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Per una visione integrale dello sviluppo
<< Il mondo è come una maschera che danza : se si vuol vederla bene, bisogna non star fermi in un punto >>[110].
Seguendo l'indicazione fornita da questa citazione si cercherà ora di vedere nel presente capitolo l'ampio significato che può essere attribuito al termine sviluppo, cercando di integrare le usuali prospettive economiche con delle visioni dagli orizzonti più indefiniti e ampi.
Si inizia facendo un breve cenno a come venga normalmente riassunta e presentata la storia africana, quindi quella di un paese in via di sviluppo, per porre in risalto come questo percorso di sviluppo possa essere ritenuto per lo meno parziale e riduttivo - senza esprimere per ora opinioni sul suo successo o insuccesso - perché come scrive ancora Achebe, << anche il leone deve avere chi racconta la sua storia, non solo il cacciatore >>. Attenendosi al "vincolo" di oggettività che ci si è proposti, ci sembra doveroso dar voce a chi spesso deve tacere, per capire se si può parlare veramente di sviluppo oppure se si tratti di qualcosa di diverso.
Da poco lo Zaire è divenuto Repubblica Democratica del Congo,
dopo che l'impero di Mobutu si è disgregato in seguito al passaggio delle
truppe di Kabila poiché le svariate ricchezze di quella terra erano utilizzate
ad esclusivo vantaggio di un solo uomo
e di pochi intimi .
Ciò perché si è giunti ad un punto in cui il sistema d'oppressione politica,
economica e sociale non poteva andare oltre. Anche questo recente episodio è
stato presentato in modo distorto dai mass media e talvolta associato pure alla
presentazione di facili "ricette economiche".
Lo stesso Presidente americano, alla vigilia del vertice dei G7, ha promosso un piano economico per rilanciare l'Africa basato non tanto su aiuti, quanto piuttosto su rapporti commerciali. Sono stati messi a disposizione 500 milioni di dollari per infrastrutture e 150 milioni per imprese che investiranno in Africa. E' evidentemente chiaro che la "bontà americana" coincide non casualmente con gli interessi di alcune multinazionali che hanno appoggiato Kabila in cambio di garanzie per l'accesso alle risorse minerarie del sud del paese.
Facendo un passo indietro, nella storia africana, si può notare come prima della colonizzazione, non esistessero confini definiti, i raggruppamenti sociali e politici fossero mutevoli, la dimensione della società e le sue forme di organizzazione rispondessero ad obblighi di reciprocità e responsabilità tradizionali, esistessero diversi livelli di centralizzazione di potere e autorità. Diffuse erano anche le società non statuali, decentralizzate, volte ad integrare più che a discriminare ed in cui i clan e l'identità etnica erano definiti dai rapporti di parentela, determinati innanzitutto dalle persone e talvolta indipendenti dal territorio[112].
L'influenza dell'Occidente in Africa sub - sahariana è
cominciata fin dal XVI secolo e si è basata prevalentemente sulla superiorità
tecnologica degli strumenti di guerra, ed ha ridefinito gli equilibri locali,
dapprima col
commercio degli schiavi, poi con i
commerci leciti.
La tratta degli schiavi ha influenzato enormemente sia il livello sociale e politico sia quello economico. Si considera che furono esportate circa 15 - 18 milioni di persone tra il XVI e XIX secolo, con la maggiore concentrazione tra il 1750 e 1850, periodo in cui la popolazione in schiavitù rappresentava circa il 10% della popolazione totale[113]. Lo schiavismo perse d'importanza quando il commercio lecito iniziò a prospettare volumi d'affari più elevati. Si formarono allora ancora gruppi di potere per il controllo delle risorse interne e delle vie commerciali, così alcune popolazioni presero il sopravvento spinte dalla possibilità d'accumulare ricchezze individuali. Al commercio lecito, la quale favorì la scoperta del continente e delle sue ricchezze seguì la spartizione fra le nazioni europee del territorio che sfociò nella colonizzazione.
Spesso processi di questo tipo si rivestono degli scopi più nobili (quali, per fare solo alcuni esempi, far cessare il commercio degli schiavi, promuovere il progresso e lo sviluppo ) : e, intanto si perpetua lo sconvolgimento apportato al sistema sociale, politico e produttivo. Si potrebbe suggerire come fa Friedman a riguardo degli interventi di politica economica che è meglio non agire per porre rimedio a sfasamenti perché spesso se ne provocano di peggiori, ma non ci pare una scelta onesta se è vero come detto che è stato l'Occidente a "danneggiare e sfruttare" l'Africa.
Sarebbe come ammettere che c'è stato sfruttamento delle risorse del paese ma che ora non conviene intervenire in aiuto poiché c'è il pericolo che si possano creare altre "distorsioni". Poco importa se si sono creati sistemi economici che sfruttano la popolazione e deturpano i territori "rubando" risorse minerarie.
La storia sembra ripetersi inesorabile, in quanto le "distorsioni" sopra denunciate continuano ad avere effetti pesantissimi, basti pensare alla Nigeria, alla guerra del Biafra, o anche a Burundi e Rwanda e come i sistemi coloniali abbiano alterato l'accesso alle risorse delle etnie Tutsi e Hutu, attribuendo poteri ingiustificati ad alcuni perché, con evidente mentalità razziale, ritenuti superiori.
