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Antonio Canova (Possagno, 1 novembre 1757 - Venezia, 13 ottobre1822) è stato un celeberrimo scultore italiano, ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo. Considerato inoltre come uno degli ultimi grandi artisti della scultura italiana, fu soprattutto il cantore della bellezza femminile: basti a tale proposito ricordare le opere ispirate alle tre Grazie e a Ebe, oppure alcuni suoi capolavori come Venere uscente dal bagno, La Venere Italica e la statua dedicata a Paolina Borghese. La sua arte ed il suo genio ebbero una grande e decisiva influenza nella scultura dell'epoca.
Iniziò giovanissimo il proprio apprendistato che si svolse esclusivamente nella città di Venezia, distante circa 80 km. dal suo paese natale, Possagno. Nella città lagunare iniziò a scolpire le sue prime opere. L'ambiente veneziano fu per il giovane Canova l'ambiente della sua formazione. Egli subì, specialmente nel suo primo periodo di produzione artistica, l'influenza ed il fascino dello scultore del Seicento Gian Lorenzo Bernini, indiscusso maestro dello stile barocco.
Successivamente si trasferì a Roma, dove ebbe modo di incontrare e conoscere i maggiori protagonisti dell'arte neoclassica, inserendosi anch'egli in quel clima di capitale della cultura che era la Roma del 1700. Dopo la sua scomparsa, per tutto l'arco del 1800, per quanto riguarda l'arte della scultura i critici sono concordi nel sostenere come l'Italia non abbia svolto un ruolo di primo piano nel panorama europeo.
Molto giovane, Canova rimase orfano del padre, all'età di appena quattro anni. La madre, dopo non molto tempo, ebbe un nuovo matrimonio e, subito dopo, si trasferì in un altro paese vicino, Crespano.
Antonio restò a Possagno con il nonno, tagliapietre ed anche scultore locale di discreta fama. Questi, avendone capito la vocazione all'arte della scultura, si procurò di avviarlo e guidarlo nei suoi primi passi .
La sensibilità di Antonio Canova assorbì questi eventi molto profondamente, tanto da restarne segnato per tutta la vita. Già da ragazzino, il Canova dimostrò di possedere una predisposizione per la scultura modellando, con l'argilla di Possagno, piccole, ma già bellissime opere. È famoso l'episodio che narra di un giovane artista che, verso i sei o sette anni di età, durante una raffinata cena di nobili personalità veneziane suscitò enorme meraviglia fra gli invitati incidendo nel burro in breve tempo, ma già con grande maestria e bravura, la figura di un leone.
Il padrone di casa, intuendo le grandi potenzialità artistiche ed il grande talento del giovane, si interessò personalmente del suo futuro, avviandolo allo studio ed ad una idonea formazione professionale.
All'età di undici anni, Canova iniziò a lavorare in uno studio di scultura: fu certamente quello, l'ambiente e la scuola d'arte che fecero crescere artisticamente il piccolo Canova. Tramite i suoi maestri, Canova ebbe modo di essere introdotto nel prestigioso mondo veneziano, già ricco di molti fermenti artistici e culturali. Nella città di Venezia, egli approfondì e studiò il disegno, frequentando la scuola di nudo dell'Accademia.
Nel 1775, in cerca di nuovi stimoli e nuove esperienze, lasciò lo studio e si mise in proprio, aprendo una sua bottega d'arte. Fu proprio in quella bottega che incominciò l'ascesa artistica che, lo doveva rendere famoso, prima a Venezia, nel Veneto ed in Lombardia e, piano piano, in tutta l'Europa. Le prime opere da lui prodotte furono: Orfeo ed Euridice (1776) e Dedalo e Icaro (1779), eseguito per il procuratore Pietro Vittor Pisani.
Lasciata da parte l'influenza della scultura settecentesca, s'ispirò alla classicità greca, senza però mai cadere nell'imitazione.
Nel 1779, dopo aver esposto il Dedalo e Icaro in una fiera in piazza San Marco a Venezia, ed averne ottenuto lusinghieri ed ampi riconoscimenti, decide di partire per Roma e lo fa il 9 ottobre dello stesso anno.
A Roma il Canova eseguirà le sue opere più belle; Amore e Psiche, Le tre Grazie e tante altre ancora.
