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Binomio genio e follia




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BINOMIO GENIO E FOLLIA



Concezione psichiatrica e filosofica: Karl Jaspers


Karl Jaspers, filosofo e psichiatra tedesco, analizzò in un saggio del 1922 "Genio e follia" il rapporto esistente tra la schizofrenia e la genialità. Egli si gettò dunque nell'esplorazione di un "abisso" servendosi di due preziose ancelle: la filosofia e la psichiatria "Le ricerche scientifiche -scrive Jaspers- diventano filosofiche quando si sospingono coscientemente fino ai limiti e alle origini della nostra esistenza".  Sebbene da buon medico conoscesse tutta la nomenclatura da buon filosofo si trattenne dall'impiegarla. La filosofia, infatti, non dispone di nomi e abitando da sempre nell'abisso ne conosce l'insondabilità. Psichiatria e filosofia trovano, in Jaspers, il loro accordo attorno ad una sola parola. La parola è "schizofrenia " , la mente (phren) scissa (schizo) in due mondi, la dimensione frantumata dell'essere che, inaccessibile nella sua originaria unità, si concede all'uomo solo come lacerazione. Attraverso l'analisi della schizofrenia gli studi di Jaspers vogliono capire perché, nelle loro espressioni più alte, arte e follia coincidono, perché accadono insieme.



Genio e follia


La follia è comunemente conosciuta in due accezioni: come il contrario della ragione e come ciò che precede la stessa distinzione tra ragione e follia. C'è una follia, dunque, che non è deroga per la semplice ragione che viene prima delle regole e delle deroghe. Solamente la creazione artistica è in grado di conoscere questa follia in quanto non chiude l'abisso del caos, dell'irrazionalità, perché sa che è da quel mondo che vengono le parole che poi la ragione ordina in maniera non oracolare e non enigmatica. C'è chi si fa testimone di questa insensatezza per portarla alle sue espressioni più alte: gli artisti che attraverso il loro stesso sacrificio, con la loro catastrofe biografica, segnalano la condizione della vita come assenza di protezione, da cui noi ci difendiamo non oltrepassando il recinto chiuso della nostra ragione, che abbiamo inventato come rimedio all'angoscia. Nelle personalità artistiche di questo tipo il talento preesiste alla malattia, sebbene non abbia la stessa potenza, e la schizofrenia non è creativa in sé ma è la causa possibile perché si aprano queste profondità. La schizofrenia ,infatti, non può essere creativa senza una completa padronanza artistica che l'artista ha acquisito in numerosi anni di lavoro e la follia non porterà ad esso niente di "assolutamente" nuovo, ma sosterrà le forze già esistenti. La coincidenza tra sviluppo della psicosi[2], cambiamento del tipo di vita e delle forme di produzione artistica e mutamento dello stile ,tuttavia, rende molto verosimile l'ipotesi che la schizofrenia rappresenti per alcuni grandi artisti ,che potremmo definire geniali, una condizione per la produzione delle loro opere. I cambiamenti di stile dei geni "malati" sono duraturi e non di creazioni uniche e non possiamo confrontarli con una lieve ebbrezza alcolica, una breve malattia ecc. "Non mi risulta da alcun caso -afferma Jaspers -che l'alcolismo, pur trasformando le personalità possa avere simili effetti". Possiamo piuttosto ,quindi, comparare la schizofrenia ad altri processi psicotici e cerebrali: processi attraverso i quali il genio "malato" forgia nuovi mondi nei quali, a differenza dei geni "sani", vi si distrugge. Sorge dunque spontanea una questione: il mutamento stilistico dovuto alla schizofrenia dà all'opera qualche carattere visibile e specifico? Jaspers risponde a questa domanda eliminando dapprima alcuni malintesi inevitabili e introducendo poi il concetto di atmosfera "schizofrenica". Il fruitore di opere nate da artisti schizofrenici può avvertire la presenza della malattia nelle opere più con l'intuizione che con la conoscenza scientifica. Il tutto a patto che riconosca la schizofrenia come una realtà inquietante che non si riconosce da indizi semplici, tangibili,oggettivi ma si avverte come totalità psichica (la cui esistenza è dedotta dallo psichiatra dai singoli sintomi a lui noti, ma resta irrisolta finché non gli appare il tutto) e che non identifichi le opere aventi un'atmosfera "schizofrenica" come "anormali". Lo spirito da cui esse procedono si pone ,infatti, al di là dell'opposizione tra normale e anormale. Resta, tuttavia, da sottolineare il fatto che i malati veramente dotati sono rari; in molti schizofrenici manca il genio, il terreno sul quale la schizofrenia può diventare fonte di creatività.



