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Dall' idealismo deriva la svolta atea della cultura contemporanea




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DALL' IDEALISMO DERIVA LA SVOLTA ATEA DELLA CULTURA CONTEMPORANEA


La caratteristica dell'idealismo è quella di porsi da Fichte a Schelling a Hegel come una concezione del mondo onnicomprensiva,ovvero caoace di dare ragione della totalità del reale. Questa caratteristica totalizzante dell'idealismo assoluto, che raggiunge sicuramente con Hegel il massimo della sistematicità, ha fatto sì che esso determinasse in modo decisivo la svolta atea della cultura contemporanea, non tanto per una sua posizine critica nei confronti della religione, quanto piuttosto per la sua intrinseca convinzione di essere il superamento razionale di qualsiasi forma di religione positiva, con particolare riferimento alla tradizione cristiana occidentale. E' opportuno, per una retta comprensione del problema, sottolineare come tutti e tre i massimi rappresentanti dell'idealismo provengano da studi teologici e la loro formazione sia sostanzialmente quella della filosofia e della teologia scolastica.


Il patrimonio biblico giudaico- cristiano e alcuni contenuti fondamentali dello stesso tomismo sono presenti nei tre grandi esponenti dell'idealismo.

Ne sottolineiamo alcuni :


- l'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, diviene da creatura creatore: l'Io puro o Coscienza assoluta altro non è che la divinizzazione di ciò che intrinsecamente caratterizza l'uomo in quanto tale.


le tre posizioni dell'Io fichtiano ( io puro/non-io e io-empirici/Io assoluto )e la triade hegeliana ( in sé/per

sé/in sé e per sé, soggettività/oggettività/autocoscienza ), altro non sono che l'utilizzazione concettuale dei termini della reditio completa subiecti in se ipsum di San Tommaso;


in Schelling, l'Assoluto indifferenziato di Spirito e Natura è l'assolutizzazione metafisica dell'uomo , unità psico-fisica secondo l'antropologia aristotelico-tomista;


in Hegel, la concezione triadica in genere e la fenomenologia dello spirito in particolare sono una trasposizione in chiave razinale della teologia trinitaria e pneumatologica, così come il primato metafisico del pensiero ( logos, parola) sull'essere riecheggia il racconto biblico della creazione, nel quale si narra che la parola di Dio crea tutte le cose, così com' è chiara la risonanza del proogo del Vangelo di Giovanni : " In principio era il Verbo, e il Verbo era Dio, e il Verbo era presso Dio. Per mezzo di lui tutte le cose sono state create.




Perseguendo ancora l'obiettivo di proporre il problema di Dio nelle varie epoche e nelle varie discipline, affrontiamo ora la questione dal punto di vista filosofico.

Tratteremo brevemente della religione come " gemito dell'oppresso " e " oppio del popolo " all'interno della filosofia di Karl Marx, analizzeremo in seguito l'alienazione religiosa in Ludwig Feuerbach ed infine ci

soffermeremo in maniera più approfondita sulle filosofie di Friedrich Nietzsche e Jean-Paul Sartre.


Karl Marx


Marx considera la religione una delle tante sovrastrutture che accompagnano la struttura economica. Diversamente dalle altre ( politica, sociale e culturale), che sono indispensabili per qualsiasi tipo di società e che, perciò, non potranno mai venir meno, la sovrastruttura religiosa è destinata a scomparire, perché ha una funzione provvisoria, quella di procurare un'illusione necessaria per compensare forme di vita altrimenti insopportabili, durante l'epoca della schiavitù e del capitalismo, e di fornire una spiegazione fantastica della realtà al posto della vera spiegazione che verrà data dalla scienza.

Queste tesi relative al carattere contingente della religione, Marx le aveva già maturate durante gli anni giovanili.

