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La conciliazione tra meccanica quantistica e relatività: esiste un antimondo?
Durante il primo quarto del XX secolo la visione classica del mondo fisico fu sovvertita dal raggiungimento di due straordinarie conquiste della mente umana: la relatività speciale di Einstein e la meccanica quantistica. Le due teorie hanno per oggetto aspetti apparentemente disgiunti della rappresentazione della realtà. La relatività è architetto e scenografo dello spazio-tempo, il teatro che ospita lo spettacolo della natura. Alla meccanica quantistica sono affidate sceneggiatura e regia. Protagonista di tutte le rappresentazioni è sempre lo stesso interprete unico, poliedrico e trasformista; secondo il copione scritto dalla meccanica quantistica egli recita indossando due maschere: materia e radiazione.
Ma se scenografo e regista non parlano la stessa lingua, il successo dello spettacolo non può continuare a lungo. La formulazione della relatività speciale all'inizio del secolo non fu immediatamente seguita da comprensione e riconoscimento universali. Nel frattempo la meccanica quantistica, nata da esigenze e presupposti diversi, si era sviluppata senza tenerne conto. Pertanto l'equazione di Schrödinger rappresentava la traduzione delle sole leggi classiche del moto nel nuovo linguaggio del dualismo particella-onda. In particolare, essa non incorporava la stretta connessione tra spazio e tempo contenuta nei postulati della relatività e, conseguentemente, il concetto di equivalenza tra massa ed energia le era estraneo.
L'errore commesso a causa di quest' omissione doveva essere tutt'altro che trascurabile: per esempio lo stesso elettrone, uno dei protagonisti dei primordi della meccanica quantistica, è un oggetto tipicamente relativistico, capace di raggiungere velocità quasi uguali a quella della luce. Era evidentemente necessaria una riformulazione della meccanica quantistica che la rendesse compatibile con i principi della relatività.
Fu il fisico inglese Paul Dirac (1902-1984) a fornire la soluzione del problema nel 1928. Nel realizzare la fusione tra meccanica quantistica e relatività speciale, egli adottò un impianto formale matematicamente molto elegante, ma anche piuttosto complicato. La teoria veniva portata ad un superiore livello d'astrazione e, corrispondentemente, si connotava di nuove importanti implicazioni. Le sue conseguenze erano tanto inedite quanto difficili da accettare e comprendere.
L'equazione d'onda di Schrödinger per l'elettrone era sostituita da ben quattro equazioni simultanee. Non una, ma quattro funzioni d'onda erano necessarie per descrivere i possibili stati dell'elettrone: alla più familiare delle particelle elementari, apparentemente ben caratterizzata nel suo ruolo di costituente a carica negativa dell'atomo, veniva improvvisamente attribuito un duplice sdoppiamento.
Due delle quattro identità dell'elettrone furono subito riconosciute e ricondotte all'ipotesi che gli elettroni possedessero un intrinseco moto di rotazione attorno al proprio asse: si affermava così il concetto di spin, una delle proprietà fondamentali delle particelle elementari. I due possibili versi di rotazione pongono l'elettrone in due stati fisicamente distinti (rispettivamente con spin positivo o negativo), vagamente paragonabili alle due punte dell'ago di una bussola. Un modo per distinguerli consiste, infatti, nell'immergere gli elettroni in un campo magnetico e osservarne la reazione: così come delle due punte della bussola l'una si orienta sempre verso il polo nord magnetico terrestre, l'altra sempre verso il polo sud, in modo analogo l'elettrone con spin positivo e quello con spin negativo ruotano rispettivamente nel verso della vite sinistrorsa o di quella destrorsa rispetto alla direzione del campo magnetico. Difatti, l'ipotesi che l'elettrone possedesse uno spin era già stata avanzata qualche anno prima proprio come tentativo di rendere conto del comportamento osservato di certi atomi nel campo magnetico. La presenza di due tipi di elettrone con spin opposti riusciva poi a spiegare certe caratteristiche secondarie degli spettri d'emissione degli atomi: alcune righe si presentavano effettivamente sdoppiate.
Se due delle quattro soluzioni delle equazioni di Dirac avevano dunque una corrispondenza nel mondo fisico, di più difficile interpretazione era il significato delle rimanenti due soluzioni. Il modo in cui queste ultime derivavano dalle equazioni poteva far pensare semplicemente a una stranezza matematica: non è infrequente in fisica che gli strumenti matematici adottati per descrivere un fenomeno conducano ad un maggior numero di soluzioni rispetto a quelle fisicamente accettabili e che, quindi, alcune di esse vadano scartate. In questo caso, poi, le due soluzioni erano contraddistinte dall'avere energia negativa, in conflitto con la definizione stessa di energia, quantità intrinsecamente positiva.
