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TITO LUCREZIO CARO: LA PORTATA E I LIMITI DEL PROGRESSO
Tito Lucrezio Caro, visse nell'età di Cesare, probabilmente tra il 98 e il 55 a.C., ma di questo poeta e filosofo latino si hanno scarse notizie biografiche. Forse di origine campana, è stato definito da molti "il poeta della ragione", per gli sforzi profusi nell'insegnamento dell'uso della ragione e nella diffusione del pensiero di Epicuro, di cui fu ammiratore e seguace fedele.
Scrisse il "De rerum natura", poema epico-didascalico in esametri, perché profondamente convinto di avere una missione da compiere per il bene dell'umanità: divulgare nel mondo romano la filosofia epicurea, l'unica in grado di salvare l'uomo, mediante l'utilizzo della ragione, dai suoi problemi esistenziali.
Secondo Lucrezio solo la luce della ragione avrebbe rischiarato le tenebre in cui gli uomini brancolavano, nonostante le progredite condizioni di vita.
Lucrezio scelse la poesia di ispirazione solenne per il desiderio di raggiungere anche gli strati più alti della società con il proprio messaggio. Nella dolcezza della poesia, Lucrezio cercò l'antidoto al sapore amaro di una dottrina ardua e difficile che avrebbe potuto impaurire i suoi lettori.
L'opera, il cui titolo è la traduzione latina del greco "Perì physeos" ("Sulla natura"), titolo dell'opera più importante di Epicuro, è strutturata in tre gruppi di due libri e ogni diade tratta un argomento diverso.
Il I ed il II libro prendono in esame la fisica epicurea, il III e IV espongono temi legati all'antropologia come la natura mortale dell'anima e la teoria delle sensazioni mentre il V ed il VI libro trattano argomenti cosmologici. In modo particolare nel V libro Lucrezio ricostruisce la storia dell'uomo e dell'universo e, a partire dal verso 925, espone la sua concezione del progresso.
Il libro si apre con un elogio ad Epicuro, immediatamente seguito da una sezione dedicata all'origine del mondo, degli astri e alla nascita della vita sulla terra.
Lucrezio non idealizza le condizioni di vita degli uomini primitivi, anzi le rappresenta realisticamente evidenziando la difficoltà di vivere in un ambiente selvaggio ed ostile.
L'autore rifiuta il mito poetico dell'età dell'oro secondo cui il decadimento e il regresso dell'umanità sono iniziati quando gli dei hanno abbandonato gli uomini che, all'inizio della loro storia, vivevano in una condizione di perfetta felicità, non conoscevano fatiche né malattie e la natura era molto generosa nel donare i propri frutti.
In seguito il poeta illustra il lento e graduale sviluppo dell'umanità mettendo in luce come il progresso è stato realizzato dagli uomini con grande fatica, attraverso l'utilizzo della ragione, in una sfida senza fine contro ostacoli ed avversità.
Nella storia del progresso umano si sono alternate fasi positive, come la scoperta del linguaggio, del fuoco, dei metalli e dell'agricoltura, ad altre negative come le guerre o la nascita del timore religioso; solo alla fine di un lungo cammino, la ragione, grazie ad Epicuro, ha portato alla scoperta della verità.
Nella parte conclusiva del libro, infine, l'autore esprime il suo giudizio riguardo il progresso umano delineando aspetti positivi e negativi.
Il progresso è positivo solo se libera l'uomo dall'oppressione e se l'uomo per realizzarlo non entra in conflitto con le leggi naturali. Lucrezio lo valuta positivamente fin quando è utile a soddisfare bisogni primari, mentre lo condanna duramente dal punta di vista etico quando è fonte di decadenza morale, cioè quando provoca l'insorgenza di bisogni innaturali.
Il progresso infatti ha accresciuto i bisogni non naturali, ad ogni gradino della civiltà umana il loro numero è aumentato perché, soddisfatti i bisogni essenziali, l'essere umano è sempre più desideroso di cose vane ". E dunque il genere umano senza frutto e invano si affanna in perpetuo, consumando la vita in inutili travagli; e non fa meraviglia, perché non conosce misura al possesso, e nemmeno fin dove il genuino piacere si accresca."
Con il progresso però l'uomo è sempre più angosciato da sciocche paure e da pericolose passioni e quindi è sempre più scontento. Al miglioramento delle condizioni di vita non si accompagna dunque un aumento della felicità umana.
Lucrezio sostiene quindi che la soluzione ai problemi esistenziali l'uomo può trovarla negli insegnamenti di Epicuro che sosteneva che, per essere veramente felici, è sufficiente evitare gli sprechi inutili e soddisfare esclusivamente i bisogni naturali.
Lucrezio sostiene quindi che il rimedio all'avidità, alla corruzione morale, ai vizi e alle ambizioni politiche che caratterizzano le età più progredite e che generano odio e guerre, sia l'accettazione del messaggio epicureo.
Il progresso morale, unico vero progresso, secondo il poeta della ragione, si verifica solo attraverso la dottrina epicurea grazie alla quale è possibile riscoprire che "di poche cose ha davvero bisogno la natura del corpo".
Il "summum cacumen" citato nell'ultimo verso (1457) altro non è che il culmine del progresso umano, la "vetta suprema" che coincide con la filosofia epicurea " e i vantaggi e tutti i raffinati piaceri della vita, carmi, pitture, statue rifinite con arte,fu l'uso e l'esperienza dell'alacre mente a insegnarli avanzando a poco a poco con lento cammino. Così il corso del tempo sospinge a mano a mano ogni cosa nel mezzo, e la ragione la innalza alle rive della luce. Infatti vedevano chiarirsi nell'animo una cosa dopo l'altra, finché con le arti raggiunsero la vetta suprema."
Lucrezio, delineando lo sviluppo della civiltà umana e confrontando gli uomini primitivi con i suoi contemporanei, non ricorda con nostalgia il passato né rinnega completamente il progresso che viene inteso come perfezionamento delle condizioni di esistenza e sviluppo delle facoltà intellettuali, ma anche come esasperazione dei problemi psicologici e sociali dell'umanità.
Non sempre i "civilizzati" riescono a realizzare un arricchimento dell'esperienza morale: il progredire della tecnica, della scienza e delle condizioni esteriori di vita si accompagna a un progressivo esaurirsi delle energie morali alla cui restaurazione deve adoprarsi, secondo l'autore, la filosofia.
Frontespizio miniato del De rerum natura
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