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IL BOOM ECONOMICO degli anni '50 e '60 in Italia




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IL BOOM ECONOMICO degli anni '50 e '60 in Italia

La società italiana conosce in un brevissimo volger d'anni una rottura davvero grande con il passato: nel modo di produrre e di consumare,di vivere il presente e di progettare il futuro. E' messa in movimento in ogni sua parte: esprime energie e potenzialità economiche diffuse, capacità progettuali, ansie di emancipazione differenti, e di diverso segno. 

LA POLITICA:

 Nel periodo di tempo compreso tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l'Italia fu protagonista di un record di crescita nella produzione nazionale tale da far parlare di "miracolo economico". Questo fenomeno caratterizzò anche molti altri Paesi europei, tra cui la Germania e la Francia, in cui si verificò un miglioramento dello stile di vita. In questi anni l'Italia riuscì a ridurre il divario economico con l'Inghilterra e la Germania e a eguagliare sistemi economici come quello belga, olandese e svedese. Nonostante il fenomeno si riferisca a un evento principalmente economico, esso ebbe una forte ripercussione sulla vita degli Italiani che in pochi anni cambiò radicalmente, in positivo o in negativo e portò nel nostro Paese un livello di progresso e benessere mai conosciuto nei periodi precedenti.I fattori che determinarono tale svolta sono molteplici e da ricercarsi in ambiti differenti. Uno di questi è senza dubbio la fine del protezionismo e l'adozione di un sistema di tipo liberista [1][1] che rivitalizzò il sistema produttivo italiano, favorito anche dalla creazione del Mercato Comune Europeo a cui l'Italia aderì nel 1957. Inoltre fu importante il ruolo svolto dallo Stato, caratterizzato da un notevole interventismo nell'economia. Infatti finanziò la costruzione di un gran numero di infrastrutture, essenziali per lo sviluppo economico del Paese, tramite stanziamenti statali e prestiti a tasso agevolato che ammontarono a più di 714 miliardi di lire;anche la Banca d'Italia mantenne un tasso di sconto estremamente favorevole per le nuove industrie italiane che permisero un più facile accumulo di capitali, al fine di agevolare gli investimenti. Nel 1959 Antonio Segni, Presidente della Repubblica di quel periodo,in un discorso tenuto nel Consiglio dei Ministri, sottolineò [2] l'importanza dei lavori pubblici che rappresentavano l'unico rimedio possibile alla crisi congiunturale e alla disoccupazione.Altri fattori determinanti per il boom economico furono il basso costo della manodopera che proveniva soprattutto dal meridione, l'adozione del piano Marshall e la nascita dell'Eni, l'Ente Nazionale Idrocarburi, creato da Mattei nel 1953, a cui venne affidato lo sfruttamento del più grande giacimento di metano scoperto nel 1946 nella valle del Po. Alla base del nuovo sistema economico italiano vi furono quindi: la crescita della domanda interna ed esterna, la capacità di adattare la produzione alla domanda futura, i cospicui investimenti pubblici e privati, l' aumento della produttività e la stabilità dei prezzi.  L'anno di avvio del boom viene considerato il 1958; l'euforia e la positività, ancora agli albori, erano però accompagnate anche da una serie di preoccupazioni manifestate da Amendola e dallo stesso Togliatti. [3]. Infatti le conseguenze negative della creazione del Mercato Comune Europeo, l'alto e costante tasso di disoccupazione, gli imminenti licenziamenti su larga scala, gli scioperi nazionali rappresentavano degli ostacoli enormi, tali da rendere impossibile quello che pochi anni dopo realmente si verificò. 

L'ECONOMIA:  

