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La globalizzazione, ineguaglianza economica e demografica: la povertà della ricchezza e la ricchezza della povertà




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La globalizzazione, ineguaglianza economica e demografica: la povertà della ricchezza e la ricchezza della povertà.


In questo mio percorso metodologico vorrei soffermarmi sul concetto di globalizzazione e sul ruolo di quest'ultima nelle complesse dinamiche responsabili delle ineguaglianze economiche. La tematica verrà analizzata attraverso l'analisi di testi di importanti sociologi contemporanei quali Massimo Livi Bacci e Valerio Castronovo.

Tale tema è stato scelto all'interno della più ampia tematica del Panta Rei, in quanto focalizzando l'attenzione sul mondo moderno emerge come il divario tra Nord e Sud del mondo non si sta assottigliando, ma cresce causato proprio dalla globalizzazione e dal continuo evolversi del progresso tecnologico. Oltre a ciò, dagli studi da me effettuati, è stato rilevato come nella lotta per la sopravvivenza le popolazioni sottosviluppate attuino specifiche misure di risposta, di cui parlerò successivamente in maniera dettagliata.

Con il termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto primo è una decisa convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo.

Il termine globalizzazione, di uso recente, è stato utilizzato dagli economisti, a partire dal 1981, per riferirsi prevalentemente agli aspetti economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende. Il fenomeno invece va inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici, e delle complesse interazioni su scala mondiale che, soprattutto a partire dagli anni ottanta, in questi ambiti hanno subito una sensibile accelerazione.

Sebbene molti preferiscano considerare semplicisticamente questo fenomeno solo a partire dalla fine del XX secolo, osservatori attenti alla storia parlano di globalizzazione anche nei secoli passati. Ma erano tempi diversi in cui la globalizzazione si identificava, pressoché essenzialmente, nell' internazionalizzazione delle attività di produzione e degli scambi commerciali.

In campo economico la globalizzazione denota la forte integrazione nel commercio mondiale e la crescente dipendenza dei paesi gli uni dagli altri. Con la stessa parola si intende anche l'affermazione delle imprese multinazionali nello scenario dell'economia mondiale: In questo settore si fa riferimento sia alla produzione spesso incentrata nei paesi del sud del mondo, sia alla vendita, che vede i prodotti di alcuni marchi molto sponsorizzati in commercio in quasi tutti i paesi del mondo.
L'economista Giancarlo Pallavicini asserisce che, anche per effetto della tecnologia informatica, l'era globale comporta uno straordinario sviluppo delle possibili relazioni, economico-finanziarie, pur preminenti, tra le diverse aree del globo, ma anche sociali e politiche; la rapidità di questo sviluppo è tale da far si che ciò che avviene in un'area si ripercuota anche in tempo reale sulle altre aree, pure le più lontane, con esiti che i tradizionali modelli interpretativi dell'economia e della società non sono in grado di valutare correntemente.

Soffermandomi ad analizzare la globalizzazione come fattore inadeguato a risolvere il problema dell'ineguaglianza economica vorrei riportare concezioni esposte durante il convegno "Migrazioni. Scenari per il XXI secolo" da Livi Bacci. Per Livi Bacci la tendenza futura dell'ineguaglianza economica è molto complessa, dal momento che i fattori di inerzia incidono molto meno che sull'andamento demografico. Globalizzazione significa mobilità di capitali, che affluiranno nei paesi poveri, laddove scarseggiano, e dove maggiore è il ritorno economico derivante da nuovi investimenti. Questo processo promuove la crescita e riduce il divario tra ricchi e poveri, portando in tal modo verso una convergenza. Così dice la teoria e, su questa base, la dedizione verso la globalizzazione è universale. Ma quando e come avrà luogo questa convergenza, è molto più arduo da stabilire: è assai probabile che ci vorrà moltissimo tempo. Bacci si limita ad osservare che la crescita è spronata dalla tecnologia, e sulla produzione e proprietà della tecnologia c'è un'enorme sproporzione in favore dei paesi ricchi. A tal proposito Jeffrey Sachs è del parere che "è meno probabile che converga la tecnologia che il capitale. L'innovazione tecnologica porta guadagni crescenti in scala, il che significa che le regioni con le tecnologie più avanzate sono nella posizione migliore per produrre ulteriori innovazioni: le nuove idee sono di norma prodotte da una nuova combinazione di idee già esistenti, quindi gli ambienti ricchi di idee producono reazioni a catena nel campo dell'innovazione". Ciò implica che l'ineguaglianza continuerà a crescere ancora per parecchio tempo, insieme all'ulteriore concentrazione di potere nelle mani delle nazioni ricche. Soltanto quando l'innovazione tecnologica comincerà a rallentare i suoi frutti potranno diffondersi ovunque e potrebbe iniziare a formarsi un processo di convergenza. Ma nelle fasi di innovazione accelerata le divergenze potrebbero continuare ad ampliarsi.