Lì ebbe modo di incontrare e conoscere i maggiori protagonisti dell'arte neoclassica. Fu facile per lui potersi inserire in quel clima da capitale della cultura che fu Roma nel Settecento. E fu proprio nella città di Roma, che Canova crebbe come artista, esercitando per lunghissimo tempo la sua attività. Proprio da lì, iniziò quel riconoscimento al suo genio ed al suo talento che, gli procurò poi, un successo ed una fama mondiale.
A Roma dimorò a Palazzo Venezia e fu ospite dell'ambasciatore veneto Girolamo Zulian, appassionato d'arte e grande mecenate di artisti, particolarmente di quelli veneti.
L'amico Zulian fece in modo di fargli avere le prime commissioni e, personalmente, gli ordinò le statue di Teseo sul Minotauro, (1781), e quella di Psiche, (1793).
Antonio Canova svolse anche l'attività di pittore ma, in questo campo artistico non eccelse, producendo opere che, non potevano certo avere come confronto, lo splendore e la magnificenza delle sue sculture.
Pertanto, come pittore, fu sempre considerato un'artista non di primo piano.
Durante l'occupazione di Roma, da parte dei Francesi, egli abbandonò la città, per fare ritorno al suo paese natale, Possagno.
Nei due anni che vi soggiornò, si dedicò quasi esclusivamente a questo genere.
Per la sua produzione artistica come pittore, lo stesso Canova nutriva dubbi.
In essa però, si possono leggere, in trasparenza, la forte emotività dell'artista, le passioni che egli poi, andava rimovendo nella sua produzione statuaria ufficiale.
A qualche suo fedele amico, il Canova confidava che dipingeva solo per sé, ecco perché si capisce la sua ritrosia a mostrare al pubblico queste sue opere che, a volte, quasi nascondeva.
Non è un caso infatti che, l'opera pittorica del Canova, sia in buona parte, sempre rimasta di proprietà dell'artista, ed oggi è possibile vederla raccolta nel Museo Gipsoteca Canoviana di Possagno, in quella che una volta fu la sua casa natale.
Tra le sue tele , si ricordano un autoritratto, un ritratto di T. Lawrence e Le Grazie, olio su tela del 1799, il Compianto di Cristo, Tempio, Possagno, 1800 .
Canova ebbe il grande merito artistico, più di qualsiasi altro scultore, di far rivivere, nelle sue opere, l'antica bellezza delle statue greche, facendo sue e interpretando in maniera sublime, la teoria che andava diffondendo Winckelmann:
"la nobile semplicità e la quieta grandezza!"
Egli nella sua arte, aveva studiato come ricalcare le tecniche degli antichi scultori greci; dal disegno, (schizzo), idea iniziale di un lavoro, passava al bozzetto in terracotta o, cruda o in cera, materializzando subito la forma reale dell'opera.
La seconda fase era quella dedicata alla statua in argilla, sopra la quale veniva colato il gesso. Su questo modello venivano fissati i chiodini, (rèpere), i quali, attraverso l'utilizzo di uno speciale compasso, servivano a trasferire nel marmo, le esatte proporzioni dell'opera in gesso.
Alcune di queste opere in gesso, complete di rèpere, sono oggi pezzi unici al mondo e considerati loro stessi capolavori, poiché, non esistono più gli originali in marmo, andati perduti o distrutti. Tra gli altri, il monumento a George Washington, distrutto in un incendio negli Stati Uniti, i busti tra i quali quello di Carolina Bonaparte, regnante di Napoli.
Una grande influenza ebbero su di lui, i temi e le letture dei classici della mitologia greca, che era solito farsi leggere mentre lavorava; più di tutte, le opere di Omero.
Antonio Canova lavorò per papi, sovrani, imperatori e principi di tutto il mondo. Nelle sue sculture, era solito adoperare il marmo bianco, che riusciva a rendere armonioso, nel modellarlo con plasticità e grazia, finezza e leggerezza che, quasi le sue figure, sembravano avere un proprio movimento, vivere nella loro immobilità.