Nella sua disserzione dottorale, di cui rimangono pochi frammenti, egli affermava che " nel paese della ragione " l'esistenza di Dio non può più aver nessun significato:

" Portate della carta moneta in un paese in cui quest'uso della carta moneta non si conosce, ed ognuno riderà della vostra soggettiva rappresentazione. Recatevi con i vostri dèi in un paese dove sono adorati altri dèi, e vi si dimostrerà che siete vittime di immaginazioni e astrazioni. E con ragione. Chi ai greci antichi avesse portato un dio migratore, avrebbe trovato la prova della non esistenza di questo dio, chè per i greci esso non esisteva. Ciò che per un determinato paese è per determinati dèi stranieri, avviene nel paese della ragione per un dio in generale: è una regione nella quale la sua esistenza cessa ".


Marx fonda il suo ateismo su tre postulati:


il materialismo metafisico o dialettico che considera la materia quale causa suprema ed unica d'ogni cosa;

il materialismo storico il quale vuole che il fattore economico sia il fattore principale e decisivo, e che la struttura economica sia la struttura portante di tutte le altre strutture che compongono la società

l'umanesimo assoluto il quale situa l'uomo al vertice del cosmo: l'uomo è essere supremo.



La ragione decisiva su cui Marx fonda il suo ateismo è prevalentemente la terza. Marx è ateo per la sua passione per l'uomo. Ciò che egli vuole salvaguardare con l'ateismo è la grandezza dell'uomo.

Con l'ateismo egli intende escludere che ci sia qualche essere superiore, più grande dell'uomo. E' in vista della grandezza dell'uomo che egli ritiene necessaria la soppressione della religione, perché a suo giudizio questa è l'oppio, la droga, il surrogato che impedisce all'uomo di prendere coscienza della sua dignità.

L'ateismo di Marx appartiene, infatti, a quella forma di ateismo che Maritain chiamerà " ateismo assoluto positivo ed eroico ", ovvero un ateismo che nega esplicitamente Dio, che lotta contro Dio, e che sostituisce alla fede in Dio la fede in valori elevati, anche se esclusivamente umani, per conseguire e realizzare i quali l'uomo è chiamato ad impegnarsi anche a costo della vita.

Nella Questione ebraica leggiamo: " La religione per noi non costituisce il fondamento, bensì soltanto il fenomeno della limitatezza mondana. Per questo, noi spieghiamo la soggezione religiosa dei liberi cittadini con la loro soggezione terrena. Affermiamo che essi sopprimeranno la loro limitatezza religiosa non appena avranno soppresso i loro limiti terreni. Noi non trasformiamo le questioni terrene in questioni teologiche. Trasformiamo le questioni teologiche in questioni terrene" .

Il periodo iniziale di questo passo è assai espressivo: dice che la religione è un fenomeno ( secondo il senso kantiano del termine ) e non una realtà. Perciò la religione non dà ragione, non fonda una limitatezza reale, una creaturalità effettiva dell'uomo, ma manifesta solamente una condizione storica contingente, ingiusta e transitoria. Essa esprime il mancato raggiungimento della propria grandezza da parte dell'uomo.

Quando questi la conquisterà, anche il fenomeno religioso si estinguerà.

Nella nota " Introduzione " alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico Marx dà una formulazione ancora più esplicita ed elaborata di questa concezione:

" La miseria religiosa è ad un tempo espressione della miseria reale e protesta contro di essa. La religione è il gemito dell'oppresso, il sentimento di un mondo senza cuore, e insieme lo spirito di una condizione priva di spiritualità. Essa è l'oppio del popolo. La soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo è il presupposto della sua vera felicità. E' innanzi tutto compito della filosofia, operante al servizio della storia, di smascherare l'autoalienazione nelle sue forme profane, dopo che la sacra forma di autoalienazione umana è stata scoperta. La critica del cielo si trasforma così in critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica ".

