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Il PESO della Leggerezza
Il Peso della Leggerezza
"Se prendi la sabbia fra le tue mani lisce,
le apri delicatamente
e scorre
una cascata d'oro dalle tue dita
affusolate,
rimarrà sospeso qualche granello fra le tue mani,
ora
ruvide,
sulla tua pelle.
Se soffi la polvere sullo scaffale della vita,
o passi un dito ballerino per sfiorarlo,
rimarranno piccoli residui fra le tue mani,
ora
grigie,
sulla tua pelle.
Se fai le bolle di sapone,
e le segui mentre volano
sul cielo
e si rincorrono
tra i muri dell'aria
ma poi un sussulto,
l'acqua ricade,
e qualche goccia insaponata
precipita,
rimarranno flebili ombre d'acqua fra le tue mani,
ora
bagnate,
sulla tua pelle.
Questa è la leggerezza?
Se svuoti d'aria il tuo corpo
per permettere ad un palloncino
di volare,
di raggiungere le stelle,
e d'un tratto quel rosso
più non vedi,
rimarrà solo il ricordo fra le tue mani,
ora
sole,
sulla tua pelle.
Questa è la leggerezza?
Eppure che fatica nel soffiare,
che debolezza nel corpo,
che vertigini!
La pelle consumata.
"Un chicco di grano, cadendo, non produce alcun rumore. Un sacco di grano invece si.
Come può una somma di silenzi dare origine ad un rumore?"
(paradosso di Zenone)
Allora la leggerezza ha un peso?
Il peso ha una sua leggerezza?
<<Che cosa dobbiamo
scegliere:
Peso o leggerezza?>>
(Milan Kundera,"L'insostenibile leggerezza dell'essere")
'Te ne vai leggero se non hai niente; ma la ricchezza è un peso più leggero.'
Johann Wolfgang Goethe (1749-1832),
INDICE
Io scelgo la leggerezza: la sconfitta del peso
a)la leggerezza del pensiero.
.nella letteratura:
-Italo Calvino."Lezioni americane-la leggerezza"
-Dante Alighieri e la "Divina Commedia".
La leggerezza della beatitudine e il peso del peccato.
- Aldo Palazzeschi: L'uomo di fumo e "Il codice di Perelà"
- Alessandro Manzoni: "Adelchi" e la morte di Ermengarda
.nella filosofia:
- Friedrich Nietzsche: "Contro lo Spirito di gravità", "Le tre metamorfosi", "l'eterno ritorno"
b)la leggerezza fisica
- Lucrezio e il "De rerum natura"
-il modello atomico
- le quattro forze fondamentali (la debolezza della forza gravitazionale a livello microscopico)
b)una strana leggerezza .
.nella tragedia
Medea vv473-476
Io scelgo il peso: la sconfitta della leggerezza
a)il peso dell'essere
-"l'insostenibile leggerezza dell'essere" Milan Kundera
-L'etica del dovere e della responsabilità:
Kant: la morale del dovere-per-il-dovere
Sartre: il peso della libertà
b)il peso dell'universo
-la forza gravitazionale universale
-la forza di gravità a livello interplanetario
3)EPILOGO
<<Si dovrebbe vivere con il peso e il dovere o con leggerezza e libertà?>>
(Milan Kundera, "L'insostenibile leggerezza dell'essere")
Un finale aperto
I tubi di Newton: corpo leggero e un corpo pesante cadono alla stessa velocità sul suolo.
Chimica nucleare: barioni e leptoni insieme per la materia.
Umberto Saba: I pesi della madre e la leggerezza del padre
"Mio padre è stato per me l'assassino"
("Due razze in antica tenzone.")
Il dubbio di Dante.
PREAMBOLO
Nella società in cui viviamo oggi la leggerezza sembra essere divenuta una costante irrinunciabile.
Più si avvertono, soffocanti, i pesi della vita (la famiglia, il lavoro, le malattie, il disagio generazionale ,le guerre) più si tenta di trovare una via di fuga verso tutto ciò che passa e non dura e ci garantisce la nostra libertà.
(Canta cosi Giorgio Gaber:
<< Hop, hop, hop
com'è misteriosa la leggerezza
hop, hop, hop
è una strana cosa, è una carezza
che non vuoi
hop, hop, hop
butta via il dolore, la pesantezza
hop, hop, hop
cerca di inventare la tua leggerezza
e volerai.>>)
Ad esempio alla precarietà dell'esistenza delle tribù dovuta a siccità,
malattie, influssi maligni, lo sciamano rispondeva annullando il peso del suo
corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo dove poteva trovare le forze
per modificare la realtà.
Nel Medioevo dove la donna sopportava il peso più grave di una vita di
costrizioni, le streghe volavano di notte sui manici delle scope e anche sui
veicoli più leggeri come spighe o fili di paglia.
E oggi? www.lyricsmania.com/ ]
Aerei, dirigibili, grattacieli che solleticano il cielo, viaggi interstellari , macchine sempre più veloci ,modelle e sportivi, le antiche e attuali pratiche dello yoga, bit che si rincorrono come saette nei computer contribuiscono ad accrescere nel nostro immaginario l'idea della leggerezza.
Ma cosa ci rivela questa leggerezza?
E' semplice frivolezza e superficialità?
Si può vivere un'esistenza costellata esclusivamente di "doveri" che ci impediscono di raggiungere la felicità?
(Il povero Atlante era felice di portare sulle proprie spalle il peso del mondo?)
Ma senza doveri e responsabilità si può essere davvero tutti più leggeri e felici?
(O l'incoscienza rischia di farci volare troppo vicini al sole e di bruciare le nostre ali, come Icaro?)
Il mio percorso è pronto a rispolverare il volto della "leggerezza" e del suo nemico- fratello "peso" nella storia dell'uomo e delle sue manifestazioni privilegiate : letteratura, filosofia, scienza.
Perché?
Forse per scoprire come l'uomo sia irrimediabilmente condannato a scegliere in ogni attimo della sua esistenza tra desideri opposti: vita e morte,bene e male,ragione e follia.peso e leggerezza.
La sua è una bidimensionalità irriducibile, ineliminabile.
E allora:
<<Che cosa dobbiamo scegliere:
Peso o leggerezza?>>
Credo, dunque, sia giusto scegliere entrambi.
Vediamo che cosa accadrebbe se scegliessimo la leggerezza:
1)Io scelgo la leggerezza: la sconfitta del peso
Così come per Gaber, anche per Italo Calvino, uno dei più originali scrittori del nostro Novecento, la scelta della leggerezza è fondamentale. Dedica, infatti, la prima delle "lezioni americane" all'opposizione leggerezza-peso, dichiarando di sostenere le ragioni della leggerezza. Il suo lavoro di scrittore è stato infatti una sottrazione di peso; egli ha cercato di togliere peso soprattutto alle strutture del racconto e del linguaggio per cercare di frantumare i pesi dell'esistenza.
Scrive invero: <<Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza, l'inerzia, l'opacità del mondo: qualità che s'attaccano subito alla scrittura,se non si trova il modo di sfuggirle. In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa.>>
Aggiunge: <<Nei momenti in cui il regno dell'umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio[.].Nell'universo infinito della letteratura s'aprono sempre altre vie da esplorare, nuovissime e antichissime. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro>>.