Ciò, ove ce ne fosse la necessità, dimostra che i finanziamenti concessi ad alcuni governi durante il neo - colonialismo non hanno mai preso in considerazione le variabili democratiche.
Il commercio estero quale panacea di tutti i mali ?
Questa premessa sulla storia africana vuole significare che lo sviluppo, anche quello economico, non può essere improvvisato ma fa parte di un processo di medio - lungo periodo, ed è inoltre strettamente interconnesso con le istituzioni di un paese, intendendo le regole che disciplinano il comportamento sociale, politico ed economico di un popolo.
Nel presente capitolo si argomenterà l'enfasi posta nelle politiche di liberalizzazione commerciale e la fede "cieca" nei meccanismi di mercato.
Lo studio delle interazioni fra libero mercato e sviluppo è un tema fondamentale in economia fin dagli inizi della disciplina economica, e continuamente presenta novità connesse al cambiamento delle strutture economiche, del comportamento, dei gusti, della cultura e delle necessità degli individui nonché, infine, del modo stesso di produrre. Il momento storico in cui si sta vivendo, in particolare, è contraddistinto da un processo di globalizzazione che, intrecciando rapporti di scambio sempre più intensi fra le nazioni, rappresenta un importante fattore di sviluppo. Si vuole cercare di riflettere, in questo lavoro, sulla qualità e le condizioni in cui avvengono tali scambi, onde evitare di proporre modelli generalizzati o suggerire politiche di apertura tout court, che non apportino nulla di nuovo ai consueti modelli di sviluppo.
Sovente, a prova del fatto che l'apertura commerciale verso l'estero permetta di raggiungere formidabili ritmi di crescita, si menzionano le eloquenti performance di alcune nazioni del sud - est asiatico ma, anche senza tener conto delle recenti crisi proprio di tali paesi che hanno fatto ripercuotere i loro effetti in tutto il mondo, non si è poi così sicuri che simili esempi siano completamente adeguati[114]. Si afferma questo perché va innanzitutto ricordato che nel caso del cosiddetto "miracolo del sud - est asiatico" furono la Corea del Sud, Taiwan, Singapore, la Tailandia e la Malesia a decidere un'apertura commerciale. Ancora, si deve ricordare che la formula economica era accompagnata da una notevole equità nella distribuzione delle risorse, nonché da un sostanzioso investimento in istruzione, da una politica economica di incentivi statali, ma nel contempo flessibile e caratterizzata da reciproca autonomia fra potere politico - burocratico ed economico. Basti ricordare che il tasso di alfabetizzazione nel sud - est asiatico negli anni '70 generalmente superava l'80%, mentre nella maggior parte dei paesi dell'Africa sub - sahariana è ancora oggi inferiore al 50% e in Niger e Burkina Faso raggiunge appena il 13,6% e il 18,7% .
In aggiunta a questi dati occorre considerare che in molti paesi dell'Africa orientale e del sud esistono ancora profondi diseguaglianze nella distribuzione della terra. In queste condizioni un processo di apertura commerciale non sarebbe altro che ad appannaggio di alcuni contribuendo così ad aumentare maggiormente le già esistenti sperequazioni creando sistemi condannati a collassare perché minati proprio alla base da disuguaglianze.
Si può allora vedere come l'attuale contesto sociale ed istituzionale della maggioranza dei paesi africani sia completamente diverso da quello che ha favorito il successo asiatico.
Tutto questo dovrebbe far convenire sul principio che il diffondersi di nuovi rapporti commerciali non sia di per sé una politica sufficiente per lo sviluppo, il quale richiede un progetto economico più complesso e dalla minima ingerenza statale.
Ciò è stato scritto non per negare che sia in corso un cambiamento, né tantomemo per negare l'importanza del commercio con l'estero (che rimane uno dei fattori cruciali per lo sviluppo economico), bensì per evidenziare la convinzione che al fine di sviluppare le potenzialità positive delle relazioni con l'estero sono necessarie alcune basi istituzionali che ostacolino il diffondersi delle solite "attività predatorie" e permettano quindi la crescita di equi scambi di capitali, di merci, tecnologie e conoscenze.
I vantaggi di un libero mercato non si ottengono semplicemente abbattendo le barriere commerciali, ma necessitano che venga assicurato un benefico effetto per tutta la popolazione.
Carenze e importanza degli indicatori statistici
Economicamente i vantaggi economici di un processo di sviluppo sono misurati con indicatori statistici, principalmente PIL e PNN che formano serie storiche aggiornate periodicamente, alle quali è attribuito un interesse molto importante.
Il PIL (prodotto interno lordo) è il valore di tutti i beni e servizi finali prodotti da un determinato paese in un determinato periodo di tempo, solitamente l'anno. Tale indicatore manifesta però carenze per quanto concerne una corretta valutazione di un processo di sviluppo ; tra i maggiori difetti se ne ricordano due :
la mancata considerazione della distribuzione del reddito, critica comune a quasi tutti i dati medi statistici,
l'incapacità di tener conto di esternalità, ambiente e beni pubblici
Sovente desta preoccupazione rilevare che la crescita di tale indicatore è poco sostenuta o addirittura negativa, mentre si è confortati se si constata che questa è mediamente elevata o addirittura superiore a quella riscontrata in altre nazioni[117].