Come sopraccennato, le risposte alla povertà di popoli del Sud del mondo, che mirano principalmente alla sopravvivenza nella perpetua lotta all'esistenza, sono molteplici, tra queste è possibile annoverare l'alta percentuale di natalità. La componente più misera dell'umanità infatti è anche quella che continua ad annoverare i più elevati tassi di incremento demografico, che è destinato a crescere più o meno agli stessi ritmi nel corso del nuovo secolo. Per alcuni aspetti la crescita demografica rappresenta una ricchezza dei paesi poveri, dai quali le nazioni ricche a crescita demografica pari a zero attingono risorse umane per necessità di manodopera. Tuttavia la povertà di risorse umane dei paesi ricchi hanno portato i capitalisti allo sfruttamento anziché all'integrazione di quei paesi che possedevano tali risorse. 

Le sperequazioni abissali e il fatto che la parte più povera del mondo sia anche quella più popolata o più densamente affollata, costituiscono una miscela ad alto potenziale esplosivo. In un saggio scritto nel 1985, Immanuel Wallerstein sosteneva che la pressione delle masse più misere ed emarginate alle porte dei paesi ricchi avrebbe scardinato e delegittimato il sistema capitalistico, rivelandone i limiti e le contraddizioni. Tutto ciò accadrebbe sia perché i meccanismi della libera economia sarebbero congegnati in modo tale da comportare una mercificazione sempre più incontrollata di ogni cosa e da produrre di conseguenza sprechi irreparabili ed effetti aberranti a scapito dei bisogni primari della collettività; sia perché gli sviluppi dell'economia di mercato avrebbero determinato unicamente una concentrazione ulteriore dei redditi e dei consumi su pochi paesi e gruppi sociali, e non già una riduzione dei vistosi dislivelli esistenti, nella ripartizioni delle risorse, fra i picchi massimi e minimi del "sistema-mondo". Se questa predizione non s'è avverata, se la povertà non ha spinto le masse del Terzo Mondo alla rivolta, resta tuttavia il fatto che la crescente insofferenza dei paesi più poveri e sovrappopolati nei confronti di quelli più abbienti continua a essere incombente sulle relazioni internazionali e sul nostro stesso futuro. Ed è una minaccia che alla lunga potrebbe essere non più esorcizzabile, qualora non si arrivasse a individuare soluzioni politiche ed economiche in grado di ridurre quanto meno entro limiti tollerabili le distanze fra i paesi più avanzati e quelli ai margini dello sviluppo. La parte del mondo più povera inoltre non può fare affidamento sulle "virtù spontanee" del mercato. Sia perché è esclusa a priori dai vantaggi della globalizzazione, sia perché deve essere posta nelle condizioni di poterlo fare. E questo dipende da determinate iniziative dei paesi più avanzati, a cominciare dall'abbattimento delle barriere commerciali e delle tariffe agricole che penalizzano le esportazioni dei paesi in via di sviluppo. Ma occorrono anche investimenti nel campo delle infrastrutture e dei servizi di interesse collettivo, e aiuti da parte delle istituzioni internazionali finalizzati alla formazione di quadri amministrativi, all'istruzione pubblica e alla riqualificazione della manodopera, alla preparazione dei giovani ai nuovi tipi di lavoro, allo sviluppo della piccola e media imprenditorialità. Ma il sottosviluppo non è dovuto solo a una scarsa dotazione di risorse produttive e di capitali da investire. È dovuto anche all'insufficienza di "capitale umano", di strutture formative, di validi ordinamenti giuridici e modelli comportamentali, insomma di beni e servizi in grado di creare o assecondare opportunità di autorealizzazione individuale e di sviluppo sociale. La disuguaglianza economica, ha osservato Amartya Sen, non consiste unicamente nella disparità di reddito, ma soprattutto nella disuguaglianza di opportunità, di possibilità di scelta, di libertà individuali.

