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LAVORO, PRODOTTO NECESSARIO, SOVRAPPRODOTTO
Di tutte le specie, solo l'uomo non può sopravvivere adattandosi all'ambiente naturale, ma deve cercare di modellarlo secondo le sue esigenze 1. Il lavoro, attività al tempo stesso cosciente e sociale, sorta dalla possibilità di comunicazione e di spontaneo aiuto reciproco tra i membri della specie, costituisce il mezzo con cui l'uomo agisce sul suo ambiente naturale.
Le altre specie animali si adattano a un determinato ambiente naturale grazie allo sviluppo di organi specializzati. Gli organi specializzati dell'uomo, la mano con il pollice indipendente dalle altre dita e il sistema nervoso sviluppato, non gli consentono di procurarsi direttamente il cibo in un ambiente naturale determinato. Ma gli consentono l'uso di strumenti di lavoro e, grazie allo sviluppo del linguaggio, l'abbozzo di una organizzazione sociale che assicuri la sopravvivenza del genere umano in un numero indeterminato di ambienti naturali*.
Il lavoro, l'organizzazione sociale, il linguaggio, la coscienza, sono le caratteristiche peculiari dell'uomo, indissolubilmente legate le une alle altre e destinate a determinarsi reciprocamente.
Gli strumenti di lavoro senza i quali l'uomo non può produrre, cioè innanzitutto procurarsi il cibo necessario alla sopravvivenza della specie, appaiono in primo luogo come un prolungamento artificiale dei suoi organi naturali. 'L'uomo ha bisogno di strumenti di lavoro per supplire all'insufficienza della sua attrezzatura fisiologica ' 3. Agli albori dell'umanità, questi strumenti di lavoro sono assai rudimentali: bastoni, pietre scheggiate, pezzi d'osso e di corno appuntiti. In effetti, la preistoria e l'etnologia classificano i popoli primitivi secondo le materie prime con cui fabbricano i principali strumenti di lavoro. Questa classificazione comincia in generale con l'età della pietra scheggiata, per quanto sembri che, tra gli abitanti preistorici dell'America del Nord, un'età dell'osso abbia preceduto l'età della pietra propriamente detta.
Progressivamente, dalla ripetizione continua di gesti di lavoro identici si delineano tecniche produttive. La scoperta scientifica piú importante nella preistoria umana fu senza dubbio quella della produzione e della conservazione del fuoco. Benché non sussistano piú tribú primitive che abbiano ignorato il fuoco prima del loro contatto con la civiltà straniera *, innumerevoli miti e leggende testimoniano di un'età senza fuoco, seguita da un'epoca durante la quale l'uomo non sapeva ancora conservarlo.
Sir James George Frazer ha raccolto miti sull'origine del fuoco in circa duecento popolazioni primitive. Tutti questi miti rivelano l'importanza capitale che ha avuto ai primordi dell'esistenza umana la scoperta di una tecnica di produzione e di conservazione del fuoco 5.
Il prodotto necessario
E' con il lavoro che gli uomini soddisfano i loro bisogni fondamentali. Mangiare, bere, riposarsi, proteggersi contro le intemperie e il freddo o il caldo eccessivo, assicurare la sopravvivenza della specie con la procreazione, esercitare i muscoli del corpo, tali sono i bisogni piú elementari secondo l'etnologo Malinowski. Tutti questi bisogni sono soddisfatti socialmente, cioè non con un'attività puramente fisiologica, con una lotta tra l'individuo e le forze della natura, ma con un'attività che è la risultante di rapporti reciproci stabiliti tra i membri di un gruppo umano 6.
Piú un popolo è primitivo, e piú larga è la parte del suo lavoro e, di fatto, di tutta la sua esistenza, occupata dalla ricerca e dalla produzione del cibo 7.
I metodi piú primitivi di produzione del cibo sono la raccolta di frutti selvatici, la cattura di piccoli animali inoffensivi e le forme elementari di caccia e di pesca. Un popolo che viva a questo stadio primitivo, per esempio gli aborigeni dell'Australia o, meglio ancora, gli abitanti primitivi della Tasmania, completamente scomparsi da tre quarti di secolo, non conosce né abitazioni permanenti né animali domestici (tranne, a volte, il cane), né filatura di tessuti, né fabbricazione di recipienti per il cibo. Esso deve percorrere un territorio assai vasto per raccogliere i viveri occorrenti. Soltanto i vecchi fisicamente incapaci di muoversi di continuo possono essere in parte esentati dalla raccolta immediata del cibo per occuparsi della fabbricazione di strumenti di lavoro. La maggior parte delle popolazioni piú arretrate che sopravvivono ancor oggi, come gli abitanti delle isole Andamane nell'Oceano Indiano, i Fuegini e i Botocudos dell'America Latina, i Pigmei dell'Africa centrale e dell'Indonesia, i selvaggi Kubu della Malesia, conducono una vita simile a quella degli aborigeni australiani 8.
Se si ammette che l'umanità esista da
un milione di anni, essa ne ha vissuti almeno
'I Boscimani, gli Australiani, i Veddas di Ceylon e gli abitanti della Terra del Fuoco non accumulano quasi mai riserve per l'avvenire. Gli abitanti dell'Australia centrale vogliono tutto il cibo in una volta per potersi saziare bene. Poi si rassegnano a soffrire una fame terribile Quando si spostano, abbandonano tutti gli strumenti di pietra. Se ne hanno bisogno, ne fabbricano altri. Un solo strumento basta a un Papua sino a che non sia consumato: non gli viene l'idea di fabbricarne uno in anticipo per sostituire il vecchio L'insicurezza ha impedito la costituzione di riserve nei tempi primitivi. I periodi di abbondanza e di semicarestia si succedono regolarmente ' 9.
Questa 'imprevidenza' non è dovuta a insufficienze intellettuali dell'uomo primitivo. E' piuttosto la conseguenza di millenni di insicurezza e di carestia endemica, che spingevano a saziarsi al massimo ogni volta che se ne presentasse l'occasione e che non permettevano l'elaborazione di una tecnica per la conservazione dei viveri. L'insieme della produzione fornisce il prodotto necessario, cioè il vitto, gli abiti, le abitazioni della comunità e una scorta piú o meno stabile di strumenti di lavoro per produrre questi beni. Non esiste nessun surplus permanente.
Inizio della divisione sociale del lavoro
Finché il cibo non è assicurato in quantità sufficiente, gli uomini non possono dedicarsi in modo conseguente ad altra attività economica che non sia la produzione di viveri. Uno dei primi esploratori dell'America centrale, Cabeza de Vaca, incontrò tribú di Indiani che sapevano fabbricare tappeti di paglia per le loro dimore, ma che non si dedicavano mai a quest'attività: 'Vogliono impiegare tutto il loro tempo per raccogliere cibo, perché, se lo impiegano diversamente, sono attanagliati dalla fame '10. Siccome tutti gli uomini si dedicano alla produzione del cibo, non si può stabilire una vera divisione sociale del lavoro, una specializzazione in mestieri diversi. Per certi popoli è assolutamente incomprensibile che non tutti siano capaci di fabbricare gli oggetti di uso corrente. Gli Indiani del Brasile centrale interrogavano continuamente l'esploratore tedesco Karl von der Steinen per sapere se si era fabbricato da sé i pantaloni, la zanzariera e molti altri oggetti. Erano assai sorpresi della sua risposta negativa 1l.
Anche a un tale stadio di evoluzione sociale, ci sono individui dotati di attitudini speciali per questo o quel lavoro. Ma la situazione economica, cioè la mancanza di una riserva permanente di viveri, non permette ancora di sviluppare esclusivamente queste attitudini particolari. Descrivendo le attività degli abitanti dell'isola di Tikopia (arcipelago delle Salomone nell'Oceano Pacifico), Raymond Firth scrive: 'Ogni uomo di Tikopia è agricoltore e pescatore e, in una certa misura, lavoratore del legno; ogni donna sarchia le piantagioni, pesca tra le scogliere, fabbrica abiti con la scorza degli alberi e intreccia stuoie. Quello che esiste come specializzazione è lo sviluppo di una capacità peculiare in un mestiere e non l'esercizio di questo mestiere a esclusione degli altri ' 12
Quello che vale per una società relativamente avanzata che già conosce l'agricoltura vale a maggior ragione per una società ancor piú primitiva.
