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Complessità dei mondi culturali - Un'introduzione all'antropologia
I° Parte
Capitolo 1 - Le Domande dell'Antropologia
Il Lavoro Etno-antropologico
- L'antropologia è lo studio multiprospettivo degli esseri umani, in cui si distinguono diversi filoni di studio che riguardano le scelte politiche, le pratiche religiose, economiche e parentali, oltre che i sistemi di credenze ed altre abitudini.
Cerca di analizzare le condizioni che fanno dell'individuo un soggetto socio-culturale, che da una parte è dotato di finalità proprie mentre dall'altro è sottoposto a vincoli di natura ambientale, storici e politici nello stesso tempo.
Per la sua natura multiprospettiva l'antropologia si interseca con altri tipi di ricerca, ma il carattere che la distingue è dato dal fatto che pone attenzione alle condizioni e alle specificità che caratterizzano le situazioni e condizioni umane, quindi si concentra su singoli gruppi e popolazioni più che regole universali degli uomini.
L'antropologia nasce con l'incontro col diverso, quindi abbastanza recentemente, che ha reso necessario lo studio di condizioni concrete dei soggetti.
Il suo campo visivo sono i soggetti umani e ciò che li circonda immediatamente.
Per "Soggetto culturale" si intende un umano che ha la capacità di costruire concetti, materiali ed oggetti, nonché di classificare ed elaborare modelli con i quali si rende il "protagonista" della sua storia. Definirlo soggetto significa dunque riconoscerlo come autore del proprio sistema di vita. Sta al centro di situazioni favorevoli o no, e di forze positive o negative sulle quali cerca di imporsi come arbitro e regolatore, nonché riformulatore dell'esterno.
- Le discipline antropologiche cercano di creare metodi e prospettive con tecniche di indagine che cambiano la percezione delle realtà storiche e dei rapporti interculturali. Non sono però facilmente riducibii a schemi, e spesso i processi culturali si intersecano fra loro diventando mutevoli, per causa ad esempio della globalizzazione. I sistemi di vita e le esperienze sono sempre meno distinte fra loro, e l'antropologia si trova a poggiarsi sull'incontro con l'altro.
In questo lavoro empirico dell'osservatore, la regola necessaria è che sia egli ad avere l'ultima parola, opposto all'indigeno. Ciò ha dei forti limiti, primo il fatto che non si può avere certezza se l'altro operi o meno secondo lo schema elaborato dall'osservatore. L'etnografia affronta il difficile compito di dar conto delle alternative altrui nei loro stessi linguaggi e prospettive, attraverso i propri schemi culturali (una cultura che ne incontra un'altra), in un mondo di sempre più rapida trasformazione e omogeneizzazione.
Soggetto culturale e suo contesto
- Gli individui si trovano di fronte a dover trovare il proprio posto e quello degli altri, e le loro relazioni, per comprendere cosa si è e decifrare la propria situazione, provenienza e il senso della propria esistenza, determinare alleati e nemici, creando così un sistema di orientamento. Ciò significa prendere come punto di partenza valutare tutto ciò che gli permette di collocarsi in una collettività e carpirne il senso. Tutti, anche gli isolati o solitari, sono comunque legati ed orientati verso un gruppo, e si devono confrontare con i suoi scopi. Questi gruppi possono avere obiettivi che sono diversi o in opposizione con quelli del soggetto, che li percepisce come complesso integrato di principi. Il soggetto appartiene a una configurazione di ambienti nel gruppo (famiglia, classe, sesso, ecc.), ognuno dei quali ha punti di vista specifici di vedere le cose e che condizionano il soggetto culturale, imponendo il proprio punto di vista. Per orientarsi in queste differenti ma coesistenti situazioni, egli deve compiere sforzi mentali ed effettuare scelte, calcolando il proprio rapporto e funzione con ognuno di essi.
- I mezzi per orientarsi sono dati dalla cultura. E' tutto ciò che consente all'individuo di orientarsi nella società in cui nasce e vive. A livello semplice, l'orientamento passa per gli strumenti del linguaggio, lo spazio e il tempo e la corporalità.
I sistemi linguistici sono il primo strumento che il processo di apprendimento ci dota per entrare in contatto con l'ambiente. Anche questi vanno decodificati secondo uno schema culturale, in quanto abbiamo bisogno di una classificazione per potere comprenderla. Ad esempio bisogna conoscere la grammatica e la fonetica di una lingua per scindere il suono continuato e trasformarlo in un discorso sensato. Lo stesso vale per le scritture. Molte operazioni conoscitive sono dunque determinate dagli strumenti dati dalla tradizione, che tendono a far combaciare le classificazioni astratte con la realtà a livello inconscio (per es. i pregiudizi).
L'uomo si orienta cercando risposte in codici legati a modelli astratti come mitologie, procedure, che a loro volta non sono statici ma in evoluzione. E' l'uomo che le fa mutare intervenendo e inventando nuove regole e pratiche costruendosi da solo.
Il discorso della cultura
1- Il soggetto compie selezioni, accetta o scarta nel processo di orientamento, attraverso il confronto con gli altri, nel rapporto con mondi non sensibili, con il corpo, con il sistema politico o addirittura con l'adozione di comportamenti con il cibo o l'igiene. Ogni gruppo o popolo possiede una propria forma di cultura, e ciò crea vincoli o imposizioni al soggetto. Le costrizioni culturali non sono però inevitabili come suggeriscono i sociologi, e le norme non contrastano in modo assoluto con l'individuo, lasciando spazio a reinterpretazioni o comportamenti alternativi. Si può dunque dire che esistono modellizzazioni culturali collettive sulle quali si costruiscono quelle individuali. Esse però non sono sovrapposte, e possono emergene dando la possibilità alla cultura di essere sempre dinamica. La Cultura può dunque essere vista come un insieme coerente di idee, credenze, oggetti materiali con i quali l'individuo organizza la propria vicenda culturale come membro di una società, formato cioè in un ambiente e un sistema cognitivo. Levi-Strauss pone l'accento sulla capacità di auto-costruzione, quindi soggettività degli individui. Cultura non è quindi un insieme assolutizzante ma una costruzione dinamica. Entro queste 2 variabili, vi sono 2 posizioni diverse:
Secondo Tylor l'uomo riceve un sistema cognitivo già pronto dalle generazioni passate, mentre secondo Levi-Strauss il processo di sviluppo culturale è in mano al soggetto, che elabora ed acquisisce in qualsiasi condizione di partenza. Così un cambiamento di ambiente culturale provocherebbe nel soggetto un cambiamento di percorso e di autocoscienza, ma non la natura della sua elaborazione personale. L'oggetto è per Levi-Strauss immerso in una dialettica fra il far parte di un ambiente codificato, e la creazione di una posizione personale. Il problema è il riconoscimento dell'esistenza di un rapporto fra l'uomo e l'ambiente culturale e l'esistenza di un orientamento che li integri. L'uomo è un soggetto che si fa da sé, in una realtà che non è mai definitiva e dove gli cresce, pensando, producendo e lavorando. E' quindi molto sfuggente, ma anche concreto e vivace.
L'antropologia osserva l'uomo che si crea come soggetto-agente, non come il portatore di condizioni bio-genetiche e semplicemente passivo nei processi al di sopra di lui. Egli si forma in modi molto complessi e diversi.
2- Ma cosa e come produce l'uomo che si costruisce? Alcune considerazioni:
a) Il soggetto costruisce sé stesso ma in modo storicamente determinato ed accanto ad altri individui irripetibili che con lui crescono e si sviluppano, ed entrando in contatto interattivo. Allo stesso tempo soggetti diversi danno norme a loro e agli altri, fabbricando per loro ed altri cose materiali ed idee. E' una produzione bivalente. Per la propria e per le altrui individualità. I prodotti culturali di cui si circonda l'uomo sono le cose correnti e necessarie, oltre che abituali. L'antropologia li studia partendo da ciò che è lontano, concentrandosi su usi e costumi e su una produzione come espressione: corporale, economica, intellettuale, ma non nel solo senso razionale. L'attività di automodellazione dell'uomo, ad esempio nel proprio corpo, si spiega come produzione culturale di un individuo che risponde a bisogni di utilità ma anche ad esprimere condizioni storiche socio-culturali del soggetto.
b) I mezzi con i quali agisce sono gli strumenti. Sono questi che lo sussidiano a costruirsi e ad adattarsi. Con gli strumenti, oggetti o manufatti, l'uomo si qualifica come artefice del proprio destino, del proprio sistema produttivo e di controllare l'ambiente. Con il denaro, l'ingegneria la stampa ad esempio. Alcuni pensano che la razza abbia influenzato le scoperte e provocato scarti tecnologici nei popoli. Dunque la razza bianca sarebbe la fonte delle grandi scoperte. Ma nessuna razza, sostiene l'antropologia, ha il privilegio delle scoperte, poiché le invenzioni provengono da una catena di eventi che abbracciano molti individui e generazioni.
Il Problema della Strumentazione
1- L'antropologia studia dunque l'uomo che agisce dentro condizioni limitate, non l'uomo universale, connesse a specifici luoghi e tempi. Costruisce a partire da risorse precise dell'ambiente e percepisce bisogni che lo guidano in questa costruzione. Attraverso le tecniche e strumenti. Per STRUMENTAZIONE si intende ciò che consente il perseguimento di fini definisce l'ambiente vitale. Gli apparati tecnologici hanno invece un diverso rapporto. Gli individui, in assenza di specializzazioni, possono produrre da solo ciò di cui hanno bisogno, mentre nelle società industriali non tutti possono acquisire o utilizzare una tecnologia. (tutti hanno un martello, pochi la fabbrica che li produce). La conseguenza è che differenti opportunità di accesso alla strumentazione differenzia i soggetti. Essere autosufficienti e disporre di abilità tecniche rende diversi i raggruppamenti umani. Ma avere un una strumentazione raffinata non garantisce un posto alto nella gerarchia, come è vero ad esempio con gli Inuit. Quelli che invece si sono specializzati si sono spinti a collaborare o a dover mediare con altri gruppi. Strumenti complessi comportano forti investimenti in uno specifico settore produttivo, ma anche dipendenza da altri gruppi produttori di altri beni. Il risultato principale della specializzazione è quindi la complementarità e l'interdipendenza. La strumentazione non è più il criterio valutativo assoluto, poiché il suo possesso non autonomizza. Il livello tecnologico e scientifico è un mezzo per acquisire credito sociale rispetto ad altri, quindi sarebbe uno svantaggio sottrarre risorse strumentali di terzi. La risorsa Uomo invece, che non è uno strumento ma una fonte di molte risorse non sempre compatibili fra loro e dirette.
2- L'antropologia fisica ricerca nella strumentazione la maniera di collocare il genere Homo e quello Australopithecus. Nella zona dell'africa orientale vi fu una crisi climatica con forte siccità, e tale evoluzione portò all'evoluzione degli ominidi. In questa condizione di siccità apparvero 2 adattamenti diversi: il potente Australopithecus robusto ma col cervello più piccolo, e il piccolo Homo Habilis con un grosso cervello ma dalla corporatura più esile e una mascella atta a mangiare tutto. Qui inizia il fattore strumentazione. Il genere Homo apparve circa 3,5 mln di anni fa, e sembra passare per 3 stadi (Habilis, Erectus e Sapiens) che sono riconosciuti come specie. Le 3 sono sicuramente concatenate, e la strumentazione appare presto. La cultura umana, distinta dagli oggetti, inizia dunque molto addietro. L'evoluzione delle 3 specie è graduale e li fa sembrare più stadi morfologici che distinti. E' una trasformazione continua dovuta proprio all'apporto culturale, decisivo dello strumento che organizza la vita materiale dell'uomo. <<prodotta dall'evoluzione biologica, la cultura ha così un'importante azione di ritorno sulla stessa evoluzione biologica>>. L'evoluzione biologica appare sfalsata rispetto alla culturale, quindi la strumentazione mentre qualifica l'uomo come colui che escogita, protagonista del suo mondo, non illustra la sua storia biologica. Risulta che tale uomo ha dimensione storico-strumentale molto articolata, ed questo ha una forte ricaduta sul mondo biologico. <<Paragonate agli studi biologici, quelli relativi alle proprie abitudini sono minime. le scienze sociali sono molto recenti e ci si chiede perché l'uomo, curioso di sapere da sempre, ha aspettato tanto prima di studiare se stesso>>.
3- L'evoluzione degli strumenti sembra indicare una gradualità che segue anche lo sviluppo morfologico delle specie di Homo. La strumentazione di Homo è simile a quella degli australopitechi, ed è di tipi diversi, come oggetti semplicemente trasportati o vere e proprie schegge.
L'età degli strumenti hanno messo in luce che sono stati gli Australopitechi, per primi, a produrre utensili 3 mln di anni fa, e dopo gli Homo, 2,5. Essi non hanno attraversato stadi omogenei e lineari, ma entrambi i generi hanno utilizzato strumenti che segnano delle forti relazioni. Probabilmente anche influenze reciproche fra dato biologico e culturale.
4- In riferimento a questi semi-strumenti, l'antropologia propone un approccio che tenga conto della gradualità dei cambiamenti con una scala temporanea meno netta che quella dei 3 stadi. L'accumulazione culturale sarebbe quindi già esistente ed avviata ben prima della fine dello sviluppo organico, ed ha avuto un ruolo attivo nel modellare le fasi finali. La fabbricazione di arnesi valorizza l'abilità manuale, cosicché la sua introduzione ha influenzato l'evoluzione promuovendo la selezione di individui con un grande proencefalo, come anche i progressi nell'organizzazione sociale che avvennero nello stesso periodo. In conclusione, la generica costituzione innata dell'uomo moderno, è un prodotto sia biologico che culturale. La storia degli ominidi sarebbe dunque influenzata da fenomeni somatici come anche da extrasomatici. Queste caratteristiche emersero parallelamente interagendo reciprocamente. Ciò sta a significare che il sistema nervoso umano non solo è capace di acquisire cultura, ma esige che l'individuo lo faccia per mettersi a funzionare. Nonostante lo strumento sia usato per illustrare l'uomo, le sue caratteristiche sono elementi ambigui, e non si può prescindere da alcuni fatti che devono invece essere trattati adeguatamente: -Le categorie umano-sociali si possono analizzare secondo l'uso di strumenti, dalle piante officinali alle armi nucleari, e stabilire delle vere e proprie età (ferro, bronzo, ecc.). - L'uomo non può essere visto solo in base all'abilità nel produrli, ma anche ai fini che fa. - Status e ranghi degli uomini sono sempre rappresentabili in oggetti o tecniche che l'uomo crea o domina.
Trasmissione e politica culturale
1- Fra una generazione e quella che la segue vi è un legame culturale. Soggetti di una cultura di adoperano per preservarla e trasmetterla a chi li segue attraverso un processo detto inculturazione. Questo fenomeno di apprendimento è alimentato così più o meno consapevolmente dalla trasmissione generazionale, in un gioco di memorie, oblii ed accettazione delle novità. Il ruolo delle generazioni più inculturate è necessario quindi, ma il perdurare di punti fermi ed idee fondate non significa che questi siano verità eterne. Gli uomini sono da un lato quindi debitori del passato e dall'altro fanno i conti col presente, per il fatto che devono conformarsi alle richieste della storia.
L'antropologia ha riflettuto sul fatto che non vi è un pensiero unico e inglobante, e che c'è bisogno di apprendimento locale e specifico, come fanno ai nostri giorni i Masai o i Lapponi. Essi attribuiscono valore a chi ha la responsabilità di trasmettere, poiché conservare i valori è sempre più difficile. Ogni progresso ha bisogno di un ambiente in grado di recepirlo e farlo fruttare, e ogni innovazione è per forza filtrata da strutture e sistemi astratti e riadattamenti che sono costituiti dagli schemi trasmessi dalle generazioni precedenti. Il rifiuto etico della clonazione o il bipolarismo politico nascono ad esempio da dibattiti che si imperniano dal passato culturale già sperimentato. Ma se sotto questa idea di evoluzione dinamica il concetto di cultura cumulativa scompare, si deve ammettere che le culture crescono le une sulle altre e vi sono culture di partenza e di arrivo, ma non che esse nascano improvvisamente dal vuoto. I processi di mutazione sono oggi comunque molto rapidi e avvengono spostamenti di valori molto più grandi che nelle altre epoche. A volte totali ribaltamenti di prospettive.
2- L'antropologia culturale è un modo di vedere, si è sviluppata con contatti diretti con le altre culture e l'elaborazione di sistemi teorici distinti da altre discipline. Gli uomini della strada, non distinguono fra antropologia e politica culturale, ingannati dalle notizie dei problemi culturali del mondo contemporaneo. I rapidi cambiamenti geo-politici incentivano a cercare soluzioni a questi problemi. Molti sistemi politici riconoscono che esistono molti problemi di natura culturale e tentano di risolverli. L'antropologia offre modelli di comportamento e concezioni sulle basi delle culture, mette in parallelo sistemi umani differenti procedimenti di assimilazione, ma anche il suo sguardo è sottoposto a rapide sollecitazioni, pur rimanendo estranea alla politica.
Capitolo 2 - Coordinate spaziali: natura, spazio e bio-cultura
Gli equivoci del naturale ed il magma del culturale
1- L'antropologia pone domande sul nesso fra natura e cultura, cioè l'ambito in cui l'uomo costruisce. Tiene conto degli adattamenti e degli interventi fatti su di essa e si interessa delle situazioni e dei significati attribuiti alla natura, nonostante essa abbia subito molte trasformazioni artificiali. Gruppi e culture umane hanno spesso personificato e mitizzato il regno naturale con la loro immaginazione, creando innumerevoli approcci alla "natura". La prospettiva naturalistica è stata una grande avversaria poiché attribuire molto alla natura è uno degli atteggiamenti più comuni e facili. Spesso il naturale viene considerato vicino al soprannaturale, che in qualche maniera viene contrapposto all'imperfezione del naturale. Sarebbe dunque un'affermazione del naturale perfetto.
2- Vi sono vari atteggiamenti nei confronti dell'ambiente naturale, la natura in sé, che influenzano l'approccio dell'antropologia:
- Si pensa alla natura spesso in maniera nostalgica, come se fosse un paradiso perduto. Uno stato benefico di condizione incontaminata scomparsa. La natura avrebbe una sua forza e sue leggi che andrebbero assecondate, promuovendo la difesa di questa ignota condizione primordiale.
La considerazione più adatta è data dall'esperienza mutevole che abbiamo nei confronti degli ambienti detti naturali. Nel senso che non vi sono luoghi o ambienti che siano rimasti incontaminati dalla comparsa dell'uomo, poiché questi ha modificato e ricostruito stati e funzioni che li caratterizzavano. Parlare di natura è quindi ambiguo, poiché natura diventa sinonimo di ambiente e contiene caratteri di qualcosa di costruito. Nell'ambiente naturale vengono inclusi elementi che ci attraggono e altri che ci ripugnano, dunque ingloba elementi differenti e che contengono diverse misure di naturalità. Il corpo umano, inteso come naturale, entra ad esempio nella costruzione degli ambienti ordinari dell'uomo, cioè l'ambiente naturale in cui si reperiscono i fatti di natura è costituito dai gruppi umani, dagli altri individui.
- Altro atteggiamento è che la cultura abbia il valore di una forza positiva che libera dalle costrizioni e dai condizionamenti della natura, perché è considerata un superamento della condizione inferiore rappresentata dalla natura. La cultura è qui elaborazione, sapere e adattamento della natura "inferiore" alle necessità dell'uomo. La cultura impone "condizioni" alla natura.
Leach parte dalla doppia interpretazione di cultura che segue uno di questi 2 atteggiamenti, il Soggettivo e l'Oggettivo, affermando che il rapporto fra natura e cultura si configura diversamente a secondo degli orientamenti di fondo.
Chi sottolinea gli aspetti soggettivi della cultura si rifà alle analogie fra attività culturale e lingua secondo lo schema di "la cultura è comunicazione". Questi si occupano delle costruzioni di categorie della mente umana come religione, mito, ecc., tenendo un atteggiamento antiempirico. Utilizzando il concetto di cultura in modo così astratto trattano la natura allo stesso modo, nonostante l'idea di natura, come anche quella di cultura, sia abbastanza vaga.
L'atteggiamento oggettivista invece offre qualche vantaggio. Si tiene lontano dalle generalizzazioni. La cultura, se oggettiva, è un insieme di prodotti e comportamenti dell'uomo direttamente osservabili. La ricerca mira a individuare i dettagli più minuti di un'organizzazione socio-culturale determinata. Le generalizzazioni qui si limitano a legami comparativi tra singoli elementi in campi diversi della tecnologia e dell'economia, è quindi attenta al dato empirico.
3- La visione dell'uomo non può basarsi su separazioni fra naturale e culturale perché il primo non è oggettivabile, mentre il secondo è sempre qualcosa di magmatico e "in progress". Nell'individuo si contempla una natura umana e dei costumi, di cultura. Uno strato roccioso nucleare e uno strato superficiale sovrapposto. Sarebbe una separazione che indica nel nocciolo la presenza di qualità, mentre dov'è il naturale i costumi si infiltrerebbero negli spazi vuoti. I tanti approcci alla corporalità scomporrebbero questo quadro.
L'antinomia fra cultura e natura sarebbe quindi più un problema di angolazione che reale. La posizione è spesso influenzata dal bisogno nostalgico di ritrovare le proprie radici culturali, immaginando così salti o passaggi graduali fra naturale e culturale. E' quindi troppo facile stabilire un passaggio netto da natura a cultura, mentre è molto più plausibile un processo graduale e reversibile. L'uomo è portato a trasformare i fatti di natura in cultura e viceversa, come l'aspetto razziale, che è un fenomeno sociale a cui si dà un valore naturale. Una seconda considerazione è la tendenza a considerare scelte di tipo naturale quando sono invece culturali, come somministrare farmaci ai bambini considerandola come educazione o quando si parla di naturalizzare uno straniero.
