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L'uomo: autore, centro e fine dell'attivita' imprenditoriale




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L'UOMO: AUTORE, CENTRO E FINE DELL'ATTIVITA' IMPRENDITORIALE



L'uomo: l'autore

L'Economia di Comunione si propone di ripensare le attività ed i rapporti economici alla luce di quanto a tale proposito è stato detto dal magistero cristiano, "l'uomo (.) è l'autore , il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale"[1].

Si mira, quindi, a ridare all'uomo la dignità in quanto essere umano e, per far ciò, è necessario non negare le dimensioni che sono in esso presenti.

Concepirlo nella sua integrità significa comprenderlo nella sua identità personale. Se non si può negare che l'uomo agisce per il proprio interesse individuale, è anche vero che fa parte della natura umana e delle sue capacità naturali agire anche per benevolenza, per altruismo, per la socialità; la "polis" è, di conseguenza, la dimensione costitutiva dell'uomo nel suo essere e nel suo agire, quello economico compreso.

L'autore dell'attività economica è l'imprenditore e questo, in conseguenza del suo essere in primo luogo uomo e poi imprenditore, si realizza nel gestire l'impresa non più come puro apparato di produzione, burocratizzato ed impersonale, finalizzato a far soldi, ma come comunità di persone. L'Economia di Comunione a tal fine suggerisce l'utilizzo di società (per azioni o no) in quanto strumenti di aggregazione economica che, pur nel rispetto delle regole per esse dettate dalle legislazioni dei paesi di appartenenza, deve contraddistinguersi per i caratteri che qui di seguito sono elencati:

In esse, pur non escludendo la presenza di azionisti con quote importanti, dovrebbe essere presente un azionariato diffuso, fatto di tante piccole quote.

La loro gestione dovrebbe essere affidata a persone professionalmente competenti e particolarmente motivate al nuovo tipo di economia, capaci di riscuotere la fiducia non solo dei possessori della maggioranza delle azioni, ma possibilmente della totalità degli azionisti.

Il comportamento aziendale, sotto il profilo della correttezza amministrativa e fiscale, della politica retributiva dei dipendenti, della sicurezza e della salubrità del posto di lavoro e dell'impatto sull'ambiente esterno dello stesso, dovrebbe risultare particolarmente rispettoso delle legislazioni vigenti.

I rapporti tra lavoratori, direzione e lavoratori, tra azienda e clienti, tra azienda e aziende concorrenti, tra azienda e pubblica amministrazione, dovrebbero essere sempre congruenti con i principi di economia di comunione, nel rispetto delle competenze e della sensibilità di ciascuno.

La gestione economica dovrebbe rispettare i canoni dell'efficienza e della produttività; l'azienda dovrebbe quindi mettersi in condizione di poter camminare con le proprie gambe, rimanendo però sempre aperta all'intervento della Provvidenza, quale naturale conseguenza del nuovo modo di agire economico in essa impostato.

Aspetto qualificante dell'azienda, per poter affermare la sua adesione ad "Economia di Comunione" , dovrebbe essere la decisione di tutti o almeno la maggioranza degli azionisti, di devolvere gli utili aziendali non indispensabili al consolidamento dell'azienda per l'aiuto degli ultimi e per la formazione a questa "cultura del dare" delle nuove generazioni, formazione da rendere possibile in vari modi, ma certamente tramite le strutture delle cittadelle, che dovrebbero essere considerate sempre più il cuore di questa economia.

Una forma preziosa e prioritaria dell'agire di queste aziende in aiuto ai bisognosi dovrebbe consistere nell'inventare per essi una attività produttiva; un modo efficiente per devolvere utili per gli ultimi potrà quindi risultare il far nascere le attività produttive ad alto contenuto di lavoro che altrimenti verrebbero scartate a causa della loro limitata, anche se sicura, redditività economica.

