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I limiti del terzo settore




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I LIMITI DEL TERZO SETTORE                    



Anche nel caso delle organizzazioni non profit la realtà ha anticipato la teoria.

Il modello di non profit, di origine anglosassone, sviluppatosi soprattutto negli Stati Uniti e noto come non profit organizations, è già stato inserito da tempo nel diritto positivo.

Questo modello si caratterizza da un lato per la particolare possibilità di patrimonializzazione attraverso le donazioni e i lasciti che sono esenti da tasse e contribuzioni pubbliche; inoltre è caratterizzato da una rigida applicazione del divieto di distribuzione degli utili ai partecipanti (e di beni in sede di liquidazione).

I caratteri essenziali del non profit organizations americano possono essere sintetizzati come segue.

Con tale termine si fa riferimento a organizzazioni o Enti, sia che abbiano o no personalità giuridica, la cui caratteristica saliente è che nessuna forma di utile di gestione può venire divisa tra i soci, tra gli amministratori o i dipendenti.

Infatti nell'atto costitutivo dell'organizzazione deve essere indicato specificamente, con apposita clausola, che essa (l'organizzazione) viene costituita per il perseguimento di finalità diverse da quelle di distribuzione di utile tra i suoi componenti, al termine dell'esercizio sociale.

Tuttavia non è sempre necessario indicare analiticamente nell'atto costitutivo gli scopi o il tipo di attività con cui si intende perseguirli.

Ma questa libertà di agire deve essere intesa come possibilità per le non profit organizations di scegliere liberamente il campo di attività adattando la struttura organizzativa alle mutevoli esigenze della società.

Tale libertà ha quindi i limiti  costituzionali della liceità dell'attività e degli scopi perseguiti e la non contrarietà all'ordine pubblico degli scopi stessi.

L'organizzazione non profit ha infatti ragione d'essere solo se è in grado di dotare la collettività, di beni e di servizi con caratteristiche qualitative più elevate di quelle forniti dallo Stato Federale o dai singoli Stati.

Considerato il consistente sviluppo che le attività non profit avevano ottenuto anche in Italia, il decreto legislativo varato il 14/11/97 completa e chiude un percorso preparatorio che aveva coinvolto già nella precedente legislatura una commissione governativa presieduta dal Prof. S. Zamagni, che ci mette al passo con quei paesi che già avevano inserito nel diritto positivo l'esperienza del non profit.

Il decreto legislativo si compone di due sezioni: l'una relativa alle modifiche alla disciplina degli Enti non commerciali, l'altra relativa alle disposizioni riguardanti le ONLUS.

Viene così, contemporaneamente, istituzionalizzata la differenza tra attività non profit e volontariato (regolato dalla legge 666 del 1991)

Importante ai fini delle argomentazioni è che per gli Enti non-profit viene ridotto il carico fiscale complessivo:

tutte le tasse indirette godono di un regime di pagamento agevolato e nel momento in cui l'Ente non commerciale produce  reddito, il decreto all'art. 4 introduce un nuovo regime forfettario di determinazione del reddito di impresa.

L'art. 2 sancisce inoltre, che non concorrono alla formazione del reddito le raccolte di fondi, purché occasionali.

Sono peraltro esclusi da imposte dirette ed IVA i fondi raccolti pubblicamente, in campagne di sensibilizzazione, anche mediante dazioni di beni di modico importo, e più in generale i proventi derivanti dalle attività conformi agli scopi istituzionali di solidarietà sociale.

Questo denota una particolare attenzione, da parte del legislatore, a valorizzare quelle attività che coinvolgono le motivazioni più o meno ideologiche del cittadino che decide di agire restando ai margini del circuito economico.

Un'importante novità contenuta nel decreto è rappresentata dall'obbligo di gestire l'attività commerciale eventualmente presente con contabilità separata (art.3 ).

All'art. 6 viene disciplinata la perdita della qualifica di Ente commerciale.

Le ONLUS sono riconosciute nel decreto all'art. 10  che considera tali ' le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri Enti di carattere privato con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedono espressamente:

lo svolgimento di attività a carattere socio-umanitario, culturale, sport dilettantistico, beneficenza, tutela e promozione dell'interesse storico e artistico.

Anche nel caso delle ONLUS si specifica nel detto decreto che esse perseguono finalità di solidarietà sociale, ma i proventi derivanti dall'esercizio delle attività direttamente connesse non concorrono alla formazione del reddito imponibile.

L'art. 13 prevede norme sul trattamento tributario, agevolazioni differenziate per le persone fisiche, gli enti non