Fuori dal corporale la definizione di natura è ancora più difficile, poiché essa viene ridotta a livelli minimi se non invisibile, quando non viene oggettivata in termini culturali. Come quando ci si batte per la difesa ecologica quando invece si difende una organizzazione socio-culturale. La relazione fra natura e cultura è centrale e molto problematica, e i 2 livelli sono stati oggetto di molti dibattiti, che hanno dilatato ora l'importanza dell'una, ora dell'altra.
Durkheim dichiarava l'impossibilità della spiegazione dei fatti sociali con le mutazioni biologiche, che andavano analizzati con fatti dello stesso ordine. Levi-Strauss sostiene che l'atropologia abbia un peccato originale nella confusione fra conoscenza culturale e sapere bio-scientifico. Leach vede il problema della natura-cultura solo laddove si vuol vedere l'uomo naturale rivestito di cultura, nell'ottica nucleo-superficie. Le due parti non possono essere però isolate, e ogni uomo reale è lontano da un immaginario uomo-naturale. E' impossibile inoltre trovare un individuo lontano dalla società o non collocato in essa.
4- L'uomo occupa sempre uno spazio, una porzione di ambiente naturale. Nella cultura però, questi spazi corrispondenti non sono definibili una volta e per tutte, e sono soggetti a definizioni alternative e a mutamenti. Anche le "isole" naturali però sono soggette a mutamenti più o meno forti, come l'erosione. Possono esservi però elementi di altra natura che cambiano la dimensione e il carattere delle porzioni naturali, come incendi, deforestazioni, ecc, che sono classificabili come operazioni umane. L'idea di società, che come ogni gruppo umano ha un rapporto inevitabile con uno spazio, è correlata a quella di luogo, mentre i gruppi tendono a considerarsi universali come al centro del conosciuto. Calcolano la propria esistenza con parametri di spazialità. <<I corpi non possono fare a meno dei luoghi>>.
Lo SPAZIO non è dunque mai culturalmente indefinito, ma è l'organizzazione socio-culturale quella che distingue spazi e luoghi. Essi assumono specificazioni, come turismo, nomadismo, migrazioni, che portano a differenti concetti di luoghi e spazi. Ci possono essere distinzioni fra luoghi e spazi, nette o incerte, e ogni situazione determina il valore della categoria. Le dimensioni dei territori in sé non sono importanti, se non vengono correlate a variabili socio-culturali, e sono le pratiche ecologiche a segnare le finalità che una società attribuisce al terreno, ai fiumi, ecc. Ogni corrispondenza fra naturale e culturale va osservata con attenzione, poiché progettualità politiche, idealità sociali fanno coincidere le due parti. Esse generano approcci antropocentrici quali la naturalità di un paesaggio, il senso dei luoghi, producendo uno spazio umanizzato ed istituito a fini produttivi che viene denominato poi ecosistema. E' un concetto non del tutto chiaro ma che ha avuto molta fortuna. L'adozione di ecosistema può spiegare le relazioni fra assetto demografico, istituzioni e ambiente. Negli anni 60 è stato adottato questo concetto facendolo coincidere con una unità di popolazione corrispondente al villaggio. Il problema è che sul piano analitico viene inteso come una unità chiusa, mentre è molto difficile imporre confini a popolazioni che sono raramente delimitate.
Vanno dunque distinti i diversi habitat che tengano conto di sistemi organizzativi dei gruppi, delle variabili demografiche e delle risorse materiali, opposte alle suddivisioni spaziali nette degli apparati amministrativi. Habitat agricoli, cittadini contengono specifiche componenti. L'approccio consapevole alle unità ecologiche quali villaggi e città deve considerare lo spazio come luogo di giacenza di sistemi concettuali e cognitivi di un gruppo sociale. Gli studi antropologici hanno elaborato metodi per analizzare perché le società hanno propri modi di affrontare l'ambiente fisico, che ne limita le scelte sociali, ma non è chiaro perché i gruppi adottano sistemi differenti in contesti uguali o simili.
L'analisi antropologica si sta focalizzando sui fenomeni di globalizzazione e la creazione di mondi virtuali, ottenendo però risultati dal valore precario. Questo problema della contemporaneità è ben illustrato in un esempio: la prova della contemporaneità non è affrontata in maniera ordinata e ferma e ciò spiega perché non offre adesso e qui una produzione coerente.
5- Un ultimo parallelo è quello fra uomo e animale. Il mondo degli esseri umani è stato spesso valutato in base alla contrapposizione con quello degli animali. Nel dibattito di Darwin sull'origine delle specie questa contrapposizione è stata superata grazie al principio dell'evoluzione naturale, che ha messo i 2 fenomeni nello stesso processo. Vi sono condizionamenti istintivi nell'uomo come elementi di raziocinio negli animali, e la concezione dell'uomo come essere ragionevole è andata in crisi. Definirlo in termini di cultura è però senza dubbio più adeguata che in termini di capacità ragionativa. Gli elementi di razionalità lo rendono potenzialmente sciolto dalle costrizioni del naturale. Vi è qui un possibile parallelo con gli altri animali sociali, che hanno delle capacità di simbolizzazione. C'è una grande differenza però, fra le vite sociali animali e quelle umane: l'uomo ha la capacità di comunicare astrattamente e inventare. Gli animali non inventano regole teoriche per influenzare la propria vita sociale.
a) I 2 tipi di socialità hanno in comune la prolungata protezione dei figli nel periodo infantile e la dipendenza del figlio dalla madre. I primati organizzano le società col fine di cercare i compagni sessuali e ricercare il cibo e la protezione. Il comportamento sessuale di una specie è legato al suo patrimonio biologico e va attribuito a caratteristiche extra-ambientali. La ricerca di cibo, anche se legata a dati ambientali, dipende da altre condizioni. Il rapporto sesso-gruppi sociali animali che si limita spesso nella periodicità procreativa. Per la ricerca di cibo, si formano aggregazioni che dipendo dalle situazioni come il tipo di preda e le capacità di calcolo nell'attacco in branco. L'uomo ha la capacità di comunicare e pianificare le azioni, memorizzarle, e orientarsi verso precisi obiettivi.
b) Nella vita sociale umana vi è la cooperazione, che può sembrare simile a quella della vita sociale animale. Ma il legame degli uomini non si configura in un dare semplicemente un'assistenza sporadica, ma è diretta all'ACCORDO. Contiene il concetto di reciproca soddisfazione, che si manifesta anche in tempi distinti. Sono proprio le astrazioni dal mondo concreto riferite al futuro, come i debiti e le promesse, che reggono il sociale. Ad esempio lo scambio delle donne nelle famiglie. La cooperazione umana è di solito basata su un accordo bilaterale, ed è vincolata ai processi di apprendimento degli individui. Gli individui sub-umani apprendono con la comunicazione da individuo a individuo, mentre nella scala comunitaria la base culturale va a integrare i dati biologici di partenza.
L'apporto della cultura alla natura: il soggetto bio-culturale
1- Non si può sostenere che vi siano determinanti genetiche e biologiche, e il soggetto possiede caratteri culturali e biologiche fra loro intersecate. Alcune condizioni biologiche sono adattive in certe situazioni, mentre in altre altre volte è la cultura ad essere selezionata sulle origini biologiche. Necessità genetico-ambientali accellerano l'elaborazione culturale. Alcuni esempi dimostrano le interazioni fra genetica e cultura.
Man mano che si sviluppò la cultura, vi fu un aumento della struttura ossea cranica, che ha presupposto un aumento del volume celebrale e della scatola cranica. Questo cambio ha imposto all'organizzazione sociale dover provvedere ai piccoli non autonomi e prematuri. Ha selezionato soggetti femminili con il bacino più largo adatti a partorire piccoli con teste più grosse. Ha selezionato quindi forme di organizzazione sociale che accoglievano meglio i piccoli maturi e indifesi che necessitavano molto tempo per raggiungere la maturità. Lo sviluppo della cultura non è però da legare univocamente allo sviluppo della scatola cranica. E' avvenuto anche il contrario, l'accrescimento del cervello è avvenuto grazie all'organizzazione sociale e la tarda maturazione del cervello.
La scoperta del fuoco fu un secondo motivo, poiché un cibo più tenero da masticare ha reso possibile una riduzione delle mascelle in favore dello sviluppo della scatola cranica, e la riduzione della digestione diede più tempo da dedicare alla caccia e agli strumenti.
L'allattamento e la fecondità sono via via diminuiti, comportando una alterazione della fisiologia della donna con i contraccettivi e l'invenzione dei succedanei del latte, che configurano per la donna oltre 200 cicli mensili infecondi. Ciò ha generato cambi nella emotività e nella salute.
Nella selezione dei modelli di comportamento, si affermano in generale le abitudini e soluzioni di individui che, a parità di tempi e alterazioni climatiche e altre condizioni, presentano caratteri forti culturalmente e biologicamente. D'altra parte, questi caratteri permettono sia la sopravvivenza sia l'adattamento e lo sviluppo, facendo in modo che soggetti più dominanti si imponessero su altri. Singoli individui o gruppi dominanti però, hanno un limite oggettivo dato da altre individualità che si possono opporre.
2- L'intreccio di natura e cultura è stato visto sotto l'angolatura della socio-biologia, cioè uno studio biologico della cultura, della radice genetica degli elaborati culturali. Sahlins fa alcune considerazioni sull'impossibilità di una tale ottica.
Molte delle tendenze umane proverrebbero da forze innate, cioè interessi e legami figli-genitori e le aggregazioni sarebbero il fondamento delle strutture assunte dalla società. Il parallelismo della socio-biologia tra i caratteri delle tendenze biologiche e le proprietà dei sistemi sociali umani vorrebbe dire che non esiste niente nelle società che non esistesse già negli organismi. Ciò ad esempio quando la socio-biologia parla di regine, tasse, e altre etichette date alle attività animali. La biologia presenta dei vuoti intellettuali come nell'ascrivere tutto all'aggressività quelli che sono dei conflitti sociali, mentre sono i secondi a regolare la prima. In questo vuoto trova spazio l'antropologia. Partendo dall'assunto di Wilson, secondo il quale gli organismi tendono a massimizzare la diffusione del proprio dna, il genotipo. Il caso dell'individuo che si sacrifica lanciando l'allarme e venendo ucciso per primo, escludendosi dalla "massimizzazione" sarebbe una contraddizione. Si è sostenuto che lo fa per salvaguardare i parenti, in modo da raggiungere la massimizzazione. L'antropologia però, pur tenendo conto di questi calcoli, sostiene che non è la pura matematica che conta (2 parenti salvi in cambio di una morte). Considerando che tutti i coresidenti sono omogenei, cerca di dare un'altra fisionomia alla parentela. L'organizzazione culturale del successo riproduttivo umano non è basata sulla parentela propriamente detta, ma nell'idoneità complessiva biologica.
3- Antropologia e socio-biologia si incontrano nell'ambito della riproduzione e costruzione dei nuclei familiari. Un'entità familiare non è direttamente descritta in maniera univoca, e può essere di forme insolite e progressivamente sempre più snelle, come avviene oggi con le unioni omosessuali e i divorzi. Inoltre la socio-biologia si sbaglia nel fatto di non considerare raggruppamenti e rapporti più ampi, come amicizie, cittadinanza, dove il dato biologico è assente. Come nel matrimonio leviratico ad esempio (matrimonio di un uomo con la sorella della moglie defunta). L'esistenza, per gli esseri umani, non si configura dunque in vita, morte o i geni sopravvissuti, ma secondo l'assetto sociale determinato anche da imprese e nomi, che massimizzano i risultati di un individuo. Certo, vi è un grande interesse genetico personale e di gruppo nel suo valore complessivo, ma è evidente l'oscurità di meccanismi culturali che portano a violare la selezione naturale.
4- A livello etnografico vi sono tante teorie sulla trasmissione genetica quante sono le differenze di sistemi di parentela fra le diverse culture. Teorie che non corrispondono così alla biologia ma a quelle sociali, che hanno poi effetti biologici quando intervengono nella selezione. La determinazione della parentela non riguarda solo la nascita. Esiste un fatto biologico, ma è letto secondo gli schemi culturali della società, quindi libera dai meccanismi delle relazioni naturali. I tabù ad esempio, vietano di cadere nelle trappole quali l'incesto. La cultura sarebbe sorta quindi per forza di cose, nel passaggio dalla condizione naturale a quella culturale con la regola tabuizzante. Non esistono però regole universali nelle culture che impediscono l'incesto. Si riscontrano però controlli rigorosi in tutte le culture, e alcune teorie cercano di spiegare in questi termini: -ci si fisserebbe su scelte sessuali primarie come genitori, -vi sarebbero effetti deleteri nei gruppi, ecc. Si creano così delle categorie fisse, distinte ed inattaccabili, che non sono interpersonificabili, come una donna non può essere madre e moglie di un uomo.
5- Fra le teorie antropologiche del biologico vi sono quelle di Malinowski, che hanno influenzato lo sviluppo del pensiero culturale. Secondo questi, i bisogni umani sarebbero di categorie fondamentali e derivate, e stanno all'origine di risposte-soluzioni che stanno alla base di ogni cultura. Kroeber invece sostiene che la condizione culturale è il livello massimo e astratto distante da ogni base organica. La storia degli umani è un impiego di risorse disponibili e preesistenti, e il valore della vita coincideva col naturale. Su di esso si aggiungeva una qualità culturale. Non si vuole ridurre tutto a funzione sociale, ma con l'altropologia si cerca di individuare come le culture si sono gestite e programmate, a volte anche ingannandosi.
II° Parte
Capitolo 3 - Progressioni culturali: dall'identità all'alterità e oltre
Letture dell'identità e dell'alterità
1- L'etnografia contemporanea presenta diversi orientamenti nel parlare di diversità. E' possibile individuare alcuni elementi o spunti che hanno contribuito alla rappresentazione delle molteplicità culturali. Innanzitutto, l'etnografo europeo si trova di fronte al problema del disordine e dell'impoverimento delle culture altre. Il continuo revisionismo delle ottiche nell'antropologia ha abituato alla diversità dei punti di vista presso gli antropologi, un effetto positivo. Si muovono in un universo di riconoscimento, spostando la posizione degli osservatori e degli osservati positivamente.
2- Le culture non solo hanno costruito strumenti e definito spazi abitativi, ma hanno elaborato principi per confrontarsi gli uni con gli altri. Si sono mescolati ed integrati generando, attraverso confronti e conflitti, le formazioni culturali. E' dunque attraverso la dialettica fra gruppi differenti che si è elaborato il senso di sé e degli altri. Tutti i gruppi di ogni epoca quindi, hanno interpretato somiglianze e differenze, creando mutevoli idee di identità, alterità e singolarità. Identità e alterità possono essere viste come processi di specializzazione delle culture, soggette a condizioni mutevoli, che si evolvono a seconda di queste. Gli apparati culturali sono il risultato di processi di adattamento ad altri apparati. L'identità si forma quindi non con le radici biologiche ma in componenti negoziabili che si costruiscono nello scambio tra il sé e l'altro. La produzione di identità è un processo soggetto a innovazione e recupero del tradizionale, che la fanno essere una combinazione di forze culturali in costante transizione. Sono frutto di giochi culturali. Le culture contemporanee sono organizzate in precise situazioni e frutto di composizioni. L'identità è un fatto quindi di decisioni, non di essenza. L'ORIGINE entra nel campo identitario ma non qualifica definitivamente un soggetto o gruppo. Ognuno di questi ha origini multiple. Gli elementi compositivi nascono, si sviluppano e scompaiono continuamente, in modo inifluente o a volte drammatico. Non si può delimitare l'identità anche se è irrinunciabile. A volte la si invoca per difendersi come se fosse un fatto naturale, la si rivendica, la si esalta e la si confonde come univoca con un individuo.
Vanno considerati gli effetti che ha la costruzione dell'identità sulla auto-consapevolezza. Alla nozione di identità si può attribuire il significato di insieme di qualificazioni che il soggetto, nell'interscambio con l'altro, si riserva a sé stesso. La dimensione storica e territoriale hanno una parte rilevante, e il singolo non è disgiunto dal riferimento e giudizio formulato dagli altri.
3- Nella costruzione della categoria identitaria è importante sia il definirsi in mezzo agli altri del soggetto che l'origine. Influenza hanno dei processi connessi alla formazione del soggetto, dell'apprendimento e il luogo reale o immateriale di scambio culturale. Essa serve a misurare l'appartenenza sociale di individui e gruppi, ma mette in relazione l'agire e il soggetto agente. Nel senso che ad esempio l'identità di padre sta nella relazione fra colui che agisce come padre o come insegnante, e ciò che produce sotto queste vesti identitarie. L'identità è però definita da qualcosa che supera la sua persona, ed è negoziata. Essendo costruzioni delle immagini di sé e degli altri, le costruzioni identitarie hanno caratteri non perenni e si modificano, acquisiscono e si perdono. A esempio con il movimento di un popolo, un contadino può perdere la sua vecchia identità e assumere quella di rifugiato. Si possono sempre quindi creare nuove identità
4- Il concetto di Alterità ha sensi opposti. Ognuno di noi è un altro rispetto ai propri simili, e offre termini di paragone agli altri. Il contatto fra individui è universale e costante, e l'alterità è il grande motore che porta a costruire le identità. Ognuno è definibile in base all'altro. L'alterità è spesso usata per allontanare, creando conflitti. In campo etnografico la categoria dell'alterità ha permesso la crescita di una coscienza locale della pluralità e atteggiamenti più consapevoli verso la propria identità, sapendo di possedere una determinata specificità. Allo stesso tempo però è stata usata come barriera assoluta fra i popoli, esasperando le caratteristiche costitutive uniche e irripetibili. Queste sono però mutevoli. L'alterità viene analizzata creando nette polarità fra vicini e lontani, nord-sud, che determinano poi i concetti di cultura. Le diversità non sono trascurabili, ma vanno lette come culture che rendono i gruppi funzionali gli uni agli altri. Da un lato gli uomini appaiono legati dai bisogni biologici, mentre dall'altro esprimono una pluralità di sistemi risolutivi. L'antropologia sta affrontando la compresenza di identità differenti, sempre in costruzione, che possiedono un grado di alterità reciproca. Vi è quindi una forte interazione contrastiva fra culture, ma non un travasamento totale di una cultura nell'altra.
5- Le diversità umane sono state attribuite a fatti di natura o a pure elaborazioni astratte. Naturale e culturale sono in gran parte astrazioni, come la razza che in realtà non esiste in forma pura. Tutte le culture sono mescolate, incontro di selezioni e fusioni. Ogni individuo si trova nella necessità di leggere e proporsi le diversità come metro o come sfida, dandogli senso. Nel viaggio dell'avvicinamento con mondi altrui, arriva alla conoscenza di sé. Si trova influenzato dalla diversità, anche se spesso è avvertita con disagio. L'inizio dello studio delle variabilità umane comincia con le grandi esplorazioni, ma la conoscenza dell'alterità è imperfetta per alcuni motivi:
a) L'oggetto di studio si è trasformato con l'espansione del dominio Europeo, in maniera economica ma anche culturale, trasformando gli altri sistemi culturali in modo che è ora difficile reperire la loro condizione precedente. L'analisi non può così studiare realtà esistenti.
b) La rappresentazione per parti dell'oggetto di studio, ovvero la possibilità di analizzare la cultura esclusivamente per parti e segmenti che in realtà sono parte di un tutto. Rapportare le prime al secondo è molto difficile.
c) L'incontro col diverso ha determinato in alcuni casi la scomparsa di alcuni gruppi umani, e così anche la perdita di dati locali basilari come anche la distorsione degli ambienti nativi e di quelli occidentali. Gli eventi che producono cambiamenti sono di solito casuali, mentre impatti culturali prolungati portano a sradicare gli ordini sistematici delle culture.
d) E' difficile avere il punto di lettura dall'interno di una cultura nativa, poiché vi è una scarsa identificazione transculturale con gli osservati o una vicinanza psicologica. Geertz propone di ottenere una interpretazione libera da vincoli esterni e interni di come vive una popolazione. Libera sia dagli orizzonti mentali interni che non troppo schematica e priva di tonalità come se fosse vista troppo dall'esterno.
e) Geertz propone ad esempio di interpretare i soggetti osservando cosa essi pensano di stare facendo. Bisogna però fare una selezione delle informazioni che si percepiscono.
f) L'etnografo deve farsi coinvolgere dall'interno, usando sé stesso come strumento di ricerca. Codificando con l'introspezione le esperienze fatte e avvicinandosi così agli individui che sta analizzando.
I sintomi della problematicità sono offerti dall'analisi del concetto di persona.
Gli apporti della diversità
1- Le connessioni fra le culture hanno accelerato i tempi e le modalità dei contatti si sono uniformate, diffondendo fenomeni di ibridazione nella vita reale. La stessa antropologia si è mescolata ad altre forme di pensiero. Un approccio importante nel discorso antropologico può essere comprensibile a partire dagli apporti delle singole culture, partendo dai loro punti di vista o dalla loro "antropologia spontanea". La storia dimostra nei suoi manufatti l'imparentamento delle culture. Prima delle grandi scoperte, l'approccio alla diversità e alla variabilità umana era legata a presupposti precisi. Nel medioevo ad esempio non presentava una concezione sintetica tale da essere oggetto di indagine. L'alterità, eccetto in Marco Polo e Ibn Battuta, veniva precostituita nelle configurazioni di meraviglioso, mostruoso ed animalesco. Così la figura dell'altro non era una sorpresa o un evento, ma si adattava al velo della figura mostruosa. In altre epoche invece, la diversità era vista come deviazione da un uniformità iniziale. Prima dei lumi la varietà umana era il mosaico della originaria creazione divina. Vi era l'idea di una divinità decaduta, quella presente nei testi sacri o in un linguaggio unico iniziale. Le grandi esplorazioni geografiche dal '400 al '700 sono alla base di un incontro concreto e rivoluzionario col selvaggio, portatore di diversità. L'atteggiamento illuminista, era diverso, cercava di misurare il non misurabile delle differenze umane, che venivano considerate alla stregua delle differenze naturali fra le specie. Levi-Strauss descrive l'imparentamento fra culture con l'esempio del debito dell'europa verso il continente americano. Nel immenso continente Americano, gli uomini hanno realizzato una storia cumulativa esplorando le risorse, scoprendone nuove e realizzando industrie di lavorazione ad alti gradi di perfezione. L'europa ha ottenuto elementi enormi, a partire da alimenti quali patata e pomodoro, facendo notare quando fosse in anticipo il continente americano e di quanto l'europa ne è dipendente. L'europeizzazione di flora e fauna americana ha avuto impatti enormi sul continente. Nei confronti con le altre culture, come quelle orientali, le australiane, gli adattamenti ambientali creati e le tecniche corporali, provano quanto l'occidente industriale abbia in altri campi solo conoscenze rudimentali e derivate. Anche l'evoluzione scientifica è debitrice delle fonti del patrimonio culturale passato,
Tutte le peculiarità culturali sono utilizzate, e negli scambi la vincita dei gruppi sta nel saper scambiare sapientevolmente le peculiarità. Le partite sono complesse, a vincite alternate ma gli effetti finali sono sempre cumulativi. Occorre quindi potenziare l'incontro di tali forze, affinché il gioco isa produttivo. Le culture si rendono tributarie le une delle altre, e considerare lo scarto che le divide il mezzo logico per apprezzare le relative risorse.
