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Modificazioni urbanistiche a torino: sviluppo industriale e barriere operaie agli inizi del '900




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MODIFICAZIONI URBANISTICHE A TORINO: SVILUPPO INDUSTRIALE E BARRIERE OPERAIE AGLI INIZI DEL '900


Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo Torino presentava uno scenario molto diverso da quello odierno.

Era infatti presente attorno alla città una netta linea di demarcazione che divideva la zona  urbanizzata dalla campagna vera e propria.

Questo confine era costituito dalla cinta daziaria, la cui edificazione risaliva al 1851.

La cinta era in realtà un grosso muro in cui si aprivano dei varchi per accedere in città, in corrispondenza delle più importanti arterie di comunicazione.


Pianta regolare della Città di Torino suoi Borghi ed adiacenze compilata per cura del Municipio sulla scala della mappa territoriale, Progetto della Cinta Daziaria, Torino, 1° agosto 1853 (Archivio Storico della Città di Torino, Decreti Reali, 1849-1863, serie 1K, n. 11, f. 106)


Le barriere daziarie (accessi "obbligati" alla città e controllati da agenti), erano localizzate nei punti di intersezione fra la linea del dazio e le principali strade di accesso alla città. Le barriere daziarie erano costituite di uno spiazzo libero di forma diversa, dove erano sistemati gli edifici destinati alla riscossione del dazio.

La cinta daziaria divideva il territorio comunale anche dal punto di vista della normativa: all'interno della cinta si applicavano strumenti di controllo a scala urbana ed edilizia (piani di ampliamento e regolatori, edilizi, d'igiene) invece all'esterno della cinta, dapprima vi fu una assenza quasi totale di strumenti di controllo dell'attività edilizia, poi vennero gradualmente introdotte norme sull'edificabilità lungo gli assi viari di accesso alla città, insieme a norme sull'espropriazione per causa di pubblica utilità.



Edoardo PECCO (Ingegnere Capo del civico Ufficio D'Arte), Piano Generale dell'andamento della Cinta Daziaria di Torino sulla sponda destra del Po secondo il progetto del Sott.° in data 26 Aprile colla modificazione approvata dal Consiglio Delegato in sua seduta 3 agosto 1853, Torino, 13 novembre 1853 (Archivio Storico della Città di Torino, Decreti Reali, 1849-1863, serie 1K, n. 11, f. 112)

All'esterno della cinta, in prossimità delle barriere e lungo gli assi viari più importanti della città, sorgevano e si ampliavano borghi e borgate. Con il termine barriere si userà chiamare proprio gli insediamenti abitativi sorti all'esterno della cinta.

A Torino le principali barriere erano dodici, ognuna delle quali si sviluppò seguendo modalità e criteri diversi.

Lo sviluppo industriale che toccò Torino tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo ebbe per la città una notevole importanza non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello dell'assetto demografico ed urbanistico.


  Infatti a partire da questo periodo le grandi industrie che contribuiranno a fare di Torino la "città industriale" per eccellenza, potevano disporsi indifferentemente in tutte le aree della periferia, non essendo più condizionate dalla dipendenza dall'energia idraulica che invece ne aveva, fino ad allora, limitato lo sviluppo e condizionato l'insediamento .

Così molte nuove fabbriche si ersero proprio nei quartieri periferici, contribuendo allo sviluppo urbanistico e demografico delle barriere che divennero il polmone industriale della nuova Torino.

Fuori cinta  gli aggregati urbani avevano carattere di borgo : tali nuclei urbani si formavano e crescevano in assenza di un quadro normativo.

Il Piano regolatore pel prolungamento dei corsi e vie principali fuori la Cinta Daziaria della Città di Torino (1887), si prefiggeva di disciplinare la situazione urbana ed edilizia fuori cinta.

Il Piano Regolatore Edilizio per la regione di San Paolo (1898-1901) è l'unico dei piani regolatori progettati in quegli anni e riguardante aree fuori cinta, a ottenere l'approvazione e a essere adottato.

