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ANDREA PALLADIO (1508-1580)
LA CREAZIONE
DI UN'ARCHITETTURA SISTEMATICA E TRASMISSIBILE
Palladio è probabilmente il più influente ed il più conosciuto tra gli
architetti che siano vissuti prima del secolo che sta per finire. La sua fama e
la sua reputazione sopravvissero al Barocco, al gusto neo-gotico, alle
invettive che Ruskin gli rivolse, e al movimento moderno, che nella sua fase
ultima si riconciliò pienamente, grazie agli scritti di Rudolf Wittkower e
Colin Rowe, con l'architetto delle ville razionali ed armoniosamente
proporzionate. La citazione eclettica e spesso pedestre degli elementi del
linguaggio di Palladio, come la loggia di villa Poiana, ha mantenuto il suo
nome familiare e viva la fama del suo libro. Ma allo stesso tempo ha aiutato
gli osservatori più attenti a capire la differenza del sistema architettonico
di Palladio, in cui struttura ed ornamento, forma e funzione sono perfettamente
integrati, dal gesto del pasticcere che aggiunge un'altra decorazione alla sua
torta.
La reputazione di Palladio, bersaglio della critica od oggetto di elogio, ha
subito varie trasformazioni e distorsioni: è stato visto come fonte di regole
infallibili e buon gusto, oppure considerato nemico dell'architettura
moralmente virtuosa (moderna o neo-gotica che fosse). Nella presente mostra
viene illustrato e analizzato un ampio periodo dell'attenzione dedicata
all'architetto ed al suo libro. La sezione strettamente dedicata a Palladio
cerca invece di avvicinarci alla sua figura in modo da indicare anche le
divergenze da coloro che, in date più tarde e in altri luoghi, si sono serviti
delle sue idee e composizioni come punto di partenza per disegni che spesso
dovevano incontrare esigenze diverse o impiegare materiali differenti da quelli
con cui Palladio aveva familiarità.
Chi era Palladio? Quali erano le sue idee sull'architettura, e come vi giunse?
Quale il carattere del suo contributo allo sviluppo della cultura e delle forme
architettoniche? Egli si differenzia dagli altri grandi architetti italiani ed
europei del suo tempo? li supera? Sono queste le domande che spesso ritornano
nella sterminata letteratura sull'architetto vicentino; ed io qui voglio
soltanto abbozzare delle risposte possibili, come prefazione ad una mostra che
concerne principalmente ciò che fecero, con i disegni e le idee di Palladio,
gli architetti ed i mecenati del Nord Europa.
PALLADIO E
I SUOI CONTEMPORANEI
Sarebbe difficile sostenere che Palladio superi per originalità e abilità gli
altri architetti che operarono tra il 1420 e il 1580. Questo è infatti un
periodo in cui l'architettura viene riconosciuta come forma di espressione
culturale eminente, strettamente legata alla rappresentazione del potere, della
ricchezza, del prestigio, e viene vista come uno strumento per plasmare,
controllare e migliorare il carattere e la qualità della vita sia
pubblica che privata.
Brunelleschi (1377-1446) dimostrò una formidabile inventiva tecnica e
strutturale nel disegno della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze. Nelle
altre sue opere egli riscoprì in parte ed in parte inventò un linguaggio di
forme e motivi architettonici che ha segnato la strada percorsa dai suoi
successori. Leon Battista Alberti (1404-1472) fece ancora di più: egli intuì
l'importanza e la potenzialità dell'architettura come spazio della vita sociale
e religiosa; e comprese come essa costituisse per gli antichi un corpo
articolato di saperi, che permetteva di trovare una soluzione razionale ad ogni
questione connessa alla costruzione e al controllo dell'ambiente abitato. Nel
suo libro De Re Aedificatoria (scritto prima del 1452, ma pubblicato per la
prima volta nel 1485) egli tentò, basandosi su testi scritti e sui monumenti
sopravissuti, di riunire ogni aspetto della scienza e dell'arte architettonica
dei romani per mostrare come esse potessero essere applicate alle necessità del
presente. Alberti non fu solo uno studioso e un conoscitore dell'antichità: il
suo spiccato interesse per i materiali e le tecniche derivava dal contatto con
gli artigiani, dall'osservazione diretta, dalla sperimentazione e dalla sua
pratica architettonica. Alberti non era unicamente un ricercatore sistematico
la cui vigorosa intelligenza riusciva a dare una struttura teorica a ciò che
osservava e studiava, ma anche un brillante scrittore, un artista con
esperienza nel campo della pittura e della scultura, in contatto con i maggiori
artisti fiorentini del suo tempo, Brunelleschi, Ghiberti, Donatello e Masaccio.