E poco prima: " La religione è la consapevolezza e la coscienza dell'uomo che non ha ancora acquisito o ha di nuovo perduto se stesso. Ma l'uomo non è un essere astratto, isolato dal mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, proprio perché essi sono un mondo capovolto.

La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, la sua sanzione morale, il suo completamento solenne, la sua fondamentale ragione di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell'essenza umana, poiché l'essenza umana non possiede una vera realtà.

La lotta contro la religione è quindi indirettamente la lotta contro quel mondo del quale la religione è l'amore spirituale " .

Ancora nella stessa Introduzione si legge: " La critica della religione porta alla dottrina secondo la quale l'uomo è, per l'uomo, l'essere supremo; dunque essa perviene all'imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti nei quali l'uomo è un essere degradato, asservito, abbandonato, spregevole ".





Ludwig Feuerbach


Feuerbach ritiene che nella storia dell''uomo, la religione abbia sempre avuto un ruolo fondamentale. La filosofia non ha il compito di negare o ridicolizzare questo grande fatto umano che è la religione. Deve capirlo.

E lo si capisce, afferma Feuerbach, allorchè ci si rende conto che " la coscienza che l'uomo ha di Dio è la coscienza che l'uomo ha di sé ".

In altri termini, l'uomo pone le sue qualità, le sue aspirazioni, i suoi desideri al di fuori di sé, si estranea, si aliena e costruisce la sua Divinità. La religione, pertanto, sta nel rapportarsi dell'uomo alla sua stessa essenza ( in questo consiste la sua verità ), ma alla sua essenza non come sua, ma come un'altra essenza, separata, divisa da lui, anzi opposta ( in questo consiste la sua falsità ).

La religione, dunque, è la proiezione del'essenza dell'uomo: " Dio è lo specchio dell'uomo ", afferma Feuerbach. L'uomo nella preghiera adora il suo stesso cuore; il miracolo è " un desiderio soprannaturale realizzato "

e i " dogmi fondamentali del cristianesimo sono desideri del cuore realizzati " .

La religione per Feurbach è un fatto umano, totalmente umano.

Come l'uomo pensa quali sono i suoi principi, tale è il suo dio: quanto l'uomo vale, tanto e non più vale il suo Dio. Tu conosci l'uomo dal suo Dio, e, reciprocamente, Dio dall'uomo; l'uno e l'altro si identificano.

Dio è l'intimo rivelato, l'essenza dell'uomo espressa; " la religione è la solenne rivelazione dei tesori celati dall'uomo, la pubblica professione dei suoi segreti d'amore ".

Il nucleo segreto della teologia è, dunque, l'antropologia. L'uomo sposta il suo essere fuori di sé prima di ritrovarlo in sé.

E questo ritrovamento," questa aperta confessione o ammissione che la coscienza di Dio non è altro che la coscienza della specie ", Feuerbach la vede come " una svolta della storia ".

Finalmente, nella storia," homo homini deus est ".

Dunque, tutte le qualificazioni dell'essere divino sono qualificazioni dell'essere umano; l'essere divino è unicamente l'essere dell'uomo liberato dai limiti dell'individuo, cioè dai limiti della corporeità e della realtà, e oggettivato, ossia contemplato e adorato come un altro essere da lui distinto.

Ma perché l'uomo si estranea, perché costruisce la divinità senza riconoscervisi?

Perché l'uomo, risponde Feuerbach, trova una natura insensibile alle sue sofferenze, perché ha segreti che lo soffocano e nella religione allevia il proprio cuore oppresso.