Un'altra caratteristica particolare del suo talento, era la levigatura delle opere, sempre raffinata al massimo e grazie alla quale i suoi lavori avevano uno speciale effetto di lucentezza che ne accentuava la naturale e splendida bellezza. Una bellezza radiosa di purezza, secondo i canoni del classicismo più ortodosso. La rappresentazione della bellezza idealizzata, eterna ed universale.
La classificazione delle opere del Canova, può essere effettuata ripartendo la sua produzione in due categorie principali; i monumenti funebri e le allegorie mitologiche.
Fanno parte del primo gruppo i monumenti funebri, realizzati tra il 1782 ed il 1819, a: Clemente XIII, (Roma, Basilica di S. Pietro in Vaticano, 1787 - 1792, marmo), Clemente XIV, (Roma, Basilica dei SS. Apostoli, 1787, marmo), Vittorio Alfieri, (Firenze, Basilica di Santa Croce, 1806 - 1810, marmo), Francesco Pesaro, (Venezia, Museo Correr, 1799, marmo).
Nella rappresentazione dei monumenti funebri, Canova era solito adoperare lo schema classico; quello a tre piani in sovrapposizione.
Nei monumenti che ideò per i due Papi, Clemente XIII e Clemente XIV, al primo livello sono situate le statue che rappresentano le immagini allegoriche, che stanno ad indicare il senso della morte.
Al secondo livello è situata la centralità del monumento stesso; il sarcofago.
Al terzo livello, a dominare l'intera struttura dall'alto, la statua che raffigura il Papa: era questo uno schema consolidato, che aveva particolarmente caratterizzato quasi tutta la produzione del trecento, relativa ai monumenti funebri.
Nel monumento a Maria Cristina d'Austria invece, il Canova esce dalla tradizione, e apporta una variazione; in esso egli dà una rappresentazione dell'oltretomba, idealizzata nella rappresentazione di una piramide, verso la quale, un piccolo corteo funebre, si avvicina nell'intento di varcarne la soglia che divide la vita dalla morte.
Anche nei monumenti a stele, il Canova si richiama e, risulta evidente il riflesso, alle innumerevoli stele funerarie che ci sono state tramandate dall'antica Roma.
IL TEMA DELLA MORTE
La rappresentazione della morte nei monumenti funebri, fu un tema specifico e caratteristico di tutto il periodo del neoclassicismo ; furono molti gli artisti che lo sentirono particolarmente.
Non è infatti un caso se, nello stesso periodo, anche il poeta Ugo Foscolo riaffermava l'importanza dei 'sepolcri", come memoria del passato e del ricordo dei grandi personaggi che avevano segnato la storia, meritevoli dunque, di esaltazione del valore e del riconoscimento delle proprie virtù.
A differenza del periodo barocco, nel quale la morte era intesa come un qualcosa che dava raccapriccio, funesta e macabra ; nell'arte neoclassica era idealmente come il momento culminante della vita stessa.
MONUMENTO FUNEBRE DI CLEMENTE XIII
Il tema della sepoltura, abbiamo visto, è stato uno dei più praticati da Antonio Canova, che nei suoi monumenti funebri tende alla consacrazione della memoria del defunto, secondo le esigenze tipiche della cultura illuministica e neoclassica. Il veneziano Carlo Rezzonico è stato papa con il nome di Clemente XIII dal 1758 al 1769. Di personalità molto amabile e caritatevole, interpretò su queste basi la funzione del suo apostolato mostrandosi quale «buon pastore» e non come statista interessato agli affari politici e diplomatici internazionali. Il monumento eretto dal Canova si trova in San Pietro in Vaticano. Questo sepolcro è stato concepito dallo scultore secondo il classico schema a tre piani sovrapposti. Sul primo livello, quello basamentale, poggiano le figure allegoriche: due leoni, simbolo della forza, che proteggono la porta che da accesso al sepolcro, il genio della morte e la figura femminile con la croce in mano simbolo della Religione. Al secondo livello è posto il sarcofago, di forme ovviamente classicheggianti. Al terzo livello vi è la statua a tutto tondo del papa, che il Canova, interpretandone il carattere, ci rappresenta in atteggiamento umile; il triregno simbolo di potere è posto a terra, inginocchiato a pregare.
