivismo fu ben presto oscurata da un senso di precarietà e
solitudine negli artisti; inizialmente si trattò di un sentimento isolato, ma in
seguito più diffuso.
Gli intellettuali vennero tagliati fuori dai ruoli pubblici e reagirono all'emarginazione con un atteggiamento
polemico antiborghese.
Si diffuse infine un rifiuto nei confronti della nuova società di massa che
catalogava le opere d'arte solo come merce: i letterati e gli intellettuali
volevano produrre per un'èlite che realmente apprezzava i loro capolavori;
questi così si complicarono diventando simbolici, per essere compresi da un
gruppo ristretto di persone.
Nel 1883 Paul Verlaine pubblicò un sonetto dal
titolo "Languore" in cui affermava di
identificarsi con il periodo di decadenza dell'impero romano: queste idee erano
diffuse nei circoli antiborghesi e bohemien.
La critica ufficiale usò il termine "Decadentismo" per definirli, in senso
spregiativo, e loro polemicamente lo accettarono: in Francia si diffusero i
"Poeti Maledetti" come Verlaine, Rimbaud e Mallarmè.
Tra i francesi spicca anche Huysman, ispiratore di D'Annunzio e Wilde.
In origine con "Decadentismo" si identificava il solo movimento parigino, in
seguito il concetto venne esteso a definire l'intera corrente culturale
europea, tra gli ultimi decenni dell'800 e gli inizi del 900.
Vennero rifiutati i
luoghi comuni del positivismo: nel pensiero decadente la ragione non era
sufficiente per scoprire il senso della realtà, esso si trovava al di là
dell'osservabile; gli artisti tendevano quindi verso il mistero e gli stati in
cui l'assoluto poteva rivelarsi (follia, droga, alcol - assenzio, isterismo.).
Diverse furono le
reazioni dei letterati della corrente al positivismo e alla cultura di massa: vitalismo,
pessimismo, superomismo, estetismo. Quest'ultimo era basato sul culto dell'arte,
vista come unico modo per reagire all'imperfezione della vita, orrendamente
breve e priva di forti emozioni.
L'arte era considerata come un momento privilegiato della conoscenza; il
capolavoro non era una semplice opera piacevole, ma frutto di un'illuminazione
suprema: l'artista quando crea risponde ad un'esigenza profonda, dettatagli
direttamente dal Supremo.
L'esteta non seguiva i valori morali, ma solo il bello, ed in base ad esso
decifrava la realtà.
La sua vita andava oltre la morale comune, era concepita come un'opera d'arte: alla
continua ricerca di sensazioni rare e preziose, odiando la banalità e la
volgarità della gente normale nel culto della raffinatezza, collezionando il lusso
materiale (gioielli, abiti) e sensuale (lussuria) che poteva divenire
perversione e crudeltà.
In queste fantasie sessuali perverse si esprimeva la stanchezza di un'anima
sazia che ricercava il nuovo e il particolare per sfuggire la noia.