Il piano giungeva in ritardo a frenare il crescente disordine di una situazione urbana ed edilizia già consolidata .

Il Piano Unico Regolatore e d'Ampliamento della Città di Torino (1906-1908), che riguardava tutta la città, veniva approvato con la legge speciale del 1908.

Il piano ancora una volta giungeva in ritardo rispetto al processo di edificazione in atto.

Fra i punti  salienti del piano (sostanzialmente ripresi dalle indicazioni contenute nei piani precedenti), vi si trovano la presa d'atto dei borghi e delle borgate connessi alle barriere della cinta; il prolungamento, dov'era possibile, degli assi viari principali della città; una nuova viabilità fondamentalmente basata su nuove strade anulari per collegare i borghi e le borgate suburbani; grandi isolati per inglobarvi i borghi già esistenti ma anche per contenervi possibili insediamenti industriali.

Borgo San Paolo legò il suo sviluppo alla crescita industriale cittadina tra la fine dell'800 e l'inizio del '900. Questa divenne una zona ad altissima densità industriale, fu costruito il complesso delle Officine Ferroviarie per la costruzione e le riparazioni delle locomotive e dei vagoni seguito, ai primi del '900, dalla Lancia e dalla Fiat SPA Automobili.

Anche la Barriera di Nizza, zona prevalentemente agricola e senza grandi tradizioni industriali, legò il suo sviluppo alla nascita della Fiat che nel 1916 consolidò la propria presenza in questa parte della città con la costruzione dell'imponente stabilimento del Lingotto, che avrebbe trasformato il territorio circostante a sua completa misura ed immagine, arrivando perfino a darne il nome (il quartiere del Lingotto).


Le barriere operaie

Il nascere di queste nuove realtà industriali, portò nei territori della periferia a importanti cambiamenti dal punto di vista demografico ed urbanistico.

Furono così molte le famiglie di lavoratori che si trasferirono dalle sovraffollate e insalubri abitazioni del centro storico o dei vecchi quartieri artigiani, alle barriere.

Tutti erano attratti da consistenti vantaggi come il minor costo degli affitti, le migliori condizioni abitative delle case e la vicinanza al posto di lavoro. Si calcola che tra la fine del 1800 e il primo decennio del 1900, la popolazione delle barriere aumentò rapidamente fino quasi a raddoppiare.

Lo sviluppo delle barriere portò con sé la creazione di un paesaggio urbano molto diverso da quello presente all'interno della cinta. Si affievolì infatti quel modello abitativo che aveva orientato il modo di vivere dei torinesi: se fino ad allora convivevano negli stessi palazzi persone di diversi strati sociali (ad esempio al primo piano abitava la famiglia proprietaria del palazzo, al secondo la servitù, al terzo gli artigiani e così via), la nascita delle barriere lasciò il posto ad una separazione delle classi sociali sul territorio cittadino.

Le barriera assunse così una connotazione sociale palesemente operaia, ma non solo: la popolavano sia i nuovi strati del proletariato industriale, sia altri ceti come gli artigiani, i commercianti e gli agricoltori.

La composizione sociale e l'isolamento urbanistico favorirono tra gli abitanti la nascita di un forte sentimento di appartenenza al borgo che a volte diveniva quasi orgoglio: la vita si svolgeva nel borgo stesso, dove si abitava, si lavorava e si trascorreva il tempo libero e da dove raramente ci si spostava.

La città sembrava così non comparire mai, tanto che vi fu un modo di dire molto diffuso tra i vecchi abitanti delle periferie i quali, per andare in centro, dicevano: "N'doma a Turin".

A saldare il legame tra il borgo e la sua gente concorreva sicuramente anche la presenza sul territorio di una fitta rete associativa, che andava dalle associazioni parrocchiali, alle bocciofile e ai circoli culturali.

Le barriere erano permeate da un forte clima di solidarietà che favoriva quelle funzioni tipiche del "vicinato", in cui acquistavano grande importanza le reti di relazione tra parenti, amici, compaesani e vicini di casa.