La sua ampia cultura, la sua chiarezza di pensiero e il suo talento artistico
si riflettono nei suoi progetti architettonici, che esemplificano e in un certo
senso illustrano le idee presenti nel suo libro - un libro che forse egli
lasciò senza illustazioni deliberatamente, per non distogliere l'attenzione dal
principale messaggio che voleva trasmettere. Il trattato dell'Alberti, insieme
a Vitruvio, fu per Palladio il testo chiave per le questioni architettoniche.
Negli anni che trascorse a Roma(1499-1514), Bramante attinse alle idee
albertiane e seguì l'indicazione dell'Alberti di studiare gli edifici degli
antichi proprio come i letterati ne studiavano gli scritti. Bramante fu il
primo ad usare il sistema degli ordini classici quale linguaggio espressivo che
può essere impiegato e variato a seconda della natura e della dimensione
dell'edificio: l'ordine dorico viene usato sia per il tempietto di San Pietro
in Montorio che per il cortile inferiore del Belvedere al Vaticano, ma il
piccolo tempietto avrà una delicata cornice lineare, mentre l'enorme cortile
del Belvedere una cornice fortemente aggettante sostenuta da mutuli massicci.
La risoluta volontà e le grandi risorse finanziarie che papa Giulio II dedicava
all'edificazione permisero a Bramante di sperimentare i disegni a vasta scala.
Al Belvedere, al palazzo dei Tribunali e a San Pietro Bramante si mostrò
pienamente capace di portare avanti progetti unitari, ispirato dalle terme, dal
Pantheon e da altri grandi monumenti romani, nei quali la chiarezza strutturale
si combinava con l'articolazione murariara e al disegno dei dettagli. Una
concezione tanto grandiosa, basata sullo studio attento dell'antico, si può
trovare nel disegno di Raffaello per Villa Madama, un'opera che, come la chiesa
di San Biagio e il Tempietto di Bramante, fu studiata e disegnata da Palladio.
Nel panorama dell'architettura del sedicesimo secolo, Palladio è una figura d'eccezione. Egli non viene dall'Italia centrale, dove erano nati o avevano svolto il loro apprendistato i più grandi architetti che lo influenzarono, bensì dal Veneto: era nato a Padova, ma dall'età di sedici anni aveva vissuto e lavorato a Vicenza. Non comune era anche il suo tirocinio, che non fu da pittore (come Bramante, Raffaello, Peruzzi e Giulio Romano), né da scultore (come Sansovino e Michelangelo), ma da tagliapietra. Infatti, se non fosse stato per i suoi contatti, a partire dalla seconda metà degli anni trenta, con il nobile e scrittore vicentino GianGiorgio Trissino (1478-1550), Palladio sarebbe probabilmente rimasto un abile ed intelligente artigiano, capace forse di disegnare portali e monumenti funebri, ma senza la cultura e l'abilità intellettuale che in questo momento erano necessarie ad un vero architetto. Certamente egli non sarebbe stato trasformato dal maestro Andrea di Pietro nel famoso architetto Andrea Palladio, secondo il sofisticato nome romano che Trissino inventò per lui.
La figura di Trissino fu
determinante per Palladio in molti sensi: era lui stesso un dilettante
d'architettura molto dotato che fece dei disegni per ricostruire il proprio
palazzo cittadino; a metà degli anni trenta rimodellò anche, in linea con la
contemporanea architettura romana, la sua residenza suburbana a Cricoli, appena
fuori Vicenza. Trissino, che era stato un membro del ristretto circolo culturale
di papa Leone X Medici, e che aveva conosciuto Raffaello, doveva avere ben
presente la villa di Poggio a Caiano, ideata dal committente Lorenzo dei Medici
e dal suo architetto Giuliano da Sangallo: a Poggio si trova un'anticipazione
dell'unione gerarchica di stanze di dimensioni differenti intorno ad un salone
centrale voltato tipica di Palladio, ma anche, per la prima volta, il frontone
di un tempio applicato alla facciata di un edificio residenziale del
Rinascimento. A Cricoli Trissino aveva già impiegato un sistema di stanze di
dimensioni diverse, e uno schema di proporzioni interrelate, stabilendo quindi
quello che doveva diventare un elemento chiave nel sistema progettuale
palladiano.
Trissino ebbe grande importanza per Palladio ancora in altri modi. A livello
pratico, egli ebbe quasi certamente un ruolo determinante nel raccomandarlo
agli altri patrizi vicentini durante i primi anni della sua attività. E fu
ancora con Trissino che Palladio fece quei viaggi a Roma che, negli anni
quaranta del Cinquecento, gli rivelarono quel carattere dell'architettura
antica e moderna nella città che egli aveva conosciuto fino ad allora solo
attraverso il Quarto Libro (1537) e il Terzo Libro (1540) di Sebastiano Serlio.
