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Uno dei bisogni che ha da sempre assillato l'umanità è stato quello di spiegare il mondo fisico e decifrare la struttura della materia. Se nelle prime civiltà l'approccio agli studi naturali era rivestito di aspetti magici ed irrazionali, nel mondo greco (almeno per quanto riguarda la cultura occidentale) si possono già ritrovare alcuni elementi di un atteggiamento volto a definire in modo razionale i problemi ed ad investigarli con una vera e propria trattazione metodologica. È in questo contesto che affonda le radici la concezione atomistica della materia di Democrito di Abdera (e del suo maestro Leucippo di Mileto) che pongono come "principi il pieno e il vuoto, chiamando essere il primo e non-essere il secondo: essi, infatti, considerando gli atomi come materia dei corpi, fanno derivare tutte le altre cose dalle differenze degli atomi stessi. Le differenze sono: misura, direzione, contatto reciproco, che è quanto dire forma, posizione e ordine[.]" (Simplicio, DK 68 A 38). Per Democrito, quindi, il pieno coincide con la materia e il vuoto con lo spazio in cui essa si muove e la materia è costituita da un insieme di atomi (dal greco àtomon cioè non-divisibile).
Ma come giunge Democrito all'idea di atomo? In polemica con Zenone, Democrito afferma che la divisibilità all'infinito vale solo in campo logico. Nella realtà ciò è impossibile perché, a furia di dividere la materia, la realtà si dissolverebbe nel nulla e si passerebbe cosí alla non-materia. Data quindi l'impossibilità di una realtà materiale a partire dal nulla, Democrito arriva alla conclusione che esistono delle particelle ultime della materia, gli atomi, i quali, oltre ad essere caratterizzati da diversa forma, diversa grandezza e diversi rapporti d'ordine e di posizione, sono dotati di movimento che, secondo un'interpretazione più recente basata sulla testimonianza di Aezio, è di tipo caotico. Urtandosi danno origine a continue aggregazioni fra corpuscoli simili. E poiché gli atomi sono infiniti e infinite le loro possibili combinazioni, Democrito ritiene che vi siano infiniti mondi che continuamente nascono e muoiono.
L'atomismo di Epicuro sostanzialmente riprende le ipotesi di Democrito. Gli atomi di Epicuro, tuttavia non si muovono di moto caotico, ma viaggiano nello spazio infinito in linea retta. Se gli atomi si muovessero solo in linea retta, non potrebbero mai incontrarsi perché continuerebbero a muoversi in rette parallele;per spiegare l'esistenza de corpi, quindi, Epicuro introduce la possibilità per gli atomi di deviare dalla loro traiettoria rettilinea e di incontrarsi. Questa deviazione è un fatto casuale, come sostenuto dalla maggior parte degli studiosi, o causale? Nella lettera a Erodoto, quasi prefigurando il concetto di campo gravitazionale, sembrerebbe causale in quanto gli atomi trattengono il loro impeto solo quando catturati da un corpo.
"E gli atomi si muovono continuamente per l'eternità, [.] e, alcuni, si allontanano di un lungo tratto gli uni dagli altri; altri, invece, trattengono il loro impeto, qualora capiti loro d'essere catturati da un certo aggregato o avvolti da un agglomerato <di corpi>"(Epicuro, Lettera a Erodoto in Diogene Laerzio, X, 35-83).
Lucrezio, come Epicuro, dice che gli atomi si muovono in linea retta. Ma a differenza di quest'ultimo, identifica, in maniera certa, la causa di questo movimento nel peso degli atomi. Gli atomi lucreziani, come quelli di Epicuro, hanno la possibilità di deviare dalle proprie traiettorie in modo impercettibile (clinamen). Per Lucrezio, questa deviazione si manifesta in un momento e in un luogo incerti ed è quindi del tutto casuale.
Illud in his quoque te rebus cognoscere avemus,
corpora cum deorsum rectum per inane feruntur
ponderibus propriis, incerto tempore ferme
incertisque locis spatio depellere paulum,
tantum quod momen mutatum dicere possis.
(De Rerum Natura, libro secondo, v 216-220).