Ad esempio una via d'esplorare antichissima per ricercare la nostra immagine positiva di leggerezza è il De rerum natura di Lucrezio: <<E' la prima grande opera di poesia in cui la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. Lucrezio vuole scrivere il poema della materia ma ci avverte subito che la vera realtà di questa materia è fatta di corpuscoli invisibili. La più grande preoccupazione di Lucrezio sembra quella di evitare che il peso della materia ci schiacci. Egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertà tanto alla materia quanto agli esseri umani>>.
D'altronde ogni ramo della scienza sembra voglia dimostrarci che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei tempi.Così come gli atomi.
Si considera l'atomo l'unità più piccola e indivisibile della materia, dal greco "atomòs", indivisibile, risalente alla dottrina dei filosofi Leucippo Democrito ed Epicuro.
E' la più piccola parte di ogni elemento presente in natura che ne conserva le caratteristiche chimiche.
Il modello atomico previsto da John Dalton è un autentico trionfo della leggerezza.
Esso afferma infatti :
-la materia è fatta di atomi piccolissimi, indivisibili e indistruttibili
-gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali tra loro
-gli atomi di elementi diversi si combinano tra loro in rapporti di numeri interi e piccoli, dando così origine a composti
gli atomi non possono essere né creati né distrutti
-gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di altri elementi.
La materia dunque non è continua, ma formata da particelle microscopiche e leggerissime.
Il nostro peso non è altro che una somma perenne di leggerezze.
Ma non ci si ferma qui.
Un atomo è costituito da un nucleo interno composto da protoni e neutroni e da un certo numero di elettroni(pari a quello dei protoni, se l'atomo è neutro).
Ma non è finita.
Nel 1932 il chimico nucleare Anderson scoprì grazie all'utilizzo di una camera a nebbia l'esistenza di particelle simili agli elettroni ma con carica opposta che denominò positroni (un positrone ha carica elettrica pari a +1 e spin di ½ e la stessa massa dell'elettrone. Quando un positrone si annichila con un elettrone la loro massa viene convertita in energia,sotto forma di due fotoni ad altissima energia nella banda dei raggi gamma).
Ecce l'antimateria!
Un vero e proprio scacco al peso.
Nel 1955 Chamberlain, Owen, Fermi scoprirono l'antiprotone, una particella dell'antimateria analoga al protone, con massa e spin uguali e carica elettrica opposta (gli antiprotoni hanno vita breve, perché ogni collisione con un protone causa l'annichilazione di entrambe le particelle con un rilascio di energia).
Da allora sono state scoperte numerose altre particelle grazie all'utilizzo di particolari macchine,gli acceleratori, il cui scopo è quello di produrre fasci di ioni atti a colpire particelle più pesanti per liberarne delle altre.
Oggi la materia viene di fatto suddivisa in due grandi categorie:
ADRONI e LEPTONI.
L'adrone è una particella che sente la forza nucleare forte. Non è una particella fondamentale ma composta da fermioni (quark e antiquark di 6 tipi) e bosoni come i gluoni.
La famiglia degli adroni è ulteriormente divisa in 3 sottogruppi:
-barioni (dal greco "barùs" pesante) formati da 3 quark come i protoni e i neutroni e gli iperoni.(mentre i nucleoni sono costituiti solo da due tipi di quark, up e down,gli iperoni hanno al loro interno quark più pesanti come strange, charm e bottom).
-barioni esotici, incluso il pentaquark
-mesoni formati da coppie quark-antiquark come pioni e kaoni.
Il leptone (dal greco "leptòs" leggero) si ritiene sia una particella puntiforme, ovvero non ulteriormente divisibile. I leptoni non subiscono interazioni forti e sono suddivisi in tre famiglie:
elettroni, muoni e particelle tau e i loro rispettivi neutrini.
I primi tre hanno carica negativa e massa differente. I neutrini non hanno carica elettrica e sono dotati di una massa piccolissima.
Anche dentro la leggerezza scopriamo dunque inevitabilmente uno scontro tra leggerezza e peso, tra leptoni e barioni.
Ma siccome sosterremo le ragioni della leggerezza per il momento è utile sottolineare un altro aspetto.
Le forze che uniscono tali particelle sono di 4 tipi, come previste dal modello Standard e in ordine decrescente di intensità esse sono: l'interazione nucleare forte, l'interazione nucleare debole, l'elettromagnetismo e la gravità.
L'interazione nucleare forte agisce come una potentissima colla e assicura la coesione fra protoni e neutroni all'interno dei nuclei atomici; l'interazione nucleare debole si esercita tra leptoni o leptoni e quark ed è responsabile del decadimento radioattivo di alcune particelle mentre l'elettromagnetismo regola le forze elettriche e magnetiche, mantenendo gli elettroni all'interno del nucleo.
La gravità è di gran lunga la forza più debole; infatti, ad esempio, l'interazione nucleare forte che lega due protoni è cento miliardi di miliardi di miliardi di miliardi più intensa della corrispondente forza di gravità.
Nel panorama scientifico viene appunto chiamata "l'esclusa".
Il peso è dunque una debolezza. Ce lo dice pure il nostro Dante. Il peso è la debolezza delle carni, dell'animo, è il peccato.
Nella Divina commedia, Dante ci propone in differenti contesti la descrizione di una barca che si fa strada sulle acque.
La prima è la barca di "Caron dimonio, con occhi di bragia" sulla quale si accalcano i dannati bramosi di passare all'altra riva, a confine tra il mondo dei vivi e l'Ade e il suo doppio, la nave di Flegias che, sotto il peso di Dante, si immerge più profondamente nelle acque infernali dello Stige, la cui palude separa dal basso inferno i cerchi dei peccati di incontinenza:
<<Lo duca mio discese ne la barca,
e poi mi fece intrare appresso lui;
e sol quand'io fui dentro parve carca.>>
(Inf., VIII, 25-30); mentre l'altra imbarcazione degna di nota è un 'vasello snelletto e leggiero / tanto che l'acqua nulla ne inghiottiva' (Pur., II, 41-42). Ed in questa contrapposizione così voluta è difficile non scorgere l'eco di un'altra antitesi: la pesantezza si fa avanti nell'Inferno - nel regno della materia che non si è fatta spirito, mentre il luogo della leggerezza ci riconduce alle rive del Purgatorio, - e cioè là dove le pene non ci gravano più e si fanno sempre più lievi.
Viene effettivamente spontaneo paragonare il vascello dell'angelo nocchiero con la barca pesante e sporca di Caronte. Si intuisce subito dal confronto la differente natura dei peccatori nell'inferno e nel purgatorio. Là i loro peccati erano pesanti e facevano andare a fondo persino la barca che li trasportava, qui, nel secondo regno, sono meno pesanti perché le anime devono scontrare la tendenza che le ha spinte al peccato, anche se ormai destinate alla purificazione. Ne è alleggerito, data questa condizione, anche il vascello dell'angelo nocchiero.
Dante introduce la figura dell'angelo nocchiero, attraverso una similitudine: paragona la sua lucentezza, quando è ancora lontano all'orizzonte, al colore rosso del pianeta Marte al momento del suo tramonto sul mare. E allora come Marte, tramontando sul mare, solleva i vapori delle acque, così come le anime ascendono al cielo con maggior leggerezza.