Trent'anni dopo Palladio ricorderà come avesse trovato le costruzioni antiche
'di molto maggiore osservatione degne, ch'io non mi aveva prima
pensato' (Quattro Libri, 1, p. 5). Queste opere, viste con occhi nuovi in
età piuttosto matura, ebbero su di lui un impatto estremamente forte e gli
fornirono un'ampia gamma di modelli che egli immediatamente adattò ai suoi
lavori. Molto probabilmente Trissino guidò Palladio anche nelle sue prime
letture di Vitruvio. Non si sa se Palladio fosse in grado di leggere il latino;
ma anche se non lo fosse stato (e comunque non bisogna escludere che egli
possedesse una sufficiente conoscenza della lingua) intorno al 1540 era già
possibile accedere a molte opere fondamentali latine e greche in versione
italiana (il trattato dell'Alberti, ad esempio, appare in una traduzione
italiana già nel 1546). Il che doveva essere di grande aiuto agli sforzi
compiuti da Palladio per acquisire una cultura di ampio raggio ed assimilare
testi che presentavano difficoltà anche agli studiosi.
TRISSINO E
GLI ASPETTI LINGUISTICI DELL'ARCHITETTURA DI PALLADIO
Se torniamo alla questione del modo in cui Palladio somiglia e si distingue dai
suoi contemporanei e dagli autori dei 'classici moderni' che egli
studiò a Roma e altrove, allora emerge quello che è forse il suo più grande
debito nei confronti del Trissino.
Bramante, Raffaello, Peruzzi, Antonio da Sangallo il Giovane, Giulio Romano,
Falconetto, Sanmicheli e Sansovino ebbero tutti una considerevole influenza su
Palladio quando era trentenne. Tutti costoro impiegavano nelle loro opere gli ordini
classici in un modo che non era del tutto fedele, ma che anzi rappresentava un
compromesso tra la lettera di Vitruvio e la pratica osservabile negli antichi
architetti romani. Tutti costoro incorporavano nelle loro opere schemi sia
planimetrici che di alzato derivati dall'antico. E in questo erano del tutto
simili a Palladio. La grande differenza tuttavia, consiste nel fatto che a
partire dagli anni quaranta l'architetto vicentino farà uso di una serie
stabilita di tipi generali, di forme differenti di stanze, di forme degli
ordini. Egli vedeva la distanza tra le colonne come componente essenziale di
ogni ordine: due diametri di colonna e mezzo, ad esempio, come intercolumnio
per l'ordine ionico e due diametri per il corinzio. L'ordine diviene quindi, per
la prima volta nell'architettura del Rinascimento, un potenziale generatore di
schemi sia bidimensionali che tridimensionali. L'opera di Palladio mostra
un'aderenza ad un sistema di progettazione che fa uso d'una grammatica di forme
e proporzioni e di un 'misurato vocabolario' di motivi. I suoi
immediati predecessori e i suoi contemporanei più anziani sono meno
sistematici. Vi sono ragioni per questo. Costoro in un certo qual senso
inventavano e variavano man mano le regole, progredendo come architetti di
opera in opera. Sovente poi essi si trovavano a doversi confrontare con
commissioni tanto nuove ed inusuali (come Bramante con San Pietro, col Cortile
del Belvedere, col Tempietto; Raffaello con Villa Madama; Giulio con Palazzo
del Te; Michelangelo con la Sacrestia Nuova e la Biblioteca Laurenziana;
Sansovino con la Libreria) che non vi era alcuna regola, norma o tipo di
edificio contemporaneo potesse essere utile per raggiungere un disegno
soddisfacente.
Lo stesso Palladio dovette confrontarsi con problemi unici,
'irripetibili': la Loggia della Basilica di Vicenza, palazzo
Chiericati, il Teatro Olimpico, le sue due grandi chiese veneziane, il ponte di
Rialto. Ma il maggior numero - ed era un gran numero - delle sue commissioni
erano per residenze di città e ancor più di campagna, che avevano necessità e
requisiti piuttosto simili. Nessun architetto fino allora, neanche Antonio da
Sangallo il Giovane, aveva avuto tante commissioni di ville e palazzi. Ciò
rendeva auspicabile un sistema di forme e dimensioni ottimali prestabilite, se
non altro come modo di ridurre la quantità di lavoro necessaria per progettare
ogni singolo edificio. All'inizio della sua carriera Palladio si rese conto che
non era necessario decidere per ogni fabbrica quanto dovessero essere larghe ed
alte le porte interne, quale forma dovessero avere le scale, o quali profili e
proporzioni dare al capitello dorico. Era sufficiente stabilire una serie di
forme standard, certo tali da essere modificate quando fosse stato necessario,
ma in genere applicabili alla maggior parte dei progetti. L'architettura di
Palladio quindi, più di quella di ogni altro architetto del Rinascimento, è
fondata su una serie di elementi concepiti con cura e concettualmente
precostituiti: si può osservare come questi elementi venissero combinati
flessibilmente e creativamente in un disegno (RIBA XI/22 verso) in cui egli
genera rapidamente venti schizzi differenti per la pianta di un palazzo.