Il clinamen sottrae gli atomi alla necessità di una caduta infinita e l'uomo al fato che lo priva di libero arbitrio. Una catena ininterrotta di cause, che si succedono l'una all'altra all'infinito, escluderebbe, infatti, la possibilità degli esseri animati di agire spontaneamente e liberamente.
Dopo la grande stagione delle teorie atomistiche di Democrito, Epicuro e Lucrezio, la concezione atomica della materia dovette attendere oltre 1600 anni per essere riproposta e diventare la base della chimica e della fisica moderne. Lavoisier (1741-94), che diede un notevole contributo alla concezione degli "elementi", fu tra i primi a riproporre gli atomi come costituenti, non ulteriormente divisibili e indistruttibili, della materia.
Le ricerche successive si concentrarono su esperienze che permettessero di accertarne l'esistenza, determinando alcune caratteristiche fisiche quali il peso, le dimensioni, il numero per unità di volume. Al riguardo bisogna ricordare i contributi di Amedeo Avogadro, il quale intuì che volumi uguali di gas a stessa temperatura e pressione contengono lo stesso numero di molecole, e di Perrin, che attraverso l'osservazione di movimenti zigzaganti di palline di resina di raggio 0,2 micron, arrivò a fare una misura accurata del numero di Avogadro, definendo in tal modo il numero di molecole contenute in una mole di molecole.
Mentre Perrin e Avogadro si sforzano di dimostrarne l'esistenza, gli atomi portano già ad altri problemi. Lungi dall'essere indivisibili, essi mostrano tutti i segni di una struttura interna. L'atomo non sarebbe quindi il costituente ultimo della materia. Ufficialmente il primo costituente elementare degli atomi appare sulla scena con Thomson, che nel 1897, a seguito di un esperimento sul moto dei raggi catodici, determina l'esistenza di un "corpuscolo di carica negativa: l'elettrone (che gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1906). Nello stesso anno ne fissò le caratteristiche fondamentali, misurando dapprima la carica specifica e/m (1,7·1011 C/kg) e successivamente la massa (9,1·10-31). Tra il 1908 e il 1909, il fisico americano Millikan, studiando il moto di goccioline di olio caricate per sfregamento nel campo elettrico di un condensatore, riuscì a stabilire l'esistenza di una carica elettrica elementare corrispondente alla carica dell'elettrone (e = 1,6·10-19 C).
Le conoscenze acquisite nello studio dei raggi catodici, nonché le osservazioni dedotte da altri fenomeni come l'elettrolisi e la radioattività, avevano indotto i fisici a considerare l'atomo come un sistema complesso dotato di una struttura interna. Fra i primi modelli elaborati, troviamo quello a Panettone di Thomson (1902). Secondo questo modello, l'atomo corrispondeva ad una sfera materiale di raggio r = 10-10 m; la carica positiva, distribuita più o meno uniformemente, occupava tutta la sfera, gli elettroni, erano disseminati nella materia positiva proprio come l'"uvetta in un panettone". Un modello che ebbe maggior successo fu quello di Rutherford. Fra il 1908 e il 1911, realizzò delle esperienze di scattering[2] che mettevano in evidenza che una piccola percentuale di particelle α bombardate su una lamina di oro, erano deflesse.
Figura - Esperienza di scattering di Rutherford
La struttura di queste deflessioni lasciavano supporre che lo spazio occupato dall'atomo era prevalentemente costituito da vuoto e da una massa che occupava un piccolo spazio. Egli ipotizzò quindi l'atomo come un sistema solare microscopico in cui gli elettroni ruotano intorno ad un nucleo con massa positiva. Nell'anno della nascita dell'atomo nucleare entra nel mondo della fisica Niels Bohr che si interessò ai problemi della struttura dell'atomo soffermandosi in particolar modo sulla disposizione degli elettroni attorno al nucleo. Come era possibile che gli elettroni, pur irradiando onde elettromagnetiche a spese della propria energia di moto, non finissero col cadere sul nucleo? Per rispondere a questa domanda, Bohr ricorse alle ipotesi quantistiche elaborate da Max Planck e giunse ad una rivoluzione del modello atomico secondo cui:
Gli elettroni possono occupare solo una successione discreta di orbite (quantizzazione delle orbite) cui corrispondono valori energetici ben precisi, tutti multipli di un "quanto di azione" coincidente con la costante di Planck.