Dio è l'ottativo del cuore umano divenuto tempo presente, ossia beata certezza, è la spregiudicata onnipotenza del sentimento, è la preghiera che si esaudisce, il sentimento che ascolta se stesso; è l'eco del nostro grido di dolore. La sofferenza deve estrinsecarsi; inconsciamente l'artista dà di piglio al liuto per effondere nella musica la propria sofferenza. Placa il suo dolore nell'ascoltarlo, nell'oggettivarlo; allevia il peso che opprime il suo cuore partecipandolo, trasformando il suo dolore in dolore universale. Ma la natura non ascolta i lamenti dell'uomo, è insensibile alle sue sofferenze. Perciò l'uomo fugge dalla natura, dalle cose visibili, e si rifugia nel proprio intimo per trovare qui ascolto alla propria sofferenza. Qui egli esprime i segreti che lo soffocano, qui allevia il proprio cuore oppresso. Questo conforto del cuore, questo segreto che ha potuto rivelarsi, questa sofferenza che ha potuto effondersi è Dio. " Dio è una lacrima dell'amore versata nel più profondo segreto della miseria umana ".

Ecco, dunque, svelato il mistero della religione: al Dio in cielo Feuerbach sostituisce un'altra divinità, l'uomo " di carne e di sangue ". Alla morale che raccomandava l'amore di Dio, egli intende sostituire la morale che raccomanda l'amore dell'uomo in nome dell'uomo. E' questo l'intento dell'umanesimo di Feurbach: quello di trasformare gli uomini da amici di Dio in amici degli uomini che lavorano, da candidati dell'aldilà in studiosi dell'aldiqua, da cristiani, che per la loro stessa ammissione sono metà animali metà angeli, in uomini nella loro interezza.





FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE


La posizione di Nietzsche in materia religiosa è nota:

in un passo de " La Gaia Scienza " , il filosofo tedesco così si esprime rispetto al problema di Dio:



" Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: " Cerco Dio! Cerco Dio! ". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa.

" E' forse perduto? " disse uno. " Si è perduto come un bambino? " fece un altro.

" Oppure sta ben nascosto? " Ha paura di noi? Si è imbarcato? E' emigrato? " - gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: " Dove se n'è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io!

Siamo tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potremmo vuotare il mare benevolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a scioglier questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono!

Dio è morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi! ". A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense.

" Vengo troppo presto - proseguì - non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l'hanno compiuta! ". Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciato fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: " Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio? ".


La morte di Dio è, dunque, il grande evento della storia dell'umanità. Nietzsche allude ad un preciso fatto storico: a partire dall'Illuminismo si è progressivamente approfondita la secolarizzazione della cultura europea; l'uomo si è fatto adulto e ha iniziato a vivere senza più bisogno di favole infantili. Certo, la crisi nichilista dei valori tradizionalmente connessi alla religione ha lasciato un vuoto, un senso di crisi non facilmente risolvibile, tuttavia, è indubbio, che il bisogno di Dio è ormai venuto meno nella coscienza dell'uomo moderno. Dio è morto perché gli uomini lo hanno ucciso, e questa è la premessa di un riscatto epocale, di una mutazione del genere umano che si concluderà con l'avvento del Superuomo. Uccidere Dio significa, allora, liberarsi dalle catene del soprannaturale, essere capaci di vivere senza false speranze, accettando con gioia la vita nella sua totalità, morte compresa. Questo significa rimanere legati alla terra: l'uomo nuovo infatti, è colui che, lungi dal voler capire il significato del mondo, riesce ad imporre al mondo i suoi significati. Come Protagora, anche Nietzsche afferma che l'uomo (il superuomo) è misura di tutte le cose, perché da lui, dalla sua volontà di potenza, ogni cosa assume il suo senso. Da ciò derivano tutte le caratteristiche del Superuomo che è oltre la razionalità, disprezza ogni valore etico, vive in maniera dionisiaca, riconosce l'inganno insito in tutte le filosofie, percepisce lo scorrimento del tempo come eterno ritorno. L'uomo attuale è solo una fase di passaggio, è " una corda annodata fra l'animale e il Superuomo, una corda tesa sopra un abisso tra il bruto da cui origina e il Superuomo cui tende ".