Ma l'organizzazione sociale descritta da Raymond Firth rivela nello stesso tempo l'esistenza di una rudimentale divisione del lavoro che si può distinguere a tutti gli stadi dello sviluppo economico dell'umanità: la divisione del lavoro tra i sessi. Presso i popoli piú primitivi, gli uomini si dedicano alla caccia, le donne raccolgono frutti e piccoli animali inoffensivi. Nelle tribú un poco piú evolute, certe tecniche già acquisite vengono esercitate in esclusiva o dagli uomini o dalle donne. Le donne si occupano delle attività che si svolgono vicino alle abitazioni: conservazione del fuoco, filatura, tessitura, fabbricazione di vasi, ecc. Gli uomini si allontanano di piú, cacciano la selvaggina piú grossa e utilizzano le materie di base per fabbricare gli strumenti di lavoro: lavorazione del legno, della pietra, dell'avorio, del corno e dell'osso.
L'assenza di una divisione del lavoro che possa dar luogo a mestieri specializzati impedisce l'elaborazione delle tecniche che esigono un tempo di apprendistato piú lungo e conoscenze particolari, ma consente uno sviluppo piú armonico del corpo e dell'attività umana. I popoli che non conoscono ancora la divisione del lavoro, ma che già hanno saputo domare la carestia e le peggiori epidemie grazie a condizioni favorevoli dell'ambiente naturale (Polinesiani, certi Indiani dell'America del Nord prima della conquista bianca, ecc.), hanno sviluppato un tipo umano che ha suscitato l'ammirazione dell'uomo civile moderno.
Prima comparsa di un sovrapprodotto sociale
La lenta accumulazione di invenzioni, di scoperte e di conoscenze consente di accrescere la produzione di cibo, pur riducendo lo sforzo fisico dei produttori. E il primo indice di un aumento della produttività del lavoro. L'invenzione dell'arco è delle frecce, come quella dell'arpione, permettono di migliorare la tecnica della caccia e della pesca e di regolarizzare cosi il rifornimento di viveri dell'umanità. D'ora innanzi, queste attività prendono il sopravvento sulla raccolta di frutti selvatici, che costituisce ormai solo un'attività economica complementare. La pelle e il pelo delle bestie catturate regolarmente, nonché le corna, le ossa e l'avorio, divengono materie prime che l'uomo ha tutto il tempo di lavorare. La scoperta di territori di caccia o di rive particolarmente pescose permette il passaggio dallo stato migratorio a quello di caccia o di pesca semisedentarie (alternanza stagionale del luogo di residenza) o addirittura completamente sedentarie. Ciò si verifica presso popolazioni come i Minkopies (che abitano la costa delle isole Andamane), i Klamath (Indiani che abitano la costa della California), certe tribú della Malesia, ecc. 13. Il passaggio alla vita sedentaria, temporanea o permanente, reso possibile dallo sviluppo della produttività del lavoro, permette a sua volta di accrescere questa produttività. Si possono ora accumulare gli strumenti di lavoro oltre la quantità limitata che una popolazione migratoria poteva portare con sé.
Cosi emerge lentamente, accanto al prodotto necessario alla sopravvivenza della comunità, un
primo surplus permanente, una prima forma di sovrapprodotto sociale. La sua funzione essenziale è di permettere la costituzione di riserve alimentari allo scopo di evitare il ritorno periodico della carestia o di ridurre la carestia. Per millenni, i popoli primitivi hanno cercato di risolvere il problema della conservazione dei viveri. Numerose tribú hanno trovato la soluzione solo grazie al contatto con civiltà superiori. Cosi le popolazioni rimaste allo stadio della caccia migratoria, e che non producono un sovrapprodotto regolare, ignorano tutte il sale, la sostanza piú efficace per la conservazione della carne *14.
La seconda funzione primitiva del sovrapprodotto sociale è di permettere una divisione del lavoro piú perfezionata. Dal momento che la tribú dispone di riserve di viveri piú o meno permanenti, taluni dei suoi membri possono consacrare una parte piú ampia del loro tempo alla produzione di oggetti non destinati all'alimentazione: strumenti di lavoro, oggetti di ornamento, recipienti per conservare i viveri. Quella che prima era una disposizione, un'attitudine personale per questa o quella tecnica, diviene ora una specializzazione, l'embrione di un mestiere.
La terza funzione primitiva del sovrapprodotto sociale è di permettere un aumento piú rapido della popolazione. Le condizioni di semicarestia riducono praticamente agli uomini e alle donne validi la popolazione di una determinata tribú. La tribú non può mantenere in vita che un minimo di bambini in tenera età. La maggior parte dei popoli primitivi conoscono e applicano su larga scala il controllo delle nascite, assolutamente indispensabile a causa del rifornimento insufficiente di viveri 15. Solo un numero limitato di malati o di vecchi impotenti sono curati e mantenuti in vita. L'infanticidio è praticato correntemente. I prigionieri di guerra sono in generale uccisi, se non mangiati.
Tutti questi sforzi per limitare l'aumento della popolazione non dimostrano affatto la crudeltà dell'uomo primitivo. Sono piuttosto la testimonianza di uno sforzo per eludere una minaccia fondamentale: la scomparsa di tutto un popolo per mancanza di viveri.
Ma dal momento in cui compare una riserva di cibo piú o meno permanente, può essere raggiunto un nuovo equilibrio tra le disponibilità alimentari e l'ammontare della popolazione. Le nascite aumenteranno e, con le nascite, il numero dei bambini che sopravvivono alla mortalità infantile. Malati e vecchi vivranno piú a lungo, elevando l'età media della tribú. La densità della popolazione su un territorio determinato aumenterà con la produttività del lavoro, il che costituisce un indice eccellente di progresso economico e sociale 16.
Con l'aumento della popolazione e la specializzazione del lavoro si accrescono le forze produttive a disposizione dell'umanità. La comparsa di un sovrapprodotto sociale rappresenta una condizione indispensabile per questo incremento.
La rivoluzione neolitica
La costituzione di un sovrapprodotto permanente di viveri è la base materiale per il compimento della rivoluzione economica piú importante che l'uomo abbia conosciuto dopo la sua comparsa sulla terra: l'inizio dell'agricoltura, dell'addomesticamento e dell'allevamento degli animali.
Dall'epoca della preistoria in cui questa rivoluzione si è prodotta - l'epoca della pietra levigata o epoca neolitica -' questa rivoluzione è denominata rivoluzione neolitica.
L'agricoltura e l'allevamento presuppongono l'esistenza di un certo surplus di viveri, e questo per due ragioni. Innanzitutto, perché la loro tecnica esige l'utilizzazione di sementi e di animali a fini non direttamente alimentari, allo scopo di produrre piú piante e piú carne in una fase successiva. Popoli che vivono da millenni al limite della carestia non accettano che venga distolto per uno scopo piú remoto ciò che è immediatamente commestibile, se non dispongono di altre riserve di viveri *; inoltre, perché né l'agricoltura né l'allevamento procurano istantaneamente il cibo necessario al mantenimento della tribú e occorre una riserva di viveri per coprire il periodo che separa la semina dal raccolto. Per queste ragioni, né l'agricoltura né l'allevamento hanno potuto essere adottati sulle prime come principale sistema di produzione di un popolo, ma fanno la loro comparsa a tappe, sono anzitutto considerati come attività secondarie rispetto alla caccia e alla raccolta di frutta, e per lunghissimo tempo continuano a essere integrati da queste attività, anche quando costituiscono già la base della sussistenza popolare.
Si suppone generalmente che l'allevamento di animali domestici (inizio: circa 10.000 anni avanti Cristo) sia posteriore ai primi tentativi di agricoltura sistematica (inizio: circa 15.000 anni avanti Cristo), nonostante che le due attività possano apparire simultaneamente o, presso certi popoli, l'ordine possa essere addirittura invertito 18. La forma piú primitiva di agricoltura che è praticata ancor oggi da numerosi popoli dell'Africa e dell'Oceania consiste nel grattare la superficie del suolo con un bastone a punta o nel rivoltarlo con una zappa. Poiché, con un simile metodo di coltura, il suolo si esaurisce rapidamente, è necessario abbandonare dopo alcuni anni i campi lavorati in tale modo e occuparne altri.
