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A Silvia
Nel 1828 il poeta trascorse a Pisa un periodo di particolare serenità fisica e spirituale: nella primavera egli riprese a comporre versi, nei quali il ricordo della fanciullezza felice lascia lentamente il posto alla consapevolezza che la felicità è purtroppo una delusione. Composto in due giorni, il 19-20 aprile 1828, questo canto è uno dei 'Grandi Idilli'.
Il canto è dedicato a Silvia, comunemente identificata con Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tubercolosi nel 1818; la fanciulla reale è però, nei versi, trasfigurata in figura reale femminile.
Silvia muore prima di giungere al fiore dei suoi anni, così come cade e muore la Speranza prima che si faccia piena la giovinezza del poeta. Silvia è perciò il simbolo della Speranza, e del suo cadere, disparire, dinanzi alla forza impietosa del Vero.
Nella poesia viene rievocato il ricordo di un momento dell'adolescenza, segnato dalla presenza festosa della fanciulla che nel canto e nella stessa vivacità del lavoro ('All'opre femminili') sembrava esprimere quell'attesa di una gioia che di lì a poco si sarebbe rivelata vana. Questo fatto richiama alla mente del poeta il suo stesso contrasto tra sogni immensi di una situazione umana immersa in un paesaggio primaverile e la contemplazione della condizione propria e di tutta l'umanità. Ma la coscienza della fine delle illusioni all'apparire dell'arido vero non dà più luogo, come in certi canti precedenti, a tensione polemica né forzatura di stile: invece possiamo rintracciare la tipica situazione idillica, come piaceva definirla il De Sanctis: il canto del cuore che sembra smentire i dati della ragione, la contemplazione delle illusioni giovanili che, mentre sono affermate vane ed ingannevoli, sono però vagheggiate nella dolcezza del ricordo che suscitano e fatte rivivere nel cuore.
La constatazione finale è che il vero distrugge ogni illusione e ci lascia di fronte alla morte e alla tomba.
Analisi:
Domina nella poesia una contraddizione spaventevole non solo dichiarata in termini di discorso di protesta ('O natura, o natura, / Perché non rendi poi / Quel che prometti allor? perché di tanto / Inganni i figli tuoi?'), ma espressa anche attraverso una metafora quella del fiore che rispecchia la giovinezza. Questa metafora sottolinea l'accostamento fra due ordini di esistenza:
Il corso della vita umana
Il corso del grande ciclo vegetativo
ma pone anche in luce uno sfasamento tragico ed inspiegabile, poiché alla regolarità con cui succedono le fasi naturali, si contrappone la vicenda interrotta dell'individuo il cui destino è di non realizzarsi neppure biologicamente (è escluso dall'amore). La contraddizione è dunque molteplice: tra le speranze e l'apparire del vero, tra la natura dell'uomo ed i processi naturali di cui egli è parte, tra l'individuo e la specie, tra la sfera affettiva e biologica.
Se osserviamo la poesia nell'insieme, ci accorgiamo che è divisibile in due nuclei, che corrispondono a due metà esatte, ciascuna con un proprio tema, un proprio tono espressivo, una propria disposizione di animo, una propria stagione.
Nella prima metà viene stabilita una correlazione di destino tra Silvia e il poeta nell'attesa piena di speranze che tutti e due hanno dell'avvenire ('assai contenta / Di quel vago avvenir che in mente avevi').
Il tema è l'attesa dell'avvenire sperato.
Nella seconda metà, dopo la dolorosa constatazione della speranza caduta e la sconfortata domanda alla natura sul perché non ci dà ciò che promette, il poeta stabilisce una correlazione tra il destino di Silvia e la speranza ('Perivi, o tenerella. E non vedevi / Il fior degli anni tuoi', 'Anche peria tra poco / La speranza mia dolce').
Il tema è la caduta della speranza e, con essa, della giovinezza.
In sintesi, la poesia è riassumibile secondo il seguente schema:
Età della speranza per Silvia
Età della speranza per il poeta
Fase di morte di Silvia e delle speranze del poeta.
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