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Alla fine del Cinquecento nell'arte italiana prevale ancora una sensibilità manierista, che fa uso di un linguaggio sofisticato e intellettualistico, ricco di simboli e allegorie spesso oscure, comprensibili a un pubblico ristretto e colto. Nel corso del Seicento si va diffondendo una nuova sensibilità figurativa in evoluzione rispetto al manierismo e da questo distinta per i caratteri meno elitari, caratterizzata dalla libera interpretazione del classicismo rinascimentale, definita dispregiativamente barocco dai teorici dell'arte. La Chiesa di Roma, appena uscita dalla Controriforma, appoggia questa nuova espressione artistica capace di rivolgersi ad un vasto pubblico, affidandole il compito di esprimere in forme grandiose e in toni trionfali i valori politici e religiosi che ne legittimano il potere, ed è quindi considerata una corrente fastosa e celebrativa. E' dunque a Roma che si hanno le prime manifestazioni importanti di arte barocca, grazie all'attività di Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona.Verso la fine del '600, il barocco si laicizza e si diffonde in tutta Europa, e altri centri divengono importanti, soprattutto là dove principi, elettori e re vogliono rilanciare l'immagine della loro città-capitale, impegnandosi in attività di rinnovamento urbanistico-architettonico.
Uno dei temi fondamentali della poetica barocca è la rappresentazione dinamica e illusionistica dello spazio. Lo si coglie pienamente in architettura (colonnato di piazza San Pietro di Bernini, chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza di Borromini), in cui l'edificio appare sorprendentemente diverso a seconda del punto di osservazione scelto; un edificio dagli spazi illusionisticamente più ampi di quanto non siano, dalle linee dinamiche, in costante movimento di dilatazione e contrazione, mai uguale
Le premesse dello sviluppo della pittura barocca sono poste dagli italiani Caravaggio e Annibale Carracci. Entrambi contrari al manierismo, individuano il principio della loro arte nell'indagine diretta della realtà. Diverso è però l'esito della loro pittura. Caravaggio, approfondisce la sua analisi della realtà sino a rappresentarne gli aspetti crudi e drammatici (Martirio di San Matteo). Carracci invece è meno radicale nel suo realismo, che è punto di partenza per una raffigurazione equilibrata e razionale (Fuga in Egitto).
Nel primo Settecento si diffonde una nuova sensibilità del gusto nota sotto il nome di rococò. Lo stile rococò intende opporre, alla magniloquenza delle forme e al fasto del barocco, l'agile grazia e piacevolezza dell'ornamentazione. Principale centro di elaborazione e diffusione dello stile rococò è la Francia dove, su una sensibilità di fatto classicista, si era diffuso un barocco dai toni equilibrati. Lo stile rococò è dunque individuabile in molte delle manifestazioni architettoniche e artistiche del primo Settecento, anche se molte zone d'Europa e molti artisti continuarono a portare avanti le problematiche emerse dall'esperienza barocca, sino alle soglie del neoclassicismo.
Caravaggio, (Milano 1571 - Porto Ercole, Grosseto, 1610).
Dopo l'apprendistato compiuto a Milano presso il pittore bergamasco Simone Peterzano, Caravaggio si trasferisce a Roma intorno al 1593. Qui inizia a lavorare nella bottega del cavalier d'Arpino dove dipinge quadri di fiori e frutta e crea alcune scene di genere con figure di come il Ragazzo morso da un ramarro. L'anno successivo entra al servizio del suo primo potente protettore romano, il cardinale Francesco Maria del Monte che gli commissiona, tra il 1594 e il 1599, la decorazione del proprio palazzo (Casino Ludovisi) e alcuni dipinti tra cui il probabilmente, il Bacco (Firenze, Uffizi) e la Canestra di frutta (Milano, Pinacoteca Ambrosiana). Tramite il suo mecenate, Caravaggio entra in contatto con prestigiose e influenti famiglie romane che gli commissionano altri importanti dipinti (ciclo di tele). In queste opere della maturità Caravaggio raggiunge una rappresentazione lucida e precisa della realtà naturale in scene monumentali plasmate e definite da un forte chiaroscuro. Tra le opere realizzate durante il soggiorno romano vanno menzionati il Riposo nella fuga in Egitto (Roma, Galleria Doria Pamphili) che rivela l'influsso della cultura lombardo-veneta nel cui ambito avviene la formazione di Caravaggio, la Deposizione (1603 ca., Roma, Musei Vaticani) e La morte della Vergine (1605 ca., Parigi, Louvre). Costretto a fuggire da Roma, dopo aver ucciso un uomo in una rissa, giunge a Napoli nel 1607 dove esegue numerosi dipinti, tra cui le Sette Opere di Misericordia (chiesa del Pio Monte della Misericordia). Nel 1608 si trasferisce a Malta e, dopo aver dipinto San Gerolamo, la Decollazione di San Giovanni Battista (La Valletta, duomo) e Amore dormiente (Firenze, Uffizi), fugge nuovamente.