Occorre comunque ricordare che un numero sempre maggiore di economisti, sensibili alle istanze avanzate da ambientalisti, gruppi spontanei di "difensori" dei diritti umani, sindacati, ammette con apprezzabile senso critico che gli indici macro - economici classici sono profondamente lacunosi, omettendo per esempio di considerare i costi ambientali o il lavoro non remunerato nelle attività di casa o nei settori informali. Proliferano del resto, proprio per colmare tali lacune pure indicatori più complessi, dallo Human Devolpment Index, (HDI) della UNDP a tutti quelli basati sull'Index of Sustainable Economic Welfare di H. Daly e J. Cobb.
Cercando di attribuire ora la giusta valenza all'indicatore classico e più conosciuto, il PIL, si deve ammettere che esso è senza dubbio interessante per molteplici aspetti, ma deve essere interpretato con molta attenzione poiché può accadere che il prodotto cresca senza che per questo aumenti la qualità della vita, dei servizi (come la scuola o la sicurezza o dell'assistenza sanitaria), tutti fattori questi considerati caratterizzanti un paese sviluppato. Nonostante queste possibili distorsioni il PIL è spesso comunemente identificato col concetto stesso di sviluppo ed in quanto tale è considerato un indicatore fondamentale, a prescindere dalle lacune a cui si è accennato.
Tale imperfezione è in gran parte imputabile al pensiero economico, secondo il quale si è sempre più teso a identificare e ridurre il concetto di sviluppo con quello di crescita, anche se gli economisti classici come Smith, Riccardo e Malthus al termine sviluppo attribuivano un significato più ampio che abbracciava aspetti sociali, politici ed economici, con una specifica attenzione quindi alla qualità delle condizioni di vita.
Probabile distorsione del significato di sviluppo
Vista la severità di tale affermazione si reputa necessario soffermarsi brevemente a motivarla e a giustificarla, ripercorrendo per questo una studio autorevole del recente premio Nobel per l'economia 1998, Amartya Sen[118].
L'autore spiega chiaramente il modo in cui è stato erroneamente attribuito a Smith "uno scetticismo intransigente nei confronti dell'etica dell'economia e degli affari " ; per esteso, si comprende pure il senso dell'erronea interpretazione, di cui si sta discutendo, circa il concetto di sviluppo.
A tale fine l'autore riprende la frase forse più famosa di Smith contenuta nella Ricchezza delle Nazioni : << Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che dobbiamo aspettarci il nostro pranzo, bensì dalla loro aspirazione a soddisfare il proprio interesse. Noi dunque non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo >>[120], per poi spiegare che in tale passo Smith "suggerisce che è l'aspirazione a soddisfare il proprio interesse personale a motivare lo scambio di beni. Ma questa affermazione ha una portata assai limitata, anche se si tratta di una penetrante intuizione che spiega perché aspiriamo allo scambio e perché questo è benefico per tutti". A questo punto Sen si interroga sulla possibilità che "Smith pensasse che il risultato (dello scambio N.d.A.) sarebbe altrettanto positivo nel caso in cui gli affari, nel perseguimento dell'interesse individuale, consistessero nel tentativo da parte dei venditori di frodare i consumatori, o viceversa". Sen conclude che "il paradigma macellaio - birraio fornaio non affronta (e Smith non ha mai detto che li affronti) i problemi della produzione e della distribuzione, né quello della promozione istituzionale del sistema di scambio."
Per tornare a ribadire il significato più ampio attribuito al termine sviluppo, intendendo per ora semplicemente crescita e apertura agli scambi internazionali, si può citare ancora Sen che spiega il pensiero di Smith affermando che "In altre parti della sua Ricchezza delle Nazioni, Adam Smith affronta questioni che richiedono una struttura motivazionale più complessa. Nella Teoria dei sentimenti morali, egli esprime l'esigenza di andare al di là della massimizzazione del profitto e afferma che << umanità, giustizia, generosità e spirito pubblico sono le qualità più utili alla collettività >> [121]. Smith, insomma, era molto lontano dall'idea di negare l'importanza dell'etica nel comportamento umano in generale e negli affari in particolare" .
Si può ancora concordare con Sen affermando che "Il paradigma ricorrente macellaio - birraio - fornaio, citato ai danni delle altre tesi sostenute in volumi ponderosi, fa sì che il padre dell'economia moderna ci appaia spesso nelle vesti di ideologo, di esponente fazioso di una visione della vita senza etica che lo avrebbe fatto inorridire"[123].
Dopo questa parentesi, tesa a evidenziare il "fraintendimento" degli insegnamenti di Smith, si può proseguire il lavoro affermando che non meno imputabile di aver creato la distorsione di cui si sta discutendo, è pure l'avvento dell'utilitarismo con la nascita e la diffusione delle teorie neoclassiche, le quali favoriscono sempre più la prevalenza degli aspetti produttivi, dell'allocazione di risorse date e della loro efficienza, separandole dalle dinamiche distributive che assurgono così a mera conseguenza di un processo di massimizzazione.
Ripensamento dei criteri di sviluppo
Solo di recente, come si diceva ci si orienta verso una visione più integrale e da qualche anno un organo delle Nazioni unite (UNDP) calcola l'indice di sviluppo umano (HDI) che, oltre a considerare il PIL pro capite, valuta l'aspettativa di vita e la scolarizzazione pesata con la percentuale di analfabetismo.