Come leggiamo in " Chi è lo Zarathustra di Nietzsche " di Martin Heidegger, con la parola "superuomo" Nietzsche non indica per nulla un esemplare particolare dell'uomo attuale, nè intende una specie di uomini che metta da parte ciò che è umano ed eriga a legge il puro arbitrio e a regola una sorta di furia titanica. Il superuomo è invece, quell'uomo che va oltre l'uomo così com' è stato e com'è, soltanto per portare finalmente l'uomo attuale in quella sua essenza che ancora gli manca e stabilirlo in essa.



In "Così parlò Zarathustra ", leggiamo:



" Avete percorso il cammino dal verme all'uomo, ma in voi c'è ancora molto del verme. Una volta eravate scimmie, e anche adesso l'uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia al mondo. Ma anche il più saggio di voi non è che un essere ibrido, qualcosa di mezzo fra la pianta e lo spettro. E' questo forse ch'io vi comando di essere? Fantasmi o piante? Guardate, io invece vi insegno a diventare Superuomini! Il Superuomo, ecco il vero senso della terra.

La vostra volontà quindi dica:

il Superuomo diventi il senso della terra.

Vi scongiuro, o fratelli, siate fedeli alla terra, e non credete a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Essi sono dei manipolatori di veleni, che lo sappiano o no. Sono degli spregiatori della vita, dei moribondi, degli intossicati dei quali la terra è stanca: se ne vadano in pace! Una volta il peccato contro Dio era il peggior sacrilegio; ma Dio è morto, e perciò sono morti anche questi esseri sacrileghi. Peccare contro la Terra, ecco la cosa più terribile che si può fare oggi; stimare di più le viscere dell'imperscrutabile che non il senso della terra! "


Tuttavia, la morte di Dio non è riducibile ad una semplice constatazione di tipo storico-epocale, tanto più che l'ateismo è in Nietzsche una sorta di istinto filosofico: " L'ateismo non è un avvenimento - come tale non lo conosco: io lo intendo per istinto. Sono troppo curioso, troppo

problematico, perché possa piacermi una risposta grossolana. Dio è una risposta grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori - , in fondo è solo un grossolano divieto che ci vien fatto: non dovete pensare! " (Ecce Homo).


Arrivati a questo punto, non è difficile risalire alla condanna che Nietzsche propone nei confronti del Cristianesimo ne " L'Anticristo ". Il cristianesimo ha considerato peccato tutti quelli che sono i valori e i piaceri della terra, esso " ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito; della contraddizione contro gli istinti di conservazione della vita forte ha fatto un ideale; ha guastato persino la ragione delle nature intellettualmente più forti, insegnando a sentire i supremi valori dell'intellettualità come peccaminosi, come fonti di traviamento, come tentazioni ".

Il cristianesimo è, inoltre, la religione della compassione. " Ma si perde forza quando si ha compassione, la compassione intralcia in blocco la legge dello sviluppo che è la legge della selezione. Essa conserva ciò che è maturo per il tramonto, oppone resistenza in favore dei diseredati e dei condannati dalla vita". Per Nietzsche, in realtà, la compassione è la praxis del nichilismo e nulla risulta più malsano, in mezzo alla nostra malsana umanità, della compassione cristiana. Nel Dio cristiano il filosofo tedesco scorge la formula di ogni calunnia dell' " al di qua ", di ogni menzogna dell' " al di là " .

Nonostante tutto ciò, Nietzsche è catturato dalla figura del Cristo che è l'uomo più nobile, ed il simbolo della croce, è il più sublime che sia mai esistito. Il filosofo tuttavia, attua una distinzione fra Gesù ed il Cristianesimo: " Il Cristianesimo è qualche cosa di profondamente diverso da quello che il suo fondatore volle e fece ". Cristo è morto per indicare come si deve vivere ed è la pratica della vita che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo contegno dinanzi ai giudici, agli sgherri, agli accusatori e a ogni specie di calunnia e di scherno, il suo contegno sulla croce (.).