Un elettrone che percorre una data orbita non irradia energia. Solo a seguito del passaggio da un'orbita ad un'altra, si ha una variazione del contenuto energetico (quantizzazione dell'energia).
Nell'arco di tempo tra il 1913 e il 1926, il modello di Bohr è stato l'unico schema utilizzato per cercare di interpretare i fatti sperimentali che venivano gradualmente scoperti nel campo della fisica atomica. Tuttavia il modello presentava dei limiti, quali la sua difficoltà ad essere esteso ai sistemi atomici formati da più di un elettrone e l'incapacità di
Figura - Modello del nucleo planetario tradizionale
fornire un criterio logico riguardante la ripartizione degli elettroni atomici nelle diverse orbite. A questi limiti posero rimedio gli studi di Pauli e, successivamente, di Heisenberg. Pauli, con il principio di esclusione, sancisce il criterio per la distribuzione degli elettroni nell'atomo: dato un sistema costituito da più elettroni, in un atomo non possono trovarsi due elettroni aventi la stessa quaterna di numeri quantici n, l, m e s[4]. Heisenberg, invece, chiarì cosa debba intendersi per orbita di un elettrone. Secondo il fisico tedesco, parlare di orbita presuppone di conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità dell'elettrone in moto. Cosa impossibile in quanto tanto più piccole sono le dimensioni dell'oggetto da misurare tanto più grande sarà l'incertezza; per misurare queste grandezze fisiche dell'elettrone, bisognerà utilizzare un fascio di fotoni, il quale funziona da strumento di misura, che inevitabilmente provocherà delle perturbazioni nella traiettoria e nella velocità.
Il principio di indeterminazione di Heisenberg sancisce quindi l'impossibilità di misurare simultaneamente e in modo rigoroso la posizione e la velocità dell'elettrone secondo la relazione
Δx Δp ≥ h
dove Δx e Δp sono l'indeterminazione con cui si misurano le due grandezze e h la costante di Planck.
I modelli planetari di Rutherford e di Bohr hanno quindi introdotto l'idea che l'atomo fosse dotato di un nucleo centrale (scoperto da Rutherford nel 1912). Ma come era fatto un nucleo atomico? La risposta a questa domanda dovette aspettare il 1919, quando Rutherford scoprì una nuova particella elementare, il protone, dando un essenziale contributo alla comprensione della struttura nucleare. Si scoprì subito che il protone era molto più pesante dell'elettrone, con una massa pari a circa 2000 volte quella dell'elettrone: 1,67·10-24 gr; il suo raggio equivale a 1 fm (1 fermi = 10-15 m) e la sua carica è la stessa dell'elettrone (1,6·10-19 C) ma cambiata di segno. Nella Bakerian Lecture del 1920, Rutherford aveva ipotizzato anche l'esistenza di un'altra particella con carica elettrica nulla. Essa era intesa come un "nucleo neutro" formato da un protone strettamente legato ad un elettrone e battezzato con il nome di neutrone. Non si avrà alcuna evidenza sperimentale dell'esistenza di questa particella fino al 1932 quando il fisico James Chadwick, bombardando un bersaglio di berillio con nuclei di elio, si accorgerà che i nuclei di berillio si spezzavano e tra i frammenti si trovavano atomi di carbonio e un nuovo tipo di particelle: i neutroni, per l'appunto. Questa scoperta gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1935. Il neutrone ha una massa di circa il 10% superiore a quella del protone e il suo raggio è rn = fm, come quello del protone.
