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LE REAZIONI NUCLEARI
L'ATOMO
La materia come noi la conosciamo appare molto diversa se osservata su scala microscopica. Se ingrandiamo progressivamente l'immagine di una superficie liscia, ci accorgiamo innanzi tutto che essa è tutt'altro che liscia: ingrandendo da 10 a 100 volte incominceremo a vedere la superficie, che ci appare levigata, come molto ruvida, scavata da profonde valli e scolpita di ripidi picchi. Le dimensioni caratteristiche di queste screpolature sono di circa 1/100 di millimetro, o meno. Avvicinandoci ancora di più, alla fantasticamente piccola distanza di 1/10.000.000 (1 decimillionesimo) di millimetro, incominceremo a vedere la materia come costituita da una miriade di strutture di forma rozzamente sferica, chiamate atomi. Queste entità potrebbero essere descritte, in un modo molto superficiale, così: un nucleo centrale costituito da un certo numero di protoni e di neutroni (non necessariamente in quantità eguali) strettamente impaccati. Ad una grande distanza orbitano i piccoli elettroni. Il numero dei protoni e quello degli elettroni sarà sempre esattamente eguale, in modo che le cariche elettriche del nucleo e di tutti gli elettroni siano sempre eguali e contrarie. Il numero dei neutroni è variabile. Rimane, tuttavia, un grosso problema: particelle di carica eguale si respingono e, per di più, si respingono tanto più intensamente quanto più esse sono vicine. Anzi dimezzando la distanza tra di esse la forza quadruplica d'intensità. Quindi i protoni del nucleo si respingono vicendevolmente, ed anche con molta violenza. Se esistessero solo le forza elettriche il nucleo non potrebbe mai stare insieme, sottoposto com'è all'intensissima forza repulsiva tra i protoni. C'è, è vero, la forza gravitazionale che tende a tenere insieme gli oggetti in virtù della loro massa, e senza curarsi della carica elettrica Ma essa risulta molto ma molto meno intensa della forza elettrica. Quindi essa non ci aiuta a risolvere il nostro problema.
DOVE SI SCOPRONO LE FORZE NUCLEARI
Ciò non di meno il nucleo esiste e questo è un dato di fatto. Siamo quindi costretti o a rinunciare ad ogni possibile spiegazione o a chiederci se esista un'altra forza, a noi sconosciuta, capace di tenere insieme il nucleo dell'atomo. L'esistenza stessa del nucleo atomico ci pone un problema inesplicabile sulla base delle conoscenze della Fisica Classica, ma ci indica anche la via per la ricerca di una possibile soluzione: l'esistenza di altre forze, le forze nucleari, capaci di tenerlo assieme. Evidentemente tutto ciò può sembrare semplicistico: se procedessimo per spiegazioni costruite 'ad hoc' ogni volta che ci si presenta qualche fatto apparentemente inesplicabile, la scienza moderna non sarebbe mai nata. In effetti, si procede ad inserire nuovi concetti, solo se nessun altra spiegazione è possibile. E successivamente bisogna trovare un gran numero di conferme dell'ipotesi fatta. Nel caso nostro dovremo chiederci come la nuova forza agisca, per quali motivi non sia mai stata osservata in precedenza, ecc
Questo lavoro fu svolto a partire dal 1930 circa da un vasto gruppo di fisici. Uno dei nuclei più attivi era il cosiddetto gruppo di via Penisperna, dal nome della via di Roma dove aveva sede l'Istituto di Fisica, diretto da Enrico Fermi. I loro punti di partenza erano due. Da un lato essi cercavano di capire meglio le proprietà di elettroni, protoni e neutroni, particelle all'epoca appena scoperte. Dall'altro essi cercavano di spiegare come la stragrande maggioranza dei nuclei fosse 'stabile', cioè rimanessero inalterati nel tempo, e un piccolo numero, tra i più pesanti, generalmente artificiali, cioè creati in laboratorio, avessero vita brevissima: questi nuclei, detti radioattivi, tendono a spezzarsi in vari frammenti.
Prima di procedere oltre appare opportuno introdurre il concetto di isotopo. Bisogna precisare che tutte le proprietà di una atomo dipendono esclusivamente dal numero di elettroni (e quindi protoni) che esso possiede. Quindi, se ad un atomo di calcio aggiungiamo o togliamo un neutrone, questi rimarrà sempre un atomo di calcio. Gli atomi di uno stesso elemento che hanno un numero di neutroni diverso sono detti isotopi di quell'elemento. Tanto per fare un esempio, un nucleo composto da 20 protoni e 21 neutroni è uno degli isotopi del calcio. Qualunque nucleo composto da 20 protoni sarà ancora un nucleo di calcio. Ma gli isotopi, come quello con 21 neutroni per il calcio, tendono, con il passare del tempo a divenire stabili acquistando o cedendo neutroni. Queste reazioni sono dette reazioni radioattive e sono state studiate, per l'appunto, dal gruppo di Enrico Fermi per determinare le proprietà delle forze nucleari.