Il senso comune aveva un ruolo nell'elaborazione di questo sistema, così come le
consuetudini di lavoro degli artigiani e dei tagliapietra a Venezia e nel
Veneto. I mastri veneziani erano abituati da lungo tempo ad ordinare alle cave
blocchi di dimensioni standardizzate e ad usare forme e misure unificate per le
porte, per le finestre e le colonne. Ma la corrispondenza dei propositi di
Palladio con la creazione di un'architettura di forme, proporzioni prefissate,
principi messi in opera con regolarità, è un atteggiamento cosciente, che
deriva probabilmente dalle molte ore e i molti giorni che egli spese discutendo
con Trissino. Trissino era uno dei più autorevoli teorici di ortografia,
grammatica e teoria letteraria del suo tempo. Come altri letterati suoi
contemporanei egli era interessato, in un periodo in cui, a parte la forma toscana
impiegata da Dante, Petrarca e Boccaccio, non vi era un versione letteraria
canonica della lingua, al problema della maniera più appropriata di scrivere in
italiano. Trissino tuttavia andava al di là di questa preoccupazione per la
forma di italiano più 'corretta', fino a comprendere che l'effetto
letterario dipende dalla grammatica e dalla scelta del vocabolario. E'
possibile che lo stesso Trissino vedesse il parallelo tra la struttura
linguistica e l'approccio strutturato al disegno architettonico; d'altra parte,
per un processo di osmosi intellettuale, Palladio, aiutato dalle sue letture di
Vitruvio e Alberti, potrebbe aver trasferito all'architettura il punto di vista
del Trissino sulle relazioni tra lo stile letterario e le regole linguistiche.
In ogni caso la sua architettura assumeva un carattere linguistico e
grammaticale che, consciamente o inconsciamente, era riconosciuto e approvato
dagli intellettuali umanisti, come il suo amico e committente Daniele Barbaro.
Per Barbaro, come per i suoi amici colti, Palladio offriva qualcosa che neanche
il grande e tanto inventivo Sansovino poteva offrire: un'architettura davvero
razionale, basata non solo (come raccomandava l'Alberti) sull'applicazione
della ragione e dei principi derivati dalla natura, ma strutturata sulla
falsariga della linguistica umanista. La preferenza di Barbaro per l'approccio
sistematico di Palladio all'architettura lo spinse ad ottenere per l'architetto
vicentino, a partire dalla fine degli anni '50, una serie di commissioni ecclesiastiche
proprio a Venezia (la facciata di S. Francesco della Vigna, il refettorio e
chiesa di S. Giorgio Maggiore, la ricostruzione del Convento della Carità), che
altrimenti sarebbero state affidate all'anziano, ma ancora molto rispettato,
Sansovino.
L'AFFERMAZIONE
DI PALLADIO COME ARCHITETTO
Non è esattamente chiaro come Palladio, dall'esecuzione manuale di difficili
dettagli come i capitelli, e dalla progettazione di opere su piccola scala, sia
divenuto, dapprima occasionalmente e poi integralmente, un architetto che
lavorava non più con gli strumenti dello scalpellino, ma con la mente, con i
libri, con squadra e penna, e con i suoi disegni dell'antico. E' documentato
che nel 1540 egli fece un disegno per la villa Godi a Lonedo, ma per quella
data il suo effettivo intervento era probabilmente limitato, dal momento che il
tracciato delle fondazioni della grande villa era già stato stabilito e non
corrisponde alla divisione preferita da Palladio per la pianta di una villa in
suites di stanze (generalmente tre) di forme e dimensioni differenti. Più
importante è il suo lavoro per palazzo Civena (per quattro fratelli, ricchi ma
socialmente irrilevanti) del quale ci restano diversi disegni. Il palazzo
originariamente apparteneva ad Aurelio dell'Acqua, amico del Trissino, ed è
possibile ipotizzare che Trissino e Palladio avessero già fatto dei disegni per
la ricostruzione prima che, nel 1540, fosse acquistato dalla famiglia Civena.
Nei progetti non realizzati per villa Pisani al Bagnolo, ed altri disegni di
Palladio per diverse ville databili intorno al 1542, si può osservare da subito
l'impatto che la prima visita a Roma ebbe sull'architetto. Appaiono, con
entusiastica abbondanza, motivi derivanti dalle Terme, dal Cortile del
Belvedere e da Villa Madama. Nel disegno finale questi elementi vengono
semplificati e ridotti per lasciar posto a spazi abitabili e per non gravare
eccessivamente sulle finanze dei committenti. In ogni caso, l'architettura che
nasce dal lavoro di Palladio negli anni intorno al 1542, con alti saloni
voltati a botte o a vela, con ampie logge e transenne di colonne, è quella che
lo accompagnerà per tutta la carriera, in attesa della migliore occasione
d'essere usata, come nelle chiese di San Giorgio Maggiore e del Redentore a
Venezia. Anche la costruzione di villa Pisani è sorprendente per la nobiltà
della sua loggia absidata e del suo grande salone voltato: una tale altezza e
magnificenza a questa data erano comuni solo alle chiese più importanti, e
l'architettura della villa deve aver sorpreso, se non stupito molti di quelli
che la vedevano per la prima volta.