Le parole rivolte al ladrone sulla croce racchiudono in sé l'intero Vangelo. Cristo fu un " libero spirito" , ma con Cristo morì il Vangelo: anche il Vangelo " restò sospeso sulla croce, o meglio, si trasformò in Chiesa, in Cristianesimo, cioè in odio e risentimento contro tutto ciò che è nobile ed aristocratico" .



Insieme al Cristianesimo, anzi condannando il Cristianesimo, Nietzsche sottopone ad una critica serrata la morale. Questa è " la grande guerra " che Nietzsche ingaggia in nome della " trasformazione dei valori che

hanno dominato fino ad oggi" . Tale rivolta contro " il sentimento consueto dei valori" egli la esplicita specialmente nei due volumi che sono " Al di là del bene e del male" e " Genealogia della morale".

" Fino ad oggi - scrive Nietzsche - non si è neppure avuto il minimo dubbio o la minima esitazione nello stabilire il " buono " come superiore, in valore, al "malvagio" (.). Come? E se la verità fosse il contrario? Come? E se nel bene fosse insito anche un sintomo di regresso, come pure un pericolo, una seduzione, un veleno? ". Ecco, questo è il problema della " Genealogia della morale " .

Ed è qui che Nietzsche va ad indagare i meccanismi psicologici che illuminano la genesi dei valori:

la morale è innanzitutto una macchina che viene costruita per dominare gli altri, i valori etici sono quindi " il risultato di determinate prospettive di utilità per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano; e solo falsamente sono proiettati nell'essenza delle cose" . In secondo luogo, dobbiamo subito distinguere tra la morale aristocratica dei forti e quella degli schiavi.

In un primo momento, infatti, soprattutto nel mondo classico, la morale essendo espressione di un'aristocrazia cavalleresca, risulta improntata ai valori vitali della forza, della salute, della fierezza, della gioia

(= morale dei signori), in un secondo momento, che giunge al suo apice con il Cristianesimo, la morale appare improntata ai valori anti-vitali del disinteresse, dell'abnegazione, del sacrificio di sé ecc.

(= morale degli schiavi). Questa morale degli schiavi è legittimata da metafisiche che la supportano con basi presunte" oggettive", senza che ci si avveda che esse metafisiche non sono null'altro che

" mondi superiori " inventati per poter " calunniare e insudiciare questo mondo " , che esse vogliono ridurre a mera apparenza.

Questo tipo di morale, allorchè viene partecipata dalle masse, si trasforma in una vera potenza e mette capo al Cristianesimo, il quale ha, dunque, corrotto le sorgenti naturali della gioia e del piacere mediante la nozione di " peccato " e ha inibito gli istinti primari dell'esistenza, gli istinti più sani, cioè che legano l'uomo alla terra, facendo sì che questi si volgessero a ritroso, si rivolgessero contro l'uomo stesso.

In questo modo, l'uomo cristiano, al di là della maschera di serenità, è psichicamente un auto-tormentato, che, nel suo risentimento, nasconde in sé un'aggressività rabbiosa contro la vita ed uno spirito di vendetta contro il prossimo.

A tutte le negazioni della morale e del Cristianesimo, Nietzsche contrappone le più risolute ed entusiastiche affermazioni. Da ciò la sua proposta di una radicale trasvalutazione dei valori:

" La mia verità è tremenda; perché fino ad oggi si chiamava verità la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per l'atto con cui l'umanità prende la decisione suprema su se stessa" .

( Ecce Homo) . Trasvalutazione che non va intesa alla stregua di un semplice rifiuto dei valori antivitali a favore di quelli vitali, ma come un nuovo modo di rapportarsi ai valori, che non vengono più intesi alla stregua di entità metafisiche autosussistenti, ma come libere proiezioni dell'uomo e della sua antiascetica volontà di potenza.