A seguito delle ricerche di Rutherford e di Chadwick, si poté stabilire con certezza che protoni e neutroni erano nucleoni ossia componenti del nucleo. Dopo la scoperta di queste particelle, un quesito si impose su tutti: com'era possibile che i protoni, carichi dello stesso segno potessero condividere lo stesso spazio senza respingersi? Quale forza li teneva assieme?Le forze allora conosciute (gravitazionale ed elettromagnetica) non permettevano di spiegare questa interazione. Fu quindi necessario invocare un nuovo tipo di forza, l'interazione forte proposta da Hideki Yukawa (anno?), una forza a cortissimo raggio d'azione (appena 10-15 m) ma di grande intensità attrattiva a breve distanza. L'energia di legame dovuta a questa interazione forte si può ricavare facendo ricorso all'equivalenza massa-energia di Einstein ( ΔE = Δmc2):
ΔE = ZMP + NMN - M
Dove Z è il numero di protoni, MP la massa del protone, N il numero di neutroni, MN la massa del neutrone e M la massa del nucleo.
Un modello atomico formato da protoni, neutroni ed elettroni non riusciva tuttavia a spiegare molti fenomeni nucleari. Fra questi esemplare è il decadimento β[5] , che sembrava contraddire il principio di conservazione dell'energia. Per spiegare il fenomeno Pauli nel 1930, ipotizzò l'esistenza di una nuova particella. Spettò a Fermi (1933) il merito di sviluppare una teoria completa del decadimento β entro la quale questa nuova particella svolgeva un ruolo importante per interpretare il modello in cui un neutrone poteva trasformarsi in protone con l'emissione di un elettrone e di un neutrino, la cui scoperta sperimentale risale però solamente al 1956. Il neutrino è una particella priva di carica con massa paragonabile a quella elettronica.
Lo studio dei raggi cosmici aveva nel frattempo messo in evidenza l'esistenza di una nuova particella: il mesone.
Dopo il 1950, la famiglia delle particelle elementari si arricchì ulteriormente, grazie soprattutto all'intervento di macchine sempre più potenti nell'esplorazione sperimentale. L'accresciuto numero delle particelle "elementari" indusse Murray Gell-Mann e Stephan Zweig (1964) a ipotizzare che tutti gli adroni[6], sensibili alla forza nucleare forte fossero composti di tre particelle ancora più elementari: i quark chiamati up(u), down (d) e strange (s) e delle rispettive anti-particelle.
Il modello con soli tre quark fu messo in crisi dalla scoperta di certi tipi di mesoni. Nel 1970, tre fisici fra cui l'italiano Luciano Maiani, ipotizzarono un quarto quark chiamato charm (c), e successivamente, nel 1973 Kobayashi e Maskawa introdussero una nuova coppia di quark denominati beauty (b) e top (t).
Figura - Protone formato da due quark up e un quark down.
In ogni secolo gli uomini hanno pensato di aver capito definitivamente
l'Universo e, in ogni secolo, si è capito che avevano sbagliato. Da ciò
segue che l'unica cosa certa che possiamo dire oggi sulle nostre attuali
conoscenze è che sono sbagliate.
Isaac Asimov
Grande come l'Universo,
Saggi sulla scienza.
La cosmologia (scienza che ha come oggetto di studio l'Universo) nasce, quando l'uomo inizia a porsi domande riguardanti la sua collocazione nell'Universo e l'origine ed evoluzione dell'Universo stesso. La cosmologia ha le sue radici storiche in narrazioni religiose: nelle prime civiltà, infatti, gli astri erano visti come dei che influivano sui destini umani. L'interpretazione religiosa di tipo filosofico si ritrova anche in Grecia con Aristotele secondo cui gli oggetti celesti erano perfetti, immutabili ed eterni.
Le prime teorie cosmologiche con alcuni fondamenti scientifici risalgono però ad alcuni astronomi-filosofi dell'antica Grecia come Tolomeo che nel II secolo giunge all'idea che la Terra è immobile al centro dell'Universo, mentre il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle le ruotano attorno incastonati in sfere concentriche. A seguito di trascurabili rielaborazioni della teoria tolemaica in epoca medievale, si sviluppa il concetto di un Universo non più finito bensì
Figura - Sistema tolemaico dell'Universo
infinito e privo di centro ad opera di Giordano Bruno già ipotizzato secoli prima da Democrito di Abdera.