La canestra di frutta, del 1596, offre un importante esempio, tra i primi della storia dell'arte, di natura morta concepita come genere autonomo. Caravaggio dichiara che non vi è differenza tra il dipingere un quadro di fiori o un quadro di figure e, dunque, anche una banale canestra di frutta è un tema degno di essere dipinto. La ricerca del «vero naturale» condotta da Caravaggio si rivela nella riproduzione accuratamente realistica delle diverse qualità dei frutti, mele, uva, fichi, che, investiti da una luminosità diffusa, risaltano nitidamente contro il fondo chiaro. Nel dipinto sono registrati anche i segni della deperibilità delle cose naturali, visibili nella foglia accartocciata o nella mela bacata allusivi alla caducità della vita. Immagini analoghe, simboleggianti la transitorietà dei beni terreni, ricorrono nei cosiddetti quadri di Vanitas che si diffondono in Europa durante il Seicento, principalmente per opera di pittori olandesi e fiamminghi.
Nel 1599, Caravaggio è incaricato di dipingere, grazie all'appoggio del suo primo protettore romano, l'influente cardinale Francesco Maria Del Monte, un ciclo che narra tre episodi della vita dell'evangelista Matteo: la Vocazione e il Martirio e San Matteo e l'angelo. Caravaggio affronta questa impegnativa prova su temi di storia sacra, con soluzioni di assoluta novità: le vicende del santo non appaiono idealizzate, al contrario si svolgono nella realtà di ambienti e uomini comuni, esprimendo una religiosità etico-sociale che riflette il messaggio di povertà evangelica. In questo ciclo è evidente il valore formale e simbolico che assume la luce nell'opera di Caravaggio: una luce dura, abbagliante che, contrastando fortemente con profonde ombre, mette a fuoco e definisce le scene e i particolari. L'opposizione luce-tenebre ricorre nelle opere della maturità di Caravaggio.
Il Martirio raffigura il momento in cui sta per compiersi l'uccisione di Matteo. L'episodio è descritto come un fatto di cronaca, una scena d'omicidio cui assiste lo stesso Caravaggio che si autoritrae nello sfondo, alla sinistra del carnefice, lasciando emergere dalla fitta oscurità il proprio volto angosciato. Matteo è steso per terra ai piedi dell'altare, con il costato sanguinante appena trafitto dal carnefice che lo afferra per un braccio, mentre dall'alto scende un angelo su una nuvola e porge al santo la palma del martirio. Il dipinto rende con grande efficacia l'istantaneità e il carattere drammatico e tumultuoso dell'azione collocata in uno spazio profondo e buio, squarciato dalla luce che evidenzia i gesti e gli sguardi impauriti dei presenti: a sinistra un gruppo di uomini con abiti contemporanei; in basso, ai due lati della scena, i catecumeni che attendevano di essere battezzati da Matteo; a destra, il chierichetto che fugge con il viso contratto in un urlo di paura. La luce investe il santo e il suo carnefice, simboleggiando la luce divina, ossia la possibilità di redenzione concessa anche al peccatore.
Eseguita a Malta per la Compagnia della Misericordia, la monumentale tela della Decollazione di San Giovanni, del 1608, rivela la tensione esistenziale degli anni estremi di Caravaggio. L'episodio sacro è colto nel momento di massima drammaticità: Giovanni è steso a terra con la gola sanguinante e le mani legate dietro la schiena, mentre il carnefice, dopo averlo ferito con la spada, si accinge ad estrarre il pugnale per compiere la decollazione. Il carceriere alza la mano con un gesto imperioso indicando alla giovane donna di avvicinare il vassoio per raccogliere la testa del santo, mentre la vecchia porta le mani al volto inorridita. La scena è ambientata nel buio cortile della prigione e dietro un'inferriata due reclusi spiano il supplizio. Rispetto alle opere degli anni precedenti, le figure sono meno imponenti e lo spazio della tela appare dominato dal vuoto e dalla penombra attraversata da lampi di luce che evidenziano drammaticamente i particolari della scena, i volti e i gesti dei personaggi.