L'ARCHITETTURA
DELLA VILLA
Nel 1550 Palladio aveva già prodotto un intero gruppo di ville la cui scala e
decorazione può essere vista come perfettamente adeguata alla ricchezza e alla
posizione sociale dei suoi proprietari; i potentissimi e ricchissimi Pisani,
banchieri e patrizi veneziani avevano enormi volte e una facciata a loggia
realizzata con pilastri di pietra e paraste doriche bugnate; il ricco (per
breve tempo) e meno nobile esattore delle tasse sul sale Taddeo Gazzotto aveva
invece, nella sua villa a Bertesina, paraste di mattoni e soltanto le basi e i
capitelli scolpiti in pietra; Biagio Saraceno a Finale aveva una loggia con tre
campate ad arco (tripartita), ma senza ordine architettonico. A villa Saraceno
come a villa Poiana, Palladio fu capace di conferire dignità e presenza ad una
facciata usando semplicemente un'orchestrazione di finestre, frontoni e logge
arcuate; i suoi committenti meno abbienti devono aver apprezzato la possibilità
di godere di edifici di grande impatto senza dover spendere molto per la pietra
e la sua lavorazione.
La reputazione di Palladio agli inizi, ed anche dopo la morte, si è fondata
sulla sua abilità di disegnatore di ville. Durante la guerra della lega di
Cambrai (1509-1517) erano stati inferti ingenti danni a case, barchesse e
infrastrutture rurali. Il raggiungimento dei precedenti livelli di prosperità
nella campagna fu probabilmente lento, e avvenne soltanto negli anni quaranta,
con la crescita del mercato urbano delle derrate alimentari e la decisione a
livello governativo di liberare Venezia e il Veneto dalla dipendenza dal grano
importato, e specialmente da quello che proveniva dal sempre minaccioso Impero
ottomano. Questo enorme investimento in agricoltura e nelle strutture
necessarie alla produzione agricola accelera il passo. Per decenni i
proprietari terrieri avevano acquistato costantemente, sotto lo stabile governo
veneziano, piccole tenute, ed avevano consolidato i loro domìni non solo attraverso
l'acquisto, ma anche con lo scambio di grandi poderi con gli altri possidenti.
Gli investimenti nell'irrigazione e le bonifiche mediante drenaggio accrebbero
ulteriormente il reddito dei ricchi latifondisti.
Le ville del Palladio - cioè le case dei proprietari fondiari - rispondevano
alla necessità di un nuovo tipo di residenza rurale. I suoi disegni riconoscono
implicitamente che non era necessario avere un grande palazzo in campagna
modellato direttamente su quelli di città, quali sono di fatto molte ville
della fine del quindicesimo secolo (come l'enorme villa da Porto a Thiene).
Qualcosa di più piccolo, spesso con un unico piano principale abitabile, era
adatto come centro per controllare l'attività produttiva, da cui derivava
probabilmente la maggior parte del reddito del proprietario, e per
impressionare gli affittuari e i vicini oltre che per intrattenere gli ospiti
importanti. Queste residenze, benché fossero talvolta più piccole delle ville
precedenti, erano ugualmente efficaci al fine di stabilire una presenza sociale
e politica nelle campagne ed erano adatte per il riposo, la caccia, e per
sfuggire dalla città, sempre potenzialmente malsana. Le facciate, dominate da
frontoni di solito decorati con le insegne del proprietario, annunciavano una
potente presenza in un vasto territorio pianeggiante, e non avevano bisogno,
per essere visibili, dell'altezza dei palazzi cittadini. Le loro logge
offrivano un luogo piacevole ed ombreggiato per pasteggiare, per conversare o
per le esecuzioni musicali, attività queste che si possono vedere celebrate
nella decorazione della villa, ad esempio a villa Caldogno. Negli interni
Palladio distribuiva le funzioni sia verticalmente che orizzontalmente. Cucine,
dispense, lavanderie e cantine si trovavano al piano terreno: l'ampio spazio
sotto il tetto veniva impiegato per conservare il prodotto più prezioso della
tenuta: il grano, che incidentalmente serviva anche per isolare gli ambienti
abitabili sottostanti. Al piano principale, abitato dalla famiglia e dai suoi ospiti,
le stanze più pubbliche (la loggia e il salone) si trovavano sull'asse centrale
mentre a destra e a sinistra vi erano delle infilate simmetriche di stanze,
dalle grandi camere rettangolari, attraverso le stanze quadrate di medie
dimensioni, fino a quelle rettangolari piccole, usate talvolta dai proprietari
come studi o uffici per amministrare il fondo.