Numerosi popoli, per esempio le tribú montane dell'India, si procurano questi nuovi campi dando fuoco alla giungla: le ceneri forniscono un concime naturale (debbio) 19.
La rivoluzione neolitica, per la prima volta dagli albori dell'umanità, sottopone la produzione dei mezzi di sussistenza al controllo diretto dell'uomo: ecco la sua importanza capitale. La raccolta di frutta, la caccia e la pesca sono metodi passivi di rifornimento. Riducono o, nel migliore dei casi, mantengono a un livello dato la somma delle risorse che la natura mette a disposizione dell'uomo su un territorio determinato. L'agricoltura e l'allevamento, viceversa, sono metodi attivi di rifornimento, poiché accrescono le risorse naturali disponibili per l'umanità e ne creano di nuove. Con l'impiego dello stesso lavoro, la quantità di viveri a disposizione degli uomini può essere decuplicata. Questi metodi rappresentano dunque un accrescimento enorme della produttività sociale del lavoro umano.
La rivoluzione neolitica dà pure un grande impulso allo sviluppo degli strumenti di lavoro. Creando un sovrapprodotto permanente, crea la possibilità dell'artigianato professionale:
' La condizione pregiudiziale per la formazione di capacità artigianali (tecniche), è che un certo tempo disponibile possa essere sottratto al tempo (di lavoro) consacrato a produrre mezzi di sussistenza 20.
L'inizio dell'agricoltura e dell'allevamento di animali domestici porta d'altronde alla prima grande divisione sociale del lavoro: popoli di pastori compaiono accanto a popoli di coltivatori.
Molto probabilmente si deve attribuire alle donne il progresso decisivo dovuto alla pratica dell'agricoltura. L'esempio dei popoli che sopravvivono allo stato di agricoltori primitivi, come pure innumerevoli miti e leggende * comprovano il fatto che la donna, che nella società primitiva si dedica alla raccolta di frutti e resta nella maggior parte dei casi nelle vicinanze dell'abitato, ha cominciato per prima a gettare i semi dei frutti raccolti allo scopo di facilitare il rifornimento della tribú. Le donne della tribú indiana dei Winnebago erano obbligate a nascondere il riso e il mais destinati alla semina, altrimenti gli uomini li avrebbero mangiati. In stretta connessione con lo sviluppo dell'agricoltura per opera delle donne appaiono, presso numerosi popoli primitivi dediti all'agricoltura, religioni fondate sul culto delle dee della Fertilità. L'istituzione del matriarcato, di cui si può dimostrare l'esistenza presso diversi popoli allo stesso livello di sviluppo sociale, si ricollega egualmente alla funzione sostenuta dalle donne nella creazione dell'agricoltura.
Summer e Keller e Fritz Heichelheim 22 elencano un grande numero di casi provati di matriarcato presso popoli primitivi dediti all'agricoltura.
L'organizzazione cooperativa del lavoro
Hobhouse, Wheeler e Ginsberg hanno studiato il modo di produzione di tutti i popoli primitivi che sopravvivevano ancora agli inizi del secolo XX. Essi hanno trovato che tutte le tribú che conoscono solo una forma rudimentale di agricoltura e di allevamento - e a fortiori tutti i popoli rimasti a uno stadio inferiore di sviluppo economico - ignorano l'uso dei metalli e possiedono solo una tecnica assai sommaria della ceramica e dei tessuti.
I dati dell'archeologia confermano
quelli dell'etnografia. Nell'epoca neolitica, troviamo in Europa solo le forme
piú grossolane di vasi. In India, nella Cina settentrionale, nell'Africa
settentrionale e occidentale, troviamo tracce di società analoghe tra il VI e
il V millennio prima della nostra era
Cosi, ancor oggi, nel villaggio cinese di Tai Tu: 'nessun artigiano vive completamente del proprio mestiere Tutti i muratori, i carpentieri, i tessitori, i lavoratori delle piccole fonderie, come il maestro del villaggio, il sorvegliante del raccolto e i vari amministratori municipali lavorano con le famiglie sulle loro terre durante le stagioni della semina e del raccolto e ogniqualvolta non siano occupati dal loro mestiere ' 24
Analogamente a quanto avviene nelle fasi piú primitive di sviluppo economico, la società resta basata sull'organizzazione cooperativa del lavoro. La comunità ha bisogno del lavoro di ognuno dei suoi membri. Non produce ancora un sovrapprodotto tale da poter divenire proprietà privata senza mettere in pericolo la sopravvivenza di tutta la società. Gli usi e il codice d'onore della tribú si oppongono a ogni accumulazione individuale che superi una media determinata. Le differenze di qualifica produttiva individuale non si riflettono nella distribuzione.
La qualifica come tale non dà diritto al prodotto del lavoro individuale: lo stesso vale per un lavoro piú assiduo 25 'La distribuzione presso i Maori - scrive Bernard Mushkin - era dominata fondamentalmente da un solo scopo: soddisfare i bisogni della comunità. Nessuno poteva morire di fame sinché c'era ancora una riserva nei depositi della comunità ' 26
Istituzioni speciali - per esempio lo scambio cerimoniale di regali e l'organizzazione di feste dopo il raccolto - vengono sviluppate per assicurare un'equa divisione di viveri e di altri prodotti tra tutti i membri della comunità. Descrivendo le feste organizzate dal popolo papua degli Arapesh, Margaret Mead ritiene che questa istituzione ' rappresenti in realtà un ostacolo efficace al fatto che un individuo accumuli beni in misura sproporzionata rispetto a quella di altri individui '
Georges Balandier scrive le stesse cose a proposito delle tribú Bakongo dell'Africa equatoriale:
'Una istituzione come quella denominata malati diventa rivelatrice di questa situazione ambigua. All'inizio, essa aveva il carattere di una festa annuale (durante la stagione secca) che esaltava l'unità della stirpe onorando gli antenati e permetteva di rafforzare le alleanze. In quell'occasione, molti dei beni accumulati nel corso dell'anno venivano consumati collettivamente, in una vera atmosfera di godimento e di fasto. Il risparmio [?], assicurato dai capi delle stirpi, operava come rinnovamento dei rapporti di parentela e di alleanza. Il malati, con la sua periodicità e con la quantità di ricchezze che richiede, interviene come uno dei motori e regolatori dell'economia bakongo.
' Costituisce la testimonianza di un momento dell'evoluzione economica (di difficile datazione) in cui il surplus dei beni prodotti impone agli uomini nuovi problemi: i beni si frappongono e deformano il sistema delle relazioni personali ' 28.
James Swann, descrivendo le abitudini degli Indiani di Cape Flattery (Stato di Washington, USA), dichiara che chi ha prodotto cibo in abbondanza, chiunque esso sia, invita abitualmente una serie di vicini o di membri della famiglia a consumarlo con lui. Se un Indiano ha raccolto scorte di viveri sufficienti, è obbligato a dare una festa che durerà sino all'esaurimento delle riserve 29. Una società del genere pone l'accento sulla qualità della solidarietà sociale e considera immorale un atteggiamento di competizione economica e di ambizione di arricchimento individuale.
Solomon Asch, che ha fatto sul posto uno studio sui costumi degli Indiani hopi, ha notato:
'Tutti gli individui devono essere trattati allo stesso modo, nessuno deve essere superiore o inferiore. La persona che è oggetto di lodi o che si vanta, è automaticamente esposta al risentimento e alla critica [degli altri] La maggior parte degli Indiani hopi rifiutano di essere capi-operai L'atteggiamento dei bambini nei giuochi è pure significativo. Ho appreso dalla stessa fonte che i bambini in tenera età, cosi come gli adolescenti, non sono mai interessati a contare i punti durante un giuoco. Giocheranno a pallacanestro per un'ora senza sapere quale squadra stia vincendo e quale stia perdendo. Continuano a giuocare semplicemente perché il giuoco è per loro piacevole ' 30.