La cosmologia diventa scientifica, quando, nel 1514, Copernico propone in forma anonima il sistema eliocentrico (o copernicano), successivamente sostenuto da Galilei e Keplero. Secondo il nuovo modello cosmologico la Terra (assieme agli altri pianeti) orbita intorno al Sole e non viceversa. Questa vera e propria "rivoluzione" ebbe enorme importanza anche al di fuori del campo scientifico e provocò molte resistenze ad
Figura - Rappresentazione eliocentrica dell'Universo
esempio da parte della Chiesa cattolica il cui messaggio religioso era focalizzato sulla centralità dell'Uomo nell'Universo.
Nel 1687, Newton fornì una delle prime chiavi interpretative della struttura del sistema solare e dell'Universo in generale postulando la legge della gravitazione universale[8] secondo cui il tempo scorre sempre e ovunque a una velocità fissa e lo spazio si estende all'Infinito in modo uniforme Ancora oggi la legge rende conto con grande precisione del moto dei corpi celesti. Come Bruno, Newton affermava che il cosmo era infinito, immutabile e non aveva centro.
Nel 1916, anno di nascita della cosmologia moderna, Einstein pubblicò il primo articolo della relatività generale. Secondo la teoria della relatività generale lo spazio intorno a una massa è incurvato. Il moto dei gravi risente del campo gravitazionale, creato da una massa, attraverso questi effetti di curvatura; inversamente la curvatura risente della presenza dei gravi. L'effetto che la materia ha sulla curvatura dello spazio è quantificato dalle equazioni del campo di Einstein; nella relatività generale, localmente, lo spazio è euclideo (con curvatura nulla). Un assioma accettato dalla comunità scientifica, e anche da Einstein, è il principio cosmologico, secondo il quale l'Universo è omogeneo e isotropo. Il principio cosmologico asserisce l'esistenza di un tempo universale t tale che a t fissato l'Universo appare in media uguale a se stesso ovunque lo si osservi. In particolare la densità media della materia e la temperatura media sono funzioni solo del tempo ma non del luogo dove vengono misurate. A tempo fisso l'Universo è uguale a se stesso in ogni sua parte e in particolare la sua curvatura, che dipende dalla densità media della materia, dipende solamente dal tempo ma non dal luogo. Gli spazi omogenei sono enti geometrici che vengono utilizzati per la costruzione di modelli cosmologici.
I modelli della cosmologia moderna tentano di rispondere ai seguenti quesiti:
L'Universo è finito o infinito?
L'Universo è eterno?
L'Universo è finito o infinito?
La teoria della relatività generale di Einstein, nell'ipotesi dell'accettazione del principio cosmologico, portava a concludere che anche un Universo infinito tenderebbe a collassare su sé stesso a meno che non entrasse in azione una forza descritta dalla costante cosmologica il cui valore doveva essere quello richiesto dalla condizione di staticità. Ogni altro valore, anche estremamente prossimo a quello indicato da Einstein, conduce ad un universo in collasso o in espansione.
Nel 1922 il matematico russo Friedman notò che esisteva una "famiglia di soluzioni" alle equazioni di Einstein che dava adito ad un insieme di modelli cosmologici. Abbandonata l'idea di un Universo statico, Friedman ipotizza un universo con un inizio in cui era estremamente denso e che in seguito si sarebbe espanso.
Nel 1929 l'astronomo americano Edwin Hubble fornì un supporto sperimentale all'ipotesi di Friedman osservando lo spostamento verso il rosso (redshift) dello spettro di galassie relativamente vicine. Questa osservazione portò alla formulazione dell'omonima legge secondo cui le galassie si stanno allontanando con velocità proporzionale alla loro distanza:
v/d = H0
dove, v è la velocità di allontanamento in km/s e d è la distanza in Mpc (megaparsec). H0 è la costante di Hubble (o di proporzionalità), un numero che esprime la rapidità con cui l'Universo si sta espandendo.
Il fatto che sia stata accertata l'espansione dell'Universo allo stato attuale delle ricerche ci dice ancora ben poco sulla forma dell'Universo, ovvero se esso sia chiuso o aperto.