MONUMENTO FUNEBRE A CLEMENTE XIV
Il monumento è collocato nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma, ed è stato realizzato per ricordare la memoria del papa che nel 1769 successe a Clemente XIII. Lorenzo Ganganelli, nativo di Sant'Arcangelo di Romagna, è stato papa con il nome di Clemente XIV dal 1769 al 1774. La decisione più importante presa da Clemente XIV è stata la soppressione dell'Ordine dei Gesuiti nel 1773. La questione dei gesuiti era in quegli anni la più scottante nei rapporti tra gli stati europei e il papato. La nuova cultura illuministica affermatasi nella seconda metà del Settecento aveva preso di mira questo che tra gli ordini religiosi appariva il più potente ed influente. Da ricordare che in quegli anni i gesuiti detenevano quasi il monopolio dell'educazione dei giovani grazie ai numerosissimi collegi che essi avevano fondato a partire dalla metà del Cinquecento in tutta Europa. L'ordine veniva anche stimato come dotato di favolose ricchezze, e la prospettiva di incamerarne i beni era un obiettivo condiviso da molti regnanti europei. Se Clemente XIII riuscì ad arginare i tentativi di soppressione dell'ordine, Clemente XIV ne fece invece una sua questione programmatica riuscendo a divenire papa proprio sulla base di questo suo atteggiamento. Papa quindi dalla personalità volitiva e portata alla gestione del potere, viene infatti rappresentato da Canova assiso in trono, con il triregno in testa, e in atteggiamento severo. Il braccio destro proteso in avanti diviene quindi simbolo della sua capacità di prendere ed imporre decisioni anche di grande portata storica. Il monumento, come quello realizzato per Clemente XIII si svolge su tre livelli. Sulla parte basamentale vengono collocate due figure femminili, allegorie dell'Umiltà e della Temperanza, al secondo livello viene posto il sarcofago, infine a coronare il monumento la statua del papa.
MONUMENTO FUNEBRE A MARIA CRISTINA D'AUSTRIA
È il modello del marmo che si trova nella chiesa degli Agostiniani in Vienna, commissionato nel 1798, durante il viaggio di Canova a Vienna, e inaugurato nel 1805. Il Monumento è una complessa costruzione a forma piramidale, con - al centro - una porta semichiusa simbolo del passaggio dalla vita terrena all'Aldilà. In alto, vi è il profilo di Maria Cristina, principessa della Casa imperiale d'Austria, entro un medaglione con la cornice di un serpente che si morde la coda (rappresenta l'eternità): il medaglione è retto dalla Fama. Alla base della piramide, il leone (simbolo delle forze fisiche) e il genio funerario (metafora dello spirito umano) stanno affievolendo il loro vigore (sono quindi simbolo della vita che si spegne); dall'altra parte della porta, una processione si snoda, lenta e dignitosa, verso il luogo del trapasso: la Virtù, preceduta da due ancelle, trasporta il vaso delle ceneri entro il sarcofago, sopraggiunge la Beneficenza con il bambino e il vecchio malfermo e cieco.
Nella rappresentazione di soggetti mitologici, si evidenzia, in tutta la sua immediatezza, più ancora che in altre opere, il riferimento palese alla scultura greca ed ellenistica.
Le forme anatomiche sono di una perfezione unica, il movimento dei gesti sempre contenuto e misurato, le interferenze psicologiche ed emotive, sono quasi sempre assenti o, trasformate ed elaborate in una pacata silenziosità .
Tutto l'insieme delle composizioni, risulta pervaso di un magico equilibrio e staticità.
Nella rappresentazione delle opere, il Canova sceglie sempre l'attimo scenico essenziale, classico, quello del momento del pathòs ; ne è un esempio straordinario il 'Teseo sul Minotauro' .
A Canova non interessa rappresentare la dinamica della lotta tra Teseo e quella orrenda figura di essere metà toro e metà uomo.
Egli sceglie un momento diverso, meno dinamico ma, più ricco di fascino, d'interiorità; sceglie il momento in cui Teseo, al termine della faticosissima lotta per sconfiggere il Minotauro, vuoto ormai di ogni energia, si lascia attraversare quasi , da un incomprensibile senso di pietà verso l'avversario sconfitto.
Ed è proprio in quel momento che il racconto esce dalla storia, splende di luce propria e si avvia a diventare mito eterno ed universale.