Nel canto XII del Purgatorio Dante cammina a fianco di Oderisi finché Virgilio non lo esorta ad andare avanti e ad abbassare lo sguardo a terra: il poeta si accorge allora che il pavimento della cornice del primo girone è istoriato delle immagini di esempi celebri di superbia punita, immagini che, per la perfezione della tecnica pittorica, suscitano in Dante grande ammirazione.
Virgilio invita Dante, che fino allora aveva camminato lentamente e curvo <<come i buoi che vanno a giogo>> a lasciare la schiera dei superbi e a procedere più speditamente:
<<Io m'era mosso, e seguia volentieri
Del mio maestro i passi, e amendue
Già mostravam com'eravam leggieri>>
Dante e Virgilio possono infatti procedere più speditamente rispetto alle anime dei superbi, invece oppressi dai massi che portano sulle spalle.
Nel Canto X Dante nota infatti che i penitenti avanzano curvi sotto gravi massi e somigliano alle cariatidi che vengono raffigurate nell'atto di reggere qualcosa,in posizione di sforzo. I peccatori sono più o meno piegati a seconda del peso che portano e questo è in relazione alla gravità del peccato; alcuni sembrano all'estremo della sopportazione: <<piangendo parea dicer: "Più non posso".>>
Durante l'ascesa Dante avverte una sensazione di leggerezza :
<<Già montavam su per li scaglion santi,
ed esser mi parea troppo più lieve
che per lo pian non mi parea davanti>>
e Virgilio, interrogato in merito, gli spiega come essa sia destinata ad aumentare dal momento che, salendo, egli si libererà via via dai sette peccati simbolicamente inscritti quali 'P' sulla sua fronte: il poeta allora sente con le dita che in effetti di esse ne rimangono solo sei.
E se apriamo le porte del Paradiso un vortice di leggerezza può allietare i nostri cuori, qui, dove la beatitudine diventa ,nella evanescenza e nella luminosità delle sue anime ,metafora di liberazione dal peccato.
Nel III canto del Paradiso a Dante appaiono i volti di varie anime,ma così tenui da sembrare immagini riflesse in un vetro trasparente o in acque nitide:
<< Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde che i fondi sien persi,
tornan d'i nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte
non vien men forte a le nostre pupille>>
Credendo appunto di vedere immagini riflesse , Dante si volge indietro, ma non scorge nulla.
Stupito guarda Beatrice che,sorridendo,gli spiega che si tratta veramente di spiriti beati relegati qui per non aver adempiuto ai voti fatti.
Ma possiamo liberarci di un peso anche soltanto parlando,sfogandoci?
Certamente.
La tragica Medea di Euripide non esita a scagliarsi contro il suo adorato-odiato marito Giasone per sfogare tutto il proprio dolore umano che sembra averla paralizzata.
Nel V episodio dell'omonima tragedia, "infelice", "violenta nel carattere" ,dopo aver apostrofato il marito come "scellerato" muta repentinamente intonazione creando un calcolato effetto- sorpresa:
<<Hai fatto bene a venire.
Io infatti,certamente, mi sentirò più leggera
Parlando male di te e tu invece soffrirai
Ascoltando>>
Tremenda è la nostra Medea, la figura più complessa e inquietante della letteratura tragica greca.
Appartiene alla stirpe del sole,metafora splendente di "levitas", ma un elemento sembra rimanere costante:
l'oscurità,la "tenebra" che ne avvolge la figura,come a presagire un destino funesto,che si identifica con la natura assassina della principessa barbara. La nostra Leggerezza comincia a lasciare aperto qualche dubbio.
E' giusto liberarsi delle proprie pene riversandole sull'altro?
Eppure il dramma umano che sta vivendo è profondo. L'onta che ha subito,l' "oltraggio",ovvero il nuovo matrimonio di Giasone con Glauce, la figlia di Creonte, re di Corinto, pesa come un fardello sul suo cuore.
Se non agirà alla svelta,nessuno potrà impedire il biasimo in cui dovrà incorrere.
Seguendo il filo d'Arianna della storia della leggerezza e rimanendo nei paesaggi dell'Ellade ,non lontanissimi dalla nostra Medea,dovremmo ricordare anche due poeti di età ellenistica, Callimaco e Teocrito.
I poeti di Alessandria dovettero ricostruire il loro mestiere quasi dalle fondamenta in seguito al dilagare del nuovo 'medium', la scrittura, che coinvolse autori e destinatari, impegnati ormai a recepire correttamente il testo. L'immenso materiale trattato dal poeta-erudito, che nel nuovo universo libresco rappresenta le tradizioni della stessa Grecia storica, doveva essere riplasmato sulla nuova inedita misura della vita quotidiana nella metropoli internazionale. La sintesi fra tradizione, che guarda al passato rincuorando il dotto, e la vita quotidiana, che guarda al presente e al futuro, riesce a Callimaco quasi sempre felice in virtù soprattutto di una sottile ironia non dissacrante ma più intimamente partecipe. Già come autore degli Inni, testi di tradizione codificata, Callimaco riplasma questa tradizione traendone accenti nuovi, consoni alla temperie allessandrina. Anche i temi cortigiani come quello della 'Chioma di Berenice' o della 'Vittoria di Berenice' sono trattati con leggerezza, con amabile confidenza, e con esito gradevole. Callimaco fu poeta del 'leptòn', (la 'leggerezza'), della 'steinotère 'odòs' (la 'strada stretta'), e dell' oligostikìe', (i 'pochi versi'); poeta del vero documentato con certezza. La poesia nuova tende a una brevità raffinata, leggera, una ricercatezza sorvegliata, un lento e faticoso 'labor limae', un'originalità capace di conciliare la memoria del passato con la realtà quotidiana, con i temi antieroici della vita comune.
Tutte queste preferenze callimachee contrastano radicalmente con le teorizzazioni aristoteliche; Aristotele riteneva infatti che la struttura di qualsiasi opera artistica si fondasse sui principi di unità, continuità, compiutezza ed estensione: ogni parte doveva agire con l'opera intera, mimesi, a sua
volta, di un'azione unica in se stessa compiuta e di una certa estensione; modelli di ogni opera poetica erano per il filosofo i due poemi omerici e le migliori opere della tragedia attica. Ben diversi, e anzi polemicamente antitetici appaiono i capisaldi della poetica di Callimaco, enunciati per lo più in negativo, in opposizione alle dottrine degli avversari. Spiccano in particolare il richiamo alla 'oligostikìe', la predilezione per la poesia di pochi versi contrapposta all'epos convenzionale (quello post-omerico chiamato con disprezzo 'ciclico'), la ricerca di novità e originalità, di percorsi non battuti (si veda il Prologo degli Aitia contro i Telchini), e la ricerca della 'leptòtes', cioè di una poesia fine, quella della Musa 'Leptalèn'.
Teocrito invece è considerato il meno artificioso e il più spontaneo dei poeti ellenistici. Certo c'è in lui un sentimento più vero e immediato, un amore più genuino per la vita agreste, ma questa spontaneità è a volte solo un'impressione, dovuta alla brevità e leggerezza delle poesie, alla scelta dagli argomenti, alla rappresentazione di un mondo cittadino o borghese, della vita quotidiana vista con realismo, dei sentimenti analizzati soprattutto nelle sfumature, nelle pene e tristezze d'amore.