Mercato e industria

Tra il 1958 e il 1963, anni di massima crescita economica, il PIL crebbe addirittura del 6,3%.Sin dall'inizio la struttura produttiva italiana si caratterizzò per il fenomeno chiamato "dualismo", che consisteva in un'ampia sfasatura e livello di crescita tra mercato interno ed esterno. Infatti l'Italia, nonostante presentasse un vantaggio competitivo sulla produzione interna, basata sui settori tradizionali ad altro coefficiente di lavoro, la domanda estera dei paesi ricchi e industrializzati premeva per prodotti sempre nuovi dove, invece, i fattori produttivi maggiormente usati erano il capitale e la tecnologia. L'urgenza di soddisfare questa domanda e quindi cercare di ottenere un vantaggio competitivo anche in Europa, portò lo sviluppo di settori che divennero il fulcro del boom e la base della nascente industria italiana. Si assiste quindi ad un mercato estero caratterizzato da una forte dinamicità a cui si contrapponeva quello interno decisamente statico.  L'Italia cercò di sfruttare questo dinamismo di idee e di capitali, riuscendo ampiamente ad imporsi nel campo degli elettrodomestici, dell'automobilismo e delle manifatture; infatti in questi anni nascono le grandi industrie italiane la cui produttività aumentava progressivamente grazie alle nuove tecnologie da loro utilizzate. Fiat, Zanussi, Candy, Olivetti, sono solo degli esempi del passaggio di un'Italia fondamentalmente agricola ad un Paese dove l'industria ere il settore maggiormente produttivo.  L'alta tecnologia impiegata nei processi produttivi permise alle imprese di autofinanziarsi più facilmente, perché non era necessario assumere manodopera; inoltre la stabilità dei prezzi portò a un relativo contenimento dei salari, a un sempre maggior investimento produttivo e a una crescita dei consumi. Nonostante questa situazione positiva, portasse il Paese verso un benessere sempre maggiore, gli squilibri non mancarono. Si deve citare a questo proposito la cosiddetta "distorsione dei consumi", un esempio di scompenso dovuto a una inadeguata politica di controllo. Inoltre la crescita della domanda estera conferì un'importanza eccessiva alla produzione di beni di consumo anche di lusso, a scapito invece degli investimenti in infrastrutture.  Questa distorsione venne riscontrata anche a livello di consumi individuali, proprio a causa del diverso dinamismo e ritmo di crescita dell'economia. Infatti, i beni primari risultavano proporzionalmente più costosi rispetto a quelli secondari, proprio perché la volontà di emulare le ricche società europee aveva causato un salto troppo brusco per un Paese ancora provinciale e contadino, dove spesso l'auto era un necessario status-symbol e i servizi igienici solo una comodità di pochi. Gli esempi di industrie legate al boom sono stati limitati al Nord Italia; questo perché il Sud, a causa del già noto divario industriale, riuscì ad avvertire qualche impulso solo nel 1957. Infatti, durante questo anno venne approvata la legge che obbligava le aziende a partecipazione statale a indirizzare nelle regioni meridionali il 60 per cento dei loro investimenti, al fine di creare nuove aree industriali.  Sicuramente il risultato più gratificante di quel periodo fu la nascita del concetto di multinazionali e dei primi tentativi di relativa applicazione fortunatamente ben riusciti. Essi furono la FIAT e l'Olivetti, che effettuarono la riorganizzazione aziendale, unico modo per rendere le industrie italiane adatte all'affermazione in campo internazionale.  La FIAT, società già nata nel 1915, riuscì ad instaurare un sistema di produzione a costi decrescenti che dipendeva da un massimo sfruttamento degli impianti, dall'allargamento del mercato interno e da una graduale liberalizzazione degli scambi. Essa fu in grado di imporsi a livello internazionale, diventando competitiva alla pari di altre imprese europee.La Fiat, quindi, fu un'asse portante del modello di sviluppo caratteristico del miracolo economico italiano degli anni '60, perché aveva esteso la sua presenza all'estero sino a diventare un gruppo multinazionale.Stesso percorso seguì l'Olivetti, sviluppo un piano aziendale di produzione per rettificatrici, macchine multiple e speciali, impianti di lavorazione automatizzati. Nata tra il 1946 e il 1947, l'Olivetti, nel 1958, riusciva a soddisfare con ottimi risultati, tecnici e organizzativi, una domanda sempre crescente di macchine da scrivere e di calcolo.Lo sviluppo industriale che si verificò in Italia fu sorprendente e contribuì a cambiare l'opinione pubblica mondiale, che era abituata a considerare gli Italiani come europei di secondo livello; questo soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale.