Un modello di Universo sferico è l'Universo chiuso di Friedman-Lemaitre che è rappresentato da un'ipersfera con curvatura positiva, volume e durata finiti. Un modello di Universo iperbolico fu introdotto da Robertson e Walzer negli anni trenta. Esso ha curvatura negativa ed estensione e durata infinite. Entrambi questi due modelli sono compatibili con l'ipotesi che l'Universo sia nato in una configurazione di raggio nullo (Big Bang) e che si è poi espanso sino alle dimensioni attuali.
Figura - Spazi geometrici possibili per l'Universo
I matematici hanno individuato enti geometrici che sono spazi omogenei con curvatura costante. L'omogeneità e l'isotropia dell'Universo (principio cosmologico) dovrebbe manifestarsi solo in un Universo la cui curvatura non varia né con la posizione né con la direzione ma in funzione solamente del tempo. Sono possibili tre geometrie: uno spazio sferico con curvatura positiva è finito, uno spazio euclideo con curvatura nulla o iperbolico con curvatura negativa entrambi infinitamente estesi (gli analoghi bidimensionali di queste geometrie sono la sfera, il piano e la sella).
Figura - Modelli evolutivi dell'Universo
Al momento, l'osservazione diretta di effetti geometrici di curvatura non è ancora possibile. Tra l'altro, la valutazione della densità media della materia nell'Universo è resa difficile dalla presenza di materia oscura che supera di quasi un ordine di grandezza la massa della materia visibile.
Già nel XIX sec. Gauss ipotizzò che il nostro Universo fosse euclideo. Altri lavori più recenti confermano la possibilità che l'Universo sia euclideo. Se si ritiene che l'Universo sia euclideo, il numero possibile delle sue forme si ridurrebbe a 18, di cui solo 10 sono candidate a rappresentare le forme dell'Universo. Le ricerche in corso (Microwave Anisotropy Probe della NASA e il satellite Planck dell'ESA) dovrebbero permettere fra una decina d'anni di avere una mappa più precisa della radiazione cosmica di fondo; se le misure saranno abbastanza accurate e i dati sufficientemente buoni, si dovrebbero avere elementi per conoscere meglio la forma dell'Universo.
Per decidere se l'Universo è aperto o chiuso è necessario valutare la densità media dell'Universo e del rallentamento dell'espansione a essa legato. Benché i dati finora raccolti siano imprecisi, essi sembrano favorire l'ipotesi di un Universo aperto.
In relazione a questi argomenti desidero farti ancora apprendere che gli atomi, quando sono trascinati verso il basso attraverso il vuoto, in linea retta, a causa del proprio peso, in un momento del tutto incerto e in un luogo incerto deviano appena dalla propria traiettoria, di quel tanto che ti permetta di dire che il movimento è cambiato.
Termine inglese usato in fisica per indicare "diffusione", e cioè la deviazione che la traiettoria di una particella subisce, quando passa nelle vicinanze di un'altra particella o di un nucleo atomico.
I numeri quantici sono numeri utilizzati per specificare lo stato di un sistema quanto-meccanico come ad esempio un elettrone in un atomo. Il numero quantico principale n corrisponde al livello energetico che un elettrone può occupare; il numero quantico angolare (o azimutale) l determina la forma dell'orbitale, il numero quantico magnetico m indica il numero di orientamenti di un dato orbitale nello spazio; infine, il numero quantico di spin s indica il verso del moto rotatorio dell'elettrone intorno al proprio asse e assume i valori 1/2 e -1/2 indicati con due freccette: ↑↓.
Attualmente le particelle subatomiche sono divise in tre grandi famiglie: 1) i leptoni, che si ritengono essere fondamentali (elettrone, muone, tauone e rispettivi neutrini); 2)gli adroni, che sono composti da particelle più elementari quali i quark (neutrone, protone, mesone)
Il Termine quark deriva da una curiosa frase: "three quarks for Mr Marks", tratta da "Finnegan's Wake" di James Joyece.
La legge di gravitazione universale afferma che due corpi dotati di massa esercitano l'uno sull'altro un'attrazione direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e indirettamente proporzionale al quadrato della distanza che li separa (G = k M1· M2 / r2 ). La teoria gravitazionale è all'origine di tutte le leggi della meccanica celeste.
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