Su come il PIL e lo sviluppo possano essere discordanti è interessante vedere la figura 1, che riporta l'andamento del PIL e un "indice di salute sociale", costruito tenendo conto di 16 variabili : mortalità infantile ; abuso di minori ; minori in situazioni di povertà ; suicidio di adolescenti ; abuso di droghe ; abbandono delle scuole superiori ; disoccupazione ; stipendio medio settimanale ; copertura assicurativa sanitaria ; povertà tra gli ultra - sessantacinquenni ; spese sanitarie da questi sostenute ; omicidi ; incidenti stradali mortali dovuti ad abuso di bevande alcoliche ; copertura di sussidi alimentari ; possibilità di permettersi una casa ; divario tra ricchi e poveri. I dati sono relativi agli Stati Uniti e si riferiscono all'arco di tempo intercorrente fra il 1970 e il 1995. Si nota subito che, mentre il prodotto interno lordo aumenta con una certa regolarità eccettuati i periodi connessi alla crisi petrolifera e l'interruzione del 1991, l'indice di benessere sociale decresce drasticamente tra il 1976 e il 1992, per poi attestarsi su un livello pressoché costante.
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Fig. 1. Indice di << salute sociale >> e PIL negli USA
(miliardi di dollari e prezzi costanti)[124]
Ciò spiega forse perché proprio in questo periodo storico l'uomo sia alla ricerca di un senso vero, di un fine ultimo in quanto spesso si trova a produrre e consumare senza capirne il perché : per soddisfare semplicemente un bisogno d'agire e di costruire qualcosa da sfruttare ? per trovarsi poi a doverla "subito" scartare perché obsoleta, in quanto superata da tecnologie sempre migliori e più "intricate" ? Si è diffuso in un certo qual modo l'imperativo della "crescita per consumare e del consumismo per crescere e svilupparsi".
Sembra di poter dire si tratti di un circolo perverso, simile a quello in cui si trovavano "taluni oziosi e viziosi cittadini dell'impero romano" che ricorrevano all'uso degli emetici perché, come scrive Seneca, << Vomitano per mangiare, mangiano per vomitare >>. Antropologicamente il fenomeno si interpreta come la ricerca del piacere, pura risposta organica allo stimolo"[126].
Allo stesso modo, parafrasando, si può dire dei processi di sviluppo e di crescita incondizionata, che non considerino la salvaguardia dell'ambiente, comunque necessaria per la sopravvivenza di tutti, i quali appaiono suffragati dalla necessità di trascendere verso qualche cosa di inconscio, metafisico e che, a parere di chi scrive, non si raggiunge certo con mezzi materiali.
Si può citare in fine, a questo riguardo, anche il seguente pensiero : << Eppure, anche qui in molti più casi che non appaia, numerosi gli "imprenditori schumpeteriani" tesi a realizzarsi nel nuovo prodotto, nella nuova tecnica per realizzarlo, nella diffusione di esso a più vasti mercati, (quindi "sviluppo" del commercio internazionale N.d.A.) nella diffusione diretta e indiretta del benessere anche in sede locale : ed è questa allora la prova del citato anelito all'Essere, del profondo afflato filantropico perché religioso - ancorché di una religione imperfetta o "naturale" o forse ancora ignara di sé - >>[127].
L'origine della distorsione che è stata evidenziata dalla figura precedente è senza dubbio in parte imputabile, dal punto di vista più prettamente economico, anche alla confusione tra "mezzo" e "fine" volendo con questo affermare che il PIL non può che essere un insieme di mezzi e non va scambiato con l'obiettivo, che è indubbiamente quello di raggiungere una vita migliore. E' chiaro che l'organizzazione economica ha un peso importante giacché può favorire la soddisfazione di alcuni bisogni materiali fondamentali, senza la quale è imprescindibile ogni altro intervento. E' allo stesso modo vero che, in linea generale, la crescita del reddito è associata alla riduzione della povertà in senso assoluto, ma ciò non significa riduzione della diseguaglianza o diminuzione di alcune sacche di povertà.
Possibili nuovi orientamenti dello sviluppo
Con questo si ritiene di poter affermare che lo sviluppo economico debba tendere innanzitutto a debellare la fame, le carestie e le povertà, per creare le basi su cui promuovere una crescita dell'uomo in tutti i suoi aspetti.
Molte economie africane[128], ricollegandoci a quanto detto inizialmente, sono contraddistinte dal fatto che la maggior parte della popolazione dipende ancora dall'agricoltura, da mercati molto segmentati e incapaci di sopperire o rispondere ai problemi climatici, ai cambiamenti dei prezzi delle materie prime sulle borse europee e americane ; milioni di persone soffrono ancora di malnutrizione cronica ; inoltre fenomeni come disastri naturali, guerre civili, collassi economici, migrazioni forzate e masse di rifugiati crescono sia di numero che per l'entità delle persone coinvolte. Gli stati poi che hanno conquistato l'indipendenza si fondano ancora sulle strutture economiche ereditate dal colonialismo, fortemente centralizzate e dipendenti dall'esportazione di poche materie prime, con una totale dipendenza quindi dall'estero per tecnologie e mezzi di produzione ; sono rimaste delle forti disparità tra regioni ma anche tra aree urbane e rurali.