2- La consapevolezza di benefici e dipendenze fa entrare in gioco giudizi e pregiudizi. La nostra razionalizzazione degli antenati o dei diversi può indurre in trappola, facendoci credere ad esempio che alcune società sono più pronte di altre ad apprendere. Sono ottiche pregiudizione, e quando incontriamo condizioni che sconfessano i nostri preconcetti crediamo che esse non portano a niente. Non sarebbero coerenti. In epoche di grandi mutamenti come quella contemporanea, l'antropologia ha strumenti per sviluppare gli approcci corretti al flusso interculturale. La diversità in sé poi combatte il monopolio e la saturazione. Fatti e diversità sono oggi entrati nel nostro campo visivo, e molte discussioni si incentrano sulla occidentalizzazione delle forme culturali, forse perché queste culture debbono far fronte a bisogni urgenti e adattarsi al mondo attuale con le sue regole.
I partners dello scambio culturale: particolare e globale
1- L'alterità è stata incontrata in epoche e luoghi precisi, esiste laddove si creano le condizioni. Il selvaggio fa nascere il dovere di procuragli sostegno, e impone paragoni col mondo sviluppato. L'epoca dei lumi ha prodotti differenti punti di vista, fra tolleranza zero e indulgenza. Seguendo l'uso della ragione europeo, si pensava che i selvaggi potessero far venire fuori tesori e ricchezze intellettuali. Le idee principali erano quindi la diffusione universale dell'ingegno e la quasi infinita plasmabilità dell'uomo. In quest'epoca il concetto di cultura non era diffuso, nonostante l'idea di un costume del selvaggio era familiare. Serviva però solo a proclamare l'universalità dell'uomo. I pensatori del '700 non affrontavano la diversità come valore in sé autonomo, credendo che la primitività fosse disordine e che la molteplicità doveva essere trasformata in unità. Questo spiega il fattore correttivo utilizzato nella conoscenza culturale dell'altro.
2- E' dal concetto di cultura invece che si comincia a studiare il soggetto culturale, localizzando specificità e significato. Diventa la composizione irriducibile di ideologie e credenze ad essere oggetto di studio. Nel suo intento interpretativo, l'antropologia si cerca di rendere conto dall'interno dell'altro, vedendo e descrivendo. Il problema vero delle diversità è che esse interagiscono creando frizioni e urti, penetrandosi. Una parte dell'antropologia propone la ricerca della comunicabilità dei gruppi. Mira dunque al discorso intelligibile fra le culture. E' necessario ampliare le possibilità di discorso fra popoli completamente diversi. Il problema dell'alterità viene combattuto con il rendere conto dall'interno delle culture. Spesso l'alterità viene ridotta a semplice differenza.
- La divaricazione esistente fra alterità e differenza sarebbe originaria dell'oblio posto dal soggetto come esemplare di cultura viva, e dal fatto che esso sia diventato l'oggetto di misure, anziché concentrarsi sulla sua soggettività attiva e qualificante. 2 le coscenze delineate: quella dell'alterità che richiede l'abbandono dei punti di riferimento culturali propri, e la coscienza della differenza, applicata a oggetti prossimi per formare paragoni al momento dell'incontro.
3- Si è posto attenzione alla logica delle connessione e ai problemi che investono il pianeta. Le influenze reciproche tendono ad avvicinare le culture, mentre le diversità impongono mediazioni e negoziazioni. I conflitti sarebbero gli indicatori del contatto. I processi di allargamento del mercato, di omogeneizzazione indicano la grandezza degli incroci nel mondo contemporaneo. Gli effetti sembrano una tendenza alla omogeneizzazione planetaria e la sensazione che le culture siano entità isolate prigionere delle proprie peculiarità.
Un punto essenziale è che ogni scambio è bilaterale, anche se non bilanciato. Ha conseguenze su tutti, anche i non coinvolti, e necessita degli adeguamenti. In secondo luogo, ogni partner dello scambio RIADATTA alla proprie caratteristiche e tradizioni la nuova merce culturale, in misure diverse. Ha anche effetti di ritorno e reazioni differenti. Ad esempio uno stesso bene ha effetti differenziati se introdotto in ambienti differenziati. Inoltre, alcuni impongono ed altri subiscono, a seconda della distribuzione delle forze, e chi vince si prende il successo. Con il problema della globalizzazione, non si vuole accertare che esiste una super-cultura, ma che le culture, pur ibridandosi ed essendo molto dinamiche, non sono scomparse. Le forme locali rimangono, spesso con l'ausilio del sistema educativo dei nativi. Conviene mantenere prudenza di fronte all'idea di meticciato del mondo. Si rilevano forti opposizioni dunque nell'espansione di beni e sistemi. Se esistono forme culturali che si espandono facilmente, altre agiscono anche in senso contrario, come barriere linguistiche, religiose, che racchiudono interi settori. La globalizzazione economica ad esempio, è vista come funesta da molti stati, che la combattono anche coi suoi stessi mezzi o con sistemi tradizionali di produzione. Al crescere della globalizzazione, crescono anche i movimenti localistici come indipendentismi, separatismi. Questo in opposizione alla omogeneizzazione da parte di movimenti ambientali critici, come ambientalisti. Contro fenomeni quali la commercializzazione di cibi transgenici,
Capitolo 4 - Rappresentazioni dei soggetti e dei gruppi
Le esigenze della socialità
Gli individui sono interdipendenti quanto le società, poiché necessitano vivere in contatto con gli altri per rispondere ai bisogni fondamentali. Condividono quindi un apparato strumentale, politico e ideale. La cultura da un lato permette di apprendere ad organizzare le proprie azioni, dall'altro impone relazioni interattive. I soggetti non sono mai isolati, e sono condizionati geneticamente e comportamentalmente da questa dipendenza. E' incline alla cooperazione ed è portato a vivere in una gamma di opportunità disponibili a sé e agli altri. L'ampiezza delle attività di approvvigionamento misura la socialità degli uomini. Il processo di inculturazione lo conduce a una ragionevole socialità, attraverso la valutazione di sé e degli altri. I soggetti vivono in gruppi, e questi sono un astrazione che può essere definita come entità socio-culturale costruita. Questo è in dialettica col soggetto, lo sostiene e qualifica. Il gruppo ha un esistenza superiore rispetto ai singoli, e ne amplifica i compiti e scopi, anche nel tempo (ad esempio attività umane hanno effetti dopo la morte dell'individuo agente). Come nel caso delle culture cumulative e i diritti trasmessi nel tempo.
Il coinvolgimento del soggetto all'interno del mondo sociale di cui fa parte dipende dalle appartenenze a raggruppamenti più o meno stabili (membri dell'uno o dell'altro tipo, ecc.). Questi sono necessari per il funzionamento del gruppo, ma danno anche spazio alle vicende personali che completano i meccanismi di formazione dell'individuo. I gruppi hanno durata variabile, dalle aggregazioni temporanee alle stabili, e dipendono dai fini. I s interagiscono fra loro rafforzando legami o linee di separazione che possono dar vita a nuove formazioni. I gruppi si configurano funzionalmente alle strategie sociali. Le classificazioni culturali e sociali degli uomini hanno come base le forme aggregative. La domanda è quali sono queste forme. Si possono definire come volontarie e non volontarie, e secondo lo scopo, la durata e gli attributi dei loro membri. L'appartenenza a gruppi genera dei problemi, arrivando ad essere anche la ragione della differenziazione umana, mentre ci si dimentica che questa è prima di tutto una scelta. La possibilità di scelta dipende dal tipo di società, vi sono alcune che privilegiano l'omogeneizzazione e altre la segmentazione in gruppi. Le strutturazioni più articolate sono in genere quelle che offrono più possibilità di scelta e selezione di gruppi. Il tasso di crescita dei raggruppamenti è quindi indice di vitalità sociale. La società è quindi un insieme di gruppi, oltre che di soggetti, distinti fra loro. Sono relazionati dentro limiti e confini. Ma mentre la società implica la pluralità di soggetti collettivi, l'attività relazionale dei soggetti individuali non è canalizzata verso un gruppo di appartenenza. L'individuo ha proprie iniziative e responsabilità, e può appartenere a gruppi contemporanei a volte incompatibili. A volte i gruppi possono essere segreti, dando forza ai propri membri. Su scopo/durata/attributi si può fare un'ulteriore distinzione fra gruppi istituzionalizzati e non, in cui i membri hanno differenti posizioni.
A proposito di comunità
La comunità è un gruppo umano strutturalmente coeso che condivide scopi durevoli e dotato di spirito unitario. E' simile a un "corpo". Possono essere territoriali o religiose, o addirittura ideali. La comunità di villaggio ad esempio è quella porzione di umanità che si costruisce collettivamente in un luogo preciso. Vi è una rete di apporti da tutte le componenti umane, che hanno una dimensione partecipativa anche se non perfetta. Il gioco delle acquisizioni e degli scambi fra individui è imprescindibile e flessibile. E' una aggregazione di persone con un destino unitario. Presenta conflitti e lotte. L'adesione ad essa di esprime in ciò che è partecipato ma anche in momenti di separazione temporanea dei membri. I soggetti al suo interno elaborano strategie nei confronti degli altri, cercando di difendere ciò che cade nella loro responsabilità. In questa prospettiva sono attenti anche a controllare mosse dei altri. All'interno del villaggio l'individuo si lega diritti legati a un preciso territorio e si autodifende nei conflitti con popolazioni vicine, generando coesione e definendo alleanze. L'idealità comune persegue obiettivi di conservazione che aumentano la forza interna.
Tipologie di gruppi: le etnie
Con la delocalizzazione è sempre più difficile attribuire qualifiche culturali a gruppi precisi. Si discute però tanto del termine ETNIA, che è legato a termini quali Polis e Ethnos, contrapposti. Organizzazione ordinata opposta a un livello impreciso di struttura. Il valore attribuito all'etnia, come carattere distintivo, è sempre stato negativo, "barbaro". L'etnicità è una questione di grado, e dipende da parametri sociali interni ed esterni al gruppo. Non si è etnici in modo costante, e la sua dimensione si costruisce come altre caratteristiche sociali. Su di essa si formano meccanismi complessi legati all'identità, ma va considerata non come una sostanza immane ma come un risultato variabile prodotto da comunanze, lingua, religione, territorio e organizzazione politica.
Si misura dunque per gradi diversi, ed è in costante evoluzione. L'etnia non offre una identità intoccabile e si costruisce in risposta a situazioni o bisogni in un contesto. Il soggetto qualificato etnicamente non sceglie la sua qualificazione e non la può ripudiare, ma vi è sempre un maggiore o minor possibilità di adattamento a questo dato etnico. Dipende dalla situazione generale e dal grado di variabilità economico-politica della società in cui è immesso. In genere maggiori sono le opportunità di aggregazione in comunità differenti all'interno della società, più il gruppo etnico è solo una variabile fra altre. In america ad esempio gli individui sono più liberi di scegliere fra le comunità, mentre è il contrario nel medio oriente dove il destino non lascia possibilità di scelta.
Di solito caratteristiche biologiche e razziali enfatizzano le diversità, ma non ne sono la causa. La radice delle etnie è prettamente culturale. Nelle società plurietniche ciò che contrappone etnie ad altre è l'ordine sociale e politico, che a volte può estremizzare tratti somatici o origini biologiche. La qualificazione è qui fatta dipendere da questi dati. Si cerca di chiarire quanto e su quali basi l'identità etnica viene considerata superiore alle altre variabili e status. Cioè perché opererebbe imperativamente sull'individuo. Si deve considerare che i gruppi etnici esistono perché dei soggetti interagiscono fra loro in base a comuni principi e per scopi ideali. Ovvero l'aggregato di soggetti ha in comune caratteri etici e normativi vincolanti, i quali soggetti si conformano a tale comunione e hanno rapporti con altri sotto la forma di appartenenti a quel aggregato. Ogni società può avere molti gruppi etnici di queste caratteristiche, specialmente nelle società moderne dove ve ne è una grande varietà. Il legame che lega gruppi etnici differenti in una società dipende da quanto essi siano complementari e da come i gruppi stessi vivono i loro differenti tratti culturali. Cioè dalle regole e sanzioni imposte ai singoli all'aderenza dei valori del gruppo. Si differenziano molto quindi nel grado di imposizione identitaria che danno ai soggetti, ovvero la molteplicità di status che possono abbracciare.
Nel piano culturale, la reciprocità di atteggiamento è una condizione sostanziale delle stretagie da adottare nei fatti etnici. È importante il dato di riconoscimento e aderenza al proprio gruppo etnico di fronte ad altre appartenenze, che si fondano su degli stessi ordini. - Il principio dell'etnicità è di solito condiviso da gli appartenenti di un definito sistema sociale, da due punti di vista diversi: Il soggetto culturale aderisce alla propria etnia ma riconosce allo stesso tempo le altre, rispettando le affiliazioni. La divaricazione delle appartenenze non è determinante solo dentro un gruppo etnico, ma è riconosciuta dagli altri gruppi presenti in una società. Non esisterebbe altrimenti un sistema sociale plurietnico. Tutti possiamo essere etnici anche senza saperlo. Laddove tutti possono essere soggetti a una definizione, questo stesso processo perde valore. Ne consegue che dove le identità sono assegnate per principi uniformi, l'incompatibilità non sorge a differenza di altre situazioni, per esempio dove il principio etnico è attribuito solo ad alcuni settori societari. In sostanza tutti viviamo dentro un gruppo etnico e norme etniche, ma non è automatico che ne siamo immersi totalmente. - Esistono anche determinate appartenenze territoriali che influiscono sull'adesione al gruppo etnico. Uno spazio a cui vengono assegnati degli elementi, come ad esempio quello alpino, contribuisce a definire una etnia. Il territorio occupa un fattore più o meno importante a seconda del caso nell'autodefinirsi dei soggetti. Ma un gruppo etnico è tale anche fuori dal proprio territorio. Il territorio è dunque un elemento relativo correlato ad altri fattori, come avviene ad esempio nei conflitti etnici per il possesso di luoghi particolari. Le distinzioni etniche sono state il prodotto di influenze di politiche culturali che hanno avuto influenza nel periodo coloniale, e non si sono mai esaurite come nel caso dell'africa divisa in territori nazionali.
A volte le operazioni di tipo classificatorio come suddivisioni in gruppi etnici non hanno tenuto conto delle catene di relazioni fra società esistenti nella realtà. La categoria etnica ha inoltre vari usi. Nel piano concreto, le appartenenze non sono utili in precisi contesti, e possono affiorare nel tempo. Queste, come fattori essenziali richiedono organizzazione, che porta l'esistenza umana ad avere molti doveri. Come mezzo di classificazione della realtà dei soggetti offre maggiori possibilità di espressione, se mantenuta flessibile. Può però essere la giustificazione di differenziazioni nei comportamenti fra individui.
Il problema importante è definire i confini fra le etnie, che non sempre corrispondono a quelli territoriali. Sono piuttosto linee immaginarie con un dentro e un fuori. All'interno di essi si rifugiano coloro che vi credono, facendo crescere frontiere invisibili che separano. Sono di solito artificiali, e valgono come fattori delicati per i gruppi. Prima di tutto è un modo per controllare o impedire contatti e scambi, e per evitare che finiscano per porre in dubbio le identità. Si deve considerare che i confini incentivano molto i contatti, poiché lì si fronteggiano e misurano due entità socio-culturali. Sono allo stesso tempo legate al problema territoriale ma anche al loro essere in relazione. Vi sono aspettative e pressioni. E' anche il confine quindi che definisce un gruppo, non solo la sua sostanza culturale. La sostanza parte da presupposti precisi ed azioni concrete, ma non definiscono da sole il "dato etnico" sotto forma di tradizione. Chi pratica una forma matrimoniale le dà rilevanza sociale, ma non è questa che costituisce un confine etnico. Le forme culturali come questa diventano critiche solo quando permettono l'identificazione di una persona in un gruppo, cioè quando diventano strumenti di opposizione e di gerarchizzazione delle culture dentro dei confini. In altre parole, quando vengono attribuite in modo esclusivo a un gruppo e diventano fattore di qualificazione etnica. E' un aspetto negativo del principio etnico. Sono rivendicazioni che vengono usate per contrapporre dei soggetti in nome di divisioni. Il soggetto è infatti da una parte sottoposto a processi di confinamento interno, ma entrano in gioco altri fattori. L'etnia e i confini sono risultato di raggruppamenti più visibili e sottolineati intenzionalmente da scopi amministrativi, dall'interno della stessa etnia o dall'esterno. Ma se l'etnia è il risultato dialettico di un processo esterno e di uno esterno, è anche vero che si presenta come un processo dinamico. L'identità etnica si può pensare solo in termini contrastivi e contestuali, ovvero si può pensare a sé solo in opposizione a qualcun altro. E' frutto quindi dell'interazione fra un interno e un esterno.
Da questo, si può dire che il valore e il ruolo di un gruppo si deve leggere all'interno della rete di affiliazione in un sistema o società storica. Più aperti sono i gruppi e meno ha valore il significato che si dà alla composizione etnica.
Altre differenziazioni: classi e associazioni
Il concetto di classe è utilizzato come strumento d'analisi in sociologia, è visto come un raggruppamento determinato dal reddito, che nelle società avanzate permette di leggere la posizione dell'individuo. Il rapporto fra classe e cultura non è direttamente prevedibile come distribuzione del reddito = una forma culturale. Certo vi sono molti ambiti culturali concreti dove a una distribuzione del reddito precisa (una classe quindi), corrispondono determinate scelte culturali di un individuo. Quelle scelte legate alla vita materiale ad esempio, oppure nel mondo occidentale la prevedibilità delle scelte politiche e artistiche di un agente di cambio che vive in una città e quelle ambientaliste di un affiliato al sindacato. Molti dei processi culturali sono legati al raggiungimento di classe sociali più elevate, ad esempio dal cambio della religione negli stati uniti. Dove però la classe è una variabile poco importante non è altrettanto facile stabilire i collegamenti fra classi e scelte culturali. Sganciato da fattori di reddito è invece il concetto di classe d'età. In questi gruppi di coetanei, gli appartenenti hanno un pari grado. Le classi d'età si succedono secondo tempi precisi agli altri tipi. Vengono istituite tramite iniziazioni, che sono processi di costruzione sottilineati da forme culturali più o meno esplicite e rituali. Si riscontrano esempi in tutte le società, e ciò anche perché nessuna società può attribuire specifici compiti a persone che non sono indirizzate a svolgerli. Le iniziazioni introducono alla maturità sociale. Anche i sistemi politici sono basate sul sostegno delle classi d'età, soprattutto nelle società arcaiche, e garantisce uguali diritti e doveri agli individui che ne fanno parte, che quindi condividono responsabilità e fini. Ancora più omogenee ma più chiuse sono le caste. Bisogna distinguere fra etnie, classi, caste e semplici associazioni.
Le Associazioni sono strutture in cui i vincoli che si pongono gli individui sono volontari, e hanno quindi carattere di adesione volontaria per obiettivi in larga misura limitati. Decadono non appena si raggiunge lo scopo e hanno una grande varietà di tipologie di strutture. Sono dovute in genere a necessità temporanee. La crescita di organizzazioni di stampo associativo segna l'aumento della complessità sociale, ovvero della specializzazione come mezzo di emersione dell'individuo. Diverse quindi dalle assistenze comuni come la parentela.
Costruire i modelli parental-familiari
La parentela è la condizione essenziale per la costruzione di gruppi basiliari/universali. I soggetti simuovono in relazioni parentali che sono ineludibili e che danno legami con un intenso valore. L'essere parente è condiviso da tutti gli umani, e rappresenta un vincolo, di consanguineità, ineliminabile. Così come un antenato comune è un vincolo che tiene unito un gruppo di consanguinei, la distanza generazionale può creare posizioni differenti in un gruppo. Allo stesso tempo le posizioni al suo interno non sono omogenee ad esempio fra una seconda e una terza generazione. Anche se parte da dati biologici, la discendenza non è immutabile. Possono entrare individui esterni e lo stesso gruppo di discendenza si può scindere. I sottogruppi che si creano tendono alla segmentazione e all'autonomia. Le strutture sono soggette a processi vari e flessibili e il distacco ha sempre un inizio socio-culturale come ad esempio la formazione di nuovi aggregati parentali (LIGNAGGIO), ovvero gruppi estesi con un antenato storico comune. Il CLAN è invece un aggregato basato su un capostipite mitico, e la CASATA un gruppo o formazione parentale che collabora e condivide delle risorse. Il legame reale, a partire dalla discendenza, è quindi attivato da precisi interessi. Le relazioni di sangue sono usate per molti scopi ma partono dall'impulso dato dal riconoscimento sociale. La parentela è quindi un legame biologico che dipende dal quadro sociale in cui è inserito. A seconda del ruolo maggiormente messo in luce, quello della madre, del padre, ecc, si presenta sotto varie forme, come patrilineari, matrilineari, che sono normalmente le più rilevanti dell'interscambio sociale. Questo sistema di calcolo determina la tipologia parentale, quindi i costrutti mentali e culturali sono determinanti e si fondono coi fatti naturali della riproduzione. La parentela influisce nelle società più di quanto si creda, poiché ne si fa ricorso sia in positivo che in negativo. Le strutture sono centrate sulla posizione dell'autorità maschile o femminile. In questi 2 casi l'individuo, ha vincoli e sostegni differenti pur mantenendo inalterate le radici genetiche.