Carracci Annibale (Bologna 1560 - Roma 1609).
Nell'intento di superare gli schemi della decadente cultura manierista, Annibale Carracci elabora una linea di rinnovamento della pittura fondata sul recupero e lo studio del «vero naturale» e dei modelli rinascimentali, da Raffaello a Correggio a Tiziano. Insieme al fratello Agostino e al cugino Ludovico, nel 1582, fonda a Bologna l'Accademia degli Incamminati ed esegue cicli affrescati di soggetto allegorico-mitologico in palazzi bolognesi. Annibale manifesta vivi interessi naturalistici nei suoi dipinti giovanili come la Macelleria (1582-83, Oxford, Christchurch), il Mangiafagioli (1583-84, Roma, Galleria Colonna. Nel 1599, Annibale è invitato a Roma da Odoardo Farnese che gli commissiona la decorazione con soggetti mitologici del Camerino e poi della Galleria di Palazzo Farnese che riprende i modelli della Sistina di Michelangelo e pone le premesse per lo sviluppo della grande decorazione barocca. Tra le ultime opere eseguite da Annibale è particolarmente importante la lunetta con la Fuga in Egitto eseguita per la cappella del palazzo Aldobrandini (1603 ca., Roma, Galleria Doria Pamphili), che esprime una nuova concezione del paesaggio e della natura interpretata secondo un ideale di classica perfezione
Il mangiafagioli, dipinto giovanile di Annibale Carracci databile intorno al 1583, riproduce una scena 'di genere', ossia un episodio tratto dalla vita quotidiana, che richiama i dipinti fiamminghi di nature morte con figure. La scena è ambientata in un interno illuminato da una luce che proviene dalla finestra a sinistra e che diffonde una tonalità grigio-azzurra. L'immagine popolaresca del contadino davanti a una mensa di cibi poveri, descritta realisticamente, rivela l'adesione di Annibale al «vero naturale», punto di partenza e fondamento della sua ricerca tesa al superamento degli schemi manieristici. Quest'iconografia è ripresa anche da van Gogh nei Mangiatori di patate.
Nella lunetta con la Fuga in Egitto, commissionata intorno al 1603 dal cardinale Aldobrandini per la cappella del suo palazzo romano, Annibale Carracci raffigura un'ampia veduta che mostra evidenti richiami ai pittori veneti(Giorgione). Con questo dipinto, Carracci esprime una nuova visione del paesaggio ispirata alla poetica dell'«ideale classico»: il luogo attraversato dalla Sacra Famiglia in fuga è un ambiente naturale dove si vedono contadini serenamente intenti a lavorare; in lontananza si staglia una città fortificata dove spicca un edificio che ricorda il Pantheon di Roma. È una rappresentazione dove uomo, natura e architettura appaiono armonicamente uniti. I piani digradanti della collina su cui è posta la città, le linee disegnate dal fiume e l'intenso chiarore dello sfondo, contribuiscono a creare un effetto di profondità prospettica.
Bernini Gian Lorenzo (Napoli 1598 - Roma 1680).
Gian Lorenzo Bernini compie la sua formazione artistica nella bottega del padre, scultore tardomanierista, dedicandosi ad uno studio appassionato dei grandi maestri del Cinquecento e della statuaria antica, in particolare di modelli ellenistici che esercitano un evidente influsso sul suo linguaggio. Diviene personaggio di assoluto rilievo della scena artistica romana, acclamato e prediletto dagli ambienti nobiliari e, in particolare dai pontefici che gli affidano una lunga serie di lavori. La prima opera, per San Pietro, è il baldacchino bronzeo sulla tomba di San Pietro, una colossale struttura poggiante su colonne tortili (cui collabora Francesco Borromini) innalzata al centro della crociera michelangiolesca. Infine, l'artista offre una efficace interpretazione della spiritualità barocca rappresentando i sentimenti di esaltazione e trasporto mistico in opere come l'Estasi di Santa Teresa (1647-52, Roma, Santa Maria della Vittoria, Cappella Cornaro).