La povertà è quindi connaturata proprio con la diseguale distribuzione delle risorse e del potere, con l'incapacità di amministrare il rischio e l'incertezza, nella struttura e nelle istituzioni economico - sociali che non consentono a gran parte della popolazione di partecipare alla vita economica e sociale del proprio paese.
La crescita di per sé non risolve tali conflitti sociali, per i quali sono necessari interventi e politiche che affrontino una redistribuzione inter - etnica basata su un consenso più ampio[129]. E' per questi motivi che si ritiene di poter affermare che le soluzioni vanno cercate in nuove forme d'espressione e partecipazione che prendano in considerazione anche eguali processi di acquisizione e controllo della produzione.
Per fare solo alcuni esempi, l'incertezza e il rischio presenti nei settori rurali possono essere controllati e condivisi attraverso organizzazioni cooperativistiche e mercati finanziari, assicurativi e del credito più efficienti così che possa evolversi un terreno fertile per l'acquisizione del capitale, risorsa indispensabile per l'emergere di innovazioni, di settori industriali e dei servizi. L'avvio di un processo di crescita non si ottiene solo attraverso una disuguaglianza economica che permette l'accumulazione di capitale, quindi il risparmio che favorisce il credito, il quale è necessario per gli investimenti che poi "significano" sviluppo, ma anche attraverso formule organizzative e meccanismi decisionali, che favoriscano una maggiore partecipazione e l'emergere di iniziative private come possono essere delle piccole imprese. Una più equa allocazione delle risorse poi, permette un'istruzione più diffusa nonché maggiori investimenti in capitale umano, potenziandone così le capacità di base e incidendo quindi con maggior efficacia sullo sviluppo oltre che sulla sola crescita.
La costituzione di meccanismi di partecipazione diffusa sembra essenziale per poter rispondere ai problemi africani ma pure a quelli di gran parte dei paesi sottosviluppati. Come si vede, ciò si contrappone alle mere politiche redistributive "passive" che rappresentano piuttosto solo uno strumento per limitare gli effetti negativi, senza neppure convincenti successi, spesso, in quanto incapaci di risolvere i problemi alla radice. In questo caso, si potrebbe forse più opportunamente seguire il consiglio di Friedman prima ricordato onde evitare di creare maggiori problemi in una situazione già complessa. La scelta necessaria, dunque, è quella fra : A) interventi efficaci volti a risolvere definitivamente il problema, nel qual caso si consiglia di tener conto dell'analisi proposta, oppure B) interventi meno "coinvolgenti" e dispendiosi di sforzi, volti a tamponare falle provvisoriamente, per rispondere ad esigenze contingenti, nel qual caso si raccomanda di non dimenticare il monito di Friedman, quand'anche tale tipo di intervento non si debba reputare deprecabile.
Per essere più chiari si porta l'esempio di come, nei due diversi modi sopra detti, si possa cercare di risolvere i problemi causati da una carestia.
Se si segue uno "sviluppo partecipativo" si può cercare la soluzione ex ante in un'organizzazione diversa della produzione e in sistemi di assicurazione adeguati, in cui i diritti delle persone vengano meglio tutelati. Ci si può riferire al caso dei piccoli agricoltori dello Zimbabwe, che consorziatisi in gruppi hanno potuto accedere a nuove tecnologie : nonostante le siccità, tali innovazioni tecniche hanno permesso una produzione tripla rispetto ai contadini non inseriti in tali gruppi. Significativa al riguardo è pure l'esperienza vissuta dalla regione di Rangpur in Bangladesh dopo le alluvioni del 1991. Qui si è dimostrato particolarmente utile il fondo d'emergenza della Grameen Bank, costituito dai risparmi obbligatori dei membri della banca stessa, che ha permesso la concessione di ben 18.000 prestiti, che hanno aiutato molti piccoli agricoltori a salvaguardare il consumo e uscire dal momento di crisi.
Diversamente si potrebbe decidere di rispondere ad una carestia organizzando interventi di redistribuzione di vivande. Ciò sarà inevitabilmente caratterizzato da ritardi dovuti a svariati motivi contingenti e pratici ma, anche se così non fosse, si è spesso soggetti a discriminazioni a favore di alcuni, motivo questo di un non completo successo.
Insomma, finché prevarranno interessi di parte e strutture fortemente gerarchizzate è difficile si possa instaurare un processo di vero sviluppo.
Se ci si concentra solamente sulla crescita ritenendo che questa dipenda solo dall'entità degli aiuti esterni e dai coefficienti di capitale, in definitiva, si ignorano gli ostacoli interni ed esterni del progresso economico.
Cenni sullo sviluppo umano
Dagli anni '90 si sta affermando sempre più l'idea di centrare una nuova economia politica sullo sviluppo umano inteso come "il processo di ampliamento delle scelte delle persone"[130]. Il concetto di sviluppo umano propone dunque di ripensare gran parte di questa materia su nuove basi, per evitare molti degli errori passati.
L'obiettivo, nel concetto di sviluppo umano, viene infatti spostato dalla crescita economica (misurata dall'accrescimento del reddito pro - capite) all'investimento nelle persone ; vengono allargate le prospettive e generalizzata la sua applicazione sia ai paesi poveri che a quelli ricchi abbracciando in questo modo l'intera gamma delle esigenze e delle ambizioni degli esseri umani. La crescita economica diventa in questo modo non più il fine dello sviluppo, ma un suo strumento fondamentale allo scopo di arricchire l'esistenza delle persone.