Sul legame di parentela si fondono gruppi e individui. Quest'ultimo ha un'appartenenza parentale a cui rimane legato per tutta la vita. Il gruppo parentale è quindi una struttura a cui il soggetto fa sempre riferimento e con cui si misura. Nel creare gruppi questa determina confini importanti nella costituzione dei ruoli. Un gruppo parentale, in diverse forme e coincide con la famiglia. Consiste in un numero variabile di membri, biologici o adottivi, e discendenti. La struttura può essere ristretta o allargata, nel caso della sola diade madre-figli. La formazione di famiglie estese è attribuibile al bisogno di produrre forza lavoro unita, mentre quella di famiglie nucleari più a bisogni di mobilità come nel nomadismo. Vi è quindi una grande pluralità di soluzioni inventate dall'uomo per adattarsi. Ai membri di una famiglia vengono richiesti doveri di ordine economico, giuridico che non sono richiesti in altri gruppi. La parte di un appartenente alla famiglia è complessa e coinvolgente emotivamente, e sono presenti stati conflittuali come il divorzio o la appartenenza, come nella società marocchina, a 2 famiglie (d'origine e del marito). Il gruppo familiare presenta schemi che vanno quindi letti focalizzandosi sul soggetto e sul raggruppamento complessivo. Egli agisce a seconda delle situazioni familiari in cui opera.
I gruppi parentali si distinguono a seconda della linea di discendenza che detine l'autorità, madre o padre, ma questi non sono equivalenti. Quello patrilineare considera il diritto al comando dell'uomo in tutti i campi decisionali. Linea di discendenza e linea di autorità coincidono. In quelli matrilineari il regime dipende dagli uomini più prossimi, ad esempio i fratelli, e sulla donna si basa la discendenza. Solo alcuni settori spettano interamente alle donne, Vi è quindi una divaricazione fra autorità e discendenza. Le società matrilineari praticano la residenza matrilocale, ovvero sono gli uomini a spostarsi nel territorio della donna, pur non perdendo i contatti col territorio d'origine. Sono anche soggetti alle autorità dei parenti prossimi. I gruppi parentali sono poco specializzati nello svolgimento dei compiti, questo perché nascere in un determinato ambito parentale non attribuisce speciali attitudini a compiere lavori. Ma è il carattere sociale che ha la parentela che impone specializzazioni molto forti, ad esempio doversi sposare dentro la propria casta. In antropologia si tenta di definire un ambito molto aperto che è il campo della parentela. La sua indagine, nonostante sia influenzata dai costrutti teorici, mette in evidenza sistemi e modelli da cui dipendono le caratteristiche dei soggetti culturali. Ha messo in luce inoltre il vincolo fra famiglia e società. La visione sociale della famiglia influisce infatti nella nostra visione, ad esempio nella costruzione degli alloggi. Questa sarebbe un'illusione, ma fondata perché essendo garantita dallo stato, ne riceve i mezzi per sussistere.
L'antropologia si pone domande sulle relazioni soggetti-parenti e le loro dinamiche, che dipendono dalle regole e dalla conformità dei soggetti ad esse. Ma nei sistemi familiari gli individui interpretano le proprie posizioni i modo differente. Oltre ai concetti di parentela e famiglia, è opportuno richiamare il gruppo domestico e la domesticità. Il primo è l'insieme di persone che risiedono in comune e producono/consumano congiuntamente. Condividono risorse materiali e si difendono dall'esterno. Può essere una famiglia oppure includere soggetti che possono avere vincoli parentali come i comestici, i protetti, ecc. La vita organizzata in termini familiari, orientata verso la famiglia e le sue risorse è la Domesticità, e ogni membro ne ha quindi una di tipo differente. La domesticità della donna varia ad esempio dalla partecipazione paritaria all'asservimento. Sul lavoro e i ruoli si costituisce la disciplina su cui si basano i benefici individuali all'interno del gruppo.
Per inquadrare le strutture, Levi-Strauss parte da un concetto chiamato l'Atomo di Parentela, intendendo con questo una struttura semplice di 4 soggetti: un fratello, una sorella, un marito e un figlio/a. E' una struttura essenziale che spiegherebbe ogni formazione parentale, con cui si espone il problema della delimitazione dei confini e dei tratti interni di un gruppo parentale. Sono i 4 fattori necessari a definire la struttura di base dei sistemi parentali. Dalla loro interazione nasce ogni situazione definibile come parentale, come la relazione di consanguineità fra fratello e sorella, quello di alleanza, e quella di filiazione. L'essenza è lo scambio-reciprocità dell'oggetto donna, gestito dagli uomini. L'uomo che dispone di figlie e sorelle è l'agente attivo che tiene relazioni con altri soggetti maschili. La donna non può agire autonomamente, solo perché esiste un uomo che la cede può essere scambiata. Su quest'Atomo crescono le relazioni più complesse. Le modalità di tali costruzioni differenziano i sistemi matrimoniali delle società. Radcliffe-Brown contrappone a questo una altro schema secondo il quale sarebbe la relazione di filiazione a essere fondamentale che struttura alla base la parentela. Non va pensato che, come si riteneva in precedenza, il dato biologico e quello culturale siano contrapposti. La teoria naturalistica della parentela riteneva inizialmente che fosse la biologia a determinare la parentela, mentre successivamente si dava precedenza all'idea sociale. La parentela sfrutta invece le risorse biologiche con un linguaggio sociale, servendosene come legame riconosciuto di individui che sta alla base di ogni socialità. Con le nuove tecniche di riproduzione come la assistita, si pongono molti problemi identitari. Si vengono a creare situazioni intricate che coinvolgono madri biologiche e sociali ad esempio. Con i laboratori e il progresso dell'orizzonte tecnologico, vanno rivisti i soggetti genitoriali e la filiazione stessa.
Le formazioni matrimoniali: formule e transazioni
Oltre alla parentela di sangue, i legami parentali si possono costituire anche con rapporti di coniugalità e di affinità, che sorgono col matrimonio. Il matrimonio coinvolge sia gli individui che lo compiono, sia i gruppi di appartenenza, siano essi clan, lignaggi, etnie. Il soggetto culturale accede al matrimonio attraverso una preparazione a questa fase, che comporta la responsabilità per sé e per la prole. E' preceduto quindi da una fase iniziatica, sia essa un atto verbale o lunghi periodi di costruzione identitaria. Riguardano di solito gli uomini e hanno il fine di accertare la maturità fisica e sociale, la mascolinità. Mentre le donne quindi possiedono in genere la capacità riproduttiva, intrinseca, quella maschile va artificialmente indotta. Il legame è basato su accordi di cooperazione sanzionati socialmente. Esso dona legittimità alla prole e forma il tessuto sociale. Permette di creare reti di alleanze. Ad esempio, attraverso gli scambi di donne sono, nella teoria matrimoniale, il fondamento delle alleanze. Il vincolo matrimoniale è sancito dal passaggio di una donna da un gruppo a un altro. Dunque il matrimonio sociale è caratterizzato dalla ricerca di donne da acquisire, o meglio da gruppi disposti a cederne alcune in cambio di beni o altre donne, ad esempio la "ricchezza della sposa". La Dote è invece il patrimonio che la donna porta al momento delle nozze, è dato dalla sua famiglia a lei stessa.
Il matrimonio ha una funzione pressoché sociale, poiché la società vi attribuisce diritti e doveri giuridici, economici, politici, nonché il riconoscimento della prole. Per costruire un matrimonio vi devono essere motivazioni sociali, ad esempio l'allontanamento di una guerra fra clan. Imparentandosi ci si pacifica. Altre sono le scalate sociali, e il lato sentimentale delle scelte è spesso in secondo luogo. In alcuni casi, fra le molte variabili di sistemi esistenti, è la ricerca del partner a influenzare le scelte dei gruppi. Ad esempio, oltre che dentro o fuori dal gruppo (legami endogamici ed esogamici), entrano anche altri fattori importanti come il principio del reclutamento degli uomini. Nelle società matrilineari ad esempio vi può essere la necessità di introdurre uomini che sposino le proprie figlie, all'interno dello stesso gruppo. Vale sempre lo scambio delle donne, ad esempio quando nello stesso tipo di discendenza si cedono donne per ottenere donne per i propri figli.
Ma le donne non sono oggetti di pegno, bensì costituiscono ai loro uomini di istituire rapporti patrimonili fra i gruppi. Danno anche una prole ai mariti, consentendogli di diventare padre all'interno della società. Le alleanze che si creano sono il frutto di scelte date attraverso la scelta dei compagni dentro o fuori dal gruppo. Il matrimonio ha quindi un fattore corporativo. Esempi particolari sono il Levirato, quello dell'eredità della vedova e del sororato. Nei primi 2 la donna o la vedova passano la propria eredità a un parente prossimo di un marito defunto, come il fratello o il cugino. Il diritto che hanno i consanguinei a prendere in moglie la donna è più o meno forte a seconda del gruppo, e sono più probabili in situazioni delicate come la morte del marito senza aver lasciato la prole. Il sororato, dove l'uomo sposa donne dello stesso gruppo o famiglia della sua sposa morte, è anch'esso un modo simile. Tutti e 3 i modi comportano legami estesi fra gruppi, dove vedove e vedovi mantengono i diritti/doveri nel gruppo di appartenenza del coniuge, una sorta di prestazioni in serie.
L'antropologia studia gli obiettivi sociali a cui il matrimonio è diretto. Nelle scelte dei partner, si punta entro ambiti qualificati socialmente, ed è importante sottolineare che non ci si sposa solo per procreare. Il matrimonio attribuisce la prole a precisi genitori e la insedia nel tessuto sociale al di là della biologia. I vari tipi di matrimonio e le attività rituali connesse hanno lo scopo di evidenziare l'istituzione di un legame sociale certo con consenguenze sulla prole, rendendola legittima e offrendole prospettive. Con l'assenza del matrimonio, la società istituisce altri meccanismi per farlo. La rete matrimoniale rende chiare le reti di rapporti ed è quindi un dovere sociale. Non tutti gli individui possono entrare nel mercato matrimoniale, e le transazioni sono complesse. Non abbraccia mai il puro consenso di tutte le parti, comportando scambi di ricchezze ( es. ricch. Della donna) fra famiglie. Un particolare importante di queste transazioni economiche è che vengono diluite nel tempo per intrecciare ancora di più i rapporti, legando i gruppi. Una parte di questo, a seconda del rapporto fra padre della sposa e la donna, viene data a questa. Si creano "debiti insoluti" che permettono ad esempio di esigere attenzione e protezione anche dopo il legame matrimoniale. La figura della donna non è quindi passiva ma diventa così attiva e protagonista, visto che possiede parte delle ricchezze della famiglia.
Alcune culture non prevedono celibato e nubilato, e spesso il matrimonio viene premiato. Non tutti hanno le stesse opportunità, e chi rimane fuori dal mercato matrimoniale lo è per necessità economiche o di degenerazione del tessuto sociale. Ad esempio il non matrimonio colpisce spesso le classi economiche meno legate all'economia di mercato, ma non i meno abbienti. Il celibato maschile non è direttamente collegabile a una situazione economica disagiata.
La religione può, attraverso norme, incentivare o negare l'ingresso al matrimonio, ad esempio col dovere di cercare il compagno nel gruppo religioso proprio. Alcuni addirittura incoraggiano i matrimoni fra cugini. Il non matrimonio è richiesto spesso da norme religiose, e presenta scelte di natura volontaria, di rinuncia.
La vita matrimoniale ha un estensione variabile, e dipende quasi sempre dalla morte di uno dei coniugi. E' così un soggetto temporaneo di diritti e doveri, e la fine del matrimonio comporta una serie di ripercussioni per le parti in causa, e non si cancella facilmente. In molti sistemi è ostacolato, poiché un'alleanza interrotta è un arresto alla crescita del gruppo. Nel caso di ripudi ad esempio, che vengono previsti da alcune società istituzionalmente, questo è un evento che ha sconvolgimenti grandi. Le difficoltà maggiori stanno nel rapporto genitori-figli e nei doveri economici pendenti, oppure nella collocazione della moglie-madre. Donne divorziate nella società marocchina devono prendersi cura dei minori, tessendo per questo relazioni di cooperazione-complicità fra donne nella stessa situazione.
La Vedovanza ha effetti diversi nei 2 sessi, che ha soluzioni e attenzioni diverse nelle diverse culture. La vedovanza femminile è ad esempio una condizione definitiva, come nella cultura indiana che costringe la donna a dipendere dalla famiglia, e viene vista come uno stato di colpa da espiare (in questo caso da atti commessi in vite precedenti che hanno causato la morte del marito). Nella cristianità, i nuovi matrimoni vennero proibiti nei primi secoli d.c., erano soprattutto le donne a non essere avviate a nuovi patrimoni. Si presume perché le loro proprietà potevano essere così destinate alla comunità o alla chiesa.
Si è entrati in una nuova "era parentale", e le nuove tecniche, sempre più complesse, di riproduzione, tendono ad allentare i vincoli naturali fra genitori e figli. Fecondazione artificiale, ecc. Il condizionamento biologico però, lasciano spazi di manovra ai gruppi. Ad esempio nei mezzi di procurarsi membri, oppure nella fecondazione attraverso donatori autonomi che riprende processi già conosciuti dall'umanità. L'utilizzo di servi per procreare è ad esempio menzionato nella Bibbia con Abramo.
Nelle società i gruppi di parentela hanno apparenze varie e modalità flessibili. Senza dubbio però gli interventi scientifici sulla procreazione possono produrre nuovi concetti culturali nell'esistenza dei soggetti. Queste avranno effetti difficilmente prevedibili. Entrando nei processi ordinari della costruzione biologica degli individui, ne si alterano i capisaldi della cultura. La parentela umana è soggetta a variazioni profonde se vengono manipolate o guidate le radici organiche. La vicinanza di parenti biologici non ammette surrogati. Assistere la procreazione non significa fare anche dei genitori, ovvero non prendere in considerazione la parentela, o perlomeno riadattarla alle nuove situazioni. Un problema socio-culturale enorme. Il percorso biologico e culturale sarà frutto di scelte molto diverse da quelle attuali, e anche quindi il lato sociale, la parentela dovrà essere assistita. La filiazione è sociale, non solo biologica.
Capitolo 5 - Scenari della cultura immateriale
Fenomeni e sistemi religiosi
1- L'antropologia cerca di individuare i concetti, le categorie e le idee con i quali si definisce. Queste nascono a partire dagli interessi del soggetto sull'ordine cosmologico, a altri fenomeni come la natura bio-culturale del corpo, alle tradizioni, ecc. Oltre che di queste domande, si cerca di individuare le conseguenze che queste hanno nella pratiche quotidiane. L'antropologia, oltre che di sistemi di classificazione come gruppi sociali, etnie e classi, si concentra sulle giustificazioni che l'uomo dà alla propria esistenza. L'uomo viene studiato col compito non solo di individuare le categorie e i concetti che esso inventa, ma anche di sapere quali interpretazioni e rielaborazioni fa a proposito delle sue credenze. Il soggetto compie delle scelte nelle relazioni che ha con le idee e le credenze. Fra queste scelte, un posto d'obbligo occupano i fenomeni religiosi, l'espressione della cultura non materiale che hanno una particolare influenza sull'universo umano.
L'area magico-religiosa va definita secondo alcune precisazioni per essere praticata scientificamente dall'antropologia. - Non tutte le culture hanno un concetto di religione o di idea soprannaturale, - non sempre si può distinguere quest'area dalle pratiche sociali pure o dalla politica, definire alcuni costumi come religiosi non è facile. Un fenomeno importante è ad esempio la circoncisione, dettata da norme definite religiose che non motivano le sottomissioni a cui si sottopone chi è circonciso. - Il sapere religioso è molto specialistico e divarica la comunità religiosa e la dottrina della religione. Le ideologie non sempre si traducono in costumi omogenei fra i membri.
2- Come la parentela dà una collocazione agli individui dentro la società, la religione la dà a livello cosmico e universale. Si ritiene che questa risponde agli interrogativi dell'individuo sull'ordine cosmico, e che offra anche i mezzi per penetrare tale sistema complessivo.
Le condotte religiose sono state interpretate come risposte a esigenze diffuse negli umani. Sono fra gli elementi più influenti e universali. La religione si sviluppa e corrisponde in una credenza a un mondo invisibile e non facilmente accessibile, contrapposto a quello visibile e connesso con questo. Se non vi fosse questa connessione non si avrebbero comportamenti religiosi da parte degli uomini. I soggetti cercano di connettere e costruire mediazioni fra i 2 mondi, come nel culto dei morti. Il punto è quindi l'incompleta divaricazione fra i 2 mondi materiale e immateriale, che necessitano di ponti costruiti dagli uomini con le pratiche religiose. In antropologia si può parlare di sistema religioso, cioè l'insieme di usanze e pratiche di gruppi di soggetti che vengono seguite in accordo a precisi principi e credenze. L'antropologia dà più peso agli effetti che la religione ha sul comportamento, e sul fatto che è costruita da un insieme di attività, costumi che la rendono influente. L'uomo è quindi il soggetto agente che fa parte del gruppo che mette in pratica norme religiose. Firth distingue sistemi particolaristici da altri universalistici, ma in entrambe la fede è dentro la pratica. Nelle prime le forme di performance appropriate e sono associate al sistema specifico. Nelle seconde il sentimento religioso ha effetti più vasti, ma le pratiche rimangono importanti. Sono gli individui dei gruppi che filtrano e adattano i presupposti teologici alla vita quotidiana, in variabili molto grandi. Ad esempio alcuni raffigurano divinità altre no. In alcune la trasmissione di concetti passa per rappresentazioni materiali, per altre no. Firth parla di paradosso dei sistemi religiosi, nel definirli come incentrati su divinità e mondi superiori ma con un carattere essenzialmente umano.
Le manifestazioni a ciò che vengono definiti spiriti non sono in sé buone o cattive. Sono influenti poiché impongono all'uomo a osservare alcune condizioni o attività, come gli esorcismi e gli adorcismi. Questi sono radicati nella cultura religiosa cristiana ma anche in altre. Al mondo invisibile degli spiriti sono attribuiti caratteri riconoscibili. Uno di questi modi è l'animismo, ovvero la credenza in esseri, anime e spiriti della natura che vivono negli stessi spazi abitati dall'uomo. Sono parte dell'ambiente cosmico e sono espressioni della volontà divina. Presenti sin dall'antichità, comportano l'introduzione del sovrumano come forza capace di dominare le azioni dei viventi nel quotidiano.
Altra forza è il Manismo, ovvero la credenza nell'influenza dei morti. Qui l'anima del morto non abbandonerebbe il mondo vivente ma continua ad operare su fatti. Si incentra su pratiche rituali ed omaggi all'anima dell'antenato, ritenendo che da essi dipende il benessere dei viventi. Nelle linee di discendenza tutto si basa sulla vicinanza fra vivi e morti, come i primi ne ereditano beni, nome e identità. Inoltre i morti conoscono bene i bisogni terreni dei viventi. Un particolare dei morti è che pur essendo legati ai viventi, sono dotati di forze semidivine, il che li rende integrati nel mondo delle divinità. Non sono totalmente separati dalla prima, ma sono molto vicini al mondo supremo, quindi hanno alcuni dei suoi poteri e possono essere fonte di pericolo. Vanno trattati con rispetto, e spesso fanno da tramite per raggiungere i mondi delle divinità. L'esperienza del sogno è il mezzo di connessione con gli antenati. Gli spiriti e i defunti si rivelano attraverso l'attività onirica. Facendo precise richieste che se ignorate dal soggetto può provocargli colpe gravi e rischi. I Santi invece sono persone che hanno conosciuto un'esistenza terrena e che hanno vissuto uno stile di vita o una morte speciale, una vita eccezionale dunque. Questa caratteristica li pone in diretto contatto col mondo sovrumano, e vengono considerati mediatori fra terreno e ultraterreno. Sarebbe quindi un ideale raro di uomo che diviene oggetto di Culto. Il culto, rivolto anche a esseri superiori di natura diversa da quella umana, è composto di Riti. L'Iniziazione può essere di molte forme religiose diverse, per rendere l'individuo capace di assumere un ruolo sociale. A volte vi è una Consacrazione, che come tutte le forme iniziatiche, fa parte delle attività religiose. Le credenze in spiriti trovano un posto nel sistema logico dei Miti, ovvero lo strumento di trasmissione di conoscenze e realtà invisibili.