LA SOCIETA':

La situazione al Sud

Una delle conseguenze negative dello sviluppo economico italiano fu senza dubbio l'incremento del divario tra il Nord e il Sud. Il Meridione aveva un'industria scarsamente sviluppata e una tecnologia arretrata, la produttività del lavoro era molto bassa e un'alta percentuale della popolazione era dedita all'agricoltura. Inoltre vi era una scarsa capacità di accumulazione dei capitali, le infrastrutture erano insufficienti e la classe dirigente, priva di capacità imprenditoriale, non permetteva un rinnovamento politico e amministrativo.In questi anni, per la volontà di incentivare la nascita di un tessuto industriale anche al sud, nasce l'esigenza di dimostrare che il Mezzogiorno non era un costo, ma un vero e proficuo investimento anche per in Nord. Al risanamento dell'economica del Sud contribuisce anche la Cassa del Mezzogiorno, nata con la legge dell'ottobre 1950. Essa operava in tre principali direzioni: politiche tese alla costruzione di infrastrutture, agevolazioni all'impresa privata, l'interveto diretto dello Stato. L'operato della Cassa del Mezzogiorno fu però un parziale fallimento: oltre a realizzare immensi insediamenti industriali, chiamati "cattedrali nel deserto", in città come Siracusa, Taranto o Brindisi, non fu in grado di utilizzare e formare l'abbondante manodopera locale e creare una rete di piccole e medie imprese di fornitura, in modo da evitare che le grandi "cattedrali" si trovassero isolate quando avevano bisogno di servizi o prodotti esterni alla loro impresa.  A pagarne le conseguenze, ovviamente, fu la popolazione del Sud, che tra il 1951 1974 dovette abbandonare in massa le proprie case in cerca di fortuna al Nord. 

 L'emigrazione 

Negli anni del miracolo economico aumenta notevolmente l'emigrazione. L'apice di questo fenomeno, secondo Ginsborg[4][2], si verifica negli anni '55-'63 in cui venticinque milioni di Italiani decidono di emigrare. Le mete erano le città del centro-nord Italia, soprattutto Milano, Torino, Genova, oppure quelle del nord Europa; infatti, dopo la crescita industriale che coinvolse anche il resto degli Stati europei, Svizzera, Belgio e Germania divennero meta di molti nostri connazionali.Già prima dell'avvento del boom, il "consueto" divario tra nord e sud dell'Italia era enorme; con lo sviluppo economico queste differenze aumentarono, costringendo molte persone a trasferirsi nelle ricche città del Nord alla ricerca di una speranza.  Alla base di questo fenomeno vi sono diversi fattori tra cui la necessità di maggiore denaro e di un lavoro stabile, il fascino delle nuove metropoli del Nord. Questo flusso di gente divenne così imponente che lo Stato, viste le ingenti e urgenti necessità, stabilì la creazione di un' apposita linea ferroviaria, chiamata il "Treno del sole", che attraversava l'Italia da nord a sud, in modo tale da favorire e permettere nel migliore dei modi il dispiegarsi di questi spostamenti. Gli uomini trovarono lavoro come operai nelle numerose di fabbriche che nascevano in gran numero in quegli anni, oppure nei cantieri edili; le donne al contrario erano occupate in lavori a domicilio, nel campo della maglieria, del filato e della sartoria, oppure anch'esse nelle fabbriche. Molti di questi manovali e operai acquisirono in quegli anni un'esperienza tale da permetter loro di diventare in seguito imprenditori nei vari settori in cui avevano fatto esperienza lavorativa. Durante questo periodo gli anziani, che erano rimasti nelle province del meridione, continuarono a lavorare la terra, e i giovani si trasferirono spesso nei vicini centri urbani, come Palermo e Napoli, dove c'era la possibilità di trovare un lavoro sufficientemente remunerativo. Le motivazioni principali che spingevano gli uomini del Sud ad emigrare al Nord erano la grave sottoccupazione, un alto livello di povertà, la scarsa fertilità delle terre e frammentazione della proprietà, che caratterizzavano il Meridione italiano. Analogamente anche al nord si assistette a un ampio fenomeno emigrazione; infatti Cremona e Mantova furono le città lombarde che si spopolarono maggiormente [4]. Le ragioni erano sempre le stesse: la mancanza di speranze di ripresa dopo la guerra e le precarie condizioni di vita (mancanza di adeguati servizi igienici, acqua, elettricità). La popolazione rurale di queste zone di solito si dirigeva, oltre che verso le tradizionali mete di Milano e Torino, a Varese, Como, Lecco e nella Brianza: tutte zone in cui erano presenti i primi effetti del boom.La grande mobilità di quegli anni non era solo a carattere definitivo, ma anche giornaliero. Infatti ogni giorno un gran numero di pendolari giungeva nelle metropoli dai paesi limitrofi.Il cospicuo movimento migratorio non poteva non creare ampi e diversi sconvolgimenti a livello sociale. Infatti molti problemi si crearono per gran parte della gente immigrata dal Sud. Innanzitutto una situazione di disagio causato dalle diverse condizioni climatiche, dai problemi riguardanti la lingua, perché erano abituati a parlare solamente il dialetto, e dalla difficoltà a trovare un'abitazione. Questo ha causato inefficienze non solo sul luogo di lavoro di operai o manovali, ma anche per i figli di queste famiglie che dovettero affrontare la situazione quando iniziarono la nuova scuola al fianco dei bambini del luogo. Inoltre per loro era anche difficile adattarsi alla vita di città, estremamente diversa da quella a cui erano abituati. Tutte queste difficoltà spesso ebbero delle ripercussioni negative sul loro inasprimento nel posto di lavoro e determinarono una certa insofferenza in questa gente nei confronti della società, che veniva additata come la causa dei loro problemi. 