Per sostenere lo sviluppo umano allora, l'attenzione va rivolta alla struttura e alla qualità della crescita, alla sua capacità di ridurre la povertà, proteggere l'ambiente e assicurare la sostenibilità, piuttosto che alla quantità.
Affinché ci possa essere vero sviluppo umano, come già detto è necessario che il reddito sia distribuito equamente, che vengano garantite opportunità d'occupazione e favorito l'accesso ad attività produttive come terra, crediti finanziari e che sia consentita la partecipazione della popolazione ai processi decisionali, come del resto si proponeva all'interno dell'ambito aziendale, al fine di ottenere gli stessi benefici effetti[131].
Ancora, l'allargamento delle scelte per gli individui non può venire riservato solo ad alcuni gruppi, ma deve garantire l'eguaglianza tra i singoli e la sostenibilità : da un lato perché le scelte di alcuni non comportino svantaggio per altri, dall'altro perché le scelte delle generazioni presenti non intacchino quelle delle generazioni future . Si comprende che se è necessario considerare una pluralità di elementi al fine di procurare ad ogni individuo una più ampia gamma di scelta, altrettanto necessaria è l'interdipendenza interna tra essi e la ricerca di un intervento equilibrato. Per questo è necessario il supporto dell'azione di governo che indirizzi le spese sociali ai servizi di base. Ciò è posto in evidenza ancora dal Rapporto n. 2 dell'UNDP che si conclude con la seguente affermazione : << Spesso è la mancanza di iniziativa politica, non di risorse finanziarie, la causa reale della povertà >>.
Lo sviluppo secondo principi etici
Approfondendo ancora, si può affermare che lo sviluppo umano, focalizzandosi sull'individuo, presta relativamente poca attenzione agli aspetti sociali e collettivi della vita. Le persone però si riuniscono in gruppi di varia natura, dal nucleo familiare alle imprese, alle istituzioni transnazionali creando così interrelazioni di diversi tipi. Tale aspetto collettivo della vita viene comunemente definito cultura, in quanto è proprio questa che in tutta la sua complessità e diversità modella lo stile della gente.
Si vedrà ora di esplorare alcune fra le più importanti connessioni fra crescita economica, sviluppo umano e cultura per vedere come le tre cose si influenzino reciprocamente.
Muovendo dalla convinzione che un aumento della produzione di beni e servizi, quindi che una crescita, aumenti la capacità e le scelte come pure molte libertà, portando un contributo vitale allo sviluppo umano, si è giunti a considerare la crescita semplicemente quale strumento per ottenere lo sviluppo umano. Il PIL allora si svuota del suo ruolo primario di obiettivo di politica economica e diventa uno strumento intermedio piuttosto che un obiettivo finale in quanto la crescita va valutata solo nella misura in cui contribuisce allo sviluppo umano. In secondo luogo, si è verificato che il contributo della crescita all'aumento dello sviluppo umano, talvolta diminuiva col livello del prodotto e del reddito pro capite. La crescita, in altre parole contribuisce con saggi marginali decrescenti ; più alto è il livello del PIL pro capite di un paese, minore è il contributo di un incremento del PIL allo sviluppo umano di quel paese.
Se la crescita però si basa sulla formazione di capitale umano rispetto all'investimento in capitale fisico e allo sfruttamento del capitale naturale, il contributo della crescita allo sviluppo umano sarà probabilmente più ampio, perché gli incrementi marginali di reddito sono maggiormente distribuiti e il beneficio per il capitale umano, di solito influisce direttamente sugli individui che possiedono quel capitale.
Se si esamina ora la relazione inversa di causalità, dallo sviluppo umano alla crescita, dovrebbe risultare chiaro da quanto detto prima che lo sviluppo umano promuove veramente la crescita, così si ha un sistema di interazione reciproca o "causazione" bi - direzionale. Ciò in questo caso porta all'interessante possibilità di un circolo virtuoso in cui lo sviluppo umano soprattutto è l'obiettivo dello sviluppo, ma è anche uno strumento di sviluppo e un fattore propellente della crescita economica.
Investire sulle persone è desiderabile di per sé, ma c'è anche una considerevole evidenza che investire agire in questo modo è altrettanto vantaggioso ; è infatti ora largamente accettato che i ritorni sul capitale umano sono tanto elevati, quanto quelli su capitale fisico e naturale, se non addirittura più elevati.
Una popolazione ben nutrita e in salute, una forza lavoro ben educata e addestrata, sono contemporaneamente obiettivi e componenti dello stock di capitale umano. In quest'ultima accezione, il capitale umano è il maggior input nel processo di crescita. Ciò significa che lo sviluppo umano promuove la crescita. Questo è, attualmente, piuttosto evidente, meno ovvio è il fatto che anche altri aspetti che non rientrano direttamente sotto l'etichetta dello sviluppo umano, contribuiscano alla crescita economica. Si consideri per esempio la partecipazione. Si è già largamente suggerito che le persone dovrebbero partecipare alle decisioni che influiscono direttamente sulle loro vite, si aggiunge ora che la partecipazione locale nei pubblici affari è un aspetto dell'obiettivo dello sviluppo umano.
