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Il modello di Bohr




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Il modello di Bohr


La scoperta del fatto che la luce si propaga nello spazio e può essere emessa dalla materia soltanto sotto forma di pacchetti discreti influì profondamente sulle idee che si avevano in quegli anni riguardo la struttura degli atomi stessi.


Alle fine dell'Ottocento il modello più valido, dopo la scoperta dei raggi catodici, era quello proposto nel 1897 da J. J. Thomson, noto come "plum pudding model", secondo cui l'atomo è costituito da una sfera carica positivamente, che possedeva gran parte della massa dell'atomo stesso, contenente disseminati al suo interno gli elettroni.


                   


Nel 1911 però Ernest Rutherford portò a termine una serie di esperimenti al fine di sottoporre a verifica il modello di Thomson. L'esperimento principale consisteva  nel lanciare contro una lamina d'oro molto sottile un fascio di particelle a. Queste particelle viaggiano ad 1/10 della velocità della luce e la maggior parte attraversa la lamina come se questa non ci fosse.









Misurando gli angoli di diffusione delle particelle a deviate si possono ottenere informazioni sulla struttura dei bersagli che hanno urtato, anche se questi non sono visibili. A differenza di quanto ipotizzato dal modello di Thomson, le particelle avevano grandi angoli di diffusione ed alcune venivano addirittura respinte dalla lamina. Per spiegare questo fenomeno Rutherford propose un nuovo modello, noto come modello planetario dell'atomo: l'atomo è costituito da un nucleo positivo estremamente piccolo posto al centro di una sfera molto più grande dove la carica negativa degli elettroni è distribuita in modo più o meno uniforme, ma di certo non in modo statico altrimenti verrebbe attratta per la forza di Coulomb. Venne inoltre naturale vedervi la somiglianza con la formula di gravitazione universale, che portò a supporre che gli elettroni si muovessero lungo orbite ellittiche.





Sulla base dell'esperimento di Rutherford gli elettroni risentirebbero di un'accelerazione centripeta, e quindi, secondo la teoria di Maxwell, una carica accelerata emette sempre energia sotto forma di onde elettromagnetiche. Ciò comporta due problemi:


l'emissione continua di energia dovrebbe portare gli elettroni ad avvicinarsi sempre di più al nucleo, descrivendo una traiettoria a spirale, fino a giungere su di esso in un intervallo di tempo dell'ordine di .

Durante il movimento a spirale, le onde elettromagnetiche emesse dovrebbero avere uno spettro continuo, ovvero dovrebbero contenere tutte le frequenze comprese tra un valore minimo e uno massimo.


Nel 1912 il giovane Niels Bohr, che aveva studiato sotto la guida di Rutherford, suppose, per ovviare a questa contraddizione, che a livello atomico le leggi della meccanica e dell'elettromagnetismo non valessero più. Introdusse così alcune ipotesi arbitrarie, ma che furono in seguito spiegate scientificamente.


Il raggio delle orbite degli elettroni attorno al nucleo può avere soltanto un certo insieme di valori permessi.


Quando l'elettrone percorre una di queste orbite (dotate di un'energia ben definita) non irraggia.


In sostanza, dunque, l'elettrone rotante intorno al nucleo obbedisce a tutte le leggi meccaniche della fisica classica, ma non alle leggi elettromagnetiche di Maxwell, nel senso che nel suo moto non emette radiazione. Con la meccanica classica si può perciò trattare l'equilibrio dinamico del sistema in uno stato stazionario:



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