L'organizzazione cooperativa del lavoro implica da una parte l'esecuzione in comune di certe attività economiche - costruire capanne, cacciare grossi animali, aprire sentieri, abbattere alberi, dissodare nuovi campi -, e, dall'altra, l'aiuto reciproco tra famiglie diverse nel lavoro quotidiano. L'antropologo americano John H. Province ha descritto tale sistema di lavoro presso la tribú dei Siang Dyak, abitanti dell'isola del Borneo. Tutti i membri della tribú, compresi il medico-stregone, lavorano alternativamente sul loro campo di riso e su quello di un'altra famiglia. Vanno tutti a caccia, raccolgono legna per il fuoco e compiono lavori domestici 31.
Margaret Mead descrive un sistema
analogo in vigore presso gli Arapesh, popolo montanaro della Nuova Guinea
La cooperazione del lavoro sussiste, in generale, per tutto un processo secolare - se non millenario - di disgregazione della comunità del villaggio 33. Si deve sottolineare che l'abitudine di assolvere compiti in comune, che si ritrova molto tardi in società divise in classi, è assai probabilmente all'origine della corvée, cioè del pluslavoro non pagato, eseguito a favore dello Stato, del tempio o del nobile. Nel caso della Cina l'evoluzione è trasparente.
Melville J. Herskovitz 34 segnala un caso transitorio molto interessante a Dahomey. Il dokpwé, lavoro comunitario, è generalmente eseguito a vantaggio di ogni famiglia indigena. Ma, contrariamente alla tradizione e alle formule ufficiali, la richiesta di una famiglia relativamente agiata è accolta prima di quella di una famiglia povera. Inoltre, il capo del dokpwé, è divenuto membro della classe dominante. Gli abitanti del Dahomey sono d'altronde coscienti di questa evoluzione e hanno raccontato essi stessi a Herskovitz quanto segue:
' Il dokpwé è una istituzione antica. E' esistita prima che vi fossero dei re. Anticamente non c'erano capi e il dokpwega (dirigente del lavoro comunitario) era alla testa del villaggio. Tutti i membri maschi del villaggio costituivano il dokpwè come oggi. La coltura del suolo era fatta in comune. Piú tardi, con la comparsa dei re e dei capi, sono scoppiate le controversie'35. Secondo Nadel, nel regno nigeriano di Nupe il lavoro comunitario, chiamato egbe, è praticato anzitutto (e soprattutto!) sulle terre dei capi; Joseph Bourrilly segnala un'evoluzione analoga della tuiza, lavoro cooperativo dei Berberi 36.
L'occupazione primitiva del suolo
Nel momento in cui cominciano a praticare l'agricoltura, le tribú sono generalmente organizzate sulla base di vincoli di parentela. La forma di organizzazione sociale piú antica sembra essere quella dell'orda, quale sussiste ancora tra gli aborigeni d'Australia:
'Un'orda è un gruppo di persone che possiedono, occupano e sfruttano in comune questa o quella parte ben determinata del paese. I diritti dell'orda sul suo territorio possono essere indicati sinteticamente dicendo che chiunque non sia membro dell'orda non ha diritto di acquistare un prodotto animale, vegetale o minerale di questo territorio, tranne dietro invito o con il permesso di un membro dell'orda '37. Piú tardi, la grande famiglia, il clan, la tribú come confederazione di clan, la confederazione di tribú imparentate le une con le altre, sono le forme di organizzazioni normali dei popoli primitivi nel momento in cui cominciano a dedicarsi all'agricoltura. Non è dunque sorprendente che l'occupazione primitiva del suolo, e l'istituzione dell'una o dell'altra forma di controllo (di proprietà) sul suolo stesso, siano innanzitutto influenzate da questo modo predominante di organizzazione sociale.
Finché non si è ancora passati all'agricoltura intensiva, con l'aiuto dei concimi e dell'irrigazione, l'occupazione del suolo avviene in generale sotto forma di occupazione di un villaggio da parte di una grande famiglia, di un gruppo di uomini e donne uniti da vincoli di parentela. Nella Rhodesia del Nord, Audrey I. Richards constata che il popolo dei Bemba ' vive in una piccola comunità di 30-50 capanne Ogni villaggio costituisce una grande famiglia, diretta da un capo ' 38. Presso i Berberi sedentari del Marocco, 'lo stadio tipico non è la tribú, ma quello che definiamo in modo abbastanza inesatto la frazione di tribú (la grande famiglia) Tutti i membri della frazione dichiarano di discendere da uno stesso antenato di cui portano il nome ' 39. Nei paesi slavi, dal VI al IX secolo, le tribú 'vivevano ciascuna con i propri clan, e sui propri campi ogni clan era il padrone ' 40.
Descrivendo la vita nella Francia medioevale, Marc Bloch conclude: 'Insomma, il villaggio e i suoi campi sono l'opera di un vasto gruppo, forse di una tribú o di un clan: i manses (in inglese hides, in tedesco Hufe) sono le parti attribuite a sottogruppi minori. Che cos'era questa collettività secondaria di cui il manse costituiva il guscio? Molto probabilmente la famiglia, distinta dal clan, una famiglia di tipo ancora patriarcale, abbastanza vasta da comprendere parecchie coppie collaterali. In Inghilterra la parola hide ha come sinonimo latino terra unius familiae (la terra di una sola famiglia) ' 41. Parlando della vita agricola in Lorena, Ch. Edmond Perrin conferma: ' Che il manse sia stato, all'origine, il lotto coltivato da una sola famiglia, basterebbero a provarlo le pratiche dell'epoca merovingica: nel VII secolo infatti è sulla base dei capi famiglia e non dei manses che sono calcolati, sulle terre della Chiesa e del fisco regio, i gravami dei contadini ' 42. E' dunque la grande famiglia, il clan, che occupa il villaggio e la famiglia propriamente detta, che costruisce il podere. Ora, l'agricoltura primitiva è posta innanzitutto di fronte al problema del dissodamento periodico di nuove terre, dissodamento eseguito in comune da tutto il villaggio, come provano gli esempi dei popoli rimasti ancor oggi a questo stadio di sviluppo, e come viene celebrato in antiche canzoni cinesi. Nel quadro dell'organizzazione cooperativa del lavoro, è logico che la terra coltivabile, dissodata in comune, resti proprietà comunale e sia periodicamente redistribuita. Soltanto il giardino attorno all'abitazione, coltivato unicamente dalla famiglia, o l'albero da frutta da essa piantato, evolve verso lo stadio della proprietà privata 43. Giardino significa d'altronde spazio chiuso, cioè campo chiuso ad altri, in contrapposizione ai campi (proprietà comunale) che non sono recintati *.
L'assegnazione e la redistribuzione periodica dei campi coltivabili sulla base del sorteggio sono confermate da numerose testimonianze storiche e linguistiche. Nella Lorena le terre coltivabili sono anzitutto designate col nome di sors; nella Palestina biblica, le terre distribuite a sorte furono chiamate nahala (sorte), il che divenne piú tardi sinonimo proprietà, ecc. Lo stesso avvenne nella Grecia antica 45. Quando, con lo sviluppo di metodi agricoli piú progrediti, il terreno fini con lo stabilizzarsi e i dissodamenti collettivi non ebbero piú una funzione importante nella vita del villaggio, cominciò ad apparire la proprietà privata dei campi. Ma anche allora, sinché non si è dissolta la comunità del villaggio, l'antica proprietà comunale si mantiene sotto forme diverse. Una terza parte del villaggio
al di là della casa e del giardino da una parte, e dai campi coltivabili dall'altra composta essenzialmente di pascoli e di boschi, resta proprietà collettiva. Il diritto di libero pascolo, cioè l'uso di tutti i campi prima della semina da parte del bestiame di tutti i membri della comunità, di spigolatura dopo il raccolto, di costruzione o di uso in comune dei mulini o delle sorgenti d'acqua, la costituzione del villaggio in una comunità collettivamente responsabile del pagamento delle imposte, la conservazione delle abitudini di aiuto reciproco, il diritto alla formazione di nuovi poderi sulle porzioni di bosco dissodate, tutti questi fenomeni provano che per secoli sussiste nella vita del villaggio una poderosa solidarietà collettiva, solidarietà che affonda le sue radici nella proprietà comunale di un tempo.