Un esempio ne è il Ciclope (XI idillio),che, ignaro del linguaggio d'amore, poiché rozzo e selvaggio, cerca istintivamente di ricostruirlo impiegando le immagini del mondo che gli è familiare (come quando paragona la sua bella alla panna, a un'agnellina o a un acino d'uva acerba).
E' devastato dalla passione d'amore tanto che :
<<Non l'amava coi pomi,con la rosa
o con gli anelli,ma da vero folle
e nulla aveva più peso per lui>>
Si tratta della follia d'amore che devasta l'innamorato come una malattia,secondo un'idea che deriva dalla poesia arcaica e dalla tragedia.
<<O bianca Galatea,perché respingi
Chi t'ama,tu più bianca del formaggio,
d'un agnello più tenera, più altera
d'una vitella, più lucente e liscia
dell'uva acerba, tu che mi compari
insieme al dolce sonno e ti dilegui,
appena il dolce sonno se ne va?>>
Che leggerezza in queste parole, così dolci quanto ingenue e a volte bizzarre!
Così la poesia può permettere di dar sfogo alle pene d'amore e offrire consolazione e riparo agli eterni inconsolabili.
La poesia è, infatti, in opposizione all'angoscia dell'amore, "qualcosa di leggero per gli uomini e soave" e "trovarlo non è facile".
Teocrito è in realtà un poeta dotto e il suo amore per la natura è più riflesso che spontaneo, cioè è nostalgia di un mondo ormai soffocato dalla vita convulsa della città, è un mondo di pastori che ad un tratto abbandonano il linguaggio rozzo e parlano con finezze e citazioni dotte.
Tuttavia le descrizioni vaste e serene, il realismo, la vivacità dei caratteri umani, il buon gusto, la raffinatezza e il senso della misura nell'idealizzazione della natura salvano Teocrito dal manierismo e ne fanno un poeta vero. La fortuna di Teocrito fu immensa; Virgilio s'ispirò a lui. Ma troppo spesso gli imitatori caddero nella falsità (come l'Arcadia settecentesca) creando un mondo di damerini travestiti da pastori.
Una insolita leggerezza la si riscopre
anche nello struggente ritratto ,che,
con pennellate veloci e vibranti,ci dipinge Manzoni nella sua tragedia "Adelchi",
in particolare nella I scena dell'atto IV
ove il coro rievoca il dramma della
principessa Ermengarda e della sua morte
dopo essere stata dilaniata e consumata dall'amore per Carlo Magno:
<<Cessa il compianto:unanime
S'innalza una preghiera:
Calata in su la gelida
Fronte,una man leggiera
Su la pupilla cerula
Stende l'estremo vel.>>
E' la mano della morte (una man leggiera), calata sulla fredda fronte, e distende sugli occhi celesti di Ermengarda l'ultimo velo, ovvero l'annebbiamento della vista che accompagna il momento del trapasso.
Ai pesi della vita terrena, al fardello d'amore si sostituiscono le dita leggere della morte,la prospettiva di una nuova vita in cui ogni uomo avrà la giusta ricompensa delle sue sofferenze e dei suoi meriti.
Continuando il nostro percorso dovremmo aggiungere anche Aldo Palazzeschi, scrittore e poeta dal temperamento focoso e ribelle, un provocatore di professione attraverso le forme originalissime della sua scrittura e per la sua particolare lettura della realtà. <<Perelà è la mia favola più aerea, il punto più elevato della mia fantasia>>: così Aldo Palazzeschi definisce "Il codice di Perelà", testo composto tra il 1908 e i primi mesi del 1911, pubblicato nello stesso anno con il sottotitolo "romanzo futurista". Strutturato in diciotto capitoli, narra le vicende di Perelà, uomo fatto "d'una materia diversa da quella di tutti gli altri uomini", composto di fumo e venuto fuori dal fuoco di un camino, costantemente sorvegliato da tre vecchissime madri, Pena, Rete e Lama. Uscito dal camino all'età di trentatré anni, l'omino di fumo s'incammina per il mondo e giunge al regno di Torlindao, dove viene battezzato Perelà dalle iniziali dei tre nomi che continua a ripetere ossessivamente. Esaltato ed ammirato come un essere eccezionale, purificato dal
fuoco di qualsiasi interesse e di qualsiasi egoismo, viene addirittura incaricato dal Re di redigere un nuovo Codice che risolva i problemi lasciati insoluti dalle leggi "decrepite e grinzose" in vigore fino a quel momento. Sarà trovato morto Alloro, l'anziano e fedelissimo maggiordomo del re, che in un folle tentativo emulazione si darà fuoco nella speranza di diventare anche lui di fumo. .
La responsabilità di questa morte atroce sarà attribuita a Perelà, improvvisamente considerato pericolosissimo e destabilizzante per il regno, ingiuriato, arrestato, processato e condannato ad essere imprigionato in un camino angusto, da cui per altro lui scapperà subito via, diventando una nuvola.
In questo totale rovesciamento di valori e realtà, gli unici valori positivi, affermativi, sembrano restare la pazzia creativa, autentica, di alcuni pazzi ricoverati nel manicomio (in particolare il pazzo che volontariamente ha rifiutato il regno e si è autorinchiuso in manicomio) e la leggerezza ostinata, irrinunciabile di Perelà, che resiste alle lusinghe del potere, alle offerte di onori, all'orrore della morte di Alloro, alla condanna alla reclusione perpetua, che lui trasforma in una fuga definitiva.
Dell'opera, quasi interamente dialogica, sono state date diverse interpretazioni: per Ardengo Soffici l'uomo di fumo è il simbolo del poeta nella società contemporanea, un'ombra proiettata su uno scalcinato muro di cui nessuno sembra più accorgersi; per Luigi Russo l'opera è legata soltanto ad un'irriverente volontà di divertimento, in linea con il Futurismo e con la dichiarazione di poetica che possiamo desumere in "Lasciatemi divertire".
"Il codice di Perelà" è dominato da una dichiarata ricerca di "leggerezza"( «Io sono molto leggero, sì, sì, leg-ge-ro, leggerissimo» grida Perelà e il sole "essendo un pezzo di carta, leggerissimo, rimane sempre su, come l'aquilone),verbale e strutturale, che porta al sovvertimento dei canoni tradizionali del romanzo. Il procedere narrativo è affidato ad una successione di scene o quadri dialogici, in cui i fatti sono presentati attraverso i molteplici punti di vista dei personaggi. L'effetto comico e parodistico deriva soprattutto dal linguaggio: l'autore insiste sui giochi lessicali e adotta registri diversi a seconda dei personaggi, ridotti a pure voci, semplici discorsi diretti, disposti in un dialogo corale fittissimo ed incessante.
(Perelà, l'uomo di fumo)
Riprendendo il discorso di Calvino con il quale avevamo cominciato:<<Da quanto ho detto fin qui mi pare che il concetto di leggerezza cominci a precisarsi!>>.
Esiste infatti una leggerezza del pensiero così come esiste una leggerezza della frivolezza; "anzi la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca" sostiene Italo.