Commissionata dal cardinale Scipione Borghese, appassionato estimatore e collezionista di antichità, l'opera, datata tra 1622 e 1625, illustra la storia di Apollo e Dafne, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, nel suo momento di massima tensione. L'artista raffigura infatti l'istante in cui la ninfa Dafne in fuga viene raggiunta dal dio Apollo e si tramuta in pianta d'alloro. I due protagonisti sembrano immobilizzarsi d'improvviso e sul volto della ninfa, con le labbra dischiuse, appare un'espressione di stupore e panico. Gian Lorenzo Bernini rende con virtuosismo le diverse qualità della materia, la levigatezza dei corpi, il carattere frastagliato delle chiome e delle fronde. Sul basamento dell'opera è inciso un distico che invita a riflettere sulla mutevolezza dell'uomo e sulla vanità dei suoi desideri.
Gian Lorenzo Bernini riprende a occuparsi dei lavori per il nuovo San Pietro, realizzati nell'arco di oltre quaranta anni, durante il pontificato di Alessandro VII, attivo promotore di una politica di protezione delle arti. La prima opera, per San Pietro, è il baldacchino bronzeo sulla tomba di San Pietro, una colossale struttura poggiante su colonne tortili (cui collabora Francesco Borromini) innalzata al centro della crociera michelangiolesca. L'artista realizza, tra 1657 e 1665, una tra le più grandiose imprese della Roma barocca, ossia la sistemazione della vasta area antistante San Pietro, destinata ad accogliere i fedeli riuniti in occasione della Pasqua o di altre ricorrenze liturgiche per assistere alla cerimonia di benedizione impartita dal papa a tutto il mondo. Bernini elabora una soluzione funzionale e simbolica al tempo stesso che, per l'ampiezza e maestosità del luogo, crea effetti di grande spettacolarità. L'area è divisa in due differenti spazi: il primo di forma trapezoidale delimitato da due ali piene che partono dalla facciata di Carlo Maderno; il secondo di forma ellittica delimitato, lungo il perimetro dei due emicicli, da un colonnato di imponenti colonne doriche disposte in quadruplice fila, e segnato, sull'asse trasversale da due fontane e da un obelisco. Le due ali del colonnato, sormontate da statue di santi, simboleggiano le braccia materne della Chiesa, rifugio e protezione degli uomini. Lo spazio davanti alla basilica, concepito come uno scenario teatrale, sembra dilatarsi dinamicamente.
La tomba di Urbano VIII, collocata nella nicchia destra dell'abside della basilica di San Pietro, datata tra 1628 e 1647, richiama le tombe medicee di Michelangelo e rappresenta il modello della tomba monumentale barocca. Il papa benedicente appare seduto in trono, al di sopra di un alto basamento; ai suoi piedi, due figure allegoriche della Carità e della Giustizia affiancano il sarcofago sormontato da uno scheletro a grandezza naturale, immagine della Morte intenta a scrivere l'epitafio di Urbano VIII a lettere d'oro. Le statue del pontefice e della Morte sono fuse in bronzo scuro, il sarcofago è scolpito in marmo nero, mentre le Virtù in marmo bianco. Gian Lorenzo Bernini ottiene così un movimentato contrasto di colori ed effetti luministici e, nell'intreccio di valori plastici e pittorici, esprime la nuova concezione unitaria delle arti, peculiare del barocco.
Papa Innocenzo X invita Gian Lorenzo Bernini a partecipare ai progetti per piazza Navona, scelta quale luogo rappresentativo e celebrativo della famiglia del pontefice. A questi progetti interverrà anche, successivamente, l'architetto Francesco Borromini costruendo parte della chiesa di Sant'Agnese. La piazza, diviene uno dei centri più importanti della vita urbana nella Roma barocca. Lo spazio stretto e relativamente lungo della piazza è delimitato da una cortina omogenea di edifici, che sembrano conferire alla piazza il carattere di un raccolto cortile interno. Bernini progetta di collocarvi al centro la celebre e spettacolare Fontana dei Fiumi. Sormontata da un obelisco, questa fontana è una ricca e fantasiosa composizione di rocce ammassate, da cui sgorga l'acqua attraverso grotte e anfratti; sopra le rocce sono collocate statue di leoni, cavalli, caimani e palme che sembrano mosse dal vento, e le figure allegoriche del Danubio, del Nilo, del Gange e del Rio della Plata, ossia i maggiori fiumi dei quattro continenti che alludono alla universalità del potere della Chiesa romana. Le fontane, i giochi d'acqua, simbolici della mutevolezza e instabilità della natura e dell'uomo, sono un tema ricorrente nell'arte e nella letteratura barocca.