È impossibile enumerare tutte le fonti
che confermano l'esistenza di questa proprietà comune delle terre presso tutti
i popoli civili a un momento dato della loro evoluzione agricola; indichiamo
brevemente alcune delle fonti principali. La comunità del villaggio giapponese,
mura, è descritta da Yoshitomi.
Yosoburo Takekoshi, nella sua opera monumentale Economic Aspects of the History of Civilization of Japan, descrive
la proprietà comunale delle terre nei tempi antichi, con la divisione del suolo
sulla base del sorteggio. In Indonesia, 'la comunità del villaggio
rappresenta la comunità originaria', scrive J.H. Boeke. Wittfogel ha
analizzato il sistema del tsing-tien, della
divisione dei campi in nove quadrati, nel villaggio cinese, per scoprirvi la
comunità del villaggio derivata dall'appropriazione collettiva del suolo
'Si chiamano villaggi mouchaa quei villaggi in cui l'insieme delle terre appartiene collettivamente all'insieme della comunità del villaggio. singoli membri della comunità non possiedono n proprio nessun terreno, ma solo un diritto sulla totalità del territorio. Questo diritto assicura a ciascuno una parte determinata del suolo al momento della redistribuzione periodica delle terre che ha luogo generalmente ogni tre anni ' 48.
Per tutta l'Africa centrale e orientale la semiufficiale 'African Survey' dichiara: ' È esatto affermare che in tutta quella parte dell'Africa di cui trattiamo predomina la concezione secondo cui la terra è proprietà collettiva o di gruppo ' 49.
Parlando dell'economia polinesiana di Tikopia, Raymond Firth rileva che 'la proprietà tradizionale degli orti e delle parcelle per il giardinaggio spetta alle grandi famiglie (clan) ' 50. Ricerche storiche confermano l'esistenza della proprietà collettiva del suolo nella Grecia omerica, nella Mark germanica, nell'antico villaggio azteco, nell'antico villaggio indú dei tempi della letteratura buddistica; nel villaggio inca, dove i campi coltivati vengono chiamati Sapslpacha, cioè 'la terra (pacha) che appartiene a tutti '; nel villaggio dell'impero bizantino, particolarmente in Egitto, in Siria, in Tracia, nell'Asia Minore e nei Balcani prima della colonizzazione slava; nell'antica Russia con la sua comunità di villaggio, l'obscina; presso gli Slavi del Sud, i Polacchi e gli Ungheresi, ecc. In uno studio effettuato per conto della FAO, Gerald Clausen conferma d'altronde che dovunque, all'origine, l'agricoltura è stata praticata nel quadro in un regime fondiario basato sulla proprietà comunitaria, con una redistribuzione periodica delle terre 51.
La coltura del suolo irrigato, culla della civiltà
Inizialmente l'agricoltura era rudimentale e irregolare: l'uomo ignorava il modo di conservare la fertilità del suolo. La scoperta dell'irrigazione e degli effetti del maggese sconvolse completamente la tecnica agricola.
Le conseguenze di questa rivoluzione agricola furono incalcolabili. L'allevamento degli animali domestici e i primi inizi dell'agricoltura avevano permesso all'uomo di prendere nelle sue mani il controllo dei mezzi di sussistenza. L'applicazione sistematica del maggese e soprattutto dell'irrigazione, applicazione legata all'uso di animali da tiro, permise all'umanità di assicurarsi in modo permanente un considerevole surplus di viveri, dipendente solo dal suo lavoro. Ogni chicco seminato in Mesopotamia fruttava cento chicchi al raccolto! 52.
L'esistenza di questo surplus permanente di viveri ha permesso che le tecniche artigianali divenissero autonome, si specializzassero e si perfezionassero. La società poteva nutrire migliaia di uomini che non partecipavano piú, direttamente, alla produzione di viveri. La città poteva separarsi dalla campagna. Era nata la civiltà.
Già gli antichi Greci dei tempi di Omero considerano la civiltà come il prodotto dell'agricoltura 53. I Cinesi dell'epoca classica attribuiscono 'l'invenzione' dell'agricoltura, del commercio e della civiltà allo stesso mitico imperatore Cien-Nung 54. E interessante notare che nella civiltà azteca l'origine della prosperità del suolo va ricercata in una comunicazione del Dio ricevuta in sogno dal grande sacerdote: comunicazione 'che ordinò ai Messicani di arginare un grande fiume che circondava i piedi della collina per far si che l'acqua si diffondesse nella pianura ' 55. Al di là di questi esempi limitati, lo storico Heichelheim non si perita di dichiarare a giusto titolo che l'agricoltura è stata la base di tutte le civiltà fino al capitalismo moderno 56. E l'enciclopedia americana delle Scienze sociali scrive:
'Ne' la storia ne' l'archeologia hanno sin qui rivelato l'esistenza di una grande civiltà che non dipendesse largamente da tre cereali: il grano, il mais e il riso' 57.
Il passaggio alla coltura del suolo mediante irrigazione e la comparsa della vita urbana che ne deriva, si è verificato in molte parti del globo in cui le condizioni naturali lo hanno consentito. E ancora difficile determinare in che misura questa evoluzione si sia realizzata presso i vari popoli, gli uni indipendentemente dagli altri; ma per taluni ciò sembra ammesso. Ritroviamo lo sviluppo dell'agricoltura mediante irrigazione del suolo, un abbondante surplus di viveri, la specializzazione dell'artigianato e lo sviluppo delle città successivamente nella vallata del Nilo, dell'Eufrate e del Tigri nel V millennio avanti Cristo; nella vallata dell'Hoang-HO in Cina, nell'Iran e nell'isola di Cipro nel IV millennio; nella valle dell'Indo, nell'Asia centrale e nell'isola di Creta nel III millennio; nella Grecia continentale, nell'Anatolia, nella valle del Danubio e in Sicilia nel II millennio; in Italia e nell'Arabia meridionale (regno di Minea * e civiltà di Saba) nel primo millennio avanti Cristo; nell'Africa occidentale (civiltà del Ghana, del Mali e di Sanghoi nelle valli del Niger e del Senegal), come pure in America (nel Messico, nel Guatemala e nel Perú), nel primo millennio della nostra era.
La rivoluzione metallurgica
La rivoluzione agricola coincide in generale con la fine dell'età della pietra levigata. Gli uomini, liberati dalla schiavitú degradante della fame, posso no sviluppare le loro qualità innate di curiosità e di sperimentazione tecnica. Da tempo avevano appreso che si potevano cuocere al fuoco certi tipi di argilla per fabbricare vasi. Sottoponendo al fuoco certi tipi di pietre, scoprirono i metalli e quindi il loro uso straordinariamente adatto alla fabbricazione di strumenti di lavoro. La scoperta successiva del rame (VI millennio prima dell'era cristiana nella valle dell'Eufrate e del Tigri, come pure nella valle del Nilo), dello stagno e quindi della lega appropriata del rame e dello stagno chiamata bronzo (III millennio prima dell'era cristiana in Egitto, in Mesopotamia, nell'Iran e in India), infine del ferro (piú o meno 1300 anni avanti Cristo presso gli Ittiti, dopo un uso sporadico da parte dei popoli rivieraschi del Mar Nero) segna le tappe piú importanti di questa rivoluzione tecnica.
Gli effetti della rivoluzione
metallurgica sono notevoli anzitutto sul piano della stessa agricoltura, che
resta l'attività economica fondamentale della società. Con l'uso di strumenti
di lavoro metallici, innanzitutto dell'aratro con vomere metallico, l'uso
dell'energia animale nella trazione diventa necessario e la produttività del
lavoro agricolo compie un nuovo balzo in avanti. L'impiego dell'aratro con il
vomere di ferro consente lo sviluppo dell'agricoltura estensiva e la comparsa
delle città sulle terre d'Europa nei secoli VIII e VII avanti Cristo
Cosi si crearono le condizioni materiali per lo sviluppo delle tecniche artigianali e per la separazione tra città e campagna. L'aumento della popolazione, reso possibile dall'aumento generale del benessere* , fornisce la manodopera. L'incremento del surlpus di viveri fornisce i mezzi di sussistenza per questa manodopera urbana.