Per illustrare meglio tale idea fa riferimento ad una novella del Decameron dove appare il poeta fiorentino Guido Cavalcanti. Siamo nella sesta giornata, dedicata ai motti di spirito. Elissa, regina della giornata, racconta una novella che ha per protagonista il poeta. Mentre è assorto nei suoi pensieri tra le tombe del Battistero di San Giovanni, incontra alcuni giovani che cercano di
provocarlo, perché sono infastiditi dalla diversità di quest'uomo, solitario e dedito agli studi. Ma Cavalcanti ha la risposta pronta: <<Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace>>.
Ma al di là della battuta, è fondamentale sottolineare l'immagine evocata da Boccaccio.
Lo scrittore Italo Calvino ha colto nell'agile salto con cui Cavalcanti esce di scena il significato centrale di tutta la novella.
Cavalcanti si libera d'un salto <<sì come colui che leggerissimo era >>.L'apparente "gravità" di Cavalcanti è nel suo pensoso isolamento, che lo rende diverso dagli altri giovani nobili fiorentini, che avevano l'abitudine di riunirsi "in brigata", di vestirsi allo stesso modo e di divertirsi scorazzando
per la città. Ma in realtà è una pesantezza apparente, secondo Calvino, perché contiene <<il segreto della leggerezza>>, ovvero della libertà intellettuale e dell'agile vitalità del pensiero
Il peso della cultura: La letteratura come funzione esistenziale, la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere).
Calvino, Lucrezio, Palazzeschi, Dante, sono tutti "reggitori" della bandiera della leggerezza.
Però esaltando la leggerezza del pensiero sovviene repentinamente alla memoria la filosofia di Nietzsche. Il suo pensiero è una progressiva decostruzione del mondo decadente e corrotto del suo tempo. Come per Calvino il lavoro di scrittore è stato un tentativo di sottrazione di peso, allo stesso modo per Nietzsche lo è stata la sua filosofia.
Nel suo capolavoro "Così parlò Zarathustra" egli scrive:<< Il mio stomaco è forse uno stomaco di aquila? Infatti ama sopra ogni cosa la carne di agnello. Comunque è certamente uno stomaco di uccello. Nutrita di cose innocenti e di poco, pronta e impaziente di volare, di volare via; questa è dunque la mia specie: come non potrebbe avere in sé qualcosa della specie degli alati! E soprattutto è tipico della specie degli alati che io sia nemico dello spirito di pesantezza: proprio nemico mortale, nemico di cuore, per natura!>>
Lo spirito di pesantezza è lo spirito di gravità, che pesa sull'esistenza dell'uomo (è raffigurato da un 'nano') rendendolo cieco (vi è infatti anche la figura della 'talpa').
<<Chi
un giorno insegnerà agli uomini a volare, avrà abbattuto ogni limite; tutte le
pietre di confine voleranno in aria, egli ribattezzerà la terra, chiamandola
'la leggera'.
Lo struzzo corre più veloce del più rapido cavallo, ma anche lui piega
ancora la greve testa nella terra greve: così l'uomo, che tuttora non può
volare.
La terra e la vita sono gravi per lui; così vuole lo spirito di gravità! Ma chi
intende diventare leggero e alato, deve amare se stesso: così io
insegno.>>
<<E
noi, noi ci trasciniamo dietro fedeli, ciò che ci è stato dato in dote, su dure
spalle e per scabrose montagne! E quando sudiamo, ci dicono: 'Sì, la vita è pesante da portare!'
Ma è l'uomo soltanto che è pesante a se stesso da portare! Questo avviene
perché trascina con sé troppe cose estranee sulle sue spalle. Simile al
cammello, si inginocchia e si lascia ben caricare.
Particolarmente il forte, l'uomo che porta pesi sulle spalle, riverente per
natura: troppe parole e valori estranei e pesanti si addossa; poi la vita gli
sembra un deserto!>>
Secondo il filosofo l'uomo non può volare a causa dei pesi a lui estranei che porta sulle proprie spalle, ovvero la morale,la religione,la scienza i cui principi e valori sono del tutto trascendenti e fallaci, non umani o "troppo umani".
Questa immagine negativa del peso ritorna proprio nel primo discorso di Zarathustra sulle "tre metamorfosi" ove si assiste alla genesi e nel contempo si comprende il senso dell'Oltreuomo.
Le tre figure del cammello, del leone e del
fanciullo sono i simboli del procedere umano verso la propria auto liberazione
dagli idoli della superstizione(la religione) e della colpa(la morale),verso
l'innocenza dionisiaca del superuomo.
<<Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito:come lo spirito diventa
cammello,e il cammello leone,e infine il leone fanciullo.
Molte cose pesanti vi sono per lo spirito,lo spirito forte e paziente nel quale abita la venerazione:la sua forza anela verso le cose pesanti,più difficili da portare.
Che cosa è gravoso?Domanda lo spirito paziente e piega le ginocchia,come il cammello e vuol essere bene caricato>>.
Il cammello rappresenta l'uomo che porta i pesi della tradizione e che si piega di fronte a Dio e alla morale all'insegna del "tu devi".
A tal proposito scrive Lucrezio:
"Humana ante oculos foede cum vita iaceret
In terris oppressa gravi sub religione,
quae caput a caeli regionibus ostendebat
horribili super aspectu mortalibus instans"
"Quando la vita dell'uomo giaceva vergognosamente
A terra,sotto gli occhi di tutti,schiacciata sotto il peso
della religione,che dalle regioni del cielo mostrava
il suo volto,incombendo sui mortali con il suo terribile aspetto"
Il soggetto in forte rilievo, la "religio", accentuato dall'iperbato, apre il quadro che dipinge a tinte fosche la miseria dell'uomo piegato sotto il peso della superstizione, personificata nella mostruosa religio che mostra il suo volto minaccioso dall'alto dei cieli.
Ho voluto proporre questa immagine perché del tutto vicina a quella dipinta dal filosofo dell'800.
E anche i risultati perseguiti da entrambi non si discostano notevolmente.
Infatti nel deserto, dove vive carico dei suoi pesi, il cammello si trasforma tuttavia in leone. L'uomo paziente e rispettoso ora si libera dai pesi che lo opprimevano, combatte contro la morale che gli è stata imposta, riconosce il suo stato di alienazione precedente. Nella lotta contro il "grande
drago",che rappresenta il sistema dei valori e delle idee dominanti,egli risveglia la libertà che è in lui e si libera di tali fardelli all'insegna dell'io voglio.
"Quare religio pedibus subiecta vicissim
Obteritur, nos exaequat victoria caelo"
"Perciò la superstizione,posta sotto i piedi,
è a sua volta calpestata,e la vittoria ci solleva fino in cielo".
Lucrezio dipinge un altro affresco sublime per concludere il proprio discorso. L'uomo, compreso l'errore della religio, ha il coraggio di alzare lo sguardo, di non temere più il mostro e lo calpesta sotto i piedi, pronto, leggero a innalzarsi in cielo e a sostituire gli dei.
E' un leone rabbioso, un Prometeo latineggiante. Però, nella variante nietzschiana, si deve ancora compiere un ulteriore passo.
La libertà è ancora negativa (libertà da non di).