La vita collettiva dei gruppi è conformata spesso alla vita religiosa. Durkheim sostiene che la dimensione collettiva sia più importante dell'aspetto percettivo individuale della religione. Un dato discriminante è dato dal carattere sacro. Il Sacro è ciò che è protetto dal profano attraverso tabù e divieti, che infrante provocano reazioni. Il sacro è altro, superiore e separato. Da quest'alterità si tenta un approccio alla natura della religione:
Quando un certo numero di cose sacre presentano rapporti di coordinamento, formando un sistema a sua volta separato da altri, quest'insieme di credenze costituisce una religione. Credenze e Riti sono i poli della costruzione religiosa. Le credenze sono principi fondamentali dei comportamenti, e la loro validità, provenendo dal passato, non viene posta in discussione. Le "Cose sacre" sono un terzo fattore su cui si concretizzano tabù e divieti. Il Totem ad esempio è un caso esemplare. E' un simbolo sacralizzato che riceve culto e protezione dalle norme. L'oggetto sacro è stato valutato come punto cruciale, e sarebbe sacro non grazie alle sue caratteristiche intrinseche, ma, secondo Levi-Strauss, sono tali perché permettono il pensiero religioso, l'elaborazione di idee astratte a partire dall'esperienza concreta. Sono materiali che danno la base per misurare e spingere il lavoro intellettuale a livelli elevati. L'oggetto sacro concentra il pensiero ed è osservato come punto di consacrazione di idee. Il Sacro è localizzato. Sacro e profano sono ambiti con forte autonomia, ma il sacro non avrebbe significato se non giungesse mai nella vita quotidiana. Si permettono quindi contatti indiretti, attraverso mediazioni fra i 2 livelli differenti nel tipo da cultura a cultura, ad esempio attraverso l'elaborazione di specialisti. Le culture quindi specializzano il sacro per poter entrare meglio in contatto con esso. Lo fa in maniera istituzionalizzata. Gli antropologi vedono la costruzione umana del religioso secondo un'altra distinzione, un polo personale e uno impersonale. Le forze che governano l'uomo sarebbero incarnate in figure speciali, o al contrario del tutto disincarnate. I 2 poli corrispondono a 2 realtà non omogenee. Nelle società in cui il potere extra-umano è impersonale, viene descritto come magico, mentre dove è personificato in divinità, demoni e simili, si parla di religione.
Magia e religione non sono del tutto separate. Si parla di fenomeni magico-religiosi come entità culturali complesse. Alla magia, si attribuisce grande efficacia, ma un basso profilo culturale. Qui vengono collocate esperienze non spiegabili. In molte società ci si avvicina a una valutazione paritaria della religione e della magia. Ovvero autorità nell'una può significare autorità nell'altro campo. I 2 livelli possono avere influenze accoppiate e sommate sull'individuo. La magia è poco contenibile, e si ritiene che alcuni luoghi e materiali possiedono questa forza. Oggetti magici o formule magiche hanno una grande fama e sono tenuti nascosti da specialisti. A volte è l'ambiguità a costruire la base della potenza. A seconda dell'uso che se ne fa, la magia può essere buona o cattiva.
Le attività religiose richiedono alta specializzazione, e diverse sono le figure degli specialisti. Essi rispecchiano le peculiarità dei sistemi etnico-culturali, e vanno dai sacerdoti agli stregoni. Le aree di confine fra questi ruoli non sono valicabili, e vi sono alcuni orientamenti di fondo sugli specialisti:
a) I caratteri magico-religiosi sono visti come sfuggevoli rispetto ai controlli abituali. Nel mago ad esempio si incontra il diverso, possiede un'alterità con cui si può stare in contatto. Lo Stregone è invece pericoloso e un nemico. Lo sciamano è diagnostico benefico, individua il male. Il Divinatore è un interrogatore di forze divine, e il Profeta interroga, ammonisce e guida il popolo. Si possono così dividere in operatori, come il mago, di forze benefiche o malefiche, oppure semplici portatori come lo stregone.
b) Gli specialisti controllano e dominano forze divinizzate, e poiché sono investiti di qualità non visibili, debbono vivere una vita a parte per via della loro pericolosità.
c) Alcuni degli operatori vengono Iniziati alla pratica da esperti, istruiti e riconosciuti come predestinati al compito grazie a segni sul corpo o sintomi mentali, che vengono verificati.
d) Il potere specifico dello specialista religioso si intensifica nei momenti quali riti e altri momenti qualificanti che essi solennizzano. Il contatto col mistico gli conferisce un carattere speciale.
Sciamani e stregoni, come gli altri specialisti, non si liberano mai dei propri poteri, le hanno in maniera innata. In tutti i gruppi esistono tabù che permettono di conservare queste qualità. A volte queste figure sono schiave di precetti e codici da osservare per tutta la vita, oppure vivono nel timore di perdere le capacità che gli sono state trasmesse. Può venire investito della propria funzione senza una particolare volontà sua, e nessuno lo può liberare. E' prigioniero del ruolo, e può essere espulso dalla vita usuale se non rispetta la routine dei simili. E' soggetto al sospetto. La magia-stregoneria ha una funzione precisa nell'organizzazione sociale, e lo stregone può ad esempio non essere parte dello stato nobile oppure far parte del mondo opposto a quello colto come nell'impero romano. L'uomo colto era invece chi si era sollevato dalla cultura tradizionale. Gli specialisti ristrutturano la società dall'interno in senso reiterativi, e sono per questo colpiti da accuse di magia e stregoneria. Fanno parte di uno specifico settore interno della società, a cui viene di solito attribuito un ruolo marginale e infido. Le arti magiche definiscono visioni del mondo, attraverso i loro concetti si esprimono giudizi universali del mondo e della cosmologia. A volte l'intera esistenza è organizzata su credenze che servono come regolatori nei rapporti fra gli individui.
La pratica religiosa è un campo privilegiato dell'osservazione antropologica. Con il termine religiosità, si segnalano comportamenti reali e mentali, ed è prima di tutto un sistema di classificazione. Un problema importante è l'istituzione di un rapporto interpretativo nuovo fra antropologi e nativi. Vi sono sistemi di religiosità domestica importanti, dove il lavoro di mediazione umano/divino fa parte della vita domestica familiare. Viene praticata da tutti a livello di famiglia, e viene spesso custodita dalle donne. E' riconosciuta come la religione pubblica.
Il grande quadro del mito e del rituale
Altro elemento decisivo nella costruzione del soggetto culturale è il mito. E' un racconto di meraviglie, che rappresentano credenze in forma comprensibili. Riguarda uomini, animali, esseri naturali e soprannaturali mescolati in forme inconsuete. Cercano di giustificare una situazione sociale.
Il Mito è un atto narrativo formalizzato, secondo Levi-Strauss è una forma intellettuale che soddisfa il bisogno di darsi ragioni e spiegazioni. Si applicano dalle norme matrimoniali a campi quali l'invenzione degli strumenti, e accompagna la storia dell'uomo. Risponde a esigenze intellettuali e pratiche di ogni epoca storica. E' espresso non solo verbalmente ma testualmente e esprime una storia o vicenda. Questa assume il carattere di mito quando esplicita realtà primordiali essenziali.
Ha il carattere di parola dotata di forza costruttiva o istitutiva, di riavvio della vita. Qui una realtà primordiale rinasce come narrazione per soddisfare esigenze e stimoli di natura religiosa o pratica, oppure stimoli morali. Il mito ha una qualità che non può essere attribuita da chi lo produce ma da un esterno, e può non essere qualificato come tale dal primo. E' parte delle'attività pratica o religiosa.
Nei miti incontriamo alcune invarianze fra tutte le variabili culture umane. Alcune forme sono più o meno evidenti mentre altre nascoste, e la costruzione si può ordinare in 3 piani.
La constatazione che esistono elementi culturali incoerenti o contrapposti, come un odio o un disordine o delle disfuzioni sociali. b) La ricerca di un sistema di regole che da coerenza alle situazioni incoerenti. c) La soluzione dei problemi legati al caos. Esiste sempre una tensione verso un esito o chiarimento. Il mito quindi porta a una chiusura, nonostante venga costruita con mille narrazioni diverse e altrettante manipolazioni. E' dotata di una soluzione finale che viene raggiunta dopo varie interpretazioni e estensioni del "testo". Tutti gli elementi esistono già nel racconto, in forma di un intreccio di eventi e fatti da esplorare che sono necessari allo svelamento finale. Sembra un apprendistato, un esercizio finale. Contiene quasi sempre un nocciolo di verità, e rinvigorisce un certo tipo di vita sociale, diventando la spina dorsale di un gruppo. Questo perché entra in gioco quando dei riti, regole sociali o morali richiedono una giustificazione, una garanzia. Nel mito si incontra una sequenza di eventi che collega direttamente il potere con la sua origine, è un racconto ideale. Si concentra su fatti estremi o fortemente emotivi in tutto l'universo delle culture. Sul lato sociale, può creare aggregazioni con simboli o teorie discriminanti che creano differente mitologiche fra i gruppi. L'enorme varietà di contenuti pone problemi alla sua descrizione. A volte nasce attorno a fenomeni cosmici o fatti rivoluzionari oppure segna la riflessione sul processo che lega natura-cultura, o la mutazione umana. Esistono quindi miti storici e periodici, organizzati e legati coi periodi. Hanno una natura molto dinamica, e possono mettere in luce analogie con altre culture. Con la sua forma narrativa fantastica offre una spiegazione del sacro, avvicinando gli antenati alla natura divina con intrecci fra sacro e profano ad esempio. Può essere incorporato in pratiche magico-mistiche, rendere parlanti animali. Esprime una teoria religiosa come l'unicità del creatore, però è distinto dalla religione poiché non sempre ne riversa tutte le concezioni presentate. Vi è una condensazione di elementi osservati, come in un conflitto fra divinità che genera il giorno e la notte. Le culture selezionano alcuni elementi veri e li mitizza, concentrandosi solo su alcuni aspetti importanti per la collocazione dell'uomo e del gruppo, orientandolo verso alcune verità attraverso menzogne. E' una sospensione dalla realtà che permette al mito di affermare verità eterne, attirando l'attenzione e aiutando la memorizzazione. Sostiene la storia e si integra con questa, intervenendo con elementi o ricostruzioni fantastiche dove non è possibile venirne a capo. L'inizio è sempre divino o non normale per culminare con una parte finale molto legata alla realtà. Sulla validità del mito si incontrano spesso paradossi, e da un lato lo si ripudia come poco funzionale e dato del divario razionale-irrazionale. La mitologia viene vista come negazione dell'uomo costruttore della propria realtà. Sarebbe un patrimonio però irrinunciabile, incarnando un valore. La forma favolosa condurrebbe al recupero del reale, perché apparirebbe più logico e comprensibile. Douglas fa presente come il mito sia parte di un sistema di comunicazione semiotico, e può essere analizzato con gli stessi metodi dello scambio di beni o altri schemi culturali. Come vale nel linguaggio, gli elementi che ne fanno parte, da separati non hanno alcun significato in sé. Può essere comunque spezzato in unità semantiche e poi riassemblato per vederne le versioni. Alla fine comparirebbe una mediazione che capovolge una situazione, proponendo una lettura che risolve. Secondo Douglas, il mito esplicità l'esperienza della contraddittorietà della realtà.
I Riti scandiscono la vita socio-religiosa, ed è un grande tema dell'antropologia. Sono un insieme di azioni concordate e accettate. E' un atto socialmente necessario. L'antropologia possiede un'idea desacralizzata del rito, e lo ha inserito nei processi narrativi dei gruppi umani. Il Rituale comporta azioni conosciute, abituali. E' una successione di gesti che rispondono a bisogni essenziali, gesti semplici che sono divenuti procedimenti complessi. Azioni abituali, vengono trasposte in sede rituale e caricate di valori. Sono dunque azioni che hanno valore anche nella vita stessa, ad esempio cibarsi. Bell parla di pratica, quando cerca di spiegare questo modo di trasposizione dal normale al rituale. La pratica ha delle caratteristiche, è situazionale, strategica, capace di riprodurre una visione dell'ordine del mondo, caratteristiche che il Rituale deve possedere. Rappaport precisa che questo sarebbe una performance di invarianti sequenze di atti formali e verbali non del tutto codificate dai performatori.
Esistono quindi tante forme e azioni solennizzate, pertanto non è facile definire il rituale. E'legato a sventure naturali, e riafferma miti fondanti. Occorre indicare alcune caratteristiche:
a) E' un atto efficace in quanto costitutivo o istitutivo di una precisa realtà. Non è lo sfondo di qualche evento che riunisce individui. Dà forma all'esistenza, in quanto prima non si hanno alcune qualità che vengono possedute e legittimate da questo. Si possono assumere ruoli e mediare col divino, come in una consacrazione religiosa. Le situazioni possono avere carattere mitico o sacro. Il religioso è stato campo di applicazione dei riti, ma questo vale in campo profano, dove attività anche solenni sarebbero solo cerimoniali. I rituali trasformano, e le cerimonie commemorano. Spesso la situazione da cui parte il rituale è conflittuale.
b) Altra caratteristica del rituale è la Fissità, ovvero ha un andamento e una struttura obbligata. E' un processo costituito tradizionalmente in tutte le sue parti, non è un'invenzione di un individuo. Il protocollo rituale ha un'organicità che si ricompone in unità-gesti o parole. Per la sua comprensione e l'efficacia si esigono un minimo di performance essenziali.
c) Ultima, la Vistosità, ovvero il rituale è caricato di esteriorità, è un atto esposto alla vita. Utilizza materiali ordinari ponendoli in contesti straordinari. Dilata il loro senso, creando a volte separazione tra la sfera normale e quella cerimoniale-rituale. Inoltre, ha un carattere-funzione di aggregazione agli individui che vi partecipano. Non è l'unica perché a volte può anche essere uno strumento di separazione o entrambi in successione. Esistono rituali individuali che si concentrano su un protagonista, che solo dopo entra in rapporto con la comunità. In differita. Costruisce un'identità comune.
Douglas sostiene che i rituali, dando espressione ad azioni consapevoli e impegnate, sono indispensabili per contenere le oscillazioni di significato. Nel momento rituale decadono imperfezioni e ambiguità di alcuni ruoli e nozioni. Altra funzione, oltre a questa "antisismica" e di stabilità, è quella che interessa la linea temporale. Gli individui, con gli atti rituali, possono creare continuità fra passato e presente. Attraverso esperienze rituali passate si connette al mondo. Costruisce la storia del soggetto culturale. Il rituale colloca, definisce. La sua ripetizione pone in sintonia con la storia e la fisionomia culturale. Senza rituali non possiedono ricordi, background certi. Memoria rituale. Nel profano, il rituale valorizza la potenza del disordine. E' l'opposto della regola, della logica, ma in esso vi è un infinito potere di crearne. Una condizione di effervescenza. E' interessante notare che esiste un nesso fra credenze e rituali. Le prime sono la fonte o il punto d'approdo delle seconde. Li alimentano. Un principio di sacralità si esprime ritualmente in forme molto disparate. Uno stesso atto può rifarsi a principi differenti. Ad esempio il sacrificio. Il sacrificio animale risponde a principi uniformi non omogenei. Mito e rito hanno influenze reciproche. Il secondo è un'attualizzazione dei contenuti del mito che viene dal passato. Il mito si rende visibile nelle attività rituali che attraversa, e vengono rivitalizzati come fattori necessari ad esempio.
La multivocalità dei simboli e la corporalità
I domini celesti e terrestri sono pieni di simbolizzazioni, ad esempio animali o montagne come l'Ararat. Ogni cosa è passibile di Simbolizzazione, ovvero è soggetta all'attribuzione di valori. I simboli, immateriali, nascono quindi dal mondo materiale. Una separazione netta fra immateriale e material è impossibile. Dipende dal punto di vista adottato, e si pone l'accento su l'una o l'altra. La cultura è trasmessa attraverso simboli, con cui si sviluppano le conoscenze, e gli atteggiamenti verso la vita. Questi non sono costruzioni perenni, ed entrano nel processo temporale mostrando il loro valore nel tempo e nel corso di un'azione precisa. Attraverso il simbolo si può inquadrare un processo concreto o una prospettiva. Il simbolo: a) è qualcosa che sta per un'altra; b) può essere un segno convenzionale con un'astrazione massima; c) Si presenta come mezzo indiretto per indicare ciò che non si può esprimere in modo diretto; d) e' un atto che diventa veicolo per un concetto; Coesistono dati intrinsecamente legati all'oggetto.
I simboli sono quindi formulazioni di realtà storiche o concettuali sintetizzate in oggetti o altro. Nell'interpretazione teorica si segue la metodologia che fa riferimento al contesto. Ad esempio lo studio del valore del bianco come simbolo del latte materno. Turner afferma che il simbolo è un condensatore di referenti, un'entità con valore cognitivo. E' Multivocale poiché è suscettibile di molti significanti. La croce può significare fatica, morte, ecc. L'antropologia dei simboli è costituita dal taglio funzionale, e a che cosa serve il simbolo, piuttosto che cosa incarna. Si studia attorno ai processi e agli effetti dei simboli. Gli schemi simbolici diventano così modelli di classificazione, con cui collocare fenomeni e persone. Nei procedimenti simbolici entra il dare nomi e metafore. Il Nome è un simbolo indissolubile del soggetto o dell'oggetto, e da un controllo diretto della conoscenza del mondo. Danno l'illusione di poter trascinarli nella nostra sfera di poteri e controllarli. I fenomeni religiosi, sono oggetto di simbolizzazioni complesse, di dominazione e metaforizzazione. Esseri mistici necessitano simboli polivalenti, difficili da penetrare. Può avere molti nomi e simboli che variano quindi a seconda dell'estensione dei referenti. Varia il significato di tipo naturale o metafisico che è attribuito. Più i simboli sono necessari, più è difficile tenerli sotto controllo, come quelli religiosi.
Il Corpo è ciò che permette all'uomo di essere un soggetto costruito sulle relazioni e sui simboli. E' però qualcosa di misterioso, e tutte le culture hanno costruito un sapere specifico di esso, nonostante la comune base biologica. Vi sono tanti corpi quante sono le culture, che se ne occupano in maniera diversa. Creare simboli corporali richiede un'attività immaginativa, di investigazione dei suoi caratteri naturali. L'antropologia si basa sulla convinzione che ogni cultura voglia afferrare il corpo e collocarlo entro schemi comprensibili. L'uomo ha un'esistenza corporale, che viene fatta oggetto di trattamento sociale e culturale. Definiscono modi d'esistenza che variano da una struttura sociale all'altra. Il Corpo è un materiale duttile e polisemico, dove vengono compiute operazioni di memorizzazione e orientamento. Può essere visto come una macchina, un centro sensoriale, un mondo immaginario, ecc. Le culture hanno costruito sfruttando il corpo come un materiale biologicamente insostituibile e molto disponibile ovunque. E' un materiale misterioso che però può essere di tutti, e grazie alla sua duttilità ha dato grandi possibilità espressive a tutti gli esseri umani.
La Corporalità è interessante per vari motivi. E' l'insieme dei dati, condizioni o atteggiamenti che hanno rapporto col corpo fisico. Il corpo può essere pensato o falsificato con facilità ma con intenzioni differenti. Patologi e attori hanno motivazioni differenti nel trattamento del corpo. Ciò fa si che il corpo abbia mutamenti a seconda delle circostanze, e che sia il punto d'arrivo di significati contingenti, che generano quindi soluzioni non omogenee nei problemi corporali. La stessa nascita biologica è soggetta a elaborazioni culturali, nella società occidentale è il nesso corpo-cervello ad essere al centro dell'attenzione. Il singolo soggetto crea dunque un proprio corpo simbolizzato, partendo da condizioni e sensazioni interne come dalle imposizioni esterne. Va sottolineato che:
a) Il corpo ha la funzione di veicolare la comunicazione. Ciò viene percepito da noi passa necessariamente per il nostro corpo, e delle manifestazioni corporali trasmettono notizie irriflesse sulla persona, fungendo così da indicatore.
b) Il corpo traccia confini e dà punti di riferimento al soggetto: lato sinistro e lato destro, alto e basso, dietro e davanti. Tutte le direzioni che hanno come perno il corpo, sono visualità conoscitive; attraverso il proprio corpo l'uomo definisce lo spazio e la sua posizione nel mondo fisico. La stessa descrizione del mondo fisico passa attraverso un linguaggio che ha come riferimento la corporalità. Ogni discorso nasce dalla corporalità del parlante e dell'ascoltatore. La metafora affiora anche nella lingua e nella sintassi, ad esempio "articolo", piccolo arto. Tutto il discorso può essere visto come un corpo con articolazioni. Caratteristica che distingue il linguaggio dal non-linguaggio, inarticolato degli animali. Il corpo fisico viene cosiderato come totalità e come parti dall'analisi. Ogni sezione del corpo è sede di significati distinti.
c) Ogni scambio culturale non avvengono se non attraverso gesti e movimenti corporali. Le regole dell'etichetta vengono stabilite tramite segnali percettibili del corpo. In particolare la ritualità, o la consacrazione religiosa, vengono visualizzate sul corpo. L'antropologia fisica studia le dimensioni del corpo e i rapporti con le sue parti, mentre quella culturale inquadra gli usi operati sul corpo.
d) Sul piano culturale, il corpo è un materiale di natura singolare, deperibile e attraversato da sostanze rilevanti. E' quindi un terreno perfetto e sensibile alle simbolizzazioni. Come massa biologicamente attiva, permette il transito di materiali, specialmente liquidi, dall'interno all'esterno, mettendolo in contatto con ciò che sta fuori. E' così incerto, pone dei problemi. Il transito, la comunicazione che si viene a creare, diventa portatrice di significati simbolici positivi o negativi. I liquidi corporali sono componenti temute in ambito religioso.
e) L'ambiente umano è il larga misura determinato dai corpi degli altri, poiché i soggetti si trovano immersi in uno spazio occupato da altri corpi, fatto che influisce sulla condizione sociale di ogni giorno, provocando dialettiche.
f) Il corpo è anche lo strumento di evidenza degli statuti legali, ad esempio nella segregazione, nella tortura, e nell'iniziazione. Ad esempio il prigioniero e l'iniziato si trovano in un momento critico col loro rapporto con la legge. Il secondo sta per essere sottoposto al dominio della legge, è preparato a una posizione legittima, mentre il primo è sottratto alla normalità legale. Il suo corpo è privato della capacità di esercitare una qualsiasi forma di diritto. Segnare il corpo, consiste nell'indicare il livello infimo di chi non può ribellarsi. Lo si pone a un livello passivo, marchiato con dolore. Il dolore fa parte dell'atto di simbolizzazione. La tortura avrebbe così come fine dimostrare, marchiando la carne, il valore della norma tramite un'accettazione imposta. Lo stesso nelle cicatrici indelebili delle iniziazioni. E' un simbolo di marchiatura, efficace, che sta per il processo rituale che è avvenuto.