Abitanti per miglia quadrate inglesi
Tribú di cacciatori e di pescatori nelle regioni periferiche del mondo abitato (Eschimesi) 0,005-0,015
Tribú di pescatori e di cacciatori abitanti la steppa (Boscimani, Australiani, abitanti della Patagonia) 0,005-0,025
Tribú di cacciatori con un'agricoltura rudimentale (Dayaki, Papua, tribú delle colline indiane, tribú negre piú povere) 0,5 - 2
Tribú di pescatori sedentari sulla costa o lungo i fiumi (Indiani dell'America del Nord Ovest, piccole isole polinesiane, eccetera) sino a 5
Pastori nomadi 2-5
Agricoltori con un inizio di artigianato e di commercio (Africa centrale, arcipelago malese) 5-15
Nomadi con agricoltura 10-15
Popoli che praticano l'agricoltura estensiva (paesi islamici dell'Asia occidentale e del Sudan; paesi dell'Europa orientale) l0-25
Tribú di pescatori che praticano l'agricoltura (isole del Pacifico) sino a 25
Regioni che praticano l'agricoltura intensiva (popoli dell'Europa centrale) 100
Regioni dell'Europa meridionale che praticano l'agricoltura intensiva 200
Regioni dell'India che praticano l'agricoltura irrigua piú di 500
Regioni di grande industria nell'Europa occidentale piú di 750
I metalli stessi costituiscono la materia prima preponderante per il lavoro di questi artigiani. Agli inizi essenzialmente tecnica di lusso e di ornamento, l'artigianato metallurgico si specializza in seguito nella fabbricazione di strumenti di lavoro e di armi di ogni genere. L'artigianato acquista la sua autonomia definitiva con il lavoro del fabbro *.
Produzione e accumulazione
L'agricoltura capace di conservare e di accrescere la fertilità del suolo crea un surplus permanente di viveri, un notevole sovrapprodotto sociale. Questo sovrapprodotto non è solo alla base della divisione sociale del lavoro, della separazione tra artigianato e agricoltura, tra città e campagna. E anche alla base della divisione della società in classi. Finché la società è troppo povera per consentire la formazione di un surplus permanente, la diseguaglianza sociale non può svilupparsi su larga scala. Ancor oggi, nei paesi del Levante, mentre sulle terre fertili si è stabilita la proprietà di signori che sottraggono ai contadini la metà del raccolto, se non di piú, sulle terre di montagna 'i raccolti sono cosi poveri che il suolo non potrebbe in alcun modo sopportare il duplice carico di un mezzadro e di un proprietario ' 63.
'Nelle condizioni primitive, lo schiavo non esiste. Non ne esistono le basi economiche in una fase in cui due mani non possono produrre piú di quanto una bocca non consumi. Fa la sua comparsa quando s'impara a immagazzinare o a integrare in vasti lavori di costruzione i prodotti accumulati del lavoro ' 64. Esaminate le istituzioni sociali di 425 tribú primitive, Hobhouse, Wheeler e Ginsberg hanno trovato che la schiavitú era completamente assente presso i popoli che ignoravano l'agricoltura e l'allevamento. Hanno scoperto un inizio di schiavitú presso un terzo dei popoli passati allo stadio pastorale o allo stadio agricolo iniziale, e una generalizzazione della schiavitú nella fase dell'agricoltura pienamente sviluppata. Trent'anni piú tardi, C. Darryl Forde giunge alle stesse conclusioni 65. Non appena si forma una grossa quantità di sovrapprodotto permanente, sorge la possibilità per una parte della società di abbandonare il lavoro produttivo, di procurarsi tempo libero a spese dell'altra parte della società. L'utilizzazione come schiavi dei prigionieri di guerra o di prigionieri di ogni genere (nella Polinesia, schiavo si dice TangataTana, cioè uomo che proviene dalla guerra 66) costituisce una delle due forme piú normali di una prima divisione della società in classi. L'altra forma di questa primitiva divisione è il pagamento di un tributo imposto a una parte della società.
Quando l'agricoltura progredita è praticata in una quantità di piccoli villaggi, ciascuno di essi produce un surplus che, preso separatamente, non basta affatto alla formazione di un artigianato professionale e ancor meno alla fondazione delle città *. La concentrazione di questo surplus diviene la condizione pregiudiziale per la sua utilizzazione effettiva:
'Il surplus prodotto da una singola famiglia, al di là delle esigenze del consumo domestico, è stato verosimilmente assai piccolo in un'economia rurale talmente arretrata che una parte cospicua dei vitelli di ogni stagione dovevano essere mangiati. Perché una simile comunità potesse acquistare una forte quantità di prodotti stranieri - per esempio sale o metalli - si sarebbero dovuti concentrare questi surplus (delle famiglie). Le testimonianze storiche delle civiltà del bronzo nell'antico Oriente e le testimonianze etnografiche della Polinesia e dell'America del Nord dimostrano che l'istituzione del capo costituisce un modo di concentrazione e che il culto di un dio ne costituisce un altro. Il capo reale o il dio immaginario possono accumulare un surplus assai sostanzioso sotto forma di doni usuali volontari o di offerte, prelevati da ogni famiglia di partigiani o di adoratori sui loro piccoli surplus '68.
Ciò che sulle prime è volontario e intermittente, diviene poi obbligatorio e regolare. Con l'uso della forza, cioè dell'organizzazione dello Stato, si stabilisce un ordine sociale fondato sulla rinuncia dei surplus di viveri da parte dei contadini a vantaggio dei nuovi padroni *.
Parlando dei popoli piú primitivi Malinowski racconta:
'Questi popoli non hanno né autorità centralizzata né autorità politica. Per conseguenza, non hanno né forza militare né milizia né polizia. E non si combattono tra tribú. Ferite personali sono vendicate con agguati contro singoli individui o con combattimenti senza intermediari Tra di loro non esiste guerra'. C. Darryl Forde descrive allo stesso modo il comunismo primitivo del clan, senza capi ereditari, presso i Thngu, nella Siberia del Nord Est 70 *. Heichelheim constata al contrario la comparsa di un'organizzazione statale nelle prime città: 'La popolazione dei nuovi centri (urbani) consiste per lo piú in uno strato superiore che vive di rendita [cioè appropriandosi del sovrapprodotto del lavoro agricolo], ed è composta di signori, di nobili e di preti. Bisogna aggiungervi funzionari, impiegati e servitori indirettamente mantenuti da questo strato Superiore [cioè l'apparato statale]' 72.
Al di là della concentrazione e dell'accumulazione del sovrapprodotto sociale, queste nuove classi possidenti hanno assolto altre funzioni socialmente necessarie e progressive. Esse hanno permesso lo sviluppo dell'arte, prodotto dell'artigianato di lusso che lavora per i nuovi signori.
Hanno permesso la differenziazione del sovrapprodotto sociale grazie alla sua accumulazione e la differenziazione del sovrapprodotto si identifica con la differenziazione della produzione tout court. Hanno permesso, e in parte assicurato personalmente grazie al loro tempo libero, l'accumulazione delle tecniche, delle conoscenze e delle regole che hanno assicurato il mantenimento e lo sviluppo delle forze produttive agricole: conoscenze astronomiche e meteorologiche che determinano il regime delle acque, il momento approssimativo e la difesa eventuale dei raccolti; conoscenze geometriche che permettono la divisione dei campi; esecuzione dei lavori di dissodamento, resi necessari dall'aumento della popolazione, su una scala che supera le forze di un villaggio o di un gruppo di villaggi; costruzione dei canali, delle dighe e di altri lavori idrografici indispensabili all'irrigazione, ecc. *.
La tecnica dell'accumulazione serve da
giustificazione all'appropriazione di grossi privilegi materiali. Anche se è
storicamente indispensabile, non è affatto dimostrato che non avrebbe potuto
essere applicata alla lunga dalla collettività stessa. Quanto ai privilegi,
furono in ogni caso considerati come esazioni dai popoli che ne furono vittime
e ispirarono proteste come quelle del contadino dell'antico impero egiziano che
parla ne
La categoria marxista della necessità storica' è d'altronde piú complessa di quanto non suppongano comunemente i volgarizzatori.
