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Un contrastato passaggio tra '800 e '900
Nel periodo compreso tra il 1870 e il 1920 dal punto di vista economico, sociale, geopolitico, culturale e scientifico, si assiste al passaggio, per niente indolore, dall'Ottocento al Novecento, che toccherà il culmine solo con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. All'alba del ventesimo secolo, infatti, il mondo occidentale guardava con fiducia e ottimismo al futuro, sicuro che progresso, benessere e pace avrebbero continuato a guidare i suoi passi verso conquiste sempre nuove. In effetti vi erano molte ragioni d'orgoglio: debellata la maggior parte delle epidemie e ridotta notevolmente la mortalità infantile, gli abitanti del pianeta toccavano ormai il miliardo e mezzo.
L'agricoltura, però, conobbe una grave crisi, causata dal crollo dei prezzi dei prodotti cerealicoli, parallelo a quello dei prodotti industriali. Ma la novità epocale fu che, per la prima volta nella storia, una crisi agraria non fu caratterizzata da carestia e mancanza di offerta, ma esattamente dal contrario: la sovrapproduzione.
Le cause che portarono a tanto risiedono in primo luogo nella penetrazione all'interno delle campagne di una gestione del tipo capitalistico-produttiva, aggravata dall'importazione di grano proveniente dall'America. La sovrapproduzione che ne derivò, con conseguente crollo dei prezzi, mise in crisi la piccola borghesia, mentre spinse medie e grandi imprese ad una diversificazione produttiva e ad un ammodernamento della gestione, determinando così un calo di manodopera. L'ulteriore espulsione dei contadini dalle campagne, concentrata soprattutto nel Meridione, diede avvio al movimento migratorio verso il continente americano. A questo punto la società si vede distinta tra la classe borghese affermatasi (che aveva oramai raggiunto l'obiettivo di unità, nazionalità, costituzione), e il ceto medio (il popolo). Quest ultimo contrappose al principio di nazionalità borghese quello di internazionalismo, affermando che ciò che poteva unire gli uomini era solo la comune condizione socio-economica, e non l'appartenenza nazionale.
Con la guerra franco prussiana del 1870 si concluse in Europa il processo di costruzione degli Stati nazionali e l'assetto geopolitico del continente sembrò stabilizzarsi. Le aree di tensione presenti tra le nazioni furono tenute sotto controllo fino ai primi anni del Novecento, grazie alla politica dell'equilibrio di Bismarck e allo sviluppo del colonialismo, due fenomeni strettamente connessi fra loro: la stabilità dei confini e dei conflitti in Europa fu quindi garantita dal fatto che gli Stati si potevano espandere verso l'Africa e l'Asia, tranquillamente. Non appena questi due fattori si esaurirono, l'Europa si trasformò in un campo trincerato in cui si fronteggiavano due grandi schieramenti superarmati e da cui si precipitò, nel 1914, nel bagno di sangue della Prima Guerra Mondiale.
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