Non è certamente un caso se , proprio con quest'opera, arriva per Canova, la fama ed il prestigio internazionale.
LE TRE GRAZIE
Il gruppo delle tre Grazie era uno dei temi più in voga nel periodo neoclassico, ed ovviamente non poteva mancare nel repertorio di Antonio Canova. Le tre figure di Aglaia, Eufrosine e Talia costituivano le protettrici degli artisti, in quanto da loro proveniva tutto ciò che vi è di bello nel mondo umano e naturale. Egli le raffigura nella posizione più canonica, ovvero abbracciate e disposte a circolo. Sono nude, così come le ritroviamo nella tradizione ellenistica, e vengono rappresentate dall'artista nella classica posizione a chiasmo. L'incrociarsi delle membra serve qui a dare un molle abbandono alle figure che, nel sostenersi a vicenda, formano quasi un unico gruppo di affetti e sensualità corrisposte. L'immagine è quindi concepita come esaltazione di perfezione e bellezza, sommi canoni estetici per il gusto neoclassico.
AMORE E PSICHE
Il gruppo, oggi conservato al Louvre, appartiene alle allegorie mitologiche della produzione canoviana. Esso rappresenta Amore e Psiche nell'atto di baciarsi. Eseguita in marmo bianco, la scultura ha superfici levigate ed un modellato molto tornito. La composizione ha una straordinaria articolazione: la donna, Psiche, è semidistesa, rivolge il viso e le braccia verso l'alto e, per far ciò, imprime al corpo una torsione ad avvitamento; l'uomo, Amore, si appoggia su un ginocchio mentre con l'altra gamba si spinge in avanti inarcandosi e contemporaneamente piegando la testa di lato per avvicinarsi alle labbra della donna. Il soggetto è probabilmente tratto dalla leggenda di Apuleio, secondo la quale Psiche era una ragazza talmente bella da suscitare l'invidia di Venere, così che la dea le mandò Amore per farla innamorare di un uomo brutto. Ma Amore, dopo averla vista, se ne innamorò e, dopo una serie di vicissitudini, ottenne che Psiche entrasse nell'Olimpo degli dei, per restare con lui. Il soggetto è qui utilizzato come allegoria del potere dell'amore, visto soprattutto nell'intensità del desiderio che riesce a sprigionare: da qui la scelta di fermare la rappresentazione all'istante prima che il bacio avvenga ed il desiderio si consumi.
Per comprendere lo spirito della cultura neoclassica è utile confrontare il gruppo scultoreo di Amore e Psiche con un'altra famosa allegoria mitologia: l'«Apollo e Dafne» di Gian Lorenzo Bernini. Quest'ultimo gruppo scultoreo fu realizzato tra il 1622 e il 1625, agli inizi della diffusione del barocco, e rappresenta indubbiamente uno dei maggiori esiti di questo stile di cui Bernini fu uno dei maggiori rappresentanti. Dafne, secondo la mitologia, era una bellissima fanciulla di cui si era innamorato Apollo e, per sfuggirgli, scappò ai piedi del Parnaso e qui, nel momento in cui stava per essere raggiunta da Apollo, chiese aiuto alla madre che la trasformò in una pianta di alloro.
Il gruppo del Bernini rappresenta indubbiamente un attimo fuggente: Dafne viene appena sfiorata da Apollo ed ha già i capelli che stanno divenendo dei rami di alloro. È giusto un attimo: l'istante successivo Dafne non ci sarà più. Per enfatizzare ciò Bernini dà al gruppo un'apparenza di equilibrio instabile, evidente soprattutto nella curva ad arco che forma il corpo di Dafne. Il gruppo del Canova ha invece una fermezza ed una staticità molto più evidenti, soprattutto nella visione frontale. Il corpo di Psiche insieme alla gamba e alle ali di Amore formano uno schema ad X simmetrico. Al centro di questa X le braccia di Psiche definiscono un cerchio perfetto che inquadra al centro il punto focale della composizione: quei pochi centimetri che dividono le labbra dei due. In quei pochi centimetri si gioca il momento pregnante, ed eterno, del desiderio senza fine che l'Eros sprigiona.