Racchiude in modo dialettico sia l'accumulazione del prodotto sociale effettuata dalle vecchie classi possidenti sia la lotta dei contadini e degli schiavi contro queste classi.
Esiste un ' surplus economico '?
La nozione di sovrapprodotto sociale, che affonda le radici in quella di surplus permanente dei mezzi di sussistenza, è essenziale per l'analisi economica marxista. Fino a poco tempo fa, questa nozione era accettata non solo dalla maggior parte degli economisti ma, fatto ancor piú significativo, da tutti gli antropologhi, archeologhi, etnologhi e specialisti dell'economia primitiva. I molteplici riferimenti all'opera di questi specialisti, sparsi nei primi capitoli di quest'opera, attestano che i dati empirici della scienza contemporanea confermano la validità delle ipotesi di base dell'analisi economica marxista.
Il solo attacco scientifico serio diretto contro le nozioni di surplus economico e di sovrapprodotto sociale nell'economia precapitalistica è stato lanciato dal professor Harry W. Pearson, in un capitolo dell'opera collettiva pubblicata sotto la direzione di Karl Polanyi, di Conrad M. Arensberg e dello stesso Pearson: Trade and Market in the Early Empires. Questo attacco merita di essere confutato dettagliatamente.
Le critiche del professor Pearson possono essere riassunte in cinque punti:
1) La nozione di 'surplus economico' è confusa poiché racchiude in realtà due entità diverse:
il surplus assoluto, nel significato fisiologico del termine, al di là del quale la società non può sussistere; il surplus relativo, la cui formazione è stata decisa dalla società.
2) Ora il ' surplus economico ', nel significato assoluto, biologico del
termine, non esiste. E' impossibile determinare il livello di sussistenza
minimo al di sotto del quale un individuo morirebbe: è impossibile determinarlo
per l'intera società
3) Quanto al surplus relativo, non è il risultato di un'evoluzione economica, in particolare dell'aumento della produttività media del lavoro. Ci sono sempre e dovunque surplus potenziali. Le decisioni di creare o di aumentare le risorse non destinate al consumo dei produttori sono decisioni sociali che possono essere prese per ragioni assolutamente non economiche (religiose, politiche, di prestigio).
4) Non c'è ombra di prova (not a shred of evidence) che dimostri che la comparsa della 'proprietà privata, del baratto, del commercio, della divisione del lavoro, dei mercati, della moneta, delle classi di commercianti e dello sfruttamento' sia dovuta alla comparsa di un surplus economico in momenti critici dello sviluppo della società umana. Simili affermazioni non possono essere giustificate se non col postulato che 'il corso logico dello sviluppo economico porta al sistema di mercato dell'Europa del secolo XIX ' 76.
5) D'altra parte, questa concezione è fondata sul materialismo piú rozzo, che 'basa lo sviluppo economico e sociale sulla capacità ridotta dello stomaco umano ' 77.
L'argomentazione del professor Pearson parte dalla distinzione tra ' surplus assoluto ' e ' surplus relativo ', distinzione che, beninteso egli stesso ha introdotto nel dibattito. A nostra conoscenza, né i fisiocratici né gli economisti inglesi della scuola classica né, soprattutto, Marx ed Engels hanno mai considerato 'il livello di sussistenza' come una nozione biologica assoluta. Ma da ciò non si può affatto ricavare che questa nozione non abbia un significato storico preciso, in ogni caso concreto, cioè che si possa arbitrariamente ridurre il livello considerato da un popolo come livello minimo in un'epoca determinata. Per questo è falso affermare che ogni società possiede una fonte potenziale di surplus, indipendentemente da un aumento della produttività media del lavoro.
Certamente nessuna società può sussistere se, dopo aver fornito il cibo piú scarso, la sua produzione non basta a mantenere le scorte di strumenti di lavoro. In questo senso 'assoluto' del termine, nessuna società ridotta al puro livello di sussistenza 'biologica ' potrebbe sopravvivere. Ma finché l'uomo non controlla i suoi mezzi di sussistenza o, in altri termini, finché siamo di fronte a orde o tribú primitive che vivono della raccolta di frutta, di caccia e di pesca, questo ' surplus ' è al tempo stesso aleatorio ed estremamente limitato. La ragione è molto semplice: ogni incremento eccezionale della produzione corrente non produrrebbe un 'surplus permanente', ma al contrario una carestia, distruggendo l'equilibrio ecologico della regione abitata.
Quando il professor Pearson scrive che nessuna società umana ha mai vissuto a un tale livello di povertà, commette in realtà un errore analogo a quello che rimprovera a giusto titolo agli economisti neoclassici. Come questi ultimi concepiscono tutta l'attività economica in funzione di un'economia di mercato, il professor Pearson considera tutto il passato economico dell'umanità alla luce dell'economia di popoli primitivi alle soglie della civiltà o già civilizzati, cioè di popoli che hanno già compiuto la loro ' rivoluzione neolitica', che praticano già l'agricoltura e l'allevamento. Ma quando si considera che il periodo posteriore a questa rivoluzione occupa solo una frazione minima della durata dell'esistenza dell'uomo sulla terra, quando si ricorda che centinaia se non migliaia di tribú primitive sono scomparse prima di raggiungere lo stadio della rivoluzione neolitica, soprattutto perché non hanno potuto risolvere il problema della sussistenza in un ambiente naturale modificato, si comprende bene quanto quest'affermazione sia insostenibile.
Le prove, sia logiche che empiriche, dimostrano al contrario che la maggior parte delle società umane anteriori alla rivoluzione neolitica * hanno dovuto condurre una lotta permanente per la sussistenza; che erano ossessionate da questa lotta che non sembrava mai condotta a termine vittoriosamente e che tutte le istituzioni sociali citate dal professor Pearson a sostegno della tesi opposta (in particolare il ruolo importante della magia e della religione in queste società) avevano funzioni nettamente economiche, cioè dovevano precisamente contribuire a risolvere il problema angoscioso della sussistenza.
Di qui l'importanza chiave della rivoluzione neolitica. Per la prima volta nella preistoria umana, il controllo dei mezzi di sussistenza umana passa dalla natura all'uomo. Per la prima volta, di conseguenza, questi mezzi possono essere moltiplicati, se non in misura illimitata, almeno in una proporzione assolutamente sconosciuta in precedenza. Per questa ragione, una parte notevole della società può essere liberata dalla necessità di contribuire direttamente alla produzione di viveri. Non esiste alcun dato archeologico o antropologico che rimetta in questione oggi questa prova manifesta dei legami tra la comparsa di un surplus permanente e cospicuo ai viveri da una parte e, dall'altra, la separazione tra artigianato e agricoltura, la separazione tra città e campagna, la divisione della società in classi.
Non c'è dubbio che l'aumento della produttività media del lavoro crea soltanto le condizioni materiali necessarie dell'evoluzione e della trasformazione sociale. Non v'è alcun automatismo economico, indipendente dalle forze sociali *. Gli uomini fanno la loro storia: una società esistente si difende contro le forze che tendono a trasformarla. La società primitiva difende la sua struttura egualitaria. E necessaria dunque una rivoluzione sociale per disgregare la società primitiva egualitaria e generare una società divisa in classi. Ma questa rivoluzione sociale è possibile solo se è stato raggiunto un livello di produttività che permetta a una parte della società di liberarsi dal lavoro materiale.
Finché questa condizione materiale - questo surplus potenziale - non esiste, la rivoluzione sociale in questione è impossibile.
Il professor Pearson replicherà che,
tutto considerato, il motore decisivo è stato un motore sociale, la
sostituzione di un ' modello' di organizzazione sociale con un altro.