Ritorniamo ora al problema centrale. Le forze nucleari devono essere intensissime, per poter tenere insieme, a distanza molto piccola, molti protoni con la stessa carica. Per di più esse devono essere praticamente inefficienti al di fuori del nucleo atomico stesso, altrimenti della loro esistenza ci saremmo accorti ben prima, così come accadde con le forze gravitazionali ed elettromagnetiche. Esse quindi saranno attive a distanze inferiori al miliardesimo di millimetro, ma inefficaci a distanze maggiori.
Diagramma qualitativo delle forze tra due protoni in funzione della loro distanza.
Nel tratto C ( d >10-14 m ) agiscono solo le forze repulsive coulombiane.
Nel tratto B ( 10-15 m < d < 10-14 m ) si manifestano le forze nucleari che si oppongono a quelle elettriche.
Nel tratto A ( d < 10-15 m ) prevalgono le forze nucleari attrattive.
Le forze nucleari devono compiere un certo lavoro per mettere assieme il nucleo, partendo con protoni e neutroni isolati e avvicinandoli via via fino alle distanze alle quali essi si trovano all'interno del nucleo. Durante questa operazione le forze elettriche lavorano 'contro', nel senso che esse tenderebbero a tenere i protoni, di carica uguale, il più possibile lontani gli uni dagli altri. Quindi per mettere insieme il nucleo dovremmo spendere una certa quantità di energia, esattamente eguale al lavoro che dobbiamo compiere. Questa energia rimarrà poi immagazzinata nel nucleo fino a quando qualcuno non lo rompa. Per ogni protone che avviciniamo ad una certa distanza ad un altro spenderemmo quindi una certa quantità di energia, energia che rimane poi imprigionata nella struttura che abbiamo creato.
Non tutti i nuclei sono fatti allo stesso modo, nel senso che le posizioni reciproche dei protoni in diversi nuclei sono diverse. Di conseguenza le energie spese nella costruzione dei diversi tipi di nucleo saranno diverse. Ogni tipo di nucleo avrà immagazzinata dentro di sé, quindi, una diversa quantità di energia, caratteristica del tipo di nucleo in questione. Tutto ciò è vero sia per i nuclei 'naturali ', quelli cioè che si trovano in natura, sia per quelli 'artificiali', cioè costruiti in laboratorio.
Curva dell'energia di legame media per nucleone. Sono indicati, accanto alla curva, i dati sperimentali. La curva riguarda l'energia di legame per nucleone, che va quindi moltiplicata per il numero di massa A per fornire il valore dell'energia complessiva di un nucleo. Si osservi che, dal Carbonio in poi, un buon valore approssimato, facile da ricordare, è circa 8 MeV per nucleone. Si noti, inoltre, il picco che corrisponde all'elio He4. Il nucleo He4 (particella a) è formato da nucleoni fortemente legati.
Se prendiamo un nucleo di uranio, ad esempio, e lo rompiamo per ottenere due nuclei più leggeri, è possibile che nei due nuclei più leggeri sia immagazzinata in totale meno energia di quanta ne era immagazzinata originariamente nel nucleo di uranio. In questo caso nel rompere il nucleo avremo un guadagno netto di energia. Ciò non è obbligatorio. A priori anche la situazione opposta potrebbe essere legittima: cioè che nel nucleo iniziale sia immagazzinata meno energia che nei nuclei ottenuti dalla sua rottura. In questo caso per spezzare il nucleo saremo noi a dover fornire l'energia mancante. Per i materiali più pesanti accade proprio che l'energia totale dei due nuclei residui ottenuti dalla frammentazione di quello originario sia minore dell'energia di partenza. In questo caso l'energia disponibile viene immediatamente liberata. Questo è il principio della fissione nucleare. Fissione significa rottura, frammentazione.
Possiamo ora chiederci cosa accade fondendo due nuclei più leggeri in uno più pesante. Anche in questo caso ci sono, a priori, due possibilità: o l'energia immagazzinata alla fine nel nucleo più pesante è maggiore o è minore di quella originariamente immagazzinata nei due nuclei più leggeri. Nel primo caso dovremmo spendere energia, nel secondo ne guadagneremmo, realizzando la fusione. Questo è il principio della fusione nucleare.