L'abitazione dei possidenti spesso non era l'unica costruzione di cui Palladio
era responsabile. Le ville, nonostante la loro apparenza non fortificata e le
loro logge aperte, discendevano ancora direttamente dai castelli ed erano
circondate da un cortile recintato da un muro che le dotava della necessaria
protezione dai banditi e dai malintenzionati. Il cortile ('cortivo')
conteneva barchesse, torri colombaie, forni per il pane, pollai, stalle,
abitazioni per i fattori e per i servitori domestici, stanze per fare il
formaggio e cantine per spremere l'uva. Già dal XV secolo si usava creare una
corte davanti alla casa, con un pozzo, separata rispetto al cortile di servizio
e con le sue barchesse, gli animali e gli spazi per battere il grano. Giardini,
orti di verdure e di spezie, vasche per i pesci e, quasi invariabilmente, un
grande frutteto (il 'brolo') erano tutti raggruppati o localizzati all'interno
del muro di cinta.
Nei suoi disegni Palladio cercò di coordinare tutti questi differenti elementi
che nei complessi precedenti non erano collocati in considerazione delle
visuali simmetriche e delle gerarchie architettoniche, ma soltanto in base alla
forma dell'area disponibile, generalmente delimitata da strade e corsi d'acqua.
Anche l'orientamento era importante: nei Quattro Libri, Palladio afferma che le
barchesse dovrebbero essere esposte a Sud in modo da tenere asciutta la paglia,
per evitare che fermenti e bruci. Palladio trovò ispirazione nei grandi
complessi antichi che somigliano alle dimore di campagna circondate dalle loro
dipendenze, o che forse credeva davvero fossero dei complessi residenziali -
esemplare è il tempio, che egli aveva rilevato, di Ercole Vincitore a Tivoli.
E' chiaro per esempio, che le barchesse ricurve che costeggiano l'imponente
facciata della villa Badoer riprendevano quel che era ancora visibile del Foro
di Augusto. Nel suo libro Palladio mostra generalmente gli impianti di villa
simmetrici, ma in realtà era consapevole del fatto che qualora non fosse stato
possibile esporre entrambe le ali delle barchesse a Sud, come nel caso di villa
Barbaro a Maser, il complesso non sarebbe mai stato costruito simmetricamente.
Un esempio è la villa Poiana, dove la grande barchessa con raffinati capitelli
dorici è certamente disegnata da Palladio. La barchessa esistente è esposta a
Sud, e non viene bilanciata da un elemento corrispondente dall'altro lato della
facciata principale.
Bisogna inoltre aggiungere che le barchesse, i muri di cinta e gli elementi
simili sono oggi a rischio ancor più delle parti residenziali del complesso. Si
è perso il senso dell'integrità dell'impianto originale, e le barchesse, anche
quelle disegnate da Palladio, sono poco conosciute, in molti casi non sono
ufficialmente notificate e di conseguenza si rendono necessari notevoli sforzi
per salvaguardarle dalla distruzione o da danneggiamenti irreversibili. Un
esempio di opera palladiana in pericolo è proprio la barchessa dorica di villa
Poiana.
PALAZZI
Tra il 1542 e il 1550 Palladio era impegnato nella progettazione di tre
importanti palazzi di città, tutti a Vicenza: il palazzo Thiene, il palazzo
Porto, e il palazzo Chiericati che vengono tutti analizzati in questo catalogo.
Se la base economica delle principali famiglie delle città venete derivava
dalla campagna, la vita politica convergeva invece nei centri urbani, dove la
maggior parte di coloro che costruivano e possedevano palazzi controllavano gli
affari cittadini come consiglieri. Nei centri come Verona e Vicenza la nobiltà
era generalmente divisa in due opposte 'fazioni', una a favore dei
Francesi e dei Veneziani e l'altra degli Spagnoli, secondo una partizione che
rifletteva quella della scena politica internazionale. In un certo senso queste
fazioni costituiscono un precedente dei partiti politici benché fossero
innanzitutto espressioni di una trama di relazioni tra clienti e protettori,
spesso violentemente animate da vendette e odi familiari. Le famiglie a capo
delle fazioni, come i Thiene e i Porto da un lato, e i filo-ispanici Valmarana
dall'altro, avevano una particolare necessità di esprimere la loro supremazia
con un palazzo grandioso e competitivo. E la reputazione di Palladio era tale
che gli venivano richiesti progetti dai personaggi dominanti di gruppi opposti.