La rete di relazioni maschili si svolgeva intorno ai tre momenti che scandivano la vita degli uomini: il primo ed il secondo lavoro, il tempo libero. Era la rete di relazione che si sviluppava intorno alla seconda attività lavorativa ad assumere l'importanza maggiore nei rapporti di relazione all'interno del quartiere: infatti i prodotti del secondo lavoro non venivano quasi mai venduti, ma erano scambiati con altri prodotti o più semplicemente con altri favori.

La rete di relazioni femminili si sviluppava invece nell'ambiente domestico e di vicinato ed era caratterizzata da rapporti informali e flessibili in grado di intervenire in ogni momento di necessità, dall'accudire i figli ai piccoli prestiti di oggetti, favori, prestazioni

Erano proprio queste reti di relazione a far nascere all'interno dei borghi operai un clima di grande solidarietà, caratterizzato da una specifica socialità rionale estranea dal resto della città, che trovava proprio nella vita "da ballatoio" e di quartiere i punti più alti della sua espressione.

Il problema dell'abitazione operaia si poneva drammaticamente soprattutto nelle grandi città industriali non attrezzate per accogliere nuove concentrazioni di manodopera. Per tentare di risolvere questo problema furono fondate, verso la fine del 1800, numerose società di costruzioni con lo scopo di fornire agli operai abitazioni abbastanza comode e sane, che avessero i requisiti di igiene, riscaldamento,economicità. Sovente vennero costruiti in città i "casermoni" che offrivano un elevato numero di alloggi su di una superficie ridotta: questo permetteva un risparmio sul costo del suolo edificabile.



Il Villaggio operaio  Leumann

 



Nella seconda metà del XIX secolo furono costruiti in Italia diversi villaggi operai anche con l'intento teorico di risolvere le contraddizioni delle città industriali attraverso nuovi modelli sociali e urbanistici. In realtà gli imprenditori pensarono a un'organizzazione razionale , vantaggiosa e produttiva delle loro industrie. La creazione di comunità abbastanza chiuse e autosufficienti attorno ad un insediamento industriale facilitava un legame saldo tra la fabbrica e gli operai, tenuti lontani dalle idee "sovversive" che potevano circolare nelle grandi città. L'imprenditore però offriva livelli di vita superiori rispetto alla media, grazie ai servizi scolastici, sanitari,abitativi presenti nel villaggio. Qui l'imprenditore assumeva un ruolo quasi di "padre" a cui era affidata non solo l'organizzazione del lavoro, ma anche quella della vita più privata.

La borgata Leumann, restaurata ad opera della Regione Piemonte, a una decina di chilometri da Torino, fu fondata da Napoleone Leumann. L'industriale nel 1875 fondò il Cotonificio Leumann che diventò in breve tempo un'azienda di notevoli dimensioni e prestigio: dai duecento operai si passò, in meno di un decennio, a ottocento addetti, per arrivare nel 1911 a circa 1500.

Il villaggio Leumann non era soltanto un nucleo residenziale per i suoi operai, bensì un'area ben delimitata in cui produzione, abitazione, istituzioni sociali e previdenziali, tempo libero, erano strettamente connessi tra loro e formavano un organismo funzionale e socialmente evoluto. Il villaggio comprendeva 59 villini e case divisi in 120 alloggi che, originariamente, ospitavano un migliaio di persone.

I villini e le case, costruiti dal 1877 al 1906, furono progettati con varietà di forme e molti effetti decorativi.


Lo stile dominante è quello degli chalet, particolarmente evidente nella piccola stazione ferroviaria.

C'è anche una chiesa con due campanili, dallo stile un po' eccentrico.


 

 


Il complesso si sviluppa ai lati dello stabilimento tessile, su una superficie di 60000 metri quadrati.

Attorno alle case vengono costruiti i servizi necessari come la scuola elementare, l'asilo, la chiesa, il teatro e i bagni, un ambulatorio medico, una palestra ed un convitto per le operaie che dava alloggio a circa 250 ragazze tra i 13 e i 20 anni di età. 


 

 


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