Tenendo presente che nel tempo si verificherà per qualche socio la necessità e la volontà di ricevere tutti gli utili che gli spetterebbero, oppure di rientrare in possesso dei capitali investiti, e comunque la necessità di confrontarsi con eredi che potrebbero avere idee diverse, per rispettare anche nel tempo quella caratteristica aziendale dell'Economia di Comunione , che è la libertà, di quanti "investono" in essa le loro risorse, essi dovranno poter disporre dei propri beni anche nel tempo; quindi le quote delle società dovranno mantenere un valore di mercato, cosa impossibile se la decisione di devolverne gli utili fosse per un periodo indefinito; essa di conseguenza dovrà essere rinnovata ogni anno da ogni socio, a cui la società dovrà assicurare la "libertà effettiva" di ricevere i propri utili in caso di decisione in tal senso: altrimenti si verrebbe a creare un piccolo sistema economico a sé, avulso dall'economia di mercato, che ostacolerebbe la diffusione dell'Economia di Comunione .[2]

Dagli otto punti elencati si delinea dal progetto un'impresa che si colloca in un sistema economico già esistente e ad esso si conforma per quanto attiene la forma giuridica, la legislazione fiscale e civile esistente.

Anche in questo carattere possiamo notare che viene rispecchiato quanto enunciato nell'ultima enciclica che "riconosce la positività del mercato e dell'impresa, ma indica nello stesso tempo la necessità che questi siano orientati verso il bene comune"[3]


L'uomo: il centro

Il "capitale umano" è al centro dell'impresa non solo in riferimento alla dimensione qualitativa e quantitativa, ma anche nella misura in cui vive inserito in una rete di rapporti, in una cultura e in un assetto istituzionale che ne consente lo sviluppo e il potenziamento.

Il lavoro assume una dimensione diversa, diventa un lavorare con gli altri che porta alla comprensione reciproca, alla condivisione di fatiche e problemi ed alla ricerca comune di nuove soluzioni.

Il rapporto interpersonale è un valore in sé in quanto risponde al bisogno d'integrazione sociale della persona. La qualità delle relazioni tra chi lavora nell'impresa è quindi il vero fattore competitivo, il "plus-valore umano" che le aziende di Economia di Comunione cercano di migliorare con una "strategia dell'attenzione" verso l'altro, andando cioè al di là dei "ruoli", essendo uomini tra gli uomini.

La "strategia dell'attenzione", per cui il dipendente si trova a svolgere il proprio lavoro in un luogo a lui non avverso, crea le condizioni favorevoli affinché questo possa riscoprire il piacere di svolgere un lavoro che lo gratifica, valorizzandolo come uomo. Questa gratificazione crea una conseguenza immediata che è l'attenuazione delle tensioni che spesso accumulate a lavoro vengono poi riversate anche esternamente. Si innesca cosi un ciclo virtuoso che in quanto tale non può far altro che creare dei ritorni positivi in azienda ed anche al di fuori di questa.

In conseguenza a quanto detto, si cerca di curare l'ambiente di lavoro, di promuovere sia il lavoro di gruppo, sia quello individuale. Vengono create opportunità di aggiornamento e apprendimento continuo. Si cerca di favorire la comunicazione interna e di adottare moderne tecniche di management orientate alla persona.

L'impresa mira, inoltre, alla creazione di nuovi posti di lavoro e cerca di andare incontro ai lavoratori che si trovano a fronteggiare situazioni difficili.


L'uomo: il fine

L'attività imprenditoriale, oltre ad essere concepita come un lavorare con gli uomini, è anche un lavorare per gli uomini  ed è proprio in questa dimensione del lavoro che si capisce come possa essere l'uomo il fine dell'attività stessa.

A volte il lavoratore vede il destinatario del proprio operare, come nel caso di una prestazione medica o di un trasporto in taxi, ma il più delle volte il rapporto tra chi produce un bene e chi ne usufruisce è impersonale, si produce ad esempio un'auto ma non si conosce chi l'acquista.

L'Economia di Comunione cerca nei suoi principi di riempire di significato questo rapporto impersonale che non è più tale se nel lavoro si applica la "strategia dell'attenzione" che fa sì che i due soggetti (chi produce e chi usufruisce del bene prodotto), diventino prossimi. L'attenzione posta verso il destinatario di un oggetto implica, a livello pratico, un maggiore impegno nell'offrire beni e servizi utili e di qualità.