Il primo tra i più importanti palazzi di cui Palladio si occupò, il palazzo
Thiene, venne iniziato nel 1542 per Marcantonio Thiene e suo fratello, che in
quel momento erano i personaggi più ricchi della città. E' possibile
ipotizzare, sulla base dei dati stilistici, della testimonianza di Inigo Jones
e degli stretti rapporti che esistevano tra i Thiene e i Gonzaga, marchesi di
Mantova, che il disegno iniziale per il palazzo sia stato fatto da Giulio
Romano il quale visitò Vicenza nel 1542. Palladio, che non aveva ancora
raggiunto chiara fama e affermazione come architetto, sarebbe stato impiegato
in un primo momento solo per realizzare i progetti dello stimatissimo Giulio
Romano. Ma dopo la morte di Giulio nel 1546, egli ebbe la possibilità di
applicare le proprie idee ed i propri motivi all'edificio, che poi pubblicherà
nei Quattro Libri come un lavoro interamente suo. Questa collaborazione con
Giulio fu probabilmente di grande importanza per Palladio: gli diede la
possibilità di entrare in contatto con un architetto esperto ed incredibilmente
sofisticato, le cui esperienze risalivano agli ultimi anni della vita di
Raffaello. E forse anche a Palladio, come a Vasari durante la sua visita a Mantova,
furono mostrati i disegni di Giulio, tra i quali anche quelli per l'appena
terminato 'Italienische Bau' della Stadtresidenz a Landshut. Questo
raffinato palazzo urbano che si collegava tramite un cortile al 'Deutsche
Bau', iniziato poco prima dal Duca Ludwig X (che aveva visitato Mantova,
ed aveva molto ammirato il palazzo del Te), sembra aver ispirato il modello
palladiano dei due palazzi gemelli che si affrontano affacciandosi entrambi su
un cortile. E' questo infatti lo schema inusitato che Palladio proporrà prima
per palazzo Porto e poi per palazzo Valmarana. Un progetto non realizzato per
la facciata di palazzo Porto, disegnato tra il 1542 e il 1544, con un ordine di
paraste che abbraccia sia le finestre del piano nobile che il mezzanino,
ricorda anch'esso l'alzato del cortile del palazzo a Landshut.
L'AFFERMAZIONE
DELLO STILE PERSONALE DI PALLADIO
A palazzo Porto, a villa Poiana, alla Basilica e a palazzo Chiericati, Palladio
completa l'assimilazione delle lezioni dei suoi più influenti contemporanei; e
passa dall'ecclettismo degli anni '40 alla formulazione di un proprio
inconfondibile linguaggio, mostrando allo stesso tempo un'intelligenza
architettonica di altissimo livello. Nel caso della Basilica, per esempio, egli
crea una quinta monumentale di particolare magnificenza intorno ad un nucleo
preesistente (con le botteghe al piano terra, e la grande sala dei consigli
cittadini sovrastante). La struttura, realizzata in solida pietra, è,
nonostante il suo aspetto romano, quasi gotica nel combinare leggerezza e
solidità. Prendendo spunto dagli anfiteatri di Arles e Nimes, le semicolonne
addossate ai pilastri con la loro trabeazione aggettante costituiscono un
efficace modo di contraffortare e rinforzare il principale elemento portante
che deve resistere alle spinte delle volte retrostanti - le logge precedenti,
che Palladio sostituì con questa costruzione, avevano infatti subito un
cedimento strutturale. L'adozione del motivo della serliana, che era stata
usata da Sansovino nella Libreria e da Giulio Romano (ad esempio nell'interno
dell'abbazia di San Benedetto Po), combinato da Palladio con i robusti ma
sottili pilastri si rivelò una scelta brillante. Questa soluzione fa sì che il
massimo di luce penetri all'interno dell'edificio (la luminosità viene inoltre
aumentata dagli oculi che si aprono nei pennacchi) e che le inevitabili
irregolarità dell'alzato siano assimilate in maniera discreta, quasi
impercettibile, negli spazi tra l'ordine minore e i pilastri, lasciando gli
elementi principali, pilastri ed archi, uguali e regolari.
La raffinatezza del disegno di Palladio, in cui gli elementi funzionali,
strutturali ed estetici giocano tutti un loro ruolo, si deve osservare anche
nei dettagli, come la scelta della base cilindrica (ossia la base tuscanica
secondo Vitruvio) invece della normale base attica per l'ordine dorico minore.
Quest'ultima è una mossa funzionale, poiché le basi cilindriche senza alcun
plinto non sporgono affatto e dunque non intralciano coloro che entrano ed
escono dall'edificio; al contempo, la semplificazione della forma della base
(ripetuta anche al livello superiore) è una maniera di evitare la fastidiosa
proliferazione dei dettagli più piccoli, enfatizzando l'impatto delle grandi
basi attiche. Bisognerebbe aggiungere che Palladio non progettò soltanto un
esterno. In origine le volte a crociera che coprivano i larghi passaggi
trasversali erano trattate con un intonaco bianco brillante una cui componente
era la pietra polverizzata. L'interno si leggeva quindi in continuità con
l'esterno anche nel colore e nella grana della superficie. Un grande spazio
romano, paragonabile alla sala del mercato dei Fori di Traiano con una grande
serliana a chiudere la prospettiva. Il pessimo stato in cui oggi appaiono le
volte, senza stucco, con i mattoni scoperti, ci priva dell'impressionante
esperienza spaziale creata da Palladio.