Bisogna stare attenti a non confondersi: o si guadagna energia fondendo due nuclei in un certo nucleo, o la si guadagna spezzando lo stesso nuclei nei due più leggeri. Il fatto di poter guadagnare energia in entrambi i casi è escluso: si potrebbero produrre quantità illimitate di energia, ripetendo il ciclo di fissione-fusione, dal nulla. In effetti ciò che risulta conveniente è o spezzare nuclei pesanti in nuclei medi o fondere nuclei leggeri in nuclei medi. Quindi abbiamo due possibili tipi di 'carburante' per le reazioni nucleari: o nuclei molto pesanti come uranio o plutonio(fissione), o nuclei molto leggeri come idrogeno o elio(fusione). In generale potremo quindi affermare che i nuclei di peso intermedio immagazzinano meno energia sia rispetto a quelli pesanti, sia rispetto a quelli leggeri.
Quando compiamo un processo di fissione o di fusione, in entrambi i casi partiamo con più energia immagazzinata di quanta ce ne sia alla fine nei cosiddetti prodotti di reazione. Dove finisce l'energia mancante? Essa viene liberata ed è immediatamente disponibile per qualsiasi altro uso. Come viene liberata energia? Essenzialmente in due modi: o sotto forma di calore, quando il combustibile si riscalda insieme a tutto quello che lo circonda, o sotto forma di particelle veloci che si allontanano. Il primo meccanismo è molto familiare: è lo stesso che usiamo per far bollire una pentola d'acqua liberando energia con la fiamma del gas. Il secondo meccanismo è, invece, possibile perché non è detto che tutti i protoni, i neutroni e gli elettroni inizialmente a disposizione finiscano poi nei nuclei residui. Quelli che avanzano si allontanano velocemente dalla zona di reazione portando con sé parte dell'energia liberata proprio come fa un proiettile in moto che, grazie alla sua energia, riesce a penetrare un materiale o a rompere un vetro.
Il problema successivo è capire se questa energia sia disponibile per scopi pratici. Un uso militare, ad esempio, richiederebbe non solo la disponibilità di una grande quantità di energia, ma anche che essa sia effettivamente disponibile in un tempo molto breve: molta energia a disposizione in un tempo molto breve significa poter provocare un'esplosione. Molta energia disponibile, ma su tempi relativamente lunghi, significa, invece, disporre di una fonte di energia alternativa per usi civili ed industriali.
LA FISSIONE NUCLEARE E LE BOMBE A FISSIONE
E' risaputo che i nuclei di molti atomi sono stabili cioè, se lasciati in disparte, rimangono inalterati nel tempo. Questi sono i nuclei della maggior parte degli elementi naturali. Altri nuclei sono instabili, cioè si frammentano in un tempo brevissimo di circa 1 milionesimo di miliardesimo di secondo. Questi nuclei sono ovviamente assenti in natura: appena se ne forma uno per un qualunque motivo, subito esso 'scompare' per fissione nucleare. Altri nuclei sono semi-stabili: cioè tendono a rompersi in un tempo relativamente lungo, da qualche secondo a qualche milione di anni. Questi nuclei esistono in natura, sebbene in piccole quantità, e vengono chiamati 'debolmente radioattivi'. Per stimolare i nuclei debolmente radioattivi bisogna, in qualche modo, modificarli. Uno dei metodi più semplici per sbilanciare qualcosa o qualcuno è quello di urtarlo. Così è anche per questi nuclei: se vengono urtati da un neutrone, ad esempio, essi tendono a decadere, cioè a rompersi, immediatamente. Quindi, concentrando in un piccolo volume notevoli quantità di un materiale debolmente radioattivo possiamo sperare che alcuni dei neutroni prodotti nelle(poche)fissioni naturali che avverrebbero comunque vadano a colpire altri nuclei, rendendoli instabili, provocando altre fissioni, e così via. Se riusciamo a far autoalimentare questo processo a catena, otterremo rapidamente una grande quantità di energia. Questo meccanismo è quello che sta alla base della costruzione delle cosiddette bombe nucleari a fissione, cioè quelle il cui meccanismo di produzione di energia si basa sulla fissione di nuclei pesanti in nuclei più leggeri.
Grafico dei nuclei. Ciascun puntino rappresenta un nucleo, avente Z protoni e A - Z neutroni. Per piccoli valori di Z, i nuclei si trovano all'incirca sulla bisettrice degli assi (quindi è, all'incirca, A = 2Z). Per grandi valori di Z, i nuclei hanno chiaramente un eccesso di neutroni rispetto ai protoni. I puntini neri si riferiscono agli isotopi più stabili.
