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Industria e guerra: meccanizzazione, tecnologia e organizzazione a servizio della violenza
Già a partire dalla prima guerra mondiale gli stati europei si preoccuparono di costituire governi di unità nazionale con il preciso obiettivo di fronteggiare le difficoltà che il grande conflitto comportava e alle quali si aggiungeva spesso il malcontento della popolazione. Questo accentramento del potere finì dunque col modificare l'organizzazione economica dei singoli paesi, trasformando lo stato nel principale investitore del settore industriale, finendo per organizzarne e programmarne l'intera produzione. Lo stato divenne quindi il perno dell'economia dei singoli paesi tra il 1914-15 e il 1918, dando vita ad un ragguardevole sviluppo della produzione e della ricchezza di industrie appartenenti in particolare al settore, siderurgico, meccanico e chimico. Ciò comportò per forza di cose una conversione quasi totale della produzione verso una fabbricazione di tipo bellico. Il mercato che si era formato era dunque fatto soprattutto di armi, munizioni, mezzi di trasporto e altri strumenti utilizzati sui diversi fronti di guerra.
La repentina espansione dello sviluppo tecnologico e industriale, avvenuto tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del novecento, finì dunque col riflettersi anche in ambito bellico e la prima guerra mondiale inaugurò il concetto di "guerra moderna", caratterizzata da nuovi e letali armamenti tra cui le mitragliatrici e i gas tossici. La "grande guerra" è infatti tristemente nota per la raccapricciante carica di violenza inaudita che la caratterizzò e che condusse alla fine del conflitto alla morte di milioni di vittime tra civili e militari.
Analogo discorso riguarda il secondo conflitto mondiale, che segnò il passaggio dalla guerra di trincea (statica) e a quella di movimento (dinamica), caratterizzata da grandi dispiegamenti di forze coinvolte contemporaneamente in più fronti. Tutto ciò fu reso possibile dalle innumerevoli innovazioni tecnologiche, sfruttate dalla grande industria, convertita in industria bellica dai governi nazionali.
Tali strategie influenzarono l'economia delle maggiori potenze militari di quel periodo: Stati Uniti, Germania, Giappone,Unione Sovietica, Regno Unito ecc.
Portaerei Midway
I nuovi armamenti utilizzati: aerei, carri armati, sottomarini,
portaerei, navi corazzate, frutto delle nuove tecnologie e di efficienti
organizzazioni produttive adottate dall'industria bellica, furono tra i fattori
determinanti nell'esito finale del
conflitto.
Carro armato inglese Mark 1 (1915)
L'industria dell'olocausto:
quando lo sterminio diventa l'aberrazione criminale dei nuovi modelli industriali
I processi e le teorie dell'industrializzazione elaborati da Ford e Taylor non portarono solo efficienza e benefici nella nuova società moderna che si stava venendo a formare, bensì vennero presto ad affiancarsi ad alcuni degli eventi più deplorevoli del XX secolo.
Se infatti l'industria bellica aveva già cominciato da tempo a fare largo uso dei nuovi strumenti produttivi per realizzare armamenti sempre più letali e in numero sempre maggiore, non bisogna trascurare un'altro terribile ambito in cui la moderna mentalità industriale aveva giocato un ruolo fondamentale: il più grande e noto genocidio che la storia recente conosca, l'Olocausto.
Questo aspetto è evidenziato dal sociologo e filosofo britannico di origini ebraico-polacche Zygmunt Bauman. Egli evidenzia nel suo libro "Modernità e Olocausto" come spesso la storiografia e la memoria collettiva siano state propense a trattare questo avvenimento come un semplice episodio connesso alla millenaria storia antisemita, quando invece esso si è dimostrato inestricabilmente legato alla logica interna di una moderna società industrializzata ed estremamente razionale. Bauman evidenzia infatti come proprio quel tipo di società rappresentò il terreno da cui si svilupparono le radici del genocidio nazista, un evento di una portata tale da essere risultato impensabile in epoche precedenti.
Ma in che modo nello specifico l'Olocausto si legò ai moderni processi industriali? La risposta a tale quesito risulta per il sociologo facilmente desumibile da una serie di fattori. Basti pensare semplicemente alla struttura del campo di concentramento, attentamente studiata da ingegneri affinché risultasse come un moderno ed enorme insediamento industriale nel quale l'efficienza produttiva fosse garantita da una forza lavoro coatta, pressoché infinitamente intercambiabile, costretta a produrre efficacemente sotto la continua minaccia della morte. Gli stessi metodi gestionali dei vari processi che si compivano nel corso dell' organizzazione del lavoro nei Lager venivano attentamente studiati da esperti, come tutt' oggi avviene nelle moderne imprese: il campo si prefigurava dunque come un modello dei moderni sistemi industriali. A ciò si aggiungeva poi il fine ultimo dettato dalla politica nazista, quella dell'eliminazione fisica degli internati. Questa seguiva sempre una precisa logica produttiva, che invece di perseguire la realizzazione di merci prevedeva l'utilizzo di esseri umani come materia prima e concepiva la morte come prodotto finale. I simboli del campo di concentramento che lo legavano strettamente all'immagine della fabbrica erano innumerevoli: le ciminiere, da cui si fuoriuscivano però ceneri umane, le reti ferroviarie, trasportanti materie prime che come già citato erano costituite da uomini, donne e bambini ed i gas tossici, prodotti dalla avanzata industria chimica tedesca e finalizzati, secondo le moderne concezioni, a ottenere il massimo dei risultati nel minor tempo possibile e con i minori sforzi.
Dunque il campo diviene una sorta di "aberrazione di un mondo industriale fondamentalmente sano" (Stillman-Pfaff) e ciò non fa che smentire le tesi secondo cui l' Olocausto non abbia costituito altro che un fenomeno causato da menti fondamentalmente anormali ed irrazionali. Al contrario proprio la razionalità l'ha fatta da padrona all'interno di quello che ha costituito un processo attentamente studiato e pianificato dagli autori di un tale crimine. Senza questa consapevolezza, afferma Bauman, mai sarà veramente riconosciuta l'assoluta condanna a coloro i quali si macchiarono dell'omicidio di oltre 8 milioni di vittime fra ebrei, zingari, omosessuali, handicappati e oppositori politici. Se tutto fosse riassunto come un fenomeno irrazionale l'importanza di queste perdite sarebbe enormemente sminuita ed esse sarebbero in parte private della loro dignità.
Una vista di
Krema IV ad Auschwitz. Le camere a
gas sono sul retro; in primo piano l'obitorio ed il crematorio.
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