Non è compito di questo breve saggio introduttivo di ripercorrere tutta la
lunga e prolifica carriera di Palladio, ma soltanto di suggerire alcuni aspetti
della sua formazione e del suo approccio al disegno di architettura. Un
resoconto cronologico delle sue opere dopo il 1550 deve tenere in
considerazione l'ulteriore arricchimento della sua cultura architettonica
durante questo decennio a metà del Cinquecento, risultato della sua stretta
collaborazione con un'altra grande figura intellettuale, il patrizio veneziano
Daniele Barbaro. Fu Palladio a fornire quasi tutte le illustrazioni per la
monumentale traduzione di Vitruvio (con commentario integrale) redatta dal
Barbaro. Questo sforzo definì ulteriormente il linguaggio architettonico di
Palladio; servì inoltre a fissare alcuni elementi che egli avrebbe utilizzato
costantemente nei suoi disegni, come la facciata a tempio con frontone per le
ville e l'ordine gigante con colonne libere che si estende su due piani e che
deriva dalla sua ricostruzione della basilica di Fano descritta da Vitruvio.
Palladio realizzò in pietra quest'ultima efficace soluzione a villa Sarego. Il
carattere innovativo dell'approccio al disegno delle chiese e delle loro
facciate da parte di Palladio viene affrontato altrove in questo catalogo.
Dovrò sorvolare su altri lavori, come ad esempio il ponte di legno a Bassano,
privo di decorazioni, ma bello e strutturalmente elegante. Né vi è spazio per
analizzare uno degli ultimi lavori dell'architetto, il teatro Olimpico a
Vicenza, un'erudita, ma anche miracolosamente vitale resurrezione dell'impianto
di un antico teatro romano.
I QUATTRO
LIBRI E L'INFLUENZA DEL PALLADIO
Una delle più importanti creazioni del Palladio non può essere tralasciata,
perché ha troppo a che fare con la mostra. I Quattro Libri (Venezia, 1570)
rappresentano l'autorevole testamento architettonico di Palladio, nel quale
egli espone le sue formulae per gli ordini, per le misure delle stanze, per la
progettazione delle scale e per il disegno dei dettagli. Nel Quarto Libro egli
pubblicò le ricostruzioni dei templi romani che aveva studiato più
attentamente, e nel Secondo e nel Terzo libro offrì (cosa che nessun architetto
aveva fatto prima) una sorta di retrospettiva dei suoi disegni per palazzi,
ville, edifici pubblici e ponti.
Concisi e chiari nel linguaggio, efficaci nel comunicare informazioni complesse
coordinando tavole e testi, i Quattro Libri rappresentano la più preziosa
pubblicazione illustrata di architettura che si sia avuta fino a quel momento.
Ci si può rendere conto dell'intelligenza e della chiarezza
dell''interfaccia' che Palladio offre ai suoi lettori se lo si
confronta con i libri di architettura di Serlio che iniziarono ad apparire dal
1537. Mentre Serlio non riporta le misure nelle tavole, ma le include
all'interno del testo, Palladio lo libera da questo appesantimento, e colloca
le proporzioni direttamente nelle piante e negli alzati. A differenza di
Serlio, egli presenta gli edifici e i loro dettagli in uno stile uniforme,
rielabora i disegni che aveva tratto da altri architetti, e riporta tutte le
dimensioni in una scala metrica comune: il piede vicentino, lungo 0, 357 mm.
Quindi non fu solamente l'architettura palladiana con la sua base razionale, la
sua grammatica chiara, la sua inclinazione domestica, ma fu anche la capacità
comunicativa del suo libro che portò all'immensa influenza del Palladio sullo
sviluppo dell'architettura del Nord Europa, e più tardi in Nord America.
E' chiaro che - come aveva capito Inigo Jones - Palladio non rivelò tutti i
suoi segreti nei Quattro libri. Egli non ha detto esattamente come si possa
progettare seguendo un sistema senza diventare noiosi e ripetitivi; non ha
spiegato con esattezza come e quando forzare le sue stesse regole; e neanche
come usare un disegno per generare molte idee e disegni nuovi partendo da un
singolo schema iniziale, o perché sia importante fare sempre degli schemi
alternativi. Non ha spiegato come disegnare un dettaglio in modo che questo
potesse essere perfetto non per un edificio qualsiasi, ma per uno in
particolare, come le finestre di villa Poiana sono perfette per questa villa e
quelle della Rotonda lo sono per la Rotonda. Scrivendo i Quattro Libri si
proponeva certo di educare, migliorare il livello generale del disegno
architettonico. Ma come tutti i bravi insegnanti (e tutti i maestri con i loro
allievi) egli forse sapeva che è meglio lasciare ai discepoli qualcosa che
possano scoprire da soli.
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