Due elementi si sono
rivelati particolarmente utili per la costruzione di questo tipo di bombe:
l'uranio ed il plutonio. E' indispensabile adesso introdurre la convenzione
normalmente utilizzata per identificare i vari isotopi dei diversi elementi:
essi vengono normalmente indicati con un numero in alto a sinistra seguito da
una o più lettere, dove il numero indica la somma dei protoni e dei neutroni
presenti (è detto massa atomica e si indica con A) e, chiaramente, la lettera
(o le lettere) identifica l'elemento chimico di appartenenza. Sapendo che ogni
atomo è caratterizzato da un ben definito numero di protoni, e quindi di elettroni,
chiamato numero atomico (che si indica con Z), risulta ben chiaro che il numero
di neutroni presenti in un atomo sarà dato dalla differenza della massa atomica
con il numero atomico (numero neutroni = A - Z). Un esempio: considerando
l'atomo di deuterio 2H (che è un isotopo dell'idrogeno) e sapendo
che l'atomo di idrogeno ha il numero atomico uguale a 1 si può risalire
facilmente al numero di neutroni dato da 2 (massa atomica) - 1 (numero di
massa) = 1 (numero dei neutroni presenti nell'atomo). In natura si trovano
normalmente diverse percentuali dei vari isotopi dello stesso elemento.
L'ossigeno naturale, per esempio, è composto prevalentemente dall'isotopo 16O,
ma anche piccole percentuali di altri isotopi con 8 protoni ed un numero
variabile di neutroni sono presenti.
La scoperta della fissione nucleare è dovuta in larga parte agli esperimenti di
Fermi, il quale per primo bombardò con neutroni l'uranio naturale, durante gli
anni '30. L'uranio è il più pesante degli elementi chimici naturali. Il suo nucleo
è composto da ben 92 protoni ed un numero variabile di neutroni. In massima
parte l'uranio naturale è costituito dall'isotopo 238U, cioè con 238
- 92 = 146 neutroni. Ma, mescolato ad esso nella percentuale dello 0,7% si
trova anche l' 235U, con 143 neutroni. L' 235U è
debolmente radioattivo: su 100 nuclei di 235U se ne spezzano 50 in
media in un tempo di 4,5 miliardi di anni. Un processo di fissione naturale
estremamente lento. L' 236U è invece un nucleo instabile e non
esiste in natura. Se bombardiamo con neutroni dell'uranio naturale, la maggior
parte di essi andranno contro i nuclei di 235U, formando il nucleo
instabile 236U il quale immediatamente si scinde. Si osserva quindi
in questo esperimento un aumento della radioattività naturale: i nuclei di 235U
si scindono ad un ritmo accelerato rispetto a quello naturale a causa del
bombardamento di neutroni.
Da un punto di vista militare, il fatto che la maggior parte dell'uranio
naturale sia composta da 238U non è piacevole. Per costruire
un'efficiente bomba a fissione all'uranio bisognerà innanzi tutto separare l' 235U
dall' 238U. Si è detto che concentrando una data quantità di
materiale debolmente radioattivo, man mano cresce la probabilità che alcuni dei
neutroni emessi nelle(poche) reazioni naturali colpiscano altri nuclei nelle
vicinanze, provocando reazioni indotte. Quindi la radioattività naturale
crescerà progressivamente, man mano che si aggiunge altro materiale. Per ogni
materiale fissile, cioè in grado di subire una fissione nucleare, esiste una
quantità minima di materiale che bisogna concentrare per provocare
un'esplosione nucleare. Questa quantità viene detta massa critica.
Per
l' 235U la massa critica è di circa 16 Kg equivalente ad una pallina
del diametro di 12 cm. Ovviamente sarà opportuno rimanere ben lontani nel
momento in cui si riescano ad ottenere i fatidici 16 Kg: non appena raggiunti
la pallina di uranio esploderebbe spontaneamente. La prima bomba di questo tipo
esplose il 16 luglio 1945, per prova, ad Alamogordo nel Nuovo Messico (vedi
progetto Manhattan), una zona desertica degli stati uniti. Essa era costituita
da due pezzi di 235U: una sfera di 12 cm di diametro, con un foro
cilindrico nel mezzo e poi un cilindro che entrasse perfettamente nel buco.
Fino a che il cilindro è fuori dalla sfera nulla accade tranne un piccolo
aumento della radioattività. Una piccola bomba al tritolo spingeva quindi il
cilindro dentro la sfera e, poiché erano stati raggiunti i 16 Kg di massa
critica, si innescò istantaneamente un'esplosione nucleare. La seconda e la
terza bomba, all'uranio ed al plutonio, esplosero rispettivamente il 6 ed il 9
agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki.
