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La scienza nel mondo classico




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LA SCIENZA NEL MONDO CLASSICO


La scienza per gli antichi


La letteratura latina non è costituita soltanto da lirica e oratoria: molte pagine sono dedicate alla scienza, anche se essa era assai diversa da come la intendiamo noi, soprattutto per la metodologia scelta e le finalità perseguite. Il mondo antico ha infatti sempre visto la scienza come un aspetto dell'indagine filosofica, e non possedeva nemmeno un termine per indicare lo scienziato, comunemente chiamato "philosophus" o "sapiens". Esistono casi in cui la scienza fu addirittura legata all'etica, nel tentativo di liberare l'anima dalle passioni per consentire la serenità imperturbabile. Non esisteva, inoltre, il binomio scienza-tecnologia, in quanto le "artes", ovvero le attività manuali, erano disprezzate dai ceti al potere. Il lavoro fisico veniva infatti svolto dagli schiavi, e perciò non era particolarmente avvertita l'esigenza di macchine che si sostituissero all'uomo. Gli unici progressi tecnologici riguardarono l'edilizia delle città, lo spostamento dei pesi, la misurazione e gli studi medici. Roma accentuò proprio questo aspetto empirico del sapere.



La scrittura scientifica


La produzione scientifica in latino si afferma anzitutto come passione per il sapere e volontà di divulgazione, pertanto il veicolo linguistico non si presenta sempre oggettivo e asettico, come invece è concepita la prosa scientifica moderna. L'autore romano è in primo luogo uno scrittore che desidera catturare il lettore e sbalordirlo mediante accorgimenti retorici. Caratteri fondamentali della cultura romana sono l'eclettismo ed il pragmatismo; conseguentemente la prosa scientifica è orientata a dare informazioni utili e raccolte da varie fonti, senza troppa attenzione all'attendibilità di queste ultime.

Oltre alla prosa, nella letteratura romana si trova anche produzione poetica di argomento scientifico (poesia didascalica), e questo evidenzia il forte distacco che separa scienza antica e moderna. Esempi celebri di "poesia scientifica" sono il De rerum natura di Lucrezio e le Georgiche di Virgilio.



La scienza in Grecia e a Roma


Greci e Romani concepivano la scienza in modo diverso: la scienza greca aveva caratteri speculativi e si proponeva di cogliere la realtà mediante la logica razionale; d'altro lato la scienza di Roma si presentava in modo più pragmatico e, anche se non mancano esempi di indagine logica del reale, aveva come fine un qualcosa di concreto ed utile.

Diffusasi però la tesi che fosse impossibile cogliere l'essenza della realtà con gli strumenti logici, anche i pensatori di Grecia dovettero restringere il loro campo di indagine alla realtà fenomenica, elaborando un primo metodo scientifico così articolato:

raccolta dei dati;

studio empirico degli stessi;

organizzazione delle informazioni con la memoria;

collegamento dei dati con l'intelletto;

interpretazione tecnica.

Filosofia e scienza trovavano nel mondo antico una sostanziale complementarità: la filosofia si poneva come deduzione dei principi evidenti di per sé e formalmente veri, tanto da dar luogo ad un discorso necessario su cui si articolerà il pensiero matematico; la scienza permetteva la raccolta di dati empirici su cui determinare i principi dell'accadere fisico.

In età ellenistica i filosofi abbandonarono la pretesa di cogliere l'essere in sé e si dedicarono allo studio del mondo umano. Principali filosofie di questo periodo furono

epicureismo: la sensazione, base della conoscenza, attesta la corporeità cui è connessa la realtà tutta (anima compresa) composta di minute particelle dette atomi;

stoicismo: a fondamento della natura vi è un principio razionale divino, il logos, del quale tutta la realtà è manifestazione;

scetticismo: nulla è conoscibile al di là dell'esperienza, e ciò consente una speculazione assoluta.

Quando i Romani si imbatterono nella filosofia (e dunque nella scienza) greca, essi selezionarono e potenziarono le varie nozioni in base alla loro utilità e applicabilità.



Le discipline scientifiche di Roma


La prima opera in prosa della letteratura latina, dovuta a Catone, è un trattato di agricoltura (De agri cultura): essa esprime una visione assai realistica del mondo agricolo, opposto a quello dei commerci. Altri autori, quali Varrone e Probo, si dedicarono alla teorie linguistiche della latinità. Possiamo citare, a titolo di esempio, il De lingua latina di Varrone. Altro campo di studio fu l'architettura, per la quale è celebre Vitruvio, autore di dieci libri dedicati al rinnovamento urbanistico voluto da Augusto. Per quanto riguarda la geografia, un interesse etnografico è presente nel De bello gallico di Cesare e nella Germania di Tacito. Scienza che si configurò sia in modo razionalistico (come scoperta delle cause delle malattie) sia in modo empirico (come rimedi di guarigione) fu la medicina, alla quale si interessò Celso al tempo di Tiberio, scrivendo un'enciclopedia intitolata Artes. Infine si annoverano tra le maggiori opere scientifiche quelle dedicate alle scienze naturali, come le divulgazioni di Plinio il Vecchio riguardanti svariati argomenti oppure come le Naturales quaestiones scritte da Seneca per la liberazione dalla paura delle catastrofi naturali.



L'intento delle Naturales Quaestiones


Il passo seguente è tratto dalla Praefatio del primo libro delle Naturales Quaestiones appena citate. In queste righe Seneca sembra voler separare filosofia e scienza, assegnano alla prima lo studio dell'uomo e alla seconda lo studio della natura.


Quantum inter philosophiam interest, Lucili virorum optime, et ceteras artes, tantum interesse existimo in ipsa philosophia inter illam partem quae ad homines et hanc quae ad deos pertinet. Altior est haec et animosior; multum permisit sibi; non fuit oculis contenta; maius esse quiddam suspicata est ac pulchrius quod extra conspectum natura posuisset.

Denique inter duas interest quantum inter deum et hominem. Altera docet quid in terris agendum sit, altera quid agatur in caelo. Altera errores nostros discutit et lumen admovet quo discernantur ambigua vitae; altera multum supra hanc in qua volutamur caliginem excedit et e tenebris ereptos perducit illo unde lucet

(Seneca, Naturales Quaestiones, I, 1-2)


Carissimo Lucilio, la differenza che vi è tra la filosofia e le altre arti è la stessa, ritengo, che esiste tra quella parte della filosofia che riguarda gli uomini e quella che cerca di giungere agli dei. Quest'ultima è più profonda e più ardita, si è spinta oltre i confini, non si è limitata a ciò che si può vedere, ma ha ipotizzato che esistesse qualche cosa di più grande e di più bello che la natura avesse posto oltre i limiti dello sguardo umano.

Ancora, tra le due vi è la medesima differenza che tra dio e l'uomo. Una insegna che cosa è necessario fare sulla terra, l'altra ciò che accade nel cielo. L'una svela i nostri errori e ci dona la luce affinché divengano evidenti le incertezze dell'esistenza, l'altra vola ben oltre la nebbia nella quale ci aggiriamo e, strappatici alle tenebre, ci conduce lì dove la luce ha origine.


Come si nota dal testo, Seneca riconosce già alla "scienza" un gusto intellettuale, e non solo pratico. La filosofia si occupa degli uomini, la scienza indaga i fenomeni esterni all'uomo ed appartenenti alla natura. Lo studio di tali fenomeni allontana poi la paura degli stessi: si teme in primo luogo ciò che non si conosce.


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