Il mondo rurale

In questi anni contemporaneamente allo sviluppo dell'industria si verifica una diminuzione dell'importanza del settore agricolo infatti in meno di dieci anni quasi tre milioni di occupati nelle campagne si trasferiscono nelle città, determinando così la fine di quei mondi rurali che caratterizzavano il Paese.Senza dubbio il miracolo economico colpì anche il settore agricolo permettendo un suo rapido ampliamento. Gli investimenti statali, che nel 1960 costituivano il 73% dei fondi, ebbero un ruolo fondamentale. In quest'ottica va considerata la legge del 1948 per la formazione della piccola proprietà contadina, che a tale scopo proponeva agevolazioni fiscali, agevolazioni creditizie, mutui bancari con il concorso dello Stato. In questo periodo venne presentato e attuato anche il "piano decennale" del 1952, il quale prevedeva prestiti per l'acquisto di macchine agricole, ponendo le basi per il processo di meccanizzazione agricola che in rapido tempo coinvolse tutte le fasi di lavorazione. Tutto ciò fece diventare le campagne italiane come delle grande aziende interamente meccanizzate che non avevano bisogno di manodopera. Per questo i campi rimasero in rapido tempo abbandonati, rimanendo spettatori di un vero e proprio esodo.

La speculazione edilizia

Una delle più gravi conseguenze dello sviluppo italiano e della crescita incontrollata delle città fu la speculazione edilizia. Il mancato rispetto delle norme sull'edilizia e dei piani regolatori cittadini determinavano un profondo cambiamento: l'Italia da Paese rurale e contadino divenne una distesa di grandi sobborghi di cemento. Inevitabilmente parte di costa, piccoli villaggi, lagune, boschi vennero trasformati in centri abitati o centri turistici per soddisfare la crescente domanda di nuove case e servizi per la villeggiatura.La massima libertà lasciata alle iniziative nel settore dell'edilizia permise a imprenditori edili poco scrupolosi di costruire nuovi edifici praticamente ovunque, senza considerare le norme antisismiche e le misure di sicurezza. Il periodo compreso tra il 1953 e il 1963 fu spesso caratterizzato da conflitti di potere tra le autorità municipali e gli speculatori edili, che spesse volte sfociavano in corruzione o clientelismo. Un esempio significativo fu il cosiddetto "sacco di Roma" [5], in base al quale alle grandi imprese edili fu concesso di costruire su tutti gli spazi disponibili della città senza alcuna limitazione.

IL COSTUME SOCIALE:

In seguito alla fase economica positiva di cui l'Italia fu protagonista, la società cambiò radicalmente e le condizioni di vita subirono un notevole miglioramento dovuto all'aumento del reddito medio della popolazione, che permise a volte l'acquisto di beni di lusso, prima assolutamente fuori portata. I consumi aumentano con una rapidità mai vista e le possibilità finanziarie delle famiglie erano tali da permettersi un'alimentazione sana e ricca, vistiti, un'abitazione e perfino l'automobile. Quest'ultima è sicuramente, assieme alla televisione, ciò che più rappresenta la nuova società del tempo e il simbolo del boom. Il modello della Fiat Seicento del 1955 e Cinquecento del 1957 lanciano questo prodotto sul mercato come bene di massa. Infatti in questi ultimi anni Cinquanta la motorizzazione nazionale raggiunse livelli mai visti e questo portò ad un aumento delle auto in circolazione e soprattutto degli incidenti stradali, il cui numero, da quel momento in poi, fu sempre maggiore. In molte case italiane erano presenti gli elettrodomestici di ultima generazione. phon, orologio, frigorifero, stufette elettriche, frullatori, lavatrici, che cambiarono le abitudini degli Italiani.Sicuramente la "novità" più significativa di questi anni è la televisione, che in pochissimo tempo invase gran parte delle case degli Italiani, diventando sempre più indispensabile. Accanto però agli sguardi di meraviglia e stupore di fronte alla nuova tecnologia, nacquero le critiche verso questa scatola di immagini che avrebbe portato solo effetti negativi. Infatti, nel 1963 parla della televisione come conseguenza positiva del progresso da un lato ma dall'altro come aspetto negativo perché non fa altro che portare nelle case la negatività delle trasformazioni sociale. Sta nascendo un nuovo costume e pochi se ne accorgono. Famiglie intere che prima erano solite trascorrere le serate in casa escono all'aperto: si stipano nei bar, nei caffè all'angolo delle strade che possiedono il televisore.Un altro aspetto significativo è lo sviluppo dell'editoria, la diffusione dei quotidiani, i settimanali e le riviste. Nascono le prime collane di libri delle grandi case editrici italiane: Mondatori, Feltrinelli, Einaudi. Molti romanzi pubblicati in questi anni hanno un grande successo. Tra i best seller ricordiamo Addio alle armi di E. Hemingway, prima uscita della collana Oscar Mondatori, Dottor Zivago, Il Gattopardo, Il Giardino dei Finzi Contini.  Tra i settimanali, citiamo L'Espresso e Panorama, i quali proponevano molte inchieste sulle grandi trasformazioni sociali della nuova Italia.  Nel 1956 nasce il quotidiano "Il Giorno" , che presentava un'impostazione innovativa con servizi fotografici, fumetti e giochi, spazi dedicati allo spettacolo, ai giovani, all'economia e alla scienza.Per quanto concerne i ceti professionali, si verificò un aumento dei laureati anche presso le grandi università straniere che poi diventarono i dirigenti delle varie industrie italiane. Aumentarono anche gli ingegneri, gli architetti, i designers, gli esperti nelle pubbliche relazioni: tutti professionisti che cercavano di soddisfare il nascente gusto artistico e culturale degli italiani.Cambiati i lineamenti caratterizzanti della società non poteva non modificarsi quello che era ritenuto il cuore, l'unità elementare di questa: la famiglia. Tutto questo è sentito soprattutto dai meridionali immigrati al nord, che, trasferiti nelle grandi città del Nord, non riscontravano più i ritrovi nelle piazze e il grande affiatamento tra i vicini di casa a cui erano abituati. La nuova famiglia è quindi all'insegna della privacy.  Per quanto riguarda i giovani, essi hanno molta più libertà e passatempi a disposizione: domenica allo stadio, bar, sale da ballo, shopping in centro, juke box, Lambretta.  Le donne invece diventano quasi tutte casalinghe, dedicandosi interamente al marito, ai figli e alla casa; per questo motivo l'occupazione femminile diminuisce vertiginosamente. Questa situazione allontana progressivamente le Italiane dalla società produttiva e dalla politica, "segregate" all'interno della casa tra montagne di riviste femminili che incontrano grande successo.Si assiste infine ad un declino della religiosità, che portò inevitabilmente ad un calo dell'influenza della Chiesa nella vita dei cittadini. Infatti mentre negli anni precedenti, soprattutto nelle aree rurali, le chiese erano gremite in occasione delle festività, negli anni '50 e '60 si assiste ad un calo delle presenze.Nel 1956, il 69% frequentava la chiesa ogni domenica, nel 1962 la percentuale scende al 53% [6].Cala anche il numero delle vocazioni sacerdotali e spesso il clero si trova sempre più in difficoltà a interpretare e a integrarsi con la popolazione. Inoltre anche in questo aspetto possiamo osservare un divario tra nord e sud: i meridionali erano abituati a vivere seguendo tradizioni, feste e usanze in modo quasi magico, non riuscendo a conciliarsi con l'austero Cattolicesimo settentrionale. 











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