Le bombe al plutonio funzionano esattamente allo stesso modo: solo il
combustibile nucleare è diverso trattandosi dell'isotopo 239Pu del
plutonio. Il plutonio è un elemento artificiale, cioè non esiste in natura. Ciò
indica che tutti i suoi isotopi sono fissili: la scelta dell'uno o dell'altro è
solo una questione tecnica. Due sono le principali controindicazioni della
fissione, che indussero a cercare di costruire bombe nucleari a fusione. La
prima è connessa alla scarsità di uranio e di altri materiali fissili in
natura. Questo rende estremamente costosa la ricerca e la preparazione del
materiale. Per aumentare la potenza esplosiva dobbiamo comunque aumentare la
quantità di combustibile nucleare utilizzata. La seconda ragione è connessa
all'aumento di radioattività di cui abbiamo parlato: il materiale fissile,
anche se non ha raggiunto la massa critica, è comunque abbastanza concentrato
all'interno di una bomba; il numero di fissioni che avvengono aumenta, rispetto
ai livelli naturali. Dopo qualche anno il combustibile nucleare,
originariamente puro, è così contaminato da non essere più in grado di
esplodere.
LA FUSIONE NUCLEARE E LE BOMBE TERMONUCLEARI
La fissione nucleare, cioè la frammentazione di nuclei più pesanti in nuclei più leggeri, non è l'unica strada possibile per liberare energia nucleare. Anche la 'fusione nucleare' di nuclei leggeri, come l'idrogeno, in nuclei più pesanti è un processo in grado di liberare energia. Anzi la fusione è un fenomeno di gran lunga più frequente in natura. Tutte le stelle sono composte in larghissima percentuale di idrogeno ed elio. La materia stellare si trova in condizioni estremamente diverse da quelle a noi abituali, con valori elevatissimi di pressione e temperatura. Queste altissime temperature e pressioni sono in grado di realizzare ciò che alle nostre condizioni è difficilissimo: comprimere i nuclei l'uno così vicino all'altro, lavorando contro le forze di repulsione elettrica, tanto da permetterne la fusione. Ricordiamo infatti che tutti i nuclei sono carichi positivamente. Quando cerchiamo di avvicinare due nuclei per fonderli, essi tendono a respingersi.
Come si è già detto, la massima distanza alla quale le forze nucleari sono attive corrisponde all'incirca alle dimensioni stesse del nucleo. Pertanto fino a quando i due nuclei sono separati essi sono soggetti alla sola forza elettrica repulsiva. Solo quando riusciremo a portarli così vicini da 'toccarsi' allora le forze nucleari potranno entrare in gioco permettendone la fusione. E' come se ci fosse in cima ad una collina un profondo buco che termina più in basso dell'altezza stessa della collina. Se vogliamo far cadere un masso in quel buco, guadagnando così una grossa quantità di energia, dovremmo prima farlo salire spendendo una certa quantità di energia. La situazione per la fusione nucleare è simile. Fino a quando i due nuclei sono separati, per avvicinarli dobbiamo compiere un lavoro contro le forze elettriche repulsive, come per portare il masso in cima alla collina. Quando i due nuclei arrivano a contatto, allora le forze nucleari possono liberare una grande quantità di energia, come quando, arrivati finalmente in vetta alla collina, lasciamo cadere il masso dentro al buco. Il grande lavoro svolto contro le forze elettriche per avvicinare i due nuclei fino a toccarsi viene molto più che ripagato dall'energia nucleare liberata dalla fusione.
Ma quale è la catena di reazioni nucleari che permette al sole di funzionare? Il nucleo più semplice che si possa immaginare è quello costituito da un solo protone. Esso corrisponde all'atomo di idrogeno, e viene indicato con il simbolo 1H. Il numero dei neutroni è ovviamente 1 - 1 = 0. La fusione di due nuclei di idrogeno, cioè di due protoni, non genera un nucleo stabile. Infatti perfino le intensissime forze nucleari non sono in grado di tenere insieme due protoni solamente, per via della enorme forza repulsiva tra di essi. Fortunatamente esiste una seconda forza nucleare. E' molto meno intensa e perciò viene chiamata forza nucleare debole. Essa rende possibili processi altrimenti vietati. La prima indicazione circa l'esistenza di una seconda forza nucleare venne dall'osservazione che un neutrone isolato non è stabile. Dopo circa 15 minuti esso spontaneamente si trasforma in un protone più un elettrone, più un'altra particella molto elusiva chiamata antineutrino elettronico. Verifichiamo adesso che nella reazione non si perda nulla. All'inizio la carica del neutrone era zero. Alla fine abbiamo ottenuto un protone ed un elettrone, di cariche eguali ed opposte, in modo che la loro somma sia esattamente eguale a zero. Ma abbiamo anche un antineutrino elettronico, la cui carica elettrica dovrà essere quindi nulla. All'inizio il neutrone era fermo. Alla fine abbiamo un protone, un elettrone ed un antineutrino che sia allontanano velocemente dalla zona di reazione.