Vita e opere: lo sviluppo della malattia


La schizofrenia è un mondo a sé in cui "ogni comprensione -afferma Jaspers -si deve basare sulla cronologia". La cronologia della vita e delle opere degli artisti che Jaspers analizza risulta quindi fondamentale per la conoscenza della malattia e ci permette di identificare in essi alcune analogie. In particolare analogie nello sviluppo che vedono gli artisti caratterizzati ,in uno stadio preliminare, dall'eccitazione per una certa visione del mondo e successivamente dalla nascita di crisi acute che si ripeteranno a distanze ravvicinate. Durante queste crisi una resistenza disperata s'oppone alle forze disgregatrici che avanzano lentamente. La vita e l'arte dell'artista appaiono dunque a questo punto legate ad un significato che si può chiamare metafisico o religioso. Analizziamo ora come si evolvono la creatività e la produzione dell'artista in relazione alla malattia. Nei primi anni non si verifica mai una decadenza vera e propria e la creatività intellettuale rimane intatta. In questo periodo vengono liberate forze che prima erano inibite. La malattia abolisce quest'inibizione: l'inconscio si fa strada e la restrizione culturale non regge più. Negli ultimi anni, invece, la opere crescono in una tempesta psichica che porta alla disgregazione. La produttività di questi anni non è stimolata esclusivamente dall'eccitazione nervosa ma anche da forze nuove né sane né malate, quasi spirituali, che prosperano nel terreno della malattia. Nell' ultimo stadio, infine, le capacità creative, solitamente, si esauriscono.



Antonin Artaud: il punto di vista di un "folle"


Antonin Artaud nell'analizzare il rapporto esistente tra follia e genio in Van Gogh nel suo libro: "Van Gogh il suicidato della società" si schiera completamente contro la psichiatria. Le affermazioni e le critiche  mosse da Artaud in quest'opera sono forti in quanto sono principalmente rivolte alla società e alla medicina del tempo di cui anch'egli come Van Gogh fu "vittima". Artaud fu infatti ritenuto insano di mente e per questo motivo fu internato per nove anni nel manicomio di St. Rèmy dove sperimentò sulla sua pelle alcune delle tecniche psichiatriche più crudeli e rudimentali come l'elettroshock. Avendo conosciuto questo mondo da protagonista Artaud propone una differente lettura della follia e del suo rapporto con la genialità.



1.5 Il mondo è diventato un "anormale"


"E così una società tarata ha inventato la psichiatria per difendersi dalle investigazioni di certe lucide menti superiori le cui facoltà divinatorie la infastidivano". In queste parole può essere riassunto completamente il pensiero di Artaud: la follia nel genio non esiste, i folli sono personalità superiori che trascendono i limiti della realtà e per questa superiorità vengono condannati dalla delirante società. Ma dunque il folle chi è secondo Artaud se non è colui affetto da follia? Il folle, o anche "alienato autentico" , è un uomo che ha preferito diventare pazzo piuttosto che uniformarsi alla massa e venire meno a una "certa idea superiore dell'onore umano" ed è un uomo "che la società non ha voluto ascoltare e al quale ha voluto impedire di proferire insopportabili verità". Le crisi degli "alienati autentici" non sono dunque dovute alla follia ma allo stato d'incubo in cui la società ha fatto sprofondare le loro "buone volontà lucide". Per quanto riguarda la medicina Artaud sostiene che essa non sia un sostegno per queste personalità ma che sia nata dal male ed abbia creato di sana pianta il concetto di malattia per darsi una ragion d'essere. Gli psichiatri "recano il marchio dell'indiscutibile pazzia [.] essi sono nemici nati e innati di ogni genio". Genio in cui l'umanità ,che si è sempre accontentata di esistere, ha l'abitudine di andare a cercare la vita e di risucchiarla. Molti geni tra cui Baudelaire, Van Gogh, Edgar Allan Poe e Nietzsche, infatti, furono per Artaud "suicidati della società", vittime di un'umanità che li ha costretti contro natura a privarsi della propria vita.




La nozione di schizofrenia è secondo Jaspers  equivoca. Designa formalmente tutti quei disturbi mentali che inaugurano un processo irreversibile la cui origine non può essere attribuita a malattie celebrali conosciute. Ma dal punto di vista materiale, psicologico, s'applica a delle alterazioni psichiche proteiformi che è difficile mettere a fuoco, anche se singoli tratti risaltano con chiarezza.

Il termine 'psicosi' fu introdotto nel 1845 da Von Feuchtersleben con il significato di 'malattia mentale o follia'. È un grave disturbo psichiatrico, espressione di una grave alterazione dell'equilibrio psichico dell'individuo, con compromissione dell'esame di realtà, inquadrabile da diversi punti di vista a seconda della lettura psichiatrica di partenza e quindi del modello di riferimento. La psicoanalisi interpreta le psicosi con una rottura dell'Io con la realtà esterna, dovuta alla pressione dell'Es sull'Io. L'Io cede all'Es per poi recuperare parzialmente la costruzione di una propria realtà attraverso il delirio.

Proprio in questa intuizione viene avvertita l' atmosfera "schizofrenica".

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