La Società imprime segnali sull'individuo, e questo è il modo con cui lo qualifica come parte dell'aggregato. E' una legge sociale impressa sul corpo, che lo equipara agli altri che la posseggono. Nell'uniformare i corpi la società rifiuta poteri separati o distinti. Al di là di questi casi, è noto come:
Il corpo normalmente non si può toccare, è molto protetto nelle interrelazioni umane. Ha spazi legittimi ed altri vietati. Un individuo qualsiasi non può introdursi negli spazi fisici privati di una famiglia, ma non può neanche approssimarsi a un altro senza violare regole di cortesia.
La simbolizzazione del corpo interessa anche la definizione di sesso e di genere, che hanno da un lato il dato genetico-biologico e dall'altro le concezioni sociali attribuite a questi. Maschile e femminile derivano da convenzioni e attribuzioni di status e ruoli, a cui si legano pensieri di differenza basati su griglie interpretative dei mondi maschili e femminili, tutto ciò tramite simbolizzazioni. La costruzione sociale del genere costituisce uno dei pilastri della società e della famiglia. Le determinanti biologiche sono influenti, ma le culture possiedono visioni e pratiche che intervengono in maniera determinante. Il rapporto e la coincidenza di sesso e genere non sono fattori immutabili. Il corpo è uno strumento della riproduzione sociale, e l'esercizio della sessualità e la stessa scelta sessuale sono carichi di significati simbolici che non sono giustificati solo dall'obiettivo della procreazione. Vi è un sistema di Sesso/genere, e determina come viene valorizzato il genere. In sede analitica è necessario elaborare quadri concettuali dei sistemi con cui si organizzano i sessi nell'ambito socio-culturale, ovvero le regolamentazioni dei vari modi di riprodurre.
Capitolo 6 - Griglie della cultura materiale
La fisicità, la materialità del mondo
Il soggetto vive in spazi determinati dove usa e produce strumenti ed oggetti. L'antropologia cerca di delimitare e capire le relazioni fra l'apparato immateriale della cultura e quello materiale degli strumenti. Gli aspetti materiali delle culture dovrebbero entrare nella prospettiva antropologica tanto quanto sono entrati gli aspetti immateriali. Il mondo delle cose concorre a definire il soggetto culturale. I beni, oltre ad essere prodotti materialmente, vengono anche culturalmente marcati, ad esempio ricevendo una particolare funzione. Dunque solo alcune delle moltissime cose disponibili vengono marcate come beni, e sono soggette a trattamenti diversi in momenti diversi, oppure da persone diverse. E' necessario stabilire i confini dove un elemento della natura diventa parte della cultura, e come gli vengono attribuiti segni funzionali ed estetici, quindi viene qualificato produttivamente. L'oggetto è legato alle circostanze, all'ambiente, diventando la sua voce. Sarebbe, secondo altri, il risultato di un'operazione mentale calcolata, poiché attraverso gli oggetti parla una società stratificata. Le cose sono dotate di senso ma non lo traggono da un significato oggettivo, lo si attribuisce in base a scopi. Non è quindi il carattere intrinseco dell'oggetto che esso viene dotato di senso, ma attraverso condizioni complessive. Ma quanto più è semplice un oggetto della cultura materiale, tanto più ampie sono le relazioni che esso permette di esprimere. La configurazione di un bene passa da ciò che si attribuisce al suo stato originario. L'antropologia considera la strumentazione e la tecnologia come un fattore interno alle circostanze e agli ambienti fisici, e nella sua attribuzione di significato la si è posta dentro a forme di socialità come i rapporti sociali. Gli oggetti materiali sono considerati come catene dove si agganciano le relazioni sociali. Così acquisiscono valore come segnaposto di rapporti e gerarchie, è un segnale di relazione. Su di essi il mondo occidentale ha concentrato la teoria tecnico-giuridica, come il trasferimento, lo scambio, la proprietà, ecc che è relativa ai contratti. Fuori dal mondo occidentale il diritto tribale acquisisce importanza all'acquisizione dei manufatti e dei prodotti grezzi. Leach ha invece sottolineato come i manufatti rappresentano oltre alle relazioni sociali, anche concetti del mondo fisico e biologico. La casa è un'immagine del corpo umano, la cultura è solidificata concretamente in una abitazione. Essa non descrive il corpo, però si articola secondo funzioni naturali del corpo, determinando ad esempio spazi giorno e spazi notte, dotati di una forte categorizzazione.
Le forme dei manufatti
Le forme dei manufatti possono far conoscere il valore della cultura. Un punto di partenza è il fatto che i manufatti sono sempre costruiti su geometrie semplici basate sulla linea retta, e forme più complesse sono usate solo per effetti decorativi. La simmetria è un modello pressoché universale della produzione umana. Le asimmetrie sono introdotte intenzionalmente. Ciò significa che la cultura umana copia e sintetizza la natura, rendendola più semplice e plausibile. In natura le imperfezioni sono accidentale, mentre nella cultura sono artificialmente indotte. Leach sostiene così che la cultura materiale sia la protesi, il sostegno tecnico-scientifico della natura. Questo può significare una cosa semplice, nel pensiero umano l'inconoscibilità della natura può essere combattuta e vinta solo se tradotta in qualche cosa che possegga linee rassicuranti e chiare. La cultura infatti genera mappe semplificate della natura, aiutando l'individuo a trovare la sua strada, a sapere chi è e dove si trova, nello spazio e nel tempo, fisicamente e socialmente. Quest'idea delle mappe è un passo avanti rispetto alla teoria dell'oggetto come catena dove si svolgono i rapporti sociali. L'idea che tutto sia una copiatura o ripetizione del mondo fisico non è però così lineare.
Chi invece sostiene che siano una pura invenzione, parte dal presupposto che la riflessione autonoma dell'uomo genera gli elaborati materiali. Tutto ciò che l'uomo produce, va legato quindi alla sua esperienza, all'impatto con la fisicità del mondo, non alla sua riproduzione perfetta. Douglas invece sostiene l'idea che il significato culturale degli oggetti va al di là del valore d'uso e che riflettono il nesso soggetto-oggetto attraverso il parametro del tempo. I beni vengono utilizzati secondo una precisa temporalità, a volte sono i segnali di una età, segna circostanze uniche di cambiamenti, mentre altre volte è legato a un certo tipo di vita.
Quando si crea un oggetto, si compie anche un atto di costruzione del sé sociale. Questo può essere espresso mediante un oggetto. Ad esempio, gli strumenti sono maschili o femminili, un arco è lo strumento essenziale del cacciare, atto che integra il cacciatore nella società. Vi sono divieti che impediscono di mangiare la selvaggina cacciata personalmente, e ciò genera il fatto che si cacci sempre per gli altri membri e che questi nutriscano il cacciatore, saldando la relazione. Istituendo un legame negativo fra soggetto e prodotto-bene, si produce la costruzione della società. Le dà una base di reciprocità, rendendo gli individui interdipendenti. Diminuisce l'autonomia e rende solido il legame comunitario. L'arco ad esempio si pone fra uomo e prodotto. Nel caso del canestro nei Guayaki, la raccolta femminile è il lavoro ripiegato su sé stesso, un altra visione della vita. Non integra, e può isolare. Le donne prenderebbero gli aspetti negativi dell'esistenza, mentre gli uomini i valori integrativi dell'esistenza. Un'opposizione espressa anche nelle loro canti.
Il cibo è un bene molto vario, con molti valori differenti quali l'igiene, il gusto, ecc. E' un buon indicatore di aspetti culturali, sintetizzando identità, relazioni, differenze. Vi sono codici di comportamento distinti e regole tabuizzanti che possiedono valori elevati. La scelta alimentare di alcuni animali o cibi presenta alcune caratteristiche importanti: Pasti speciali segnano iniziazioni o occasioni importanti della vita. Il cibo è ad esempio segno di ricchezza, di ciò che ci si può permettere, un mezzo di comunicazione e di relazione interpersonale. Ad esempio nel mediterraneo è stata la sede della maggior produzione di carne e cereali, dove il cibo animale ha avuto una lunga evoluzione. Le bestie ad esempio divennero troppo caro come nutrimento dato che consumavano almeno quanto producevano. Allevarli significava distruggerne il valore come forza di trazione nella coltivazione di cereali. Vi erano dei benefici perduti quindi. Il consumo di carne divenne proibitivo e presto sorsero dottrine religiose che ne sfavorivano l'uso. Così l'umanità si sarebbe sentita più attratta dai vegetali, dandogli molti valori simbolici. Il rapporto uomo-cibo divenne percepito in termini di purità-impurità. Ma solo alcuni animali divennero tabuizzati. Il maiale venne eliminato dalla dieta, avendo lui stesso una dieta che competeva con l'uomo per i cereali e i vegetali. L'uomo ha sempre sviluppato sistemi anche complessi per produrre vantaggiosamente prodotti alimentari, come l'arido-coltura o la coltura intensiva. Dato che la produzione di cibo occupa con priorità le energie del soggetto, sono necessarie strategie e controllo sociale, che mirano al calcolo dei benefici.
Altro campo è quello della medicina, le cautele con cui vengono preparati i prodotti possono essere dello stesso ordine, ad esempio divieti a seconda delle condizioni climatiche. Descrivendo un esempio di medicina africana, ecco alcuni criteri con cui vengono scelti i medicinali. Alcune piante sono usate per il nome o per la loro forma. Altre hanno qualità che suggeriscono altre caratteristiche. Con questo assortimento di medicine, che rappresentano il modo della malattia della paziente, vengono dati confini al mondo abituale.
Il mondo degli insediamenti: gruppi domestici, abitazioni, dimore.
Lo spazio in cui si vive non deve essere un ostacolo alle azioni, deve facilitare e proteggere. L'architettura è una scelta dei materiali e di modelli che hanno forte impatto sui sistemi di vita. Nella lettura della cultura materiale è un elemento interessante quando si incontra una struttura abitativa composta da varie unità come un villaggio. I problemi architettonici hanno un'attenzione particolare. La casa-abitazione è un luogo che contiene molti codici di orientamento. E' un manufatto umano che indica una separazione fra pubblico e privato, lecito e illecito, femminile e maschile. E' anche la struttura concreta di base. Qui si identifica un gruppo domestico di base dove un gruppo di individui o soggetti agenti sono riuniti in un'unica sede abitativa. Vi è un nucleo composto da persone di differente età, sesso, diritti-doveri che producono e consumano insieme. E' legato ad altre attività che non si possono isolare da questo. L'unità domestica o casata è quindi un'unità d'analisi importante per chiarire il significato di un insediamento. E' composta da un personale variamente composto, non solo dal luogo occupato. Sulla base del personale si creano le tipologie di sistemi. La dimora è il luogo scelto come sede abituale, ed è il soggetto culturale che rappresenta l'elemento necessario per qualificare l'organizzazione di luoghi abitativi, le scelte che l'uomo compie in connessione ai luoghi abitativi. Ciò indica una scala di oggetti insediativi ben determinata. Questa dipende comunque da dati patrimoniali, economici, dalla posizione di altri insediamenti, da fattori generali interni o esterni. Nella costruzione di un nucleo abitativo il materiale impiegato è tratto direttamente o indirettamente dall'ambiente. E' scelto in base ai caratteri ambientali. Un esempio sono le popolazioni pastorali. Pastori greci o beduini hanno una cultura materiale ma anche immateriale ben diversa dai gruppi contadini. Anche decisioni governative, come la nascita dello Stato di Israele nei confronti dei pastori arabi, possono far mutare il tipo di relazione col territorio, ad esempio mutarsi in pastori per evadere le tasse, senza corrispondere a mutamenti ambientali. Ne risulta che abitazioni accampamenti e quartieri subiscono netti cambiamenti nella misura in cui passano da una situazione socio-economica a un'altra.
Esiste un'antropologia delle cose?
L'antropologia ha fatto progressi nello studio delle cose materiali. Educazione ed abilità hanno un posto necessario nella scala delle valutazioni dei beni, e alcune società possono incentivare i soggetti a migliorare o produrre oggetti materiali. Un oggetto materiale deve collocarsi nello spazio fra la pura idea e la produzione reale. L'oggetto ha una propria esistenza, assume una fisionomia sociale funzionale ai bisogni collettive. I beni sono cose completamente socializzate, prodotti all'interno di sistemi sociali. Un esempio sono le reliquie dei santi. E' un materiale con un ruolo distinto rispetto agli altri oggetti di una cultura. La produzione di reliquie mira a trasformare un oggetto senza valore come un cadavere, in qualcosa di potente e pregevole. La costruzione sociale delle reliquie segue gli stessi tracciati dello scambio, ponendo l'accento su un aspetto. Essa è riferita a un santo e rappresenta i resti a lui appartenuti. E' il santo stesso. E' il risultato finale di una vita eccezionale. La morte costituisce il fondamento del valore dei resti, presupponendo ad esempio l'idea del martirio. In seguito, con la tolleranza dell'Impero Romano al cristianesimo, la produzione di martiri finì, i Santi dei secoli successivi erano coloro che vivevano le vite eroiche come amici di Dio, ma non coloro che hanno vissuto una morte eroica. Per definire la reliquia ci si basava su elementi apparentemente oggettivi come l'efficacia dei miracoli del santo e il suo Culto. Le reliquie divennero il segno sacro contenuto negli altari. Erano un tramite con cui Dio poteva giungere all'uomo. Il processo dell'autenticazione poteva essere seguito da esami del luogo di sepoltura oppure sparizioni e ritrovamenti. Vi erano scoperte ritualizzate o invenzioni delle reliquie. La pubblicità ricevuta dalle spoglie evidenziavano l'elevato grado di vita sociale di questi oggetti, e il loro valore come strumenti di potere. Le reliquie seguivano i percorsi normali dei beni, con il dono o il ratto, entrando nel circolo dei legami. Vi erano centri di produzione come Roma, e aree di circolazione e distribuzione che davano evidenza al potere papale e importanza alla regione che le riceveva. Venivano commerciate da coloro che le raccoglievano, ed erano trattate in modo particolare. Venivano isolate dal mondo e conservate in luoghi speciali.
Altro esempio sono i Tappeti Orientali, apparsi in Europa da 7 secoli, e largamente mercificati. Non hanno rappresentato merci ordinarie quanto piuttosto veicoli di simboli culturali. Non sono segni sociali quali erano all'origine, possono segnalare varie posizioni sociali. Il valore simbolico del tappeto è molto variabile, e non dipende dalla sua qualità intrinseca. Trascende la funzione puramente ordinaria. E' importante perché si riferisce a precisi produttori. I disegni riflettono l'identità dei produttori. Erano utilizzati come dote delle donne. Questi sistemi articolati e centralizzati quindi, contavano sulla forza di questi oggetti attribuendogli una vita sociale autonoma da quella del santo, oppure dal popolo come produttore di tappeti. Gli oggetti si autonomizzano, e possono aggregare persone. Non sempre hanno questi caratteri. A volte invece oggetti come abiti o monili, per le particolari qualità intrinseche che possiedono, soprattutto perché erano possesso di qualcuno, entrano in una circolazione singolare di tipo ritualizzato. Sono privi di usi specifici. In questi casi esistono centri di produzione di una vita sociale del bene.
Prodotti artistici, etnografici e musei
L'oggetto artistico fa parte del campo della cultura materiale, ma rientra anche in quello della costruzione di significati astratti. L'oggetto esprime idee e rappresenta allo stesso tempo aspetti della realtà. L'oggetto artistico a livello cosciente rappresenta le caratteristiche personali dell'autore, mentre incoscientemente esso riformula gerarchie sociali, risorse economiche, livelli di prestigio. L'esistenza del diritto d'autore indica i problemi del campo delle produzioni d'arte. All'oggetto vengono attribuite capacità e qualità in modo differente da situazione a situazione. Il concetto di arte non è uniformemente fissato. L'antropologia non è interessata agli stili o ai procedimenti, ma ai rapporti oggetto artistico-cultura.
L'antropologia museale non studia solo le produzioni artistiche, e si occupa dei materiali usati. Il fuoco viene posto sugli oggetti come veicoli di configurazioni culturali, rendendoli documenti etnografici. Gli oggetti museali sono mezzi per attribuire riconoscibilità a una cultura. Occorre ricordare alcuni punti: nessun museo può essere esente dal lavoro di scelta. I materiali mussali vengono trattati e riadattati. Il materiale non ha voce propria, ma la riceve dalle operazioni che si compiono su esso.
Gli oggetti che entrano in un museo etnografico è parte di una storia, e proviene dall'esperienza di un individuo. Il significato più comune attribuitogli è quello di segno reale di attività e comportamenti. L'habitus sociale viene realmente praticato da un preciso gruppo umano è verificabile nell'oggetto. Inteso sotto gli aspetti solamente funzionali o estetico non è ciò di cui si preoccupa l'antropologia, piuttosto come testimonianza di ciò che è stato sperimentato, da chi l'ha prodotto o usato.
Ciò che si incontra in un museo non era destinato ad essere esposto, è posto in un ambiente e integrato in una situazione con un ambiente che non sono quelli da cui proviene. I significati di un oggetto museale non possono essere organizzati secondo principi prefissati. Spesso gli oggetti etnografici hanno senso solo se legati ad un calendario di attività e produzioni. Lo Status dei possessori è un'altra determinante, e ogni provenienza e destinazione degli oggetti si basa su tradizioni, costumi e ambienti non immediatamente presenti e che richiedono una valutazione specifica.
Capitolo 7 - Terreni del politico e del potere
Il fenomeno politico
Il termine politico riguarda tutto ciò che ha a che fare con la gestione di risorse comuni di un gruppo a beneficio dei membri. E' una pratica obbligatoria, e ogni sistema politico richiede il rispetto dei bisogni e delle esigenze di color che sono i destinatari delle azioni di questo sistema. L'aspetto pubblico e collettivo del politico va sottolineato, e non ci si deve allontanare dalla concezione di regolamentazione e di ordine. Quest'ultimo viene perseguito tramite strumenti di comando e autorità. Le forze legislative ed esecutive sono indirizzate ad attuare un programma, nel rispetto delle norme del gruppo, ovvero riconoscendosi degli ideali comuni per lungo tempo. L'estensione temporale è quindi fondamentale per poter parlare di sistema politico. L'importanza della organizzazione politica è esplicitata da una serie di concetti come potere e autorità. Il pensiero antropologico, nella politica, è legato a epoche precise, e si sviluppa attorno ai problemi del contatto fra culture e delle amministrazioni coloniali. Lo studio antropologico del politico nasce negli anni '40, e si occupava della gestione del potere in aree in via di esplorazione. Oltre che alle forme strutturate e alla filosofia sull'origine dei raggruppamenti umani, ha percorso strade che sono partite dai sistemi localizzati. In questa analisi, la struttura sociale ha occupato il focus, e il suo scopo era quello di illustrare le conseguenze politiche di tale struttura. E' diventata analisi dei processi di trasformazione di specifiche società lontane o primitive come nell'ingresso nella fase di stato indipendente. Oggi lo studio del politico ha un'ampia gamma di applicazioni come lo studio dei valori della tradizione e della modernità, i rapporti fra gruppi etnici, ecc.
Il primo indirizzo dello sviluppo dell'antropologia è rappresentato dal paradigma della dipendenza del terzo mondo. L'introduzione del concetto di nazione-stato come unità di analisi fu importante, facendo procedere dal livello nazionale a quello internazionale. L'antropologia politica di orientò verso il processo e la storia, con una maggiore sensibilità per le dimensioni culturali e ideologiche dell'espansione e della globalizzazione. Il secondo indirizzo riguarda la correzione all'analisi della struttura della parentela introducendo lo stato-tributario. Furono poi studiati concretamente i contadini. Sono i soggetti minori, e le relazioni fra strati superiori ed inferiori di una nazione vennero inquadrate in termini di diritto dei secondi.
Nella formazione dell'antropologia, importante è stato il reperimento di tassonomie quali società segmentare, centralizzate e non, ecc, che sono state applicate a casi storici e reali. Le classificazioni sono comunque rimaste insufficienti. Spiegano solo alcune condizioni politiche lasciando spesso in ombra casi insoliti appartenenti a più di una classe. Le culture sono state poste su livelli differenti a seconda del carattere coesivo. Dalle bande ad assetto familiare, alle Tribù (associazioni di segmenti di società), ai domini organizzati sotto un capo-leader agli Stati Primitivi, sistemi integrati dal monopolio della forza. Alcuni parlano di campi del politico nelle società preindustriali partendo dal tipo di organizzazione delle sue basi intese come classi. Un approccio abbastanza dinamico. Poggia sull'idea di sistema e s'appoggia sulle gerarchie nei rapporti sociali. Di solito quindi il reclutamento di soggetti politici dipende da qualità ascritte. Il processo di cambiamento da posizioni ascritte a conquistate è stato interpretato come segno di evoluzione dei sistemi politici.
Alcuni paradigmi politici
Per il carattere collettivo e per la durevolezza delle norme, alla base di politico sta un complesso di relazioni capaci di dare un indirizzo al soggetto culturale. Il concetto di politico implica principi di comunicazione, solidarietà e comunanza di legami fra gli uomini. Sulla definizione di politico esistono molti approcci. Ad esempio la standardizzazione dei principi occidentali di governo si è diffusa, nonostante sia vastissimo il campo dei sistemi politici non occidentali. La reale comprensione della sfera pubblica è legata alla possibilità di valutare fino a che punto nelle altre società la politica sia mescolata con altre sfere, familiari o religiose ad esempio.