Da dove viene l'energia per questo processo? Si è detto che il protone ed il neutrone hanno lo stesso peso, o massa. Ciò non è del tutto esatto: in realtà il peso di un neutrone è quello di un protone più qualche millesimo. Avremo quindi un eccesso di massa, perché il protone non si porta via tutta la massa originaria del neutrone. L'elettrone pesa 1/2000 di un neutrone, quindi si porta via un po' della massa in eccesso, ma non tutta. L'antineutrino ha massa nulla(o perlomeno vicinissima allo zero). Dove è finita la massa in eccesso? E da dove è venuta l'energia che il protone, l'elettrone e l'antineutrino si portano via? Nell'ambito della teoria della relatività, dovuta ad Albert Einstein, si è mostrata l'equivalenza dei concetti di massa ed energia. E' la ben nota formula E = Mc2, che oramai compare ovunque. Essa ci assicura che una certa quantità di energia può essere convertita in una massa, o viceversa, in opportune condizioni. Cioè, se abbiamo a disposizione, come in questo caso, una certa massa in eccesso, possiamo trasformare questa massa in energia. Questa energia è quella che permetterà al protone, all'elettrone ed all'antineutrino di allontanarsi velocemente. Il processo di decadimento, come spesso viene chiamato, di un neutrone non può essere dovuto alla stessa forza nucleare che tiene assieme i nuclei, o che permette la fissione di quelli più pesanti e la fusione di quelli più leggeri. Infatti il tempo di decadimento del neutrone è, come abbiamo detto di circa 15 minuti, un tempo spaventosamente più lungo di quelli tipici per le reazioni nucleari trattate in precedenza. Sarà quindi una forza di tipo nucleare a indurlo, ma estremamente meno intensa, per cui prende il nome di forza debole. Abbiamo quindi due forze nucleari, quella forte responsabile dell'esistenza dei nuclei, della fissione e della fusione, e quella debole responsabile del decadimento del neutrone e di altri fenomeni che discuteremo tra breve. Come mai i neutroni che sono dentro ai nuclei non decadono? Se lo facessero ci accorgeremmo che le proprietà chimiche dei materiali cambierebbero ogni quarto d'ora. Dovremmo accorgerci, ad esempio, che il 56Fe, costituito da 26 protoni e 30 neutroni, si trasforma in 56Co, costituito da 27 protoni e 29 neutroni. Questo avverrebbe ogni volta che ciascuno dei 30 neutroni originari del ferro dovesse trasformarsi in un protone, più un elettrone, più un antineutrino elettronico. Questo non avviene perché è impedito dalla mancanza di energia. Si dà il caso che la quantità totale di energia immagazzinata nel nucleo di 56Fe sia minore di quella totale immagazzinata nel nucleo di 56Co. Per realizzare un decadimento di neutrone in protone, come nel vuoto, avremmo bisogno di energia, che non abbiamo. Il processo, a priori possibile, risulta vietato per mancanza di energia. Si fa necessaria ora una ricapitolazione, per non confondersi: il decadimento di un neutrone del ferro in protone consentirebbe un piccolo guadagno di energia. Energia che, nel vuoto, viene dispersa sotto forma di velocità delle particelle uscenti dalla reazione. Il problema è che questo piccolo guadagno di energia, realizzato tramite le forze nucleari deboli, non è sufficiente a colmare il divario energetico tra il ferro ed il cobalto, creato dalle forze nucleari forti. La stabilità o meno di un certo nucleo atomico dipende quindi da un delicato bilancio tra le forze elettriche che tenderebbero a disintegrarlo, quelle nucleari forti, che cercano di tenerlo insieme, e quelle nucleari deboli, che cercano di cambiare neutroni in protoni, quando ciò sia possibile. Sarebbe possibile, usando le forza nucleari deboli, trasformare, invece di un neutrone in un protone, un protone in un neutrone, più eventualmente qualcosa d'altro? Si, se non fosse che, come si è detto, il protone pesa un po' meno di un neutrone. Quindi, anche se la cosa sarebbe possibile, un protone isolato rimane sempre tale, perché non abbiamo abbastanza massa o energia per trasformarlo in qualcosa d'altro. All'interno di un nucleo, però, questo processo proibito per mancanza di energia, è talvolta possibile, a spese dell'energia che tiene insieme il nucleo. Così risulta che il 56Fe non riesce a trasformarsi in 56Co spontaneamente, per quanto detto prima, ma che nel 56Co le forze nucleari deboli riescono in ciò che gli è impossibile fuori dal nucleo, cioè a trasformare un protone in neutrone. Il nucleo di 56Co è così anch'esso radioattivo, ma di una radioattività diversa da quella discussa in precedenza: non più generata dalle forze nucleari forti, ma da quelle deboli. Queste due radioattività hanno anche nomi diversi: la prima viene detta radioattività-a(alfa), la seconda radioattività-b(beta). Ritorniamo al funzionamento di una stella. La fusione(forte) di due nuclei di idrogeno risulta impossibile a causa delle tremende forze repulsive elettriche. Con l'aiuto delle forze nucleari deboli, uno dei protoni può pero, come detto, trasformarsi in un neutrone emettendo anche, contemporaneamente, un antielettrone ed un neutrino elettronico: è tutto all'opposto che per il decadimento di un neutrone. L'antielettrone, o positrone, è identico ad un elettrone, ma con carica positiva. Si forma così un nucleo composto da 1 protone ed 1 neutrone, l'isotopo 2H dell'idrogeno, chiamato anche deuterio. Indicando con una freccia il verso delle reazioni che avvengono si indicherà allora
p + p p + n + e+ + ve
e
p + n 2H
dove con e- ed e+ si è indicato l'elettrone e l'antielettrone(o positrone), mentre con ve si è indicato il neutrino. Nelle stelle, molto calde, si forma quindi deuterio. Già a questo stadio un po' di energia viene liberata, e portata via sotto forma di calore, di positroni e di neutrini. Un nucleo di deuterio può a sua volta fondere con uno dei protoni rimasti isolati, formando il nucleo 3He(elio 3) composto, appunto, da 2 protoni ed un neutrone, liberando così ancora un po' di energia sotto forma di onde elettromagnetiche e di calore. A loro volta due nuclei di 3He possono fondersi in un nucleo di 4He(2 protoni + 2 neutroni), lasciando liberi i restanti 2 protoni, che possono ricominciare il ciclo. Ogni volta che il ciclo viene compiuto, 4 protoni vengono convertiti nel nucleo di elio, attraverso la catena descritta, ed una grande quantità di energia viene liberata.
Una stella produce quindi energia trasformando idrogeno in elio. Una bomba a fusione si basa esattamente sugli stessi principi. Il problema, non piccolo, è quello di riuscire a portare l'idrogeno a temperature e pressioni elevatissime, simili a quelle all'interno di una stella. Il vantaggio, però, sarebbe enorme: l'idrogeno è facilmente reperibile e, per di più, la quantità di energia liberata in questo tipo di processi è maggiore di quella liberata per fissione. Ciò significa che a parità di peso una bomba a fusione sarebbe enormemente più potente e meno costosa. Il problema di raggiungere le temperature e pressioni necessarie era, però, già stato praticamente risolto. Se mettessimo una bomba a fissione attorno ad una certa quantità di idrogeno molto condensato, questa, esplodendo, provocherebbe le temperature e le pressioni necessarie. Una bomba a fissione può essere quindi l'innesco adatto ad una a fusione, così come una bomba normale(a innesco chimico) era l'innesco di una bomba a fissione. Può sembrare inutile, a questo punto, costruire una bomba termonucleare perché comunque si deve costruire una bomba a fissione. Il punto è che per raddoppiare la potenza esplosiva di una bomba a fissione bisognerebbe raddoppiare le quantità di uranio o plutonio impiegata, con problemi finanziari e tecnici. Ma usando sempre la stessa quantità di 235U o di plutonio, quella minima necessaria per innescare la fissione, possiamo aumentare a dismisura la potenza semplicemente aggiungendo idrogeno. Queste bombe vengono chiamate 'bombe H'(H sta per idrogeno) o 'bombe termonucleari', per ricordare che esse necessitano di una grande quantità di calore per iniziare l'esplosione. Le bombe a fissione venivano talvolta indicate come 'bombe A'(dove A sta per atomiche). Attualmente gli arsenali militari di tutte le potenze nucleari sono forniti solo di bombe termonucleari.
LA "PILA DI FERMI"
Nel dicembre del 1942, all'università di Chicago, in presenza del rappresentante dell'industria che avrebbe dovuto curarne la produzione, il fisico italiano Enrico Fermi riuscì a produrre la prima reazione nucleare a catena controllata, utilizzando frammenti di uranio naturale distribuiti all'interno di un blocco di grafite pura (una forma di carbonio). Nella 'pila', o reattore nucleare di Fermi, la grafite fungeva da moderatore per rallentare i neutroni, rendendo così possibile la reazione a catena.
Enrico Fermi (Roma, 1901 - Chicago, 1954). Fermi è da considerarsi uno dei padri della fisica nucleare. I suoi studi sulla radioattività indotta gli valsero il premio Nobel nel 1938. In seguito ottenne la prima reazione controllata di fissione nucleare a catena, che segnò l'inizio dello sfruttamento dell'energia nucleare per scopi civili, e partecipò al progetto Manhattan per la realizzazione della bomba atomica. Sia in Italia che negli Stati Uniti incoraggiò il lavoro di molti giovani ingegni, che si rivelarono poi tra i più grandi fisici del secolo.
