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Confrontando la Natura morta spagnola (1912, olio su tela, ovale di 46 x 33 cm, collezione privata) di Picasso e la Natura morta con l'asso di fiori (1911, olio e papier collé su tela, 81 x 60 cm, Parigi, Musée National d'Art Moderne) di Braque emergono le analogie generali e le differenze specifiche tra i due artisti.
E' analoga la scelta tematica, il dato oggettivo del problema: una natura morta, pochi oggetti sulla tavola. E' analogo il processo di assimilazione strutturale di cose e spazio: se lo spazio dev'essere una forma omogenea e unitaria non può essere interrotto dalla consitenza materiale, impenetrabile delle cose. Lo spazio non è nulla di esistente in sé, è la realtà ordinata e configurata nella coscienza: dunque nella forma dello spazio non può esservi nulla di incerto, di illusorio, di allusivo. Le sole dimensioni certe, nella realtà, sono l'altezza e la larghezza, che si traducono rispettivamente nella verticale e nell'orizzontale; la terza dimensione è illusiva.
Nei due quadri la struttura è formata dalle coordinate cartesiane, che risolvono in verticale tutto ciò che è altezza, nell'orizzontale tutto ciò che è larghezza.
Al di là dell'analogia strutturale, nel quadro di Picasso la scomposizione appare, nello stesso tempo, meno e più spinta. Meno, perché c'è ancora una separazione tra un agglomerato di volumi (gli oggetti) ed un fondo; più, perché questa separazione è poi annullata, di colpo, dall'inserto, in primissimo piano, di due riquadri rossi in evidente rapporto col fondo rosa, sicché risulta chiaramente misurata la distanza tra i due piani, cioè la profondità entro cui si sviluppano i volumi. Lo schermo pittorico diventa così uno schermo plastico, come la lastra di un bassorilievo.
Braque elimina la distinzione tra volumi solidi e fondo. Smonta pazientemente la volumetria degli oggetti, riduce tutto a forme piane giustapposte. La sua scomposizione è più spinta perché non discrimina tra spazio e oggetti; meno, perché non può arrivare ad assorbire totalmente le forme delle cose, che infatti, in quello spazio non più capiente, sopravvivono come puro residuo grafico (grappolo d'uva, mela, carte da gioco).
A questo punto si pone il problema della terza dimensione, di tutto ciò che, sviluppandosi in profondità ci dà alla visione in termini di illusione ottica e che, per conseguenza, apre la via alle reazioni emotive, all'intervento dell'immaginazione, della memoria, del sentimento. La via, dunque, che il Cubismo, come nuova e più rigorosa oggettività, vuole bloccata.
Tanto Picasso che Braque risolvono il problema della terza dimensione mediante linee oblique (già indicative della profondità) e curve (già indicative del volume), e cioè riportando sul piano ciò che si dà come profondità o risalto. Qui intervengono i contenuti della coscienza, le nozioni che si hanno degli oggetti (ed è questo l'aspetto tipicamente cartesiano del Cubismo, quello che lo inquadra nel razionalismo di fondo della tradizione culturale francese). Si opera su oggetti assolutamente noti: frutta, piatti, bicchieri, bottiglie, strumenti musicali, ecc. Ora un piatto posato su una tavola si vede come una forma ellittica, ma si sa che invece è rotonda: poiché, nell'ordine mentale, tra ciò che si vede e ciò che si sa non v'è differenza di valore, si sviluppa nel quadro anche la rotondità del piatto, cioè si dà a ciò che sta nella terza dimensione la stessa certezza che hanno i valori misurabili sulle coordinate verticali e orizzontali. Con la nozione dell'oggetto (che si ha da prima), entra in gioco il fattore tempo: è come se prima si vedesse il piatto come forma ellittica e poi, mutando la posizione nello spazio, come forma tonda, o come se, muovendosi intorno all'oggetto e mutando il punto di vista, prima lo si vedesse ellittico e poi rotondo.