Su questa base teorica poi si innestano altri fattori. Il politico sembra abbia la capacità di dilatarsi, una natura tendenzialmente assorbente. Ciò è stato vero nelle società arcaiche dove esistono casi di accumulazione di funzioni diverse nelle stesse persone. Dati questi bassi livelli di specializzazione, non si è potuto selezionare la funzione politica come una forma specifica. Tale soggetto è impegnato in processi di controllo dell'ambiente che hanno comunque una venatura politica e fanno parte del progetto del sé. Anche nelle società industriali l'ampiezza della politica è enormemente aumentata nel giro di poco tempo. Molti progetti politici sono sorti dentro associazioni di vario tipo, come il movimento Gay, il Black Power e altri. Molti studi si sono concentrati sul Gender e le differenze etnico-geografiche. Adesso ci si dedica ai problemi della globalizzazione. Sono analisi interessanti sia a livelli minimi che a livello di ricadute macroscopiche sugli intrecci culturali. Studi che hanno individuato sfumature cruciali delle stratificazioni, del potere un tempo sommersi. Altro indirizzo recente è quello del Gender. L'incrocio col femminismo ha permesso di analizzare la condizione della donna in relazione allo sviluppo della proprietà privata. Permise poi di spostare l'attenzione femminista dall'origine della subordinazione femminile dall'origine verso il suo sviluppo sociale e spiegazioni fondate sulla strutturazione. Dipendiamo dalle conoscenze di ciò che fa parte del politico, e bisogna individuare il nocciolo da cui partire per definirlo, nonostante questo si fonda con altre azioni umane. Le 2 componenti primarie, l'interesse collettivo e l'azione di governo a lunga durata, sono quantomeno dispersive. Interesse collettivo va precisato da "ciò che riguarda il governo della società o dei gruppi". Ciò implica una istanza specifica che lo concretizza. Weber aggiunge la nozione di raggruppamento, inteso come relazione sociale chiusa e rivolta verso l'esterno, e direzione incaricata di mantenere l'ordine di un gruppo. Occorre però integrarla:
b) Il concetto politico nella sua flessibilità apre delle discussioni. L'Azione pratica di interesse collettivo è parte del livello politico minimo. L'obiettivo della regolamentazione della vita in gruppo si rifà alla vita concreta, e alla capacità di intervenire su di essa influenzandola. Qui si riferisce alla funzione di chi ha i mezzi di riprodurre un gruppo fisicamente e socialmente. In questa visione un versante importante è quello etico-normativo. L'attività specifica del politico si propone di dare un ordinamento legale e morale a un gruppo o altre formazioni sociali. Mira a creare un diritto equo, dove vivrà una collettività. In quest'ottica la politica serve a garantire la possibilità di regolare convivenza.
Agire o governare implicano la possibilità e i mezzi di agire in senso pubblico.
In alcuni casi si è fatta coincidere l'azione politica con l'arte di prendere decisioni. Questo punto di vista è relativo alla capacità decisionale, relazionata con l'idea di Leadership. Qui l'area tocca le relazioni dominante-dominato, elitè-soggetti, dove la capacità decisionale è posseduta da una sola delle parti.
Ciò che mette insieme queste prospettive in antropologia è il rinvio a un contesto o ambiente collettivo. Accostando questi 3 punti di vista ci si può avvicinare all'essenziale del politico. Politico si può definire come il complesso di teorie che hanno lo scopo di rappresentare il tutto come tutto dove i membri del gruppo sono tutti coinvolti.
Potere e autorità
La politica presuppone o utilizza il potere. Potere e autorità hanno valori polivalenti. Partendo dal concetto che potere è la capacità dell'individuo di agire su un altro o sul gruppo, ci si deve chiedere come funzioni l'accesso e l'esercizio di questa qualità. La politica comporta un rapporto di forza, dove si compete per agire su, e l'incontro di poteri diversi simultaneamente. Il lato empirico che soggiace all'esercizio del potere è definito come la capacità di compiere azioni efficaci e o effetti cercati sulle cose e sugli individui. Il potere politico differisce dalle altre forme di potere perchè si rapporta ai processi sociali dai quali sono prese le decisioni che obbligano il gruppo a certe azioni.
La nozione di potere si muove fra questi 2 poli: L'Accesso e L'Esercizio. Accesso è l'idea di potere legata allo scambio di azioni di differenti individui. Uno scambio ineguale di forze distribuite su differenti scale gerarchiche. Il potere non è mai veramente assoluto. La competizione è un fatto visibile nelle società democratiche. L'Esercizio: ha potere chi è in grado di intervenire su norme, pratiche e decisioni connesse con la riproduzione sociale dei gruppi o degli individui. Chi è in grado di comporre le immagini con le istituzioni, con la cultura organizzata, di influenzare il tutto.
Il concetto di potere è molto denso, e attraversa molte analisi, ad esempio religiose o economiche. Questa condizione di trasversalità rende assorbente la vita politica. Se il potere è attribuito a tutti il sistema politico è egalitario, oppure quando tutti i membri attraverso dei percorsi sociali arrivano ad essere investiti di uguale potere si parla di Governo diffuso. Con le forme d'accesso al potere si descrivono i differenti sistemi politici. C'è da fare un importante distinzione: fra potere indiviso, ovvero facoltà che sono inerenti al gruppo, ad esempio quando è il gruppo a poter emanare le possibilità e le forze di tipo collettivo, rendendo tutti attori attivi, e potere Separato, cioè il potere derivato da un processo di scorporazione. Questo è prelevato dal gruppo unitario e attribuito a singole persone o istituzioni. Dunque, l'origine del potere può rimanere nella collettività indivisa, ma è dai procedimenti di differenziazione e specializzazione che dipende la sua efficacia. Nello studio delle dinamiche per la scorporazione e l'attribuzione del potere sta gran parte dell'antropologia politica classica. Altro aspetto è che il potere non è sempre lecito e benefico, e sposta equilibri che possono generare regressioni. Non si realizza sempre in sistemi ordinati ed equi. Al momento del suo esercizio, il potere presenta ambiguità perché viene esercitato attraverso forme di disparità dei soggetti. Mette in relazione livelli non bilanciati della vita associata. Contraddice e depotenzia il valore di ogni singolo soggetto in misure diverse a seconda del livello in questione della vita associata. Un elemento che si accompagna al potere è l'autorità, cioè l'influenza esercitata dentro l'ambito del potere. Essa si guadagna oltre che per accettazione, anche per il riconoscimento di ciò che l'individuo incarna. Onore, prestigio, capacità oratoria, ecc.
Soggetto e sistema politico
Tutti i soggetti fanno parte di sistemi politici dato che appartenere a gruppo sociale significa appartenere anche a un sistema politico che ne gestisce le risorse. Le forme di adesione sono date da differenti legami che si ordinano su scala gerarchica, parentale, religiosa, ecc. Il soggetto politico si rende quindi attivo seguendo le vie stabilite dalla parentela, o dalla libera associazione, oppure dall'identità etnica. Sono forme di clientele politiche che offrono opportunità ma esigono lealtà. Queste possono condizionare enormemente le scelte individuali, vincolando i soggetti entro aree "intoccabili", oppure a dover condurre azioni aggressive quali faide e vendette. Lo schema Patrono-Cliente offre una quadro preciso: Il patrono offre la propria protezione e ricchezza per garantire il cliente, in cambio di servigi, dovere di fedeltà e difesa del patrono. Questo tipo di rapporti non sempre è specializzato come meccanismo politico, e garantisce ampie prospettive pur legando a relazioni di diritto/dovere molto asimmetriche.
Le componenti maggiori di un sistema politico sono: a) la comunità politica che comprende il personale politico specializzato; b) Il Regime ovvero le norme e i dispositivi di regolamentazione di interessi e conflitti attraverso sanzioni e incentivazioni; c) L'insieme dei progetti che la comunità si è data, che comprendono le necessità di ordine materiale e immateriale del gruppo. Questi sono quindi sia determinati dalle forze e risorse in campo, sia dalla visione complessiva della realtà. Il sistema politico è in mano a soggetti protagonisti, e passa per operazioni quali il reclutamento di rappresentanti politici, la creazione di associazioni politiche, la scelta di partiti e capi, tutte molto dinamiche. La modellazione del percorso tiene conto di molti fattori quali cambiamenti, svolgimenti e qui si adottano strategie e novità. Si può intendere il sistema come insieme di correlazioni standardizzate durature. E' un sistema costruito attraverso tecniche di negoziazione, di lealismo, di collaborazione. E' necessario non autonomizzare troppo il sistema politico dal tessuto sociale, poiché i soggetti coinvolti esplicano le loro funzioni senza rinunciare agli altri impegni. Il mondo politico è quindi duttile e mutevole, vulnerabile a cambiamenti i principi e di fini. Ma è anche una condizione che fa si che il sistema sia dinamico e in evoluzione.
Caratteri e contenuti dei livelli formali
1- Ciò che rende ordinato e formale il politico sono apparentemente le istituzioni. Sono le forme più stabili che si appellano alla legittimità. L'istituzione contiene in sé l'idea di vita regolare, ed è sfidata dal disordine, dai pericoli nel raggiungimento delle sue proposte. La sua ragion d'essere non è sempre chiara, può nascere dall'immaginazione come da fatti reali. Per Istituzione si intende un livello organizzativo della società. Non è specificamente politica, ad esempio la famiglia, la chiesa. La nozione di istituzione utilizzata nel funzionalismo ha il suo centro nei bisogni fondamentali, risponde quindi a precise necessità biologiche e culturali. Dentro di essa, un gruppo di individui di adopera per l'adempimento di un compito cooperativo. Qui la base di una istituzione è costituita da un gruppo di individui, il Personale, e da un vertice composto da una Dottrina o Statuto. Ha a disposizione un apparato di materiali. In ogni situazione politica, il livello istituzionale domina la gran parte della vita collettiva, guidando e uniformando gli individui e utilizzandoli in precise posizioni. Nel parlare di istituzione pubblica l'antropologia si appella all'idea di continuità degli obiettivi, considerandola quella forma sociale stabile e organizzata che può prendersi carico e perseguire scopi essenziali. Una condizione importante è la conservazione e la riproduzione dell'istituzione. Essa può mutare e rinnovarsi con le nuove generazioni, ma finchè vive mantiene un impianto organizzativo stabile. Fa appello a costumi e valori radicati nella comunità.
2- A Istituzione si può accostare il concetto di comunità. Il gruppo di individui che persegue scopi duraturi e si riproduce insieme, a differenza della Communitas che invece è temporanea. E' il gruppo a cui sono funzionali le istituzioni. La Communitas è un'aggregazione di individui marginali che sono spinti da forte idealità nel adottare nuove norme o fondare nuovi gruppi. Essa spiega qualcosa della comunità, può essere l'origine di forme strutturate della società o del loro cambiamento. Sfida le vecchie strutture, è il lato creativo della struttura istituzionale. Quando un sistema sociale diventa stabile, tende a sviluppare una dialettica con le Communitas presenti al suo interno. Esse hanno spesso grande autorità, e gli individui sono esposti allo stesso tempo esposti alle 2 condizioni, poli opposti della dialettica. Molti movimenti politici hanno la configurazione di communitas, e nel gioco dialettico vi può essere come risultato una reintegrazione nella struttura con funzioni specifiche.
3- A livello etnografico anche il giuramento, la maschera, la faida, il tributo o il viaggio-pellegrinaggio sono considerate istituzioni che offrono al soggetto strumenti per la penetrazione dell'universo politico. Le radici di tutte queste sono simili. A parte le loro forme esteriori, tendono tutte a respingere i pericoli della casualità e della improvvisazione, ad imporre i propri imperativi che tendono a irrobustire il Tutto comunitario. La fase di esecuzione degli scopi dell'istituzione è sorretta da ritualità, a cui fanno ricorso le istituzioni. Le rendono più efficaci, utilizzando simboli mitici e riti.
4- Como gli individui si rapportano e vivono le istituzioni, e come sta in relazione con la dimensione istituzionale collettiva? Un punto di partenza è il fatto che le istituzioni hanno personalità giuridica, ma non emotività. Sono gli individui che agiscono in modo emotivo e razionale. La persona reale non è sottomessa alle istituzioni, ma queste sono prodotte dalle nostre mani. Douglas spiega questo rapporto secondo la teoria della Razionalità, ma non è solo l'utilitarietà e la coercitività che guidano le istituzioni. Innanzitutto gli individui non si comportano sempre in modo razionalmente egoista, e il buon assetto istituzionale non è ottenuto solo col controllo coercitivo collettivo. E' qui in dubbio che esse non nascano semplicemente con la convergenza di interessi soggettivi. L'individuo è invece l'iniziatore di qualcosa che è poi il risultato di un'intesa negoziata. Esiste, oltre che quello di come si possa controllare un'istituzione, anche quello di come si conservi o perisca. Per conservarsi può essere legittimata da fatti della natura o della ragione.
La questione dello stato
L'elemento che in antropologia divarica società arcaiche e moderne è lo Stato. Nelle prime non vi è un organo distintivo del potere politico. La società primitiva si conserva mantenendo integra la situazione di uniformità del potere. Il potere non è separato dalla società. L'idea di stato è però diventata un'ossessione nell'analisi dell'antropologia politica. La formazione e i caratteri dello stato sarebbero comprensibili a partire dal concetto di Complessità. Lo stato è un livello istituzionale molto denso, una sfera che possiede proprie regole di funzionamento e si concretizza in molti organi. Si sono sviluppati 2 approcci: Uno pensa il politico come un sistema coerente che amministra la società globale, l'altro si concentra sui fatti di dominazione. Lo stato concretizza il controllo di un gruppo sulla società, attraverso la violenza. L'uno funzionalista che evidenzia la mobilitazione di risorse per scopi comuni, l'altro sulla dinamica di un gruppo dominante che ha il monopolio della forza. Lo stato moderno è lontano dalle forme di potere diffuso delle altre società, ma è comunque mirato al collettivo-pubblico. L'analisi del politico non utilizza l'ottica istituzionale nemmeno nelle società occidentali. Studia l'uso che i soggetti politici fanno del proprio ruolo e dell'ambiente dominato.
Evoluzioni delle pratiche politiche: convenzioni, routine, ordine-disordine
Le pratiche politiche sono molto varie, ma in tutte si osserva la richiesta di organizzazione statuale, un rafforzamento degli apparati dello stato, a volte generando contestazioni. Nelle dinamiche politiche si oppongono i meccanismi ordinari e di routine e i meccanismi di svecchiamento, di rifondazione nati da communitas e movimenti critici. Il cambiamento è legato alle risorse o al capitale politico complessivo delle parti. Sono tutti i mezzi reali o immaginati. Ogni processo operativo, che porta avanti le opere è il risultato della lotta fra gli agenti che hanno interesse alla conservazione o alla sovversione. La contrapposizione è spesso fittizia visto che le nuove nascono dalle vecchie pratiche. L'attività politica pratica ha 2 livelli: un'operazione politica può assumere un profilo alto o basso che corrispondono all'azione o all'inazione. L'azione politica può rapportarsi alla conservazione di un organismo politico, alla eliminazione di questo, oppure al rapporto con organismi esterni, infine al controllo di tale rapporto. Nell'economia di un progetto politico, l'insieme delle azioni mira a ridurre l'imprevedibilità delle azioni altrui, ma esiste sempre una possibilità di vita extra-strutturale, come dimostrato dalle communitas.
La vita politica quindi si costruisce sia con atti palesi compiuti dagli specialisti politici sia da attività ordinarie. La routine non è immobilismo, segue i principi collaudati, promuove collaborazioni e intese, gioca quindi un ruolo attivo seppur entro le consuetudini. Non si appiattisce.
Dentro delle azioni politiche, esiste il problema dell'ordine o contenimento del disordine.
L'ordine mira a una migliore armonia dei bisogni e delle tendenze personali dei soggetti. E' soprattutto la constatazione del fatto che ci sono conflitti e ambiguità a rendere necessario l'ordine e l'organizzazione. L'analisi oscilla fra la necessità di rendere ordinato l'agire socio-politico e la convinzione dell'utilità del disordine. Il potere si può rafforzare nel disordine, ottimizzando le risorse che ha a disposizione. Affrontare il disordine dipende da atti politici che possono neutralizzarlo, subirlo o trasformarlo.
L'idea di evoluzione del politico si aggancia a proposte che vengono spesso etichettate con, avanzamento, modernizzazione, ecc. L'incontro culturale non è in sé un fattore di modernizzazione. Mentre da un lato avvicina le culture, di fatto le distanzia, le separa, implicando un'idea di progressione su una scala evolutiva dove l'altro è collocato in un grado differente di modernizzazione. Evoluzione può però voler dire nuove identità, politiche ad esempio. Un caso fu Ataturk. La sua azione personale è stata spesa per la modernizzazione della Turchia, una realtà etnica molto complessa. La sua azione ha cambiato l'identità della popolazione turca in molti aspetti quotidiani, senza però perdere la memoria storica. Malgrado le difficoltà economiche lo stato turco invoca ancora oggi un'identità europea, aspirando ad attribuire ai suoi membri la capacità politica degli europei. Un elemento inconfondibile di trasformazione è dato dal cambiamento di scenari partitici. Si creano delle aspettative, su cui poi si creano campi di battaglia e di scontri.
L'intreccio fra politica, religione, ritualità
La religione ha influenza nella politica. Il nodo politico-religioso viene analizzato con rigide selezioni. Potere politico e religioso sono stati strettamente connessi durante la storia, e a volte il campo politico è spiegato come risultato di intrinseche aspettative religiose. Il politico è un terreno non trasparente con in gioco forze contrapposte, che da un lato mobilità risorse e persone e dall'altro offre possibilità non uguali. Da questa incertezza risulta che il potere politico ha bisogno di scopi concordati,e si trova a lottare contro poteri senza significati legittimi. Ma cosa è giusto e legittimo in un sistema politico? Saggezza, intelligenza e competenza non sono sufficienti per la gestione del potere. La sua essenza sta sempre in una visione trascendente della vita, un sistema morale-religioso. La saggezza diventa autorità solo quando è trasposta da un piano pragmatico a uno religioso. Il piano cioè che va al di là della forza umana. La forza religioso-etica si applica molto bene alle istituzioni, alla pressione che esercitano. Rende visibile l'azione istituzionale. Politica e religione non vanno però confuse, ma i loro valori vanno valutati separatamente. Il potere non può utilizzare il sacro in ogni circostanza per i propri fini, e in questo senso a volte lo limita.
2- L'idea di sacro conduce a quella di Ritualità o liturgie politiche. L'apparato rituale sottolinea l'efficacia delle azioni e il loro significato, quando da sole non rendono percepibile il fine politico. Serve un contesto quale un ambiente sociale organizzato affinché l'azione spieghi la sacralità degli strumenti impiegati. I rituali cambiano e costruiscono individui e gruppi, e incidono in più ambiti. Attraverso strategie di feste celebrative, l'apparato religioso rituale serve a sostenere una politica. La ritualità politica ha sempre molte valenze, e pur rimanendo pressoché immutata, i suoi atti introducono novità e capovolgimenti.
3- La Leadership in campo politico è esercitata da singoli o piccoli gruppi, e si esprime come forza coercitiva fondata su facoltà personali. Il Leader si assume il compito di provvedere una base protettiva al sistema politico. Anch'essa, se non si basa su concezioni mistiche, è quasi nulla. E' una posizione sostenuta da valori semi-sacri. Il Leader è un uomo che possiede autorità, e questa forma di sacralità spesso rimane nel popolo anche dopo la fine del sostegno istituzionale. Il capo Carismatico è l'esempio più elevato. Si ritiene che possa sfruttare le forze del mondo, che abbia potestà straordinaria, e ha la facoltà della guida o della direzione. Possiede sempre un gruppo di seguaci, e queste aree gregarie sono necessarie al leader, che non potrebbe altrimenti dotarsi né di autorità né di potere. La costruzione di una leadership comporta obbedienza, lealtà, sottomissione, ma anche imposizione.
Il Sovrano Divino, il Capo carismatico e il profeta sono signori della Parola. Il comando assicura l'esercizio del discorso, e il comando reale. Il parlare formalmente può dar vigore all'autorità, ed è uno strumento di grande efficacia che consente ai politici l'accesso ai livelli istituzionali. C'è una Retorica tipica della parola ufficiale, l'uso del linguaggio quindi, dipende dalla posizione sociale del locutore, che dispone dell'accesso alla lingua ufficiale. L'uomo di potere che parla diventa la sola fonte di parola legittima, intrecciando il rapporto tra potere e parola. Sull'immagine del capo carismatico, si individuano 2 caratteri legati alla leadership politica. Mentre nelle società politiche Statuali la parola è un diritto del potere, in quelle senza Stato la parola diventa il Dovere dei Leader, è un obbligo assoluto. Un capo silenzioso non è un capo. Questo tipo di capo non ha alcun comando, gli è solo richiesto un servizio. E' il caso delle tribù amerindiane. Qui la società primitiva rifiuta il potere separato, abbandonando un capo che "vuole fare il capo". E' la società stessa ad essere il luogo reale del potere.
4- La teoria politica, anche se connessa col fenomeno religioso, ha limiti importanti. Va sempre verificata con fatti reali, e deve illuminare la lettura dei fatti e delle loro valutazioni. Ecco una diagnosi di Geertz su cultura e politica: Vi sono 2 tendenze antitetiche, una è la spinta a formare goccioline monocrome di politica e cultura, come nella pulizia etnica, una convergenza dell'agire collettivo. Dall'altra parte lo sforzo di creare una struttura complessa di differenze interdipendenti, che lasci posto alle tensioni che non possono essere eliminate.
Parte terza
Capitolo 8 - Molte antropologie, molte scritture
Scritture etnografiche e documenti
L'etnografo cerca di descrivere una cultura altra alla propria, con i mezzi che questa ha prodotto. Per avvicinare e capire gli altri è necessario usare riferimenti e apparati culturali che Egli ha più o meno a disposizione. Ciò esclude una neutralità assoluta, poiché non ci si può svestire del tutto dalla propria cultura. Deve interagire con l'oggetto studiato, producendo così scambi bilaterali che lo portano ad allontanarsi dalla neutralità. E' quindi una negoziazione ma anche un'ibridazione di dati e percezioni. L'oggetto dello studio osserva e interroga. L'etnografia riguarda e si focalizza sull'oralità, intesa come l'insieme delle narrazioni, della gestualità, della narrazione, della danza. Ma questa oralità ha bisogno di essere fissata in forme di scrittura, processo che non si limita a riperete e imitare. E' una riorganizzazione dei dati sotto forme di autorità ed espressione. Nella produzione etnografica antropologica si incontra un caratteristico intreccio di eventi, autore e documento.