Mario Francini, nel suo libro "Quante storie.", ci racconta cosa avvenne nel giorno in cui Fermi avviò per la prima volta la sua "pila":
"Erano in una ventina, quel 2 dicembre 1942, nella palestra dello stadio universitario di Chicago, quando Enrico Fermi mise per la prima volta in attività la pila atomica sperimentale destinata a tenere a battesimo la nuova era dell'atomo. Si trattava di professori e di studenti, ma c'era anche un 'profano', l'industriale Greenewalt, che rappresentava la società Du Pont De Nemours, cui sarebbe stata affidata la produzione delle pile indispensabili per la fabbricazione della bomba atomica. Proprio per lui Fermi aveva voluto che l'esperimento avesse una certa spettacolarità: si trattava di coinvolgerlo nella grande impresa. E per questo era stato predisposto in un angolo della palestra un palco con delle sedie per gli 'spettatori'.La catasta delle mattonelle di grafite purissima aveva già raggiunto i cinque metri di altezza e nel suo 'cuore' erano già racchiusi i cilindri di uranio; non restava che estrarre le ultime aste di cadmio per dare il via alla fase critica: la pila si sarebbe accesa e avrebbe cominciato a funzionare. Il ticchettio impazzito dei contatori Geiger avrebbe annunciato l'inizio della reazione a catena. Verso mezzogiorno Fermi fece spostare leggermente indietro l'ultima 'asta di controllo' ma appena i contatori presero a sussultare ordinò di rimetterla a posto e annunciò che era l'ora di andare a colazione. Tutti avevano rifatto i loro calcoli e avevano concluso che non ci sarebbero state sorprese, ma era meglio procedere con calma.
Dopo la sosta tutti ripresero il loro posto e si ricominciò. Alle 15 e 20 Fermi si volse verso gli 'spettatori' e guardando Mr Greenewalt spiegò: 'Adesso mostreremo sul serio come si produce la reazione a catena. Farò estrarre la sbarra di un altro paio centimetri. A questo punto i contatori cominceranno subito a salire finché non darò l'ordine di stop'. Si volse all'operatore e disse: 'George, questa è la volta buona. Tira fuori l'asta di un piede'. Subito i contatori Geiger cominciarono a ticchettare, prima lentamente poi con ritmo sempre più accelerato e infine a velocità frenetica. Benché nessuno tra gli scienziati presenti mostrasse sorpresa per quello che stava accadendo, una certa tensione si creò nel laboratorio: dopo tutto ci si stava avventurando in un terreno inesplorato.
Dopo venti minuti Fermi fece reinserire le sbarre e tutti si sentirono più sollevati perché i contatori smisero di ticchettare. Allora ci furono delle strette di mano e fu spiegato a Mr Greenewalt che l'esperimento era finito. Il professor Eugene Wigner, che veniva da Princeton, tirò fuori un fiasco di Chianti e alcuni bicchierini di carta: tutti bevvero due dita di vino e firmarono il fiasco. Subito dopo Arthur Compton, il direttore dei laboratori di Chicago, telefonò a un collega dell'università di Harvard. Disse: 'Il navigatore italiano è arrivato nel nuovo mondo'. Sebbene il codice fosse stato improvvisato lì per lì da Compton, l'altro comprese al volo e domandò, ansioso: 'E gli indigeni come sono stati?' La risposta fu: 'Molto cordiali'.
L'industriale Greenewalt salutò tutti e si allontanò in macchina. Disse di essere stato impressionato dall'abilità di Fermi, e questo dimostra che lo scienziato aveva saputo drammatizzare uno 'spettacolo' altrimenti incomprensibile per un profano. Per il momento il mondo ignorò di essere entrato in una nuova era e i giornali continuarono a parlare degli scontri in Tunisia, della battaglia di Guadalcanal, dei tedeschi accerchiati a Stalingrado, ma della grande vittoria del 'navigatore italiano' nessuno seppe nulla.
Enrico Fermi aveva abbandonato l'Italia quattro anni prima, tra l'indifferenza generale. Nessuno gli aveva chiesto di lasciare l'università di Roma, ma a farlo decidere erano state le leggi razziali, dal momento che egli aveva una moglie ebrea. A espatriare l'aiutò una felice circostanza: l'invito a recarsi a Stoccolma per ritirare il premio Nobel che gli era stato assegnato per la fisica. Nessuno sapeva che aveva deciso di non tornare in patria ad eccezione di pochissimi amici intimi: a salutarlo alla stazione c'erano soltanto loro."
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