Concludendo questa mia analisi vorrei tracciare una possibile via di uscita da questa drammatica situazione; a tal proposito riporto la tesi Valerio Castronovo, che menzionando l'idea dell'ex segretario generale dell'Onu Kofi Annan, parla di un nuovo "New Deal" globale contro la povertà. Il "nuovo metodo" di cui si parla è incentrato sulla progressiva liberalizzazione e cooperazione economica e una politica sociale adeguata sia a un'equa redistribuzione del reddito sia all'ampliamento della sfera delle libertà civili e dei diritti sindacali.       

Alcune evidenze empiriche significative


Globalizzazione e rivoluzione tecnologica si accompagnano ad un'evoluzione complessivamente positiva della situazione economica mondiale, visto che negli ultimi venti anni gli indicatori economico-sociali registrano un miglioramento delle condizioni di sviluppo in tutto il mondo, anche se con differenze molto significative tra le diverse aree. La Banca Mondiale sottolinea, riportando pensieri di Dollar-Kraay, che nell'ultimo decennio si è determinata una riduzione della povertà, anche se con una dinamica molto lenta, purtroppo accompagnata da incrementi in alcune aree/regioni, della povertà medesima, circostanza che richiama, ovviamente, l'esigenza di un impegno decisamente superiore a quello attuale da parte delle economie avanzate. Ciò tanto più se si considera che, nel tempo, è aumentata l'ineguaglianza della distribuzione del reddito pro capite tra le più ricche 20 economie e le 20 più povere (da 15 a 30 volte, dal 1960 ad oggi). Va detto che tra i paesi poveri lo sviluppo del reddito pro capite ha avuto una dinamica nettamente superiore in quelli che hanno adottato politiche di apertura commerciale dei mercati. Parallelamente è importante rilevare che il divario tra regioni avanzate e regioni arretrate, aumentato in termini di reddito pro capite si è in parte ridotto se si guarda ai cosiddetti indicatori sociali (Tavola 1).

Tavola 1. Indicatori sociali di sviluppo per area geografica

Asia Asia America Africa Sub-Sahaiana Unione Europea OECD*

Meridionale Orientale Latina e Caraibi


Aspettativa media di vita alla nascita

49.56 58.39 58.42 42.59 68.28 67.79

53.95 63.24 61.94 46.03 70.37 70.53

61.53 66.85 66.46 49.40 74.07 74.11


Variazione 24 % 14 % 14 % 16 % 8 % 9 %


Mortalità infantile (su 1000 neonati)

138.72 78.83 83.79 136.64 24.72 22.16

119.05 56.03 60.48 114.78 12.50 12.66

76.89 37.22 31.79 91.43 5.15 6.06


Variazione   -45 % -53 % -62 % -33 % -79 % -73 %



Lavoro minorile (individui occupati nella fascia di età 10-14 anni)

24.06 33.60 12.05 36.31 3.15 2.68

23.36 26.87 12.68 34.68 0.64 0.30

16.43 10.15 9.18 29.84 0.12 0.04


Variazione -32 % -70 % -24 % -18 % -96 % -99 %


* Organisation for Economic Co-operation and Development

Gli indicatori più facilmente confrontabili su dati Banca Mondiale sono quelli relativi all'aspettativa media di vita alla nascita, alla mortalità infantile e al lavoro minorile. Sul primo indicatore l'Asia meridionale fa segnare l'incremento percentuale più sensibile, ma tutte le aree registrano variazioni positive, pur restando il dato assoluto dell'Africa subsahariana assai inferiore a quello delle altre regioni mondiali. Ancora sulla contrazione della mortalità infantile e del lavoro minorile tutte le aree registrano progressi ma il Sud-Est asiatico continua a segnare variazioni più positive dell'Africa Subsahariana e livelli dell'indicatore nettamente migliori. La differenza tra aree è invece più evidente in termini di crescita percentuale media annua del PIL pro capite la quale, fra il 1965 e il 1998, è stata di 5.7 nell'Asia Orientale, di 2.3 nei paesi OECD, di 0.2 nel Medio Oriente e nell'Africa del Nord e di -0.3 nell'Africa Subsarahariana. Inoltre, fra il 1970 e il 1995, la produttività totale dei fattori è cresciuta di 1 punto percentuale all'anno nei paesi OECD ed è calata dello 0.9 per cento nell'Africa Subsarahariana e dello 0.1 e 2 per cento rispettivamente nel Medio Oriente e nell'Africa del Nord.




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