Se ne deduce che, se nella veduta empirica lo stesso oggetto non può trovarsi nel medesimo tempo in luoghi diversi, in quella realtà tutta mentale che è lo spazio (come realtà ordinata e configurata nella coscienza) lo stesso oggetto può esistere con più forme diverse che, naturalmente hanno situazioni diverse. Muovendo da questa premessa comune, Picasso e Braque operano in modo diverso. Picasso, a cui degli oggetti interessa soprattutto la plastica volumetrica, conserva il chiaroscuro che plasma i volumi: ricostruisce le cose nella continuità dello spazio mediante forme geometriche, che considera fondamento unitario così delle cose come dello spazio. È infatti costretto a ribaltare più volte la prospettiva tradizionale (come si vede nel bicchiere, in alto, che è veduto simultaneamente da punti di vista diversi); il funzionamento interno del suo quadro consiste appunto in questi movimenti prospettici coordinati. Braque, non scomponendo per volumi ma per piani, elimina il chiaroscuro, trasformandolo in variazioni cromatiche di grigi. Va addirittura oltre Picasso: nel medesimo oggetto, la tavola, disgiunge la forma, che ribalta sul piano come una sagoma nera, dalla materia, il legno, che raffigura come componente ambientale diffondendolo on tutto lo spazio con il procedimento del trompe-l'oeil (passaggio necessario al collage) la sensazione non solo visiva, ma tattile, della superficie ruvida, venata. Nell'uno e nell'altro dipinto vi sono lettere alfabetiche che apparentemente non hanno alcun rapporto con gli altri oggetti. Sono tipi formali, moduli: stanno ad indicare che gli oggetti della realtà sono come le lettere dell'alfabeto, segni che in sé non significano nulla, ma che vengono combinati in vari modi per significare qualcosa (nel caso degli oggetti, lo spazio). Per Picasso le lettere sono fatte di rette e di curva, cioè degli stessi segni con cui rende le tre dimensioni: essendo lo stesso il principio della significazione verbale e visiva, egli inserisce le lettere alfabetiche, che tutti conoscono, come chiave o codice di lettura del quadro. Per Braque, che scompone per piani, le lettere sono figure piane che hanno, rispetto alle cose concrete, una funzione emblematica: come le carte da gioco indicano il piano limite su cui gli oggetti (uva, mela) si riducono a simboli grafici. Sono chiavi di lettura, ma di una lettura tutta diversa, per piani cromatici invece che per volumi. È chiaro che la visione secondo il volume proposta da Picasso e quella secondo il colore proposta da Braque sono integrative, tuttavia il quadro di Braque, in cui il rapporto coloristico più forte è tra il giallo ocra del legno e il nero della tavola, sembra coloristicamente meno intenso di quello di Picasso, in cui il rapporto più forte è tra un rosa e un rosso. Braque opera sul colore come Picasso sui volumi: non lo considera più come sensazione visiva, ma come elemento essenziale della costruzione mentale dello spazio. È un fatto intellettuale e non più sensorio, infatti riesce a rendere come colore e perfino come luce le variazioni di grigi (spesso ottenuti soltanto con un tratteggio a matita).
In quegli stessi anni, la 'sintesi dinamica' teorizzata da Boccioni come una delle grandi scoperte del Futurismo, è in contrasto con l'analisi cubista: questa implica un approfondimento del dato ed un processo logico, mentre per Boccioni l'emotività immediata e traumatica rimane la condizione prima dell'arte. Il movimento è velocità, la velocità è una forza che interessa due entità: l'oggetto che si muove e lo spazio in cui si muove. La sensazione che si riceve da un corpo in moto e da quella delle cose che stanno ferme nello spazio circostante ma sembrano muoversi con la stessa velocità, del corpo in direzione opposta. Forma unica significa forma unitaria del corpo che si muove e dello spazio in cui si muove. Lo spazio è atmosfera, l'atmosfera è messa in movimento dal corpo che la fende ed esercita su di esso una spinta proporzionale alla velocità. Il corpo, sotto questa spinta, si deforma fino ai limiti dell'elasticità.
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