In rapporto a questa trasvalutazione, Nietzsche si sente investito di una missione epocale, finalizzata a porre le basi di un nuovo tipo di civiltà. Da ciò la figura del filosofo come dominatore e legislatore, esso dice

" Così deve essere! " e stabilisce la meta dell'uomo.

In conclusione di un lavoro critico, Nietzsche afferma che il Nichilismo è " la conseguenza necessaria del Cristianesimo, della morale e del concetto di verità della filosofia" .

Quando le illusioni perdono la maschera, allora ciò che resta è niente: l'abisso del nulla.

" Il nichilismo come stato psicologico subentra di necessità, in primo luogo, quando abbiamo cercato in tutto l'accadere un "senso" che in esso non c'è, sicchè alla fine a chi cerca viene a mancare il coraggio".

Quel " senso" poteva essere la realizzazione o l'accrescimento di un valore morale ( amore, armonia nei rapporti, felicità, ecc. ). Ma quel che dobbiamo coraggiosamente constatare è che la delusione su questo preteso fine è " una causa del nichilismo". Si è, in secondo luogo,

" postulata una totalità, una sistematizzazione e addirittura un'organizzazione in tutto l'accadere e alla sua base (.) ".

Sennonché, si è visto che questo universale, che l'uomo aveva costruito per poter credere nel proprio valore, non c'è! Che cosa è accaduto, in fondo?

" Si raggiunse il sentimento della mancanza di valore, quando si comprese che non è lecito interpretare il carattere generale dell'esistenza né col concetto di " fine ", né col concetto di " unità ", né col concetto di

" verità " ".

Cadono le menzogne di vari millenni, e l'uomo resta sì, senza gli inganni delle illusioni, ma resta solo. Non ci sono valori assoluti, anzi i valori sono disvalori; non esiste nessuna struttura razionale ed universale che possa sostenere l'impegno dell'uomo; non c'è nessuna provvidenza; nessun ordine cosmico.

" La condizione generale del mondo è, per tutta l'eternità, il caos, non come assenza di necessità, ma nel senso di una mancanza di ordine o struttura, o forma " .

Il mondo non ha un senso " Io ho trovato in tutte le cose questa certezza felice: esse preferiscono danzare sui piedi del caso ".

Non c'è un ordine, non c'è un senso. Ma c'è una necessità: il mondo ha in sé la necessità della volontà. Il mondo sin dall'eternità, è dominato dalla volontà di accettare se stesso e di ripetersi.


E' questa la dottrina dell' eterno ritorno .

Il mondo non procede in maniera rettilinea verso un fine ( come crede il Cristianesimo ) né il suo divenire è progresso ( come pretende lo storicismo hegeliano e post- hegeliano), ma " tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e fummo già eterne volte, e tutte le cose con noi ".

Ogni dolore e ogni piacere, ogni pensiero e ogni sospiro e ogni cosa indicibilmente piccola ritornerà: " tornerà anche questa tela di ragno e questo chiaro di luna tra gli alberi, e anche questo identico momento, ed io stesso ".

Il mondo che accetta se stesso e che si ripete: è questa la dottrina cosmologica di Nietzsche. Ad essa Nietzsche collega l'altra sua dottrina, dell'amor fati: amare il necessario, accettare questo mondo ed amarlo. L'uomo scopre che l'essenza del mondo è volontà, vede che esso è eterno ritorno, e si riconcilia volontariamente con il mondo:

riconosce nella propria volontà di accettazione del mondo, la stessa volontà che accetta se stessa. Egli segue volontariamente la via che gli altri uomini hanno seguito ciecamente, approva questa via e non cerca più di fuggirla come fanno i malati e i decrepiti.

Questo insegna Zarathustra:" Tutto ciò che fu è frammento, enigma, caso spaventevole, finchè la volontà creatrice aggiunge: così io volevo che fosse, cos' io voglio che sia, così io vorrò che sia ".




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