La partecipazione, comunque, ha anche un valore strumentale, in quanto implica cooperazione e volontà di sopportare sacrifici per raggiungere obiettivi condivisi. Cooperazione e sacrificio aiutano a promuovere la crescita ; per esempio il sacrificio dei consumi presenti (risparmio) accresce il livello degli investimenti e il loro tasso di crescita, e gli individui possono sopportare maggiormente questo sacrificio se essi sanno che altri stanno cooperando allo stesso modo. Inoltre il coinvolgimento delle persone nell'attività decisionale aiuta a identificare i progetti con elevati tassi di reddito, ad anticipare i problemi prima che essi sorgano, individuare soluzioni, decidere come meglio implementare progetti e decisioni. Tutto questo aiuta a promuovere la crescita fornendo un informazione più completa e accurata, tanto che si può parlare di una dimensione informativa della partecipazione.
La voce delle persone (ad esempio nelle forme delle partecipazioni aziendali, locali ma anche pubbliche), gioca un ruolo simile ai segnali di mercato in un contesto privato : sia queste voci che i prezzi trasmettono informazioni di valore che migliorano la performance economica.
Lo stesso vale, per estensione, per valori quali libertà, democrazia e i diritti umani ad ogni livello. Queste cose sono, naturalmente, altamente desiderabili in se stesse e sono parte di quello che si intende per sviluppo umano : incrementano la scelta e accrescono le capacità, ma è anche possibile che incoraggino la crescita[133].
Jean Drèze e Amartya Sen hanno spesso richiamato all'attenzione il fatto che non c'è mai stata una carestia in un paese democratico con libertà di stampa, in quanto il dissenso e la protesta è libera d'esprimersi e i decisori politici non possono non curarsene senza compromettere la stabilità.
Rispetto per la libertà, democrazia e diritti umani possono avere un valore strumentale non solo nell'evitare catastrofi come le carestie, ma anche nel promuovere le cose desiderabili della vita ; non bisogna però spingere questa tesi troppo oltre e screditarla perché in ambito economico, è facile enumerare paesi democratici che hanno sperimentato una crescita lenta (Gran Bretagna e Stati Uniti) e paesi con regimi autoritari che hanno goduto di una crescita rapida come Cina, Corea del Sud, e Singapore.
Il tema dello sviluppo, come si è cerato di porre in evidenza, è ampiamente studiato dalla scienza economica considerando vari punti di vista, varie prospettive che se ad una sommaria analisi sembrano diverse, studiate più a fondo conducono tutte alle medesime considerazioni, proponendo di salvaguardare meglio le varie esigenze umane, senza concentrarsi solamente sui fattori materiali.
Le virtù civili come non banali priorità
Ci si potrebbe porre ancora chiedere forse da cosa dipenda lo sviluppo di una nazione e quali siano le priorità che un governo e i cittadini devono darsi se vogliono aumentare la ricchezza e lo "star bene" del loro paese ; ciò, pure all'interno della realtà d'impresa. Le risposte a tali quesiti, come ci suggerisce Luigino Bruni si possono trovare studiando la teoria economica del salernitano Antonio Genovesi (1713 - 1769), figura leader dell'illuminismo napoletano che si interessò di economia dopo aver insegnato a Napoli metafisica e etica, ricoprendo nel 1754 la prima cattedra di economia della storia. << A fondamento della sua teoria economica troviamo una chiara visione teologica e antropologica. Dio ha messo nelle cose una legge naturale, che l'uomo tramite la ragione, può arrivare a conoscere. La felicità si ottiene solo quando la persona, tramite la ragione e l'esercizio delle virtù, è capace di orientare le sue passioni in modo da realizzare la sua natura che è essenzialmente sociale, relazionale ; per cui per Genovesi la felicità si trova solo nel rapporto con gli altri >>[134]. Basandosi su questa antropologia Genovesi costruisce la sua teoria economica, che si caratterizza per il porre le virtù civili, tra cui su tutte l'amore per il bene pubblico, come precondizione di ogni sviluppo economico.
Anche per Genovesi come per molti economisti suoi
contemporanei lo sviluppo economico nasce dal commercio, dallo "scambiare il
superfluo per il necessario", ma diversamente da Smith e Hume, suoi
contemporanei escludendo ora ogni fraintendimento, la società commerciale si
può sviluppare solo se prima esiste necessariamente una società civile su cui
il mercato possa appoggiarsi. Nel 1757 Genovesi si chiedeva perché il suo
Regno, che "è un seminario di nobili e grandi ingegni", che gode di uno dei
climi migliori d'Europa, dove il territorio consentirebbe un comodissimo
traffico marittimo, non si sviluppa come le altre nazioni. Dopo delle
riflessioni, nelle sue Lezioni di Economia Civile (1765 - 1767) conclude
che il motivo di tale incapacità è la mancanza di fede pubblica, di fiducia,
senza la quale nessuna nazione può svilupparsi. Prima dei capitali fisici e
monetari lo sviluppo richiede un preventivo adeguato investimento in "fede
pubblica" - quella che oggi si chiama "social capital". Per Genovesi l'offerta
di fede pubblica, di fiducia, - e questa è la vera differenza dagli studiosi
inglesi - non va affidata principalmente al Governo, ma va coltivata dal basso,
a livello delle famiglie e delle singole imprese, nonché dei cittadini ; è
una "virtù civile", poiché non appena "il reciproco amore delle famiglie e dei
popoli che uno Stato compongono sia estinto, e in suo luogo nata la diffidenza,
la mala fede, il reciproco timore, non v'è forza che vaglia per lungo tempo
sostenerlo", e che quindi possa evitare che "presto o tardi
si dissolga e ruini" (Lezioni di Economia Civile).