Autore e documento sono legati fra loro dalle note di campo, e in modo definitivo dal testo etnografico. Le note di campo sono il presupposto dell'analisi antropologica, sotto forma di memorie, annotazioni dei periodi di rilevazione. La loro natura è però controversa, alcuni etnografi includono diari e giornali, altri no. Le note sono prodotti culturali di grande valore, a volte sono mitizzate e tesaurizzate. Qui si possono individuare i dati che definiscono la scientificità dell'autore, e vi si possono leggere le aspettative dell'antropologia. Vi sono 3 momenti nella scrittura delle note:
a) L'Iscrizione, ovvero l'interruzione del flusso di lavoro per appuntare una frase mnemonica o un segno convenzionale su ciò che ha appena udito.
b) La Trascrizione, ovvero il fatto del riportare vero e proprio, che tende a riprodurre esattamente termini e formule.
c) La Descrizione, ovvero la rappresentazione più o meno coerente di una realtà. Serve come data-base per altre descrizioni più dense, e comporta un atteggiamento diverso dall'osservazione.
Le note portano impresse le caratteristiche ideologiche e metodologiche dell'etnografo, sono testi viventi.
Le note di campo sono collocate in uno spazio intermedio, fra testo e discorso. Si differenziano da quest ultimo perché sono pronunciate in un contesto di oralità e fissate in uno di scrittura, e sono quindi autonome da parole o gesti. Le note non sono dirette a una audience, e assumono carattere conciso. Hanno significato solo una volta registrati e solo perché entrano in un processo di accumulo di informazioni che si crea nel testo.
Dunque, il testo etnografico è la parte finale, espositiva, mentre le note sono la parte iniziale, dove il tempo del racconto è "l'essere là" sul campo, mentre il tempo dell'esperienza dove si svolge il racconto, culmina con l'essere qui a raccontare. L'etnografia adatta i racconti ai gruppi sociali, è una cultura che racconta a una cultura, una forma di conoscenza. Rende in frasi la vitalità del reale, veicolandola con forme letterarie. L'angolo visivo di partenza è l'autorità etnografica, il ruolo dell'etnografo.
La posizione dell'etnografo: esperienza, interpretazione, narrazione
Dato che ogni stile etnografico è determinato e caricato di differenze, ogni definizione dell'etnografia deve tenere conto dei presupposti culturali in cui nasce e viene stimolata, dalla destinazione che le viene data. La posizione dell'etnografo viene data dai fatti ordinari dell'esistenza che lo pongono in contatto col mondo osservato. Egli possiede quindi Esperienze biografiche che incidono nel suo Testo. L'etnografo cerca, con molta difficoltà, di abbandonare il suo ambiente. Allontanadosi dal suo ambiente assume un modello comportamentale e la soggettività dei nativi che sta studiando, entrando nelle pratiche e relazioni che descrive.
L'assioma principale della ricerca etnografica è la ricerca dell'oggettività, ritenendo che l'analisi deve essere aderente al reale. L'etnografo deve essere un onesto mediatore, col minimo costo di transazione. Un secondo assioma ha imposto la neutralità e il distacco dell'osservatore, poiché l'oggettività poteva essere raggiunta rispettando la distanza, guardando da lontano. In questo schema la scrittura etnografica risulta dominata dal controllo dell'autore e dell'ambiente di sua provenienza.
E' importante invece subire il "minimo" di costi, e recentemente si è posto in dubbio con quali pratiche si possano rappresentare altri gruppi umani senza proporre metodi totalmente nuovi. Nell'avvicinarsi a universi culturali, costruisce un ambiente preciso che può non coincidere totalmente con la realtà. Pone in collusione diverse prospettive unendole, implicando aggiustamenti nei valori che gli oggetti hanno.
L'Etnografia tende a dare una visione profonda di un evento, stratificando i suoi significati. L'oggetto dell'etnografia si colloca fra la lettura superficiale e quella profonda, creando così una gerarchia stratificata di strutture significative. Il primo scopo dell'etnografia è costruire Versioni Comprensibili della realtà sociale, trasmettendo alcune informazioni con forme retoriche che cercano di persuadere un significato dei soggetti del racconto. Il secondo scopo punta a creare e trasmettere un messaggio, attraverso le influenze reciproche dell'oggetto studiato e del soggetto antropologo. Non sono mai state definite regole per definire il Corpo materiale. La narrativa etnografica è sempre in progress. Il lavoro del ricercatore può quindi essere espresso in diverse forme, quindi diluito, in interpretazioni proprie e altrui. I mondi messi a contatto sono così ancora più indissolubili. Negli studi antropologici, il problema della struttura narrativa, ovvero il nocciolo della questione poiché la descrizione di una cultura viva passa per questa, è primario. Sta passando dal parlare con forme di autorità al parlare con forme degli altri. Assume voci multiple, strutture nuove di rappresentazione. Una specializzazione importante è venuta dalla semiotica.
Un dato dell'etnografia classica è l'approccio visuale, che ha una lunga storia. La vista dell'osservatore ha sostituito l'attore presente. Tutti gli ordini materiali o astratti di una società vengono colti come parte di performances o scene. Il punto di vista visuale non è sempre accettabile, e una via alternativa potrebbe essere la via poetica. Oggi quindi l'etnografia possiede una veste scambista. L'approccio dialogico ha vari vantaggi, è più aperto è autonomo nella narrazione. Tende ad essere flessibile. Secondo Tyler il documento etnografico non sta alla pari con altri discorsi scientifici o politici, poiché possiederebbe toni specifici, si vincolerebbe agli altri, è un discorso superordinario. Quest'idea contiene 2 elementi. Uno di superordinazione e l'altro di una illimitata flessibilità. Essa però non è totalizzante come il discorso politico, né perfetta logicamente come quello scientifico. La sua funzione sarebbe indiretta e allusiva, evocando ciò che non si può conoscere col discorso o rappresentato.
Testualità: una mediazione letteraria e critica
L'esperienza etnografica si concretizza in un evento di scrittura. Si canalizza una cultura in una condizione data dai sistemi di scrittura. Si iscrive la cultura in un livello stabile di conoscenza. Si preleva un evento-oggetto da una giacenza culturale per inserirlo in un livello astratto di forme cognitive. L'operazione di scrittura inserisce in un contesto l'evento. Ogni iscrizione dipende da metodi di persuasione, una propria forma letteraria. Ciò vuol dire che ci si trova davanti al problema di creare una percezione di mondi sociali differenti avendo a disposizione solo i termini del proprio mondo. Non si tratta solo di tradurre una realtà in immagini più comprensibili, ma di rendere degli altri mondi sociali in un universo culturale già esistente senza alterarne le forme concettuali. La scrittura etnografica ha sempre avuto forme narrative con carattere atemporale, ad esempio le popolazioni sono prese in considerazione come casi di strutture sociali esemplari. Immagini perenni di vita. Più recentemente è cambiato il genere della comunicazione, e il testo tende a creare comparazioni. Un problema odierno è dato dal fatto che si tende a superare i dislivelli culturali più consapevolmente del passato, ma le distanze sono qualitativamente più difficili da affrontare perché sono minori, a causa della omogeneizzazione. Si ricorre quindi a stratagemmi quali il cambio della direzione dello sguardo, osservando indirettamente se stessi. Si cerca di disturbare la propria auto-soddisfazione culturale, un tipo di critica.
Si è creato un rinnovato interesse della critica culturale in molti campi della ricerca sociale, stimolata dallo spirito di sperimentazione. Ciò anche per il fine di rendere meno arbitrari i testi ponendo sotto critica i mondi incontrati. Gli stili principali, a partire dagli anni 60, sono stati 2:
Uno più filosofico, che critica epistemologicamente la ragione analitica dell'illuminismo attraverso la sociologia della conoscenza. Essa interroga la relazione che intercorre fra contesto delle credenze e posizione sociale dei loro portatori. Ha come effetto la demistificazione individuando interessi dietro ai significati espressi nel discorso. Critica l'ideologia.
Il secondo è stato una critica culturale diretta ad analizzare le istituzioni sociali e forme della vita quotidiana. E' diretto alla pienezza della vita moderna.
Da questo doppio schema l'antropologia ha contribuito a dare campi differenti alla critica. Esiste un ulteriore problema. Tutte le culture producono ormai testi scritti, e come conseguenza vi può essere sempre una trascrizione e ritrascrizione degli eventi e dei fatti nella transizione a testi scritti. Gli informatori passano così dall'essere semplici informatori orali isolati a figure più complesse.
Sotto l'aspetto letterario dell'etnografia va aggiunto che spesso l'organizzazione del testo offre un principio di orientamento rispetto alla realtà. Chi scrive cerca di esporre coerentemente il vissuto. Il fatto testuale-organizzativo può dare anche un'idea di organicità. Ciò investe il piano intellettuale dell'etnografia su più livelli. La rivoluzione etnografica, secondo Malinowski, parte dall'organizzazione del discorso che non dal lavoro intensivo di campo. Nuove ambientazione complessive date da nuovi contesti furono la novità. Le conseguenze furono notevoli, dopo Malinowski, tanto che le monografie non vennero più descritte con società "uniche", ma con la presentazione delle stesse in un contesto organico, ad esempio azioni per noi bizzarre presentate come se per loro fossero familiari. L'antropologia si è legata con altre manifestazioni artistiche, e alcuni etnografi erano veri e propri artisti.
Attorno all'etnografo nascono 2 tipi di relazioni: una verso l'oggetto osservato e l'altra verso il testo prodotto. La seconda si basa su una doppia radice: Sulla base dell'esperienza di campo, l'etnografo era l'unico tramite in grado di iscrivere la cultura. Il suo modo di scrivere era la fonte di ogni dato. Allo stesso tempo sovrastava il testo in modo incondizionato; mentre d'altro canto il dominio dell'autore era prova di scientificità nella misura in cui poneva le idee dell'antropologo. Ciò ha offerto la possibilità di usare il linguaggio per sradicare concetti fissi nella cultura dell'osservatore. L'antropologia ha reagito alle ambiguità insite nella rappresentazione distanziata dei popoli altri reagendo in 2 modi. Una via anti-imperialista, e una riflessione sulla teoria della scrittura. Quest'ultima è propria del post-modernismo. Secondo questo, nel testo il ricercatore dovrebbe riprodurre le condizioni del suo incontro con l'altro. Il rapporto osservatore-osservato dovrebbe essere al centro di relazioni multilaterali. Col rischio che il testo diventi, tramite il processo di iscrizione, qualcosa poco legato all'esperienza dell'etnografo.
Nell'approccio dei post-modernisti alcuni aspetti innovatori sono stati visto con toni esasperati, poiché questi agiscono in un campo astratto e dipendente dalla forma della testualizzazione. Si pongono al di là dei fatti. Porterebbe a volte a vicoli ciechi. Nelle operazioni di traduzione, sostiene Asad, la differenza fra lingua nativa e quella dell'etnografo, e lo stesso trapasso da un teso all'altro giungono a compromessi impliciti ed espliciti. La attribuzione di questi significati impliciti suppone una mancanza di abilità linguistica a tradurre significati locali. E' una mancanza tecnica quindi, non di significati.
Il processo di traduzione e comunicazione dipende da qualità intrinseche del testo e del lettore. La teoria della lettura implica un concetto di testo, soggetto a integrazioni del lettore. Nella lettura i significati e le interpretazioni sono aperti, e vengono influenzati dalle caratteristiche del lettore.
Capitolo 9 - Testi, canoni e biografie
La metafora del testo e le fonti scritte
Le produzioni etnografiche partono da osservazioni dirette per arrivare a un testo. Alcune delle prime arrivano ad assumere grande valore tradizionale. C'è da dire che spesso la cultura è stata vista come un testo, un documento agito, e la sua analisi come una critica letteraria. Si tratta di un testo che ha vita propria. Geertz sostiene che la cultura sia simile alla scrittura, ma la prima sia pubblica nel senso che è un testo che contiene significati condivisi. Le interpretazioni testuali diventano la coscienza pubblica. Oltre a essere pubblico il testo cultura è anche plurale. E' però il risultato di una negoziazione, un costrutto. Considerare la cultura come un testo porta il discorso alle fonti scritte, intrecciate con autori e destinatari.
Osservare le fonti è un lavoro di Iscrizione della cultura, che comporta alcuni problemi: Spesso le fonti sono anteriori, e più antiche dell'atto di ricerca etnografica. Fare etnografia è come cercare di leggere un testo non scritto in caratteri ma sottoforma di comportamento dotato di forma. Anche per le fonti scritte vale lo stesso, seppur in forme alfabetiche. L'iscrizione delle idee e azioni antiche è all'interno della riscrittura di materiali testualizzati. Si crea un intreccio fra qualcosa già scritto da qualcuno, l'autore originario, indirizzandosi a qualcun altro. Nella pratica dell'analisi di testi antichi, si presentano alcuni problemi. Ad esempio la scelta dei testi da analizzare e con quali metodi. Di certo la circolazione di idee erano già nella cultura in esame passate per la scrittura formalizzata, determinando alcuni termini metodologici. L'analisi di un testo, proprio perché manca l'elemento "dal vivo", non restituisce oggettività al fatto studiato.
Nel discorso del metodo d'analisi invece, vi sono delle osservazioni da fare:
- Il prelievo di un tema da un testo già scritto utilizza un dato culturale antico articolato diversamente da quello originale. Ciò richiede una descrizione densa e diretta a ritrovare gli strati profondi dell'evento e la sua vitalità.
- L'etnografo rimane esterno alle fonti, non viene influenzato dall'osservato, anche se può tentare di salvare mondi scomparsi reinventando ciò che già è stato testualizzato. Rimangono comunque documenti.
- I testi antichi, essendo molte volte teologici, possono contenere elaborazioni utopiche che solo autori assenti possono investire di senso profondo, oppure essere particolari di quell'ambiente. Sono comunque adatti all'analisi etnografica perché contengono le vite e i pensieri di specialisti dei tempi.
- L'iscrizione di una cultura già scritta può incontrare meno limitazioni di quella del lavoro di campo. Rimane il problema della transazione linguistica.
Lo studio dei testi antichi pone la questione dell'Autorità etnografica. Ovvero se ha più importanza la fonte originaria oppure è l'etnografico secondario ad avere la priorità. Dipende dalla relazione fra una visione logo-centrica, quindi del discorso, oppure grafo-centrica, incentrata sulla scrittura. L'etnografo usuale si incentra sulla visione logo-centrica. In una prima fase la vicenda biografica, discorsiva, precede l'etnografia propria, il testo monografico. Questo schema pone in evidenza il ruolo della voce dell'altro, delle sue parole, dell'oralità. Nella situazione grafo-centrica, le voci e i contesti sono più mediati. Gli autori antichi rappresentano una testimonianza, e su di loro si misura il lavoro dell'etnografo. Lo status di quest ultimo cambia, e il confronto viene fatto con "autori" anziché informatori. L'etnografo deve fronteggiare la difficile condizione di non essere stato presente in maniera pratica e comprensibile, e lo schema basato su una delle 2 visioni fa da contesto. Il non esserci stato offre anche il vantaggio di evitare coinvolgimenti personali. Non è qui quindi l'esperienza di campo che dà all'autore-etnografo coscienza della sua posizione, ma l'iscrizione assume un valore più negoziabile.
L'etnografo dei testi antichi non è insicuro e nevrotizzato dai suoi primitivi come quello che lavora sul campo, e può penetrare il lato profondo del testo. Il lato autobiografico di un testo è ciò che può dare all'etnografo la veste di competente durante la lettura. L'etnografo-lettore dei testi antichi rivitalizza le fonti antiche attraverso la lettura. La lettura delle fonti precede la scrittura etnografica, e in secondo luogo il testo arriva al lettore gradualmente, permettendo al lettore di ricevere e selezionale le informazioni. Fra i tipi di letture, si possono distinguere quelle professionali da quelle ordinarie. I 2 tipi di lettore hanno modi diversi di penetrazione nel testo. Le letture etnografiche si distinguono per differenza, non sono letterarie ma nemmeno normative. Puntano all'identificazione di ciò che consente a un soggetto di creare significati.
Nell'etnografia dei testi antichi sono riconoscibili un dialogo fra un momento temporale scritto in forma preliminare, ordine temporale che contiene gli autori delle fonti e l'etnografo, e un secondo momento che contiene il testo etnografico e i lettori, dove le fonti vengono riformulate in una visione complessiva. Sono alcune strutture di fondo del testo che sostengono la lettura dell'etnografo. Schwarz parla di metafore tratte dal mondo reale che spiegano parte della narrativa religiosa. La centralità delle metafore che ricorrevano alcuni testi religiosi, che ruotavano ad esempio attorno all'allevamento e all'agricoltura, offrivano interpretazioni concatenate delle pratiche religiose, l'ossatura di un'etnografia particolare, come quella della religione giudaica. Il primo frutto ad esempio, spesso ricorrente, ha permesso di porre in un unico quadro la fertilità e la discendenza. L'etnografo cerca di ricreare il mondo dove si muove il soggetto culturale, e non mira quindi solo alla verifica di realtà accadute. Egli cerca la peculiarità di una costruzione culturale, non la morfologia o meccanica di un evento.
Nel secondo ordine temporale del testo etnografico e del lettore, il lettore si trova davanti a una narrativa che cerca di renderlo padrone di alcuni concetti non alterabili come sono quelli contenuti nei testi antichi. La sua interpretazione sarà definita da un rapporto aperto con le fonti. Il testo prodotto dall'etnografo è sempre posteriore al documento originale, che impone una sorta di rigidezza né immagini modernizzanti. Il lettore finale di una etnografia condotta sui testi richiede alcuni supporti, di natura scientifica.
Canoni etnografici e biografie
Per dare validità al lavoro etnografico bisogna rispettare alcuni canoni di priorità. Il primo è la base teorica. Un'etnografia valida deve rendere espliciti i possibili tipi di decisione teorica riportando quando e perché vengono fatti. Un secondo canone riguarda la costruzione delle reti d'informazione che vanno esplicitate nei testi. Dalla natura di queste dipende il risultato. Il terzo canone riguarda l'uso delle note di campo, con cui l'autore conserva le proprie memorie di campo al di fuori del testo. Ultimamente vengono inserite dentro il testo, e data la loro maggiore richiesta di attenzione, vi sono state molte critiche.
Nello studio delle fonti scritte, non vi sono più etnografi che cercano di screditare quelli venuti prima, ma cercano di confrontarsi con autorità anteriori che hanno a volte influenzato la trasmissione del testo stesso.
Biografia ed Autobiografia nell'etnografia meritano un discorso a parte. Nell'autobiografia appare evidente come sia impossibile una vasta riflessione su sé stessi e sui soggetti studiati in un lavoro di campo. Sono inconciliabili allo stesso tempo. Le autobiografie indirette invece, sono più ardue. Nelle esperienze di campo grande importanza ha avuto la parte personale, la biografia del ricercatore che dell'osservato. Gli uomini non sono totalmente riducibili gli uni agli altri. L'osservatore non ha potuto che prendere atto della difficoltà di un'esperienza personale biografica di accostamento all'altro. Le biografie presentano spesso aspetti poco chiari e producendo verosimiglianza. In alcuni casi ad esempio, il ricercatore può soccombere alla forza delle proprie vicende personali deformando il senso della ricerca.
Consensi, dissensi e nuovi approcci
I post-modernisti hanno enfatizzato la necessità di dare nuove prospettive all'etnografia. Nel complesso le variabili dell'etnografia sono sempre in evoluzione, come le tendenze. Alcuni principi possono aiutare a definire gli approcci utili che tenderebbero a escludere dai testi le improprietà e le arbitrarietà.
a) Ogni descrizione sarebbe solo imitazione della realtà. Non si descrive perché non c'è nulla da descrivere, e il metodo etnografico è solo imitativo e crea illusioni di realtà.
b) Vi sarebbero da evitare molte parole metaforiche sbagliate quali prospettiva o percezione, che vengono utilizzate come metafore della scienza. Nell'etnografia non si potrebbe andare oltre il linguaggio o visione. L'etnografia non è un resoconto di un movimento razionalizzato da qualcosa di percepito a un concetto, ma parte e finisce in concetti. Il termine traduzione è errato invece in quanto una lingua non ricalca perfettamente l'altra, ma crea un originale contorto.
c) Se non c'è origine fuori dal testo, l'attenzione va puntata solo in esso. L'etnografia invece evoca qualcosa che non può essere trasfusa da nessuno in un testo, ovvero il senso comune del lettore. Non esiste esperienza personale sufficiente per dare base al testo, poiché nessun autore può controllare la risposta del lettore.
Oltre a queste 3 forti posizione, se ne incontrano altre più moderate. Nonostante molte costruzioni teoriche dell'antropologia classica siano cadute, nella nuova era continua ad esserci posto per la forza persuasiva di questo ramo. Poiché molto dipende dalla capacità di convincere che ciò che dicono è il risultato del fatto che essi hanno penetrato l'altra forma di vita.
L'etnografia attuale deve avere come scopo la capacità di persuadere chi legge che stanno avendo a che fare con un testo autentico. Sarebbe inoltre necessaria una consapevolezza delle forme retoriche del linguaggio abituale, quelle forme presenti nelle note di campo che scompaiono nella monografia scientifica. Il lato innovativo potrebbe scaturire dalle precauzioni critiche da prendere sul campo, dalle tecniche per scoprirle e renderle evidenti. Occorre un rinnovamento dei termini specialistici del linguaggio etnografico, che provi a gettare un po' di luce sulle sfide, i pericoli, e le opportunità di un mondo frammentato.
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