La differenza tra le due sculture, a mio parere, non è da ricercarsi sulla differenza stilistica o formale, essendo entrambe di notevolissima fattura per tecnica esecutiva, ma sulla diversa cultura che le ispira. Lo sforzo del Bernini è di cogliere la vitalità della vita in continuo movimento, e per far ciò cerca di annullare la materia per lasciare solo la sensazione del divenire. Canova mostra invece tutta a tensione neoclassica di giungere a quella perfezione senza tempo in cui nulla più può divenire, e per far ciò pietrifica la vita dando alla materia una forma definitiva ed eterna.
Nel periodo napoleonico, il Canova venne scelto e designato dall'imperatore Napoleone Bonaparte, quale suo ritrattista ufficiale.
Di lui egli fece molti ritratti, tra i tanti, anche uno in bronzo, che attualmente si trova all'Accademia di Brera.
A proposito di questa opera, è da ricordare l'aneddoto che riferisce di un Napoleone irritato per l'audacia dell'artista, al punto da rifiutare la statua, perché si vergognava di essere stato ritratto nudo, nella personificazione di ' Marte il Pacificatore ' .
Il periodo napoleonico fu per Canova, un periodo molto fecondo artisticamente, anche se non volle mai diventare l'artista della corte dell'imperatore francese .
Uno dei ritratti che il Canova produsse per la famiglia imperiale di Napoleone, ed anche uno dei più famosi e belli, è quello che rappresenta Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, seminuda, semisdraiata su un triclino romano, con una mela in mano, nell'allegoria di 'Venere vincitrice'.
In questa rappresentazione si sente l'influsso di un'iconografia cara a Tiziano, pur se, nell'intenzionalità del Canova , vi era il desiderio di rappresentare la tentazione della bellezza femminile, come origine del peccato.
PAOLINA BORGHESE
Paolina Bonaparte, quando viene ritratta
da Antonio Canova nelle sembianze di Venere Vincitrice aveva venticinque anni.
Era, infatti, nata ad Ajaccio, come ricordano le fonti biografiche, il 20
ottobre 1780, nel giorno di Venere. Il primo matrimonio, con il generale Victor
Emmanuel Le Clerc era stato imposto da Napoleone nel 1796. Quattro anni più
tardi, Le Clerc era stato nominato governatore della lontana isola di Santo
Domingo. Qui giunti nel 1801, Paolina e il consorte erano stati coinvolti nella
rivolta degli schiavi e dei negri che travolse la perla delle Antille. Il
governatore muore nel 1802 colpito da febbre gialla, e venne riportato in
patria da Paolina, con tutti gli onori pubblici riservati agli eroi di Francia.
All'apice del trionfo politico - che coincideva con quello di tutti i Bonaparte
- mancava solo una conferma sociale, realizzata da lì a poco con un nuovo
matrimonio combinato, questa volta unicamente per motivi di convenienza
dinastica e diplomatica con Camillo Borghese.
La versione finale in marmo della statua viene scolpita negli anni 1805-1808:
erano gli anni del massimo splendore mondano di Paolina, Principessa Borghese
e, dal 1804, (da quando Napoleone si era incoronato Imperatore a Notre-Dame),
Altezza Imperiale.
La scultura della splendida principessa, ritratta come Venere seminuda dal
Canova, diventa subito un richiamo irresistibile, per i romani e per gli
stranieri. Questa ressa pubblica, in un palazzo principesco, per contemplare la
bellezza nuda di una principessa, molto discussa per la spregiudicatezza,
dimostrata anche in questa circostanza, veniva ben presto a creare un clima di
scandalo.
Inoltre, la scultura di Paolina, nel mutato clima storico, dopo
Waterloo, risultava del tutto decontestualizzata, come immagine e come simbolo.
La Venere vincitrice, infatti, celebrava il fulgore fisico della
principessa Borghese e, con lei, il trionfo della famiglia Bonaparte. Come
immagine vincitrice risultava lontanissima dalle miserie e dalle sventure che
avevano travolto i napoleonici dal 1812 in poi. La stessa mitica bellezza della
donna ritratta aveva conosciuto le offese degli anni, degli affanni, delle
malattie.