"Costruire ponti, strade e canali" era il principale consiglio di Smith al suo regno, non certo ai singoli, perché dove arriva il mercato porta automaticamente con sé la fiducia e le altre virtù civili, Genovesi invece scriveva : "I canali di comunicazione sono sia fisici che morali. Le strade, sode, facili, sicure ; i fiumi e gli scavi da traghettare ; le macchine trattorie ; e se vi ha mare, i porti, la meccanica delle navi, la sicurezza della navigazione, sono i primi Ma si richiedono anche de' canali morali".
Non basta quindi solo il mercato, e si può fin d'ora anticipare che, il progetto "Economia di Comunione", sul quale si focalizzerà l'attenzione nella quarta sezione, proprio perché è cosciente che senza una nuova cultura civile non si crea una "nuova economia", si basa sulla cultura del dare[135] e propone la destinazione di un terzo degli utili delle aziende proprio alla diffusione dei valori di fiducia e di condivisione, o secondo l'espressione di Genovesi al consolidamento della "fede pubblica".
Ci si consenta d'esprimersi in modo sommario in quanto l'argomento è solo un esempio intuitivo per introdurre una tematica più complessa.
Per una descrizione più approfondita della storia africana, qui ripercorsa solo a tratti si vedano Gentili 1995, e Coquery - Vidrovitch 1990.
Il dibattito sui fattori di sviluppo del sud - est asiatico è ancora acceso e si confrontano le visioni di chi da più rilevanza al ruolo del mercato e del capitale fisico, con quelle che sottolineano la necessità di una regolamentazione dello stato e dell'importanza dell'investimento in capitale umano vista l'esistenza diffusa di "fallimenti del mercato". Ultimamente proprio le recenti difficoltà di alcune economie di tale area, che vanno oltre al crollo delle borse, hanno riacceso le voci dei sostenitori del mercato, che avanzano la tesi dei "fallimenti dello stato" (difficoltà di coordinamento, inefficienza e corruzione). Per maggiori approfondimenti comunque si rinvia al libro della World Bank, The East Asian Miracle, e agli articoli di Lall 1996, e Stiglitz 1996.
Un libro interessante che parla del significato e dell'attendibilità di tale indicatore è quello di Fuà, 1993.
Dal saggio "L'etica degli affari ha un senso economico ?" esposto al convegno internazionale "The Ethics of business in a global economy", Columbus, Ohio, 25 - 27 marzo 1992, e riprodotto col consenso dell'autore in "Etica degli affari e delle professioni", 2/92, pp. 4 - 11.
Adam Smith, An Iniquity into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776 ; tr. It. Utet, 1975.
Adam Smith, The Theoty of Moral Sentiments (revised edition, 1970 ; reprinted, Oxford : Clarendon Press, 1976, p. 189.
Amartya Sen, On Ethics and Economics (Oxford : Blackwell, 1978, tr. It. Laterza. 1988) ; Patricia H. Werhane, Adam Smith and His Legacy for Modern Capitalism (New York : Oxford University Press, 1991) ; Emma Rothschild, "Adam Smith and Conservative Economics", Economic History Review, 1992, opere citate in "Etica degli affari e delle professioni" 2/92, p. 6.
Fordham Institute for Innovation in Social Policy, Rapporto economico del Presidente; ripreso da Ludovico Carraro, Il concetto di sviluppo e i bisogni dei popoli, in "Nuova Umanità" XX (1998/1).
Si perdoni il nuovo semplicismo di raggruppare in modo univoco paesi che in realtà richiederebbero un analisi separata, ma la generalizzazione è funzionale a evidenziare alcuni tratti comuni rilevanti nell'analisi di un processo di sviluppo.
Cfr. UNDP, Rapporto n. 7 su "Lo sviluppo umano", Rosenberg & Sellier, Torino 1996, citato e ripreso dalla tesi : "Scienza economica e valori umani : per una economia centrata sull'uomo.", relatore Leonardo Asta, laureanda Cecilia Sgarvatto ; Università degli Studi di Padova, Facoltà di Scienze Politiche, A.A 1995/96.
Cfr. Streeten P., Sviluppo umano : fini e mezzi, in "Centro Studi Sud e Nord", contributo occasionale, Padova dicembre 1995, citato nella tesi di cui alla nota precedente.
Cfr. Cultura, sviluppo umano e crescita economica., di Keith Griffin, (Professore di economia dell'Università della California) tratto da CrossRoads n° 1 Anno II - maggio 1998.
Luigino Bruni, Antonio Genovesi : l'economia della" fede pubblica", incontro al Bureau Internazionale di Economia e Lavoro, in "Economia di Comunione" n. 9, p 4.
Scrive Vera Araújo, sociologa brasiliana << Dare aiuti economici a coloro che sono nel bisogno significa anche essere aperti a ricevere. Il dare, senza spirito di condivisione, può far male, può addirittura offendere. E' il dare ed il ricevere che crea la comunione, che rende fraterna la solidarietà >>. Cs 970131.
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