La sua è solo una volontà critica non produttiva e costruttiva. E' necessaria dunque una terza metamorfosi <<il leone rapace deve diventare fanciullo>>. Il fanciullo è l'oltre uomo che sa dire di sì alla vita e inventare se stessa al di là del bene e del male, a guisa di spirito libero.
Il fanciullo è l'unico essere leggero, che crea indefinitamente la sua leggerezza perché privo dei pesi della tradizione. E solo l'Oltreuomo, che accetta la vita con tutta la sua drammaticità e sofferenza con uno slancio gioioso e dionisiaco, è in grado di accogliere la teoria dell'eterno ritorno dell'uguale che altrimenti graverebbe come un peso sull'uomo del gregge sino a stritolarlo. E il tema dell'eterno ritorno e dell'amore per esso (amor fati) affiora anche nella 'Gaia scienza', dove Nietzsche dice: 'Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: 'Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso.
L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!'. Non ti rovesceresti a terra digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: 'Tu sei un Dio e mai intesi cosa più divina'? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: 'Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?' graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?
Milan Kundera,autore de "L'insostenibile leggerezza dell'essere" a tal proposito apre così il proprio libro:<<L'idea dell'eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell'imbarazzo:pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l'abbiamo già vissuta,e che anche questa ripetizione debba ripetersi all'infinito!Che significato ha questo folle mito?
Il mito dell'eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita come linea continua, che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile ad un'ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla>>.
(L'Eterno Ritorno)
Invece nel mondo dell'eterno ritorno,su ogni gesto grava il peso di una insostenibile responsabilità.
<<C'è un'enorme differenza tra un Robespierre che si è presentato una sola volta nella storia e un Robespierre che torna eternamente a tagliare la testa ai francesi>> scrive Kundera.Di fatto se l'uomo sapesse di dover vivere per sempre tale sofferenza starebbe più attento a fare le proprie scelte, a non ricommettere gli stessi errori.
Ecco perché Nietzsche chiamava l'idea dell'eterno ritorno il fardello più pesante (das schwerste Gewicht).
<<Se l'eterno ritorno è il fardello più pesante,allora le nostre vite su questo sfondo possono apparire in tutta la loro meravigliosa leggerezza>> sostiene lo scrittore ceco.
Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa?
A porre l'interrogativo è sempre Milan Kundera.
Egli sostiene che il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo.
Ma nella poesia d'amore di tutti i tempi la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell'uomo.
Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l'immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra,tanto più reale e autentica.
Al contrario l'assenza assoluta di un fardello fa sì che l'uomo diventi più leggero dell'aria, prenda il volo verso l'alto, si allontani dalla terra, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato.
Vediamo quindi che cosa accadrebbe se scegliessimo il peso e considerassimo la leggerezza "negativa", come frivolezza, superficialità.
Io scelgo il peso:la sconfitta della leggerezza
D'altronde la leggerezza non sempre è una qualità positiva. Scrive il nostro Calvino:<<L'insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Kundera è in realtà un'amara constatazione dell'Ineluttabile pesantezza del Vivere>>.Il peso del vivere per Kundera sta nelle immagini di leggerezza:nella fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre più stretti .Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. I quattro protagonisti del romanzo Thomas, Teresa,Sabina e Frank sembrano infatti volere sprofondare in un'esistenza inautentica, senza costrizioni dedita al rischio, al tradimento, alla frivolezza ,all'immaturità. Ma "la gioia più profonda spesso è composta più di gravità che di gaiezza" ci ricorda Michel de Montaigne. E a ribadirlo è Milan Kundera :<<Un dramma umano si può sempre esprimere con la metafora della pesantezza. Diciamo, ad esempio, che ci è caduto un fardello sulle spalle. Sopportiamo o non sopportiamo questo fardello, sprofondiamo sotto il suo peso, lottiamo con esso, perdiamo o vinciamo. Ma che cos'era successo in realtà a Sabina? Niente. Aveva lasciato un uomo perché voleva lasciarlo. Lui l'aveva forse perseguitata? Aveva cercato di vendicarsi? No. Il suo non era un dramma della pesantezza, ma della leggerezza. Sulle spalle di Sabina non era caduto un fardello, ma l'insostenibile leggerezza dell'essere>>.
Aggiunge: <<Sabina aveva attorno a sé il vuoto. E se quel vuoto fosse stato la meta di tutti i suoi tradimenti? Fino ad allora, naturalmente, non se ne era resa conto e ciò era comprensibile: la meta che l'uomo persegue è sempre velata. La ragazza che desidera il matrimonio desidera qualcosa di cui non sa nulla. Il giovane che brama la gloria non ha alcuna idea di cosa sia questa gloria. Ciò che dà un senso al nostro comportamento è sempre qualcosa che ci è totalmente sconosciuto. Anche Sabina non sa quale sia la meta che sta dietro il suo desiderio di tradire. L'insostenibile leggerezza dell'essere, è questa la meta?>>
Per lo stesso Beethoven la pesantezza è qualcosa di
positivo.<<Der schwer gefasste Entschluss>>(
La pesantezza, la necessità e il valore sono tre concetti intimamente legati tra loro.
Solo ciò che è necessario è pesante, solo ciò che pesa ha valore.
Tale convinzione la condividiamo un po' tutti: la grandezza di un uomo risiede per noi nel fatto che egli porta il suo destino come Atlante portava sulle spalle la volta celeste.
Atlante, figlio di Urano e quindi fratello di Crono, lo sa molto bene. Lui che dopo avere partecipato alla lotta tra i Giganti e gli dei fu punito da Zeus, che lo condannò a sorreggere per l'eternità la volta del cielo. Atlante riuscì a convincere Eracle a sostituirlo temporaneamente nella sua punizione, a patto che quegli andasse a raccogliere i pomi d'oro delle Esperidi. Tuttavia per Eracle fu assai difficile convincere Atlante a riprendere il suo posto, e dovette ricorrere ad uno stratagemma. Perseo gli mostrò la testa di Medusa, e così Atlante si trasformò nell'omonimo monte che si trova nel nord dell'Africa. Con queste spoglie, Atlante continuò a sorreggere la volta
Quello di Atlante è un arduo un compito, un dovere, una responsabilità.
E questa responsabilità può bloccare il respiro, far tremare le gambe ma nel contempo renderci consapevoli che il mondo si regge tutto sulle nostre spalle, è nelle nostre mani e qualunque cosa in esso accada, giusta o sbagliata, noi ne siamo i diretti responsabili.
Sartre lo aveva compreso perfettamente. Secondo il pensiero del filosofo esistenzialista
l'angoscia infatti è il sentimento vertiginoso da cui ciascuno di noi è preso nel momento in cui si scopre unico responsabile dei suoi atti e della scelta dei suoi possibili:
<<l'angoscia fa tutt'uno con il senso di questa schiacciante responsabilità di ciascuno davanti a tutti,che è il nostro tormento e la nostra grandezza>> .
L'uomo deve scegliere, ma scelte leggere non possono essere prese, né "incoscienti" o "inconsapevoli".
E "L'uomo è condannato ad essere libero', proclama Jean-Paul Sartre in una formula apparentemente paradossale: Egli sottolinea così l'idea che la libertà dell'uomo è infinita e che, allora, rende, l'uomo interamente responsabile delle sue scelte. Nessuna scusa, nessun rammarico: <<se la libertà è assoluta, io scelgo il significato dato all'esistenza. La libertà m'impegna per il valore che io attribuisco all'umano>>.