Ammettiamo di buon grado la preminenza del fattore sociale. Ma una confederazione
di tribú di cacciatori primitivi avrebbe potuto costruire l'impero romano o
anche solo
1 J. GRAHAME CLARK: From Savagery to Civilisation, p. 26; A. GEHLEN: Der Mensch, p. 24.
2 HEARD: Origin of Civilisation, pp. 66-67. Vedi anche A. GEHLEN: Der Mensch, pp. 35, 91 ecc.
3 GORDON CHILDE: Man Made Himself, p. 45; cfr. anche prof. OAKLEY, in An Appraisal of Anthropology to-day, p. 235
RENARD: Le
Travail dans
5 Sir JAMES GEORGE FRAZER: Myths of the Origin of Fire.
6 MALINOWSKI: A Scientific Theory of Culture, p. 95.
RAYMOND FIRTH: Primitive Polynesian Economy, pp. 37-38.
8 HOBHOUSE, WHEELER e GINSBERG: Material Culture of the Simpler Peoples, pp. 16-18.
9 SUMMER e KELLER: Science of Society, I, pp. 163-64.
10 HERSKOVITZ: The Economic Life of Primitive People pp. 47-48.
11 KAJ BIRKET-SMITH: Geschichte der Kultur, pp. 143-44.
12 RAYMOND FIRTH: Primitive Polynesian Economy, p. 112.
13 HEINRICH CUNOW: Allgemeine Wirtschaftsgeschichte, I, pp. 103-123; C. DARRYL FORDE: Habitat, Economy and Society p. 374
14 Ibidem, I, p. 95.
15 RAYMOND FIRTH: Primitive Polynesian Economy; CL. LEVY-STRAUSS: Tristes tropiques, pp. 297-98.
16 GORDON CHILDE: Man Makes Himself, pp. 15-19.
17 ARNOLD GEHLEN Der Mensch, pp. 433-34.
18 FRITZ HEICHELHEIM: Wirtschaftsgeschichte des Altertums, p. 36; C. DARRYL FORDE: Habitat, Economy and Society, p. 397. Vedi in Historia Mundi, II, pp. 66-80, la discussione sullo stato attuale della questione, a cura di Karl J. Narr.
19 HOBHOUSE, WHEELER e GINSBERG: Material Culture of the Simpler Peoples, p. 22.
20 THURWALD, articolo intitolato 'Handwerk' in Reallexícon der vorgeschichte, V, p. 98. Queste idee sono oggi generalmente accettate dagli specialisti. Vedi An Appraisal of Anthropology to-day, pp. 40-41.
21 SUMMER e KELLER: Science of Society I, p. 134.
22 SUMMER e KELLER: Science of Society, III, p. 1954 ecc.; FRITZ HEICHELHEIM: Antike Wirtschaftsgeschichte, II, p. 898.
Vedi anche: F. KERN: Mutterrecht einst und jetzt, in Theologische Zeitschrift, Basel, 6, 1950, e Historia mundi, I, p. 389, e Il, pp. 91-92 e 94.
23 FURON: Manuel de Préhistoire générale, passim.
24 MARTIN C. YANG: A Chinese Village, p. 27.
25 RAYMOND FIRTH: Primitive Polynesian Economy, p. 63.
27 Ibidem, p. 29.
28 GEORGES BALANDIER: Structures sociales traditionnelles et changements économiques, in 'Revue de l'Institut de Sociologie Solvay U.L.B.', n. 1, 1959, pp. 38-39.
29 Smithsonian Contributions to Knowledge, voi. XVI.
30 LAURA THOMSON: A Culture in Crisis, pp. 94-95.
31 HERSKOVITZ: The Economic Life of Primitive People, pp. 72-77.
32 MARGARET MEAD: Sex and Temperament, pp. 26-27. Vedi anche la descrizione di JOMO KENYATTA del lavoro comunitario presso i Kikuyu:: Au pied du Mont Kenya, pp. 72, 84-85 e altrove.
33 Les populations aborigènes, pubblicazione del B.I.T., p. 225.
34 MELVILLE J. HERSKOVITZ: Dahomey, an Ancient West African Kingdom, I, p. 64.
35 Ibidem, I, p. 65.
36 S.F. NADEL: A Black Byzantium, the Kingdom of Nupe in Nigeria, p. 49; JOSEPH BOURRILLY: Eléments d'étnographie marocaine, p. 139.
38 AUDREY I. RICHARDS: Land, Labour and Diet in Northern Rhodesia, p. 15.
39 HENRI TERRASSE: Histoire du Maroc, p 28.
40 Lavrentian Chronicle, p. 8.
41 MARC BLOCH: Les caractères originaux de l'histoire rurale francaise, p. 163.
42 CH.-E. PERRIN: Recherches sur la seigneurie rurale en Lorraine, p. 639.
43 DARRYL FORDE: Habitat, Economy and Society, p. 375;
RENÉ GROUSSET: Historie de
44 STEFAN BALAZS: Beitrage zur Wirtschaftsgeschichte der T'ang-Zeit, in: Mitteilungen des Seminars fur Orientalische Sprachen 1931-1932.
45 Vedi in particolare: CESARE: De bello Gallico, IV, 21, 3; PERRIN: op. cit., p. 629; Vecchio Testamento: Num. XXVI, 55, 56; Giosue XVIII, 6; Mic. Il, 5 ecc.
46 YOSHITOMI: Etude sur l'histoire économique de l'Ancien Japon, p. 67; YOSOBURO TAKEKOSHI: Economic Aspects of the History of the Civilisation of Japan, pp. 26-27; J.H.
BOEKE: Theorie der Indische Ekonomie, p. 30; K.A. WITTFOGEL: Probleme chinesischer wirtschaftsgeschichte, p. 304. Vedi pure una recente pubblicazione cinese: An Outline History of China, p. 19.
47 DYCKMANS: Histoire économique et sociale de l'Ancienne Egypte, I, p. 128; JACQUES PIRENNE: Histoire des Institutions et du Droit privé de l'ancienne Egypte, I, p. 29.
JACQUES WEULERSSE: Le pays des Alaouites, p. 357.
49 African Survey, p. 833
50 RAYMOND FIRTH: Primitive Polynesian Economy, pp. 57-58.
51 GLOTZ: Le travail dans
52 GORDON CHILDE: What Happened in History, p. 90.
53 GLOTZ: Le travail dans
54 CHEN HUANG-CHANG: The Economic Principles of Confucius, p. 122.
Manoscritto RAMIREZ: Histoire de l'origine des Indiens, p. 13.
56 FRITZ HEICHELHEIM: Vormittelalterliche Geschichtsepochen, pp. 163-64.
57 Encyclopedia of Social Sciences, vol. 1, voce 'Agricolture', p. 572.
58 HITTI: History of the Arabs, pp. 49-58.
59 HEICHELHEIM: Wirtscaftsgeschichte des Altertums, I, p 205.
60 YOSHITOMI: Etude sur l'histoire économique del l'ancien Japon, p.208; Sir GEORGE SANSOM: A history of Japan to 1334, p.14.
61 RATZEL: Anthropogeograpy, II pp. 264-65.
62 KULISCHER: Wirtschaftsgeschuchte des Mittelalters, I. P. 71.
63 WEULERSSE: Le pays des Alaoutes, p. 357.
64 MALINOWSKI: Freddom and Civilisation, p. 301.
65 HOBHOUSE, WHEELER E GINSBERG: The material Culture of the Simpler People, pp. 235-36; C. DARRYLL FORDE: Habitat,Economy and Society, p. 391.
66 H. CUNOW: Allgemeine Wirtschaftsgeschichtre, I p. 411.
68 GORDON CHILDE: Scotland before the Scotts, p. 48.
69 S.F. NADEL: A Black Byzantinum, the Kingdom of Nupe in Nigerie, p. 190.
70 MALINOWSKY: Freedom and Civilisation, p. 278; C. DARRYL FORDE: Habitat, Economy and Society, p. 359.
71 LEVY-STRAUSS: Tristes tropiques, p. 343.
72 FRITZ HEICHELHEIM: Wirtschaftsgeschichte del Altertums, I p. 171.
73 Arthacastra di KAUTILYA, traduzione tedesca di J.J. Mayer, pp. 61-62.
74 MASPERO: Histoire ancienne des peupless de l'Orient classique, I, p.331.
75 POLANYI ecc.: Trade and Market in the Early Empires, p. 324.
76 Op. Cit., p. 327.
77 Op. Cit., p. 325.
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