I due ipotetici stati aggiuntivi dell'elettrone avevano quindi tutto l'aspetto di entità puramente matematiche, senza un reale significato fisico. Tuttavia Dirac ebbe il coraggio di azzardare un'ipotesi fisica, prefigurando l'esistenza di una nuova particella, dotata di energia positiva, in tutto identica all'elettrone, ma avente carica positiva anziché negativa. Un elemento davvero affascinante dell'ipotesi che fu avanzata da Dirac deriva dall'interpretazione del significato dell'energia negativa con cui la nuova particella emerge dal labirinto delle equazioni matematiche.
Cercherò di farne intuire il senso usando una raffigurazione forse più suggestiva che fedele alla realtà, ma capace di dare un'idea della portata rivoluzionaria della teoria. Si immagini che l'universo in cui viviamo sia in realtà la sovrapposizione di due mondi paralleli e speculari: mondo e antimondo. Così come il mondo è costituito a livello fondamentale da particelle di energia positiva, l'antimondo è popolato solo da particelle di energia negativa, seppure in un'identica varietà di esemplari e caratteristiche.
La rappresentazione del significato di energia negativa sarà quindi la seguente: nel mondo delle energie negative i concetti di presenza e assenza sono ribaltati. La presenza di un oggetto di energia negativa è quindi invisibile, mentre la sua assenza diventa visibile. Si pensi all'antimondo come ad una sorta di substrato uniforme che ingloba le particelle di energia negativa, rendendole indistinguibili da ciò che le circonda e quindi nascondendole alla nostra percezione. Così assimilate nell'antimondo, le particelle sono invisibili. Tuttavia, quando una particella fuoriesce dall'antimondo, staccandosi dal substrato in cui era inglobata, essa vi forma una cavità in cui lascia impresso il calco della propria immagine: l'assenza della particella diventa visibile. La cavità acquista le sembianze, seppur rivoltate, di una particella reale: si forma così un'antiparticella, immagine rovesciata della particella sfuggita all'antimondo.
L'antiparticella, in quanto risultato della sparizione di un oggetto di energia negativa, possiede energia positiva ed è quindi una vera e propria entità appartenente all'universo visibile. Analogamente, essa è caratterizzata da carica e spin opposti a quelli della corrispondente particella. In realtà, nessuna particella, né nel mondo né nell'antimondo, può scomparire nel nulla senza altri effetti: un simile evento violerebbe, ad esempio nel caso dell'elettrone, il principio di conservazione della carica elettrica, una delle leggi fondamentali della fisica. Ipotizzando che la particella lasci l'antimondo bisogna quindi anche chiedersi dove essa andrà a finire.
La risposta può essere una sola: mentre il suo distacco dall'antimondo produce un'antiparticella, essa stessa raggiunge il mondo delle energie positive, trasformandosi in una particella visibile. La comparsa di un'antiparticella deve essere quindi sempre accompagnata da quella, simultanea, di una particella della stessa specie: particelle e antiparticelle sono create a coppie. Invertendo il meccanismo, il modello prevede anche che si verifichi il fenomeno opposto: la transizione di una particella dal mondo all'antimondo, cioè da uno stato di energia positiva ad uno di energia negativa.
Creazione di un elettrone e di un positrone a partire da un fotone
In tale processo la particella, uscendo dal mondo, deve trovare una collocazione nell'antimondo. Per far ciò ha una sola possibilità, quella di occupare una cavità rimasta vuota. Ma, riempiendosi, la cavità diventa invisibile: si ha così la scomparsa di un'antiparticella dall'universo visibile. Dunque la sparizione di una particella implica quella di un'antiparticella: la distruzione di materia si verifica per annichilazione di coppie particella-antiparticella.
Annichilazione elettrone - positrone
La nuova particella di cui Dirac predisse l'esistenza era quindi l'antiparticella dell'elettrone, detta positrone o antielettrone: come tale, essa doveva possedere la stessa massa ma carica opposta, cioè positiva, e le sue due varietà di spin dovevano corrispondere a quelle dell'elettrone, ma scambiate tra loro. Poiché il positrone non fa parte dei costituenti dell'atomo e quindi della materia ordinaria, la sua comparsa avrebbe richiesto il verificarsi di qualche evento straordinario. Per una sua identificazione inconfutabile non sarebbe bastato osservare una particella uguale all'elettrone ma con carica positiva.
Il vero segno distintivo del positrone sarebbe infatti stato il suo modo di rendersi visibile: esso avrebbe dovuto apparire in coppia con il corrispondente elettrone. La creazione di coppie elettrone-positrone e la loro annichilazione rappresentavano l'aspetto della nuova teoria più interessante da verificare, per via delle attraenti implicazioni che la conferma di queste previsioni avrebbe avuto sulla natura e sul mondo. Entrambi questi fenomeni dovevano avvenire nel rispetto del principio di conservazione della massa, dell'energia e della relatività di Einstein. L'annichilazione, nonostante il nome, non poteva avere come risultato il nulla: la massa delle due particelle scomparse avrebbe dovuto convertirsi in qualche altra forma di energia, per esempio in energia di radiazione; viceversa, il processo di creazione, impossibile a partire dal nulla, avrebbe verosimilmente avuto origine dall'iniziale presenza di qualche forma di radiazione che fornisse l'energia necessaria a produrre le due masse.
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