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IL PREVALERE DELLE DISCIPLINE UMANISTICHE
Nel mondo antico le discipline scientifiche come la medicina o la geografia, rimasero sempre un sapere considerato per molti versi di "seconda categoria".
Lo stesso discorso valeva per le tecnologie. Infatti sia in Grecia sia a Roma il polo egemone della cultura era costituito da discipline umanistiche: la maggior parte dei manuali in uso nelle scuole riguardavano grammatica, retorica, filosofia e il calcolo matematico finalizzato però in particolare all'astronomia. Le scienze, quindi, non costituivano parte integrante del curriculum normale degli studi delle persone colte; cosa ancor più particolare è che esse non erano coltivate come le pensiamo noi, in modo cioè rigoroso ed empirico, ma piuttosto come la testimonianza della cultura passata da catalogare e tramandare in maniera immutata, senza cioè apportare alcun tipo di verifica e aggiornamento.
Fu con tale concezione che greci e romani coltivarono le scienze. I primi si applicarono alla ricerca scientifica pura: la scienza era essenzialmente teoria ovvero lo studio disinteressato dei fenomeni; i secondi invece, diedero un contributo maggiore nel campo di quella che oggi definiremmo ricerca applicata, ovvero l'individuazione dei vantaggi pratici che il sapere scientifico poteva arrecare all'umanità.
PROSA E POESIA SCIENTIFICHE DEL I SECOLO a.C.
Opere di carattere scientifico cominciarono a diffondersi a Roma solo sul finire dell'età repubblicana, quando cioè il pubblico colto romano cominciò a manifestare maggiore curiosità e soprattutto bisogno di aggiornamento in campi del sapere che non riguardavano l'aspetto puramente umanistico.
Se si considera tuttavia il periodo subito precedente all'età augustea, la cultura latina fu piuttosto povera di prosa scientifica intesa nel senso più tecnico del termine: non conobbe cioè un linguaggio prettamente specialistico, mirato al rigore dell'argomentazione e a una terminologia precisa, proprio perché tale produzione era fortemente condizionata dal bisogno di uno stile "bello", rispondente cioè all'esigenze della retorica.
Ricordiamo a questo proposito opere come il "De rerum natura" di Lucrezio, le "Georgiche" di Virgilio o gli "Astronomica" di Manilio.
La situazione sembrò in parte cambiare con la prima età imperiale nella quale sia i rappresentanti dell'elitè, sia i nuovi ceti di funzionari imperiali avvertirono un insolito bisogno di sapere scientifico. Tale situazione significava da una parte riorganizzare il patrimonio delle conoscenze fino ad allora acquisite, dall'altra allargarne la fruizione.
In questo modo nel giro di qualche decennio nacquero diverse opere nelle forme del manuale, del trattato e dell'enciclopedia.
La forma più ridotta è certamente quella manualistica, che espone in modo abbastanza sommario gli argomenti trattati così da permettere una rapida consultazione.
Ad esempio in tale disegno rientrano opere come il "De medicina" di Celso e il "De chorographia" di Pomponio Mela.
Il genere del trattato invece, propone un'esposizione più ampia e sistematica di una disciplina , condotta in forma di dialogo ma pur sempre con una certa cura letteraria. Ricordiamo il "De re rustica" di Columella e il "De agri cultura" di Catone il Vecchio.
Un'esposizione certamente più ampia è quella dell'enciclopedia che si prefigge l'intento di offrire una trattazione completa su molti campi del sapere. In tal senso si possono considerare opere enciclopediche le "Artes" di Celso, la"Naturales quaestiones" di Seneca, e infine la "Naturalis historia" di Plinio il Vecchio.
Tutte e tre, opere di divulgazione di originali greci, tendono a passare in rassegna ogni branca del conoscere, riordinandola in una classificazione che a quel tempo era considerata definitiva.
In queste enciclopedie risulta bassissimo o del tutto assente il grado di verifica sperimentale delle conoscenze e di un loro avanzamento rispetto al livello già precedentemente raggiunto dai Greci.
A noi, oggi, appare del tutto naturale individuare nella ricerca scientifica un fine riguardante le applicazione tecniche, a loro volta destinate a risolvere problematiche proprie del mondo del lavoro: greci e romani infatti, da una parte concepivano la tecnica come un tentativo di "ingannare" la natura con marchingegni che andavano contro le sue leggi , dall'altra avevano grandi masse di schiavi che eseguivano lavori pesanti di ogni tipo senza di strumenti complessi. Nonostante ciò il mondo romano conobbe nel corso dei secoli il discreto sviluppo tecnologico: ingegneri di Roma ottennero grandi risultati ancora oggi ben visibili soprattutto nella costruzione di strade e acquedotti.
Le stesse case dei ricchi conobbero comfort che si ritroveranno con uguale sofisticazione solo alla fine dell'Ottocento.
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