Sostiene infatti:
<<"Si ha la guerra che si merita'. Così, totalmente libero, indistinguibile dal periodo di cui io ho scelto di essere il senso, profondamente responsabile della guerra come se l'avessi dichiarata io stesso, non potendo affatto vivere senza integrarla nella mia situazione, senza impegnarmi completamente e segnarla con il mio sigillo, io debbo essere senza rimorsi e rimpianti come sono senza scusa, perché, dal momento del mio sbocciare all'essere, io porto il peso del mondo tutto da solo, senza che niente o nessuno possa alleggerirlo».
Scegliere il peso significa dunque scegliere se stessi, scegliere di essere responsabili e consci delle proprie scelte.
La scelta del peso è quella che compie anche Kant e che affronta ne la "Critica della Ragion pratica".
La sua è infatti una morale del "dovere-per-il-dovere", ossia dello sforzo di attuare la legge della ragione solo per ossequio ad essa, e non sotto la spinta di personali inclinazioni o in vista di risultati che possono scaturirne.
Di conseguenza, secondo
<<Dovere!-esclama Kant- Nome sublime e grande, che non porti con te nulla di piacevole che importi lusinga; ma esiga la tua sottomissione; che tuttavia non minacci nulla, ma presenti semplicemente una legge che penetra da sé sola nell'animo e si procura venerazione>>
E' utile sottolineare un aspetto. Kant parla di "sottomissione" e sembrerebbe così ritornare l'immagine negativa del "peso", come fardello. Poi chiarisce "che tuttavia non minacci nulla",anzi innalzi l'uomo al di sopra del mondo sensibile,fenomenico,dove vige il meccanismo delle leggi naturali,sino al mondo noumenico,dove vige la libertà.
Kant però sostiene che non basta il dovere e il rispetto della legge vi deve essere una partecipazione interiore:non è morale ciò che si fa, ma l'intenzione con cui lo si fa.
Egli presuppone quindi l'esistenza di una volontà buona.
A livello scientifico ,quando usciamo dai ristretti e microscopici ambienti atomici ,precedentemente analizzati, e ci trasferiamo nello spazio dove regnano enormi distanze e corpi di grande massa come pianeti, stelle, galassie e ammassi di galassie, la gravità prende il sopravvento e diventa l'unica forza dominante.
La gravità è responsabile del moto e in particolare della caduta al suolo degli oggetti sul nostro pianeta; la gravità orchestra e dirige il movimento della Luna attorno alla Terra, dei pianeti attorno al Sole, del Sole attorno al centro della galassia, della galassia all'interno del Gruppo Locale (il piccolo gruppo di galassie che contiene anche la nostra) e degli ammassi di galassie nell'universo
Infine la gravità influenza l'espansione dell'universo e concorrerà a stabilire se l'espansione continuerà per sempre oppure se un giorno si arresterà e invertirà il suo corso; in quest'ultimo caso l'universo subirà un collasso che lo porterà di nuovo verso uno stato infinitamente piccolo, caldo e denso come all'inizio dei tempi.
Platone ed Aristotele pensavano che solo alcuni corpi, che chiamavano pesanti, fossero soggetti alla gravità. Tra i corpi pesanti non erano inclusi stelle, pianeti, Sole e Luna, il cui movimento 'naturale' era ritenuto quello circolare. Aristotele pensava inoltre che oggetti di peso diverso cadessero a velocità diverse. Questa opinione fu contraddetta, nel VI secolo d.C., da Giovanni Filopono, che aveva affermato che facendo cadere corpi di masse differenti nello stesso momento si poteva verificare che arrivavano al suolo contemporaneamente. L'antica idea di Filopono fu ripresa all'inizio dell'età moderna da Galileo Galilei.
Keplero stabilì che le orbite dei pianeti sono ellittiche, ma pensava tuttavia che il movimento dei pianeti fosse dettato da qualche 'forza divina' emanata dal Sole. Newton realizzò che la stessa forza che causa la caduta di una pietra sulla Terra mantiene i pianeti in orbita attorno al Sole, e la Luna attorno alla Terra.
Isaac Newton (Woolsthorpe 1642 - Londra 1727) nacque nello stesso anno in cui, in Italia, si spegneva un altro grande genio, Galileo Galilei (Pisa 1564 - Arcetri 1642).
Gli studi e le opere di Newton sono stati fondamentali per lo sviluppo della matematica, della fisica, dell'astronomia, dell'ottica ed è praticamente impossibile descrivere in poche pagine tutti i contributi al progredire della scienza dovuti a questo grande scienziato.
Noi ci limiteremo ad accennare al contributo più importante nel campo dell'astronomia: la teoria della gravitazione universale, una delle più alte vette raggiunte dal pensiero umano.
Secondo una storia ormai famosa un giorno Newton era
assorto nei suoi pensieri mentre contemplava
Partendo da questa idea e dalle caratteristiche del movimento dei pianeti (descritte mirabilmente dalle leggi di Keplero) Newton arrivò alla conclusione che in natura deve esistere una forza universale di tipo attrattivo che agisce su tutti i corpi, dalle mele al Sole e ai pianeti. Più precisamente la forza di attrazione che si sprigiona fra due corpi è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza . Questa forza fu chiamata forza di gravità.
Nel libro Philosophiae Naturalis Principia Mathematica del , Isaac Newton enunciò la legge di gravitazione universale:
'Qualsiasi oggetto dell'Universo attrae ogni altro oggetto con una forza diretta lungo la linea che congiunge i baricentri dei due oggetti, di intensità direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza'.
Ciò equivale alla seguente formulazione algebrica:
dove :
F = modulo della forza gravitazionale intercorrente tra i corpi;
G = costante di gravitazione universale;
m1 = massa del primo corpo;
m2 = massa del secondo corpo;
r = modulo della distanza tra i due corpi;
Attorno a questo punto importantissimo Newton costruì una teoria molto potente ed elegante, la teoria della gravitazione universale, grazie alla quale è possibile studiare con estrema precisione il movimento di un qualsiasi corpo soggetto alla forza di gravità, dalle mele che cadono al movimento delle stelle, dei pianeti e delle comete. Le leggi di Keplero sono una naturale conseguenza di questa teoria, in particolare delle caratteristiche matematiche della forza di gravità.
La teoria della gravitazione universale è una delle teorie più precise che esistono; ancora oggi essa è di fondamentale importanza oltre che per lo studio dei corpi celesti anche lo studio del movimento dei satelliti artificiali e delle sonde interplanetarie.
Che lo si voglia o no, anche lo "Spirito di gravità" ha le sue medaglie e le sue coppe.
EPILOGO:
È noto a tutti che se noi solleviamo un oggetto con una mano e poi molliamo la presa, questo cade per terra con una certa velocità; il fenomeno è attribuibile alla forza di gravità esercitata dal nostro pianeta sull'oggetto in questione.
Ma cosa succede se noi lasciamo cadere dalla stessa altezza e nello stesso istante due corpi di forma e composizione diverse (per esempio un sasso e una piuma)? I due corpi cadranno al suolo con la stessa velocità nello stesso istante o con velocità diverse in istanti diversi?