Il lavorare per acquista un peso maggiore se si pensa che il "prossimo" non è solo l'utente o il consumatore ma anche l'indigente. La motivazione al lavoro (sia quello dell'imprenditore sia quello dell'operaio), si carica di un significato ancora più grande che non è la sola accumulazione di capitali ma è il mettere al centro dell'attività economica l'uomo e la sua felicità, una felicità che è tale solo se condivisa da chi lo circonda.

Questo voler "crescere insieme" si traduce nell'intento di produrre ricchezza senza sottrarla ad altri e mettendo anche questi nelle condizioni di produrla.

La ricchezza così realizzata non deriva soltanto dal lavoro fisico o intellettuale dell'uomo ma anche dalla creatività e dalla capacità che questo ha di immedesimarsi nei bisogni dell'altro. Questa comprensione profonda delle necessità altrui, che è il supervalore dell'unità, è frutto di una armoniosa collaborazione tra le parti (compreso l'indigente che dona il proprio bisogno) che porta all'unità d'intenti.

Tale atteggiamento che porta a comprendere negli obiettivi aziendali anche l'emarginato crea per quest'ultimo un'occasione di riscatto che purtroppo la mentalità odierna tende ad escludere.

Il povero difatti viene lasciato nella sua condizione e talvolta colpevolizzato del suo stato. Questa mentalità, di conseguenza, non crea in lui una ragione per trovare la forza di risollevarsi dal suo stato, perché sa già di essere stato catalogato e di non avere alcuna possibilità nei confronti di chi lo guarda con un certo distacco e disprezzo.

L'obiettivo quindi delle imprese di Economia di Comunione, è quello di creare delle opportunità per far si che queste persone possano esprimere la loro creatività e sviluppare e loro potenzialità.

È questo il passo iniziale da compiere affinché in ambienti degradati possa iniziare a risollevarsi dal loro degrado che oltre ad essere economico è anche di carattere morale.

Per portare avanti tale progetto bisogna però crederci fino in fondo . E' necessario immergersi in quella cultura diversa, la cultura del dare, che porta all'abbandono di ogni lotta perché c'è la consapevolezza di far parte di un'unica realtà che deve essere anteposta ad ogni altra.

Questa capacità di "mettersi nei panni dell'altro" cercando di mantenere rapporti di piena fiducia reciproca, si distingue nettamente dall'attenzione al cliente per questioni di convenienza o per particolari strategie di marketing. La motivazione culturale è più forte e per il cristiano risuona nella frase del vangelo che dice: "ciò che fate al più piccolo dei miei fratelli lo fate a me".







Gaudium et spes,

Ferrucci A., Suggerimenti per l'attuazione dell'Economia di Comunione , Nuova Umanità, N. 80/81, marzo-giugno 1992, pagg. 190-19

Op. cit., 43.

Questo modo d'intendere le relazioni interpersonali ha trovato una sua collocazione nella teoria economica, si parla oggi, infatti, di beni relazionali. Secondo B. Gui i beni relazionali sono beni pubblici, che, per la loro produzione richiedono la compartecipazione e i contributi di tutti; tali contributi non sono negoziabili. Così Luigino Bruni, Prime linee per una lettura relazionale della Economia civile del non profit, Nuova umanità n. 109 1997, pagg. 101-127.


T. Sorgi, La cultura del dare, Nuova Umanità, n. 80/81 pag. 73.

Maroncelli P., imprenditore di Rimini , parlando della sua esperienza dice: "Per me prima di tutto è cercare di essere uomo, coi suoi valori, in questo poi sono anche imprenditore, direttore generale o semplice consigliere, di sicuro uomo in mezzi agli altri uomini, in stretto rapporto con loro", Per una diversa dimensione dell'economia: l'esperienza Economia di Comunione, Università Cattolica di Piacenza, 13 aprile 1996.

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