Borromini Francesco ( Bissone, Canton Ticino, 1599 - Roma 1667).
Francesco Borromini inizia la sua attività come apprendista scalpellino a Milano. Intorno al 1619 si trasferisce a Roma dove compie uno studio appassionato dell'architettura di Michelangelo e prosegue il modesto lavoro di intagliatore di marmi al servizio di Carlo Maderno il quale, riconosciuto il talento del giovane Borromini, gli affida l'esecuzione di disegni di architettura per San Pietro e palazzo Barberini. Il grande successo di Gian Lorenzo Bernini (figura antitetica a Borromini per temperamento e concezioni artistiche) ostacola e ritarda l'affermazione di Borromini. A questa opera seguono l'incarico di costruire il convento e l'oratorio dei Filippini (1637-1649) e due prestigiose commissioni che rivelano lo straordinario genio innovatore di Borromini: la trasformazione interna della basilica di San Giovanni in Laterano (1646-49), affidatagli da Innocenzo X con il vincolo di conservare le antiche strutture e il soffitto ligneo cinquecentesco e, inoltre, la costruzione della chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza (dal 1642). L'architettura di Borromini è caratterizzata da un costante contrasto di forze, dall'alternanza e contrapposizione di concavità e convessità, di strutture rettilinee e curvilinee, di sporgenze e rientranze che animano ritmicamente facciate e interni.
Il complesso di San Carlo alle Quattro Fontane, commissionato dall'Ordine dei Trinitari, è il primo progetto autonomo (1634-1641) di Francesco Borromini che mostra già compiutamente l'originalità delle sue invenzioni.
Nel piccolo terreno disponibile, l'architetto riesce a contenere la chiesa, gli ambienti conventuali e il chiostro, modellato su un perimetro ottogonale con raccordi angolari convessi. Per l'interno della chiesa Borromini progetta un vano ellittico su cui si aprono quattro nicchie e allinea l'ingresso e l'altare maggiore sull'asse principale. L'effetto di dilatazione e contrazione dello spazio dato dall'alternanza di superfici concave e convesse che seguono il sinuoso perimetro della pianta, ripreso e sottolineato anche dal robusto cornicione, è accentuato dalle colonne addossate alle pareti. La cupola ovale, in cui filtra una luminosità uniforme dalla lanterna, è collegata mediante pennacchi alle quattro arcate absidali e rivela la formazione artigianale di scalpellino, compiuta in gioventù da Borromini, nella raffinata e minuziosa decorazione a cassettoni ottogonali, esagonali e a croce che si riducono progressivamente verso l'alto, accentuando l'impressione di profondità. Tutto il complesso viene ultimato nel 1641, eccetto la facciata aggiunta, da Borromini, tra il 1665 e il 1667.
Reni Guido (Bologna 1575 - 1642) pittore italiano. Proveniente da una formazione manierista, si accosta ventenne all'Accademia dei Carracci, dove si dedica allo studio dell'antico e di Raffaello (Assunta di Pieve di Cento). Si avvicina in seguito al Caravaggio (Crocefissione di San Pietro, Pin. Vaticana).
Commissionata per la Cappella Berò nella chiesa di San Domenico di Bologna, la pala con la Strage degli Innocenti rivela i caratteri fondamentali dello stile di Guido Reni fondato sulla conoscenza dell'antico, del rinascimento e dei contemporanei Annibale Carracci e Caravaggio. È una delle opere più famose e celebrate dell'artista per l'equilibrio e la purezza della composizione, per la preziosa qualità cromatica, per la resa psicologica dei personaggi. La scena della strage compiuta da due carnefici armati di pugnale, si svolge in primo piano, mentre sullo sfondo, costruito con una prospettiva architettonica e un ritaglio di cielo, appaiono due angioletti che sostengono rami di palma, simbolo del martirio. La violenta tensione e drammaticità dell'episodio si riflette sui volti delle madri contratti in urla disperate; l'espressione della madre a destra richiama l'analoga espressione del bambino in fuga nel Martirio di San Matteo dipinto da Caravaggio. La disperazione appare placarsi, invece sul viso della madre in preghiera, seduta in primo piano, che volge lo sguardo verso l'alto, indicando in Dio, l'unica fonte di speranza e di conforto.
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