Se noi realizziamo un esperimento del genere nei nostri laboratori senza particolari precauzioni il risultato è scontato: il sasso giunge al suolo molto prima della piuma.
Il peso vincerebbe sulla leggerezza.
Ma questo risultato non ci deve trarre in inganno; infatti, oltre alla forza di gravità, sui due corpi agisce anche la resistenza dell'aria che dipende fortemente dalla forma del corpo in questione.
Di conseguenza il quesito che ci siamo posti deve essere riformulato nella seguente maniera: trascurando la resistenza dell'aria (cioè operando in assenza di atmosfera), due corpi di forma e composizione diversa lasciati cadere contemporaneamente dalla stessa altezza arrivano al suolo nello stesso istante ,oppure no?
Il tubo di Newton ci
dimostra che un corpo leggero e un corpo pesante cadono alla stessa velocità
sul suolo!
ESPERIMENTO:
Materiali
Il tubo di Newton
Una pompa da vuoto
Procedimento Il tubo di Newton consiste in un tubo di vetro dotato, ad una estremità, di un rubinetto che consente di togliere l'aria interna mediante una pompa da vuoto. All'interno del tubo sono contenuti: un
pezzetto di piombo e
una piuma. Si deve porre il tubo in verticale e, quando gli oggetti sono
raccolti al fondo, capovolgerlo rapidamente ed osservare. Fare ora il
'vuoto' nel tubo, ripetere la prova precedente .
Conclusioni
La prova dice che quando non c'è la resistenza dell'aria i corpi in caduta
libera si muovono con la medesima velocità giungendo a terra nello stesso
momento. Ciò conferma l'affermazione di Galileo Galilei: 'Se si fosse in grado di rimuovere la resistenza del mezzo, tutti
i corpi scenderebbero con la stessa velocità'.
La scienza ci ha fornito una risposta molto importante:
Peso e leggerezza possono avere lo stesso valore.
Ora vediamo la letteratura.
Al centro della produzione di Umberto Saba vi è un'antitesi inconciliabile, un'insanabile conflitto tra la "pesantezza" della madre, che incarna il principio materno del dovere-responsabilità e la "leggerezza" del padre, che incarna il principio del piacere-irresponsabilità.
Questa scissione di fondo è esemplificata un uno dei quindici sonetti autobiografici contenuti nell'opera di Saba intitolata «Autobiografia», scritta alla fine del 1922:
"Mio padre è stato per me l'assassino".
Mio
padre è stato per me l''assassino',
fino ai vent'anni che l'ho conosciuto.
Allora ho visto ch'egli era un bambino,
e che il dono ch'io ho da lui l'ho avuto.
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
5 un sorriso, in miseria, dolce e astuto,
Andò sempre pel mondo pellegrino;
più d'una donna l'ha amato e pasciuto.
Egli era gaio e leggero; mia madre
10 tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un
pallone.
'Non somigliare - ammoniva - a tuo
padre'.
Ed io più tardi in me stesso lo intesi:
eran due razze in antica
tenzone.
Alcune essenziali
notizie biografiche risultano utilissime per comprendere appieno questa lirica,
che possiede comunque una chiarezza essenziale.
Bisogna dunque sapere che la madre del poeta fu abbandonata dal marito, Ugo
Edoardo Poli, prima che il figlio nascesse; e la donna descrisse sempre al
poeta il proprio padre in termini durissimi, definendolo spesso
'assassino', dato che non solo aveva distrutto la famiglia ma anche
le speranze della sua giovinezza. Saba era dunque cresciuto portandosi dietro
quell'immagine negativa del genitore, fino a quando, all'età di vent'anni, lo
conobbe e lo scoprì straordinariamente simile a se stesso, non soltanto nei
tratti fisici ma anche nella volubilità dell'animo, da cui aveva ereditato il
'dono' della poesia.
Nella poesia constatiamo infatti che il padre è scappato come un bambino non
ancora pronto ad assumersi le proprie responsabilità, con il desiderio di
vivere alla giornata, di essere libero.
Una leggerezza che contrasta il peso della madre di Saba che deve fare contemporaneamente da madre e da padre e avere cura del figlio.
La fuga del padre infantile si può comprendere con la similitudine del v11 .Egli sfugge alla moglie come un palloncino,leggero e imprendibile. In realtà il poeta usa il termine <<pallone>> per esigenze metriche e ciò contrasta la prima immagine della similitudine poichè ingombrante e pesante.
La struttura della poesia, semplice come gran parte della produzione di Saba, segue un procedimento simmetrico: alla figura paterna sono dedicate le due quartine, mentre nelle terzine è l'immagine materna a dominare. Ne emerge infine una contrapposizione fra due mentalità assai differenti, ma il recupero dell'immagine paterna non scalfisce la figura della madre: il poeta mostra infatti un senso di compassionevole amorevolezza verso questa donna oppressa dai 'pesi' della vita ed incapace, per carattere e cultura, di comprendere la natura inquieta del compagno. Anche l'ammonizione a non assomigliare al padre, pur nella sua severità, è dettata dall'amore, tanto che Saba, comprendendone la sostanza, conclude il sonetto senza formulare accuse: è stata la diversità dei temperamenti a determinare l'inevitabile distacco:
"eran due razze in antica tenzone."
Questo allora è il vero senso della vita:
Capire che la "verità" risiede sempre nel mezzo,in una sorta di coincidentia oppositorum, nell'accettare il vero delle opposizioni e superare le loro differenze?
Parmenide vedeva l'intero universo diviso in coppie di opposizioni:luce-buio,spesso-sottile,caldo-freddo,essere-non essere. Uno dei poli dell'opposizione era per lui positivo (la luce, il caldo, il sottile, l'essere),l'altro negativo.
Questa suddivisione può apparirci molto semplice e ovvia.
Tranne in un caso:
Che cos'è positivo, la pesantezza o la leggerezza?
Parmenide rispose: il leggero è positivo, il pesante è negativo.
Aveva ragione oppure no?
(Ricordiamoci Umberto Saba:
"eran due razze in antica tenzone.")
Potremmo allora cercare la nostra risposta in Dante,maestro di certezze e di verità assolute.
Infatti Dante, nel Paradiso, chiede all'angelica Beatrice come possa un corpo pesante, come il suo, trascendere i cieli, fatti di etere, di elementi leggeri.
In realtà Beatrice non risponde di preciso a ciò che il poeta ha chiesto, allargando il problema alla naturale tendenza dell'anima a Dio.
L'ascesa del poeta, benché non sia ancora beato, è comunque voluta da Dio.
La salita al cielo è il naturale compimento dell'espiazione totale e non ha nulla di miracoloso.
Dovrebbe meravigliarsi del contrario, Dante:
<<Meraviglia sarebbe in te se, privo
D'impedimento, giù ti fossi assiso,
com'a terra quiete in foco vivo>>
Se, leggero, libero dal peccato, fosse rimasto piantato a terra.
Anche con Dante un buco nell'acqua.
Un alone di misticismo quasi religioso, oscuro sembra pervadere questo interrogativo.
Allora una sola cosa è certa:l'opposizione pesante-leggero è la più misteriosa ed ambigua tra tutte le opposizioni.
Laura Lo Presti
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