La scelta di collocare il corpo della Venere Vincitrice
sopra un'agrippina rivela la meditata riflessione su archetipi antichi,
specialmente dell'epoca augustea, uno dei periodi dell'arte antica più consoni
al neoclassicismo. Tale soluzione iconografica risultava molto gradita alla
cultura francese ed estremamente attuale, da quando (qualche anno prima - 1800),
Jacques-Louis David aveva scelto di ritrarre Madame Recamier semisdraiata su
una méridienne, con il busto appoggiato a due cuscini. Il motivo di un
corpo femminile nudo (o parzialmente celato da un panneggio), disteso contro
cuscini e appoggiato su un fianco, aveva una lunga tradizione figurativa,
elaborata, soprattutto nel corso del '500, dalla pittura veneziana. Non a caso,
il veneto Canova aveva dipinto, in età giovanile, diverse opere, memori del
'pennello giorgionesco', fra cui una Venere sicuramente fondamentale
per la Paolina, epigona di tutta una serie di Veneri dormienti
che, da Giorgione e Tiziano in poi, hanno segnato la storia della pittura
cinquecentesca, a partire dalla famosissima Venere di Dresda.
L'eleganza morbida di una figura femminile, allungata sopra un giaciglio,
permetteva di raggiungere effetti di straordinaria 'grazia': in tal
senso era stata utilizzata, più volte, da Correggio, come nella Danae, senza
dubbio uno dei modelli della Paolina.
La sua casa natale di Possagno è oggi diventata sede della ' Gipsoteca Canoviana ' . In essa è possibile rivisitare gli ambienti che ospitarono il grande scultore. All'interno dei suoi locali, trovano posto circa 300 opere del grande artista, in buona parte , provenienti dallo studio romano del Canova. Nelle sue sale è conservata ed esposta, quasi tutta la sua produzione pittorica.
In quella casa, tra il giardino, il porticato e la torretta , lui si dedicava alla pittura, per rilassarsi e , proprio in quei posti , si celebravano le feste che i suoi concittadini erano solito riservargli, quando ritornava dai suoi viaggi da Vienna , Parigi e Roma . Lì si ritemprava nell'aria fresca e dolce della sua terra natia.
CANOVA E FOSCOLO: I DUE VOLTI DI UNO STESSO MOVIMENTO
Il Neoclassicismo non presenta un unico volto. Alla tensione morale dell'arte del periodo rivoluzionario, risponde una tendenza più raffinata ed equilibrata che attribuisce al culto della bellezza un significato a un valore assoluto. La concezione neoclassica di un'arte, in grado di riprodurre "l'universale segreta armonia", dalla funzione quindi consolatrice, rasserenante e civilizzatrice ispira le "Grazie" di Foscolo, il quale aveva già precedentemente condiviso un'interpretazione civilmente più impegnata del Neoclassicismo. Se l'opera foscoliana documenta questi due aspetti del movimento neoclassico, Canova, in ambito strettamente artistico, difese decisamente il primato dell'ideale estetico contro ogni ingerenza politica in un periodo storico così tumultuoso.
Egli, alla tematica storica, contrariamente a David, sostituisce quella mitologica.
Lo stesso Foscolo dedica nel Proemio le Grazie a Canova, con il quale instaura una sorta di "gemellaggio artistico".
Le Grazie, simbolo di bellezza, armonia, equilibrio costituiscono un ideale di perfezione che attraverso l'arte,come dimostrano i due artisti, può rivivere nel presente.
Un altro tema neoclassico, che il Foscolo condivide con l'artista veneziano è quello della morte, intesa non più come meditazione sull'immortalità, ma come celebrazione sia delle virtù eroiche che degli affetti familiari e privati. Anche i monumenti funerari rappresentano un tema molto sentito dai due artisti. Infatti, negli stessi anni, l'importanza dei «sepolcri» veniva affermata anche dal poeta Ugo Foscolo. Per il Foscolo il sepolcro doveva conservarci la memoria dei grandi personaggi della storia esaltandone il valore quali esempi di virtù. La morte, che nella precedente stagione barocca veniva visto come qualcosa di orrido e di macabro, dall'arte neoclassica era vista come il «momento pregnante» per eccellenza. Il momento in cui si scaricano tutte le contingenze terrene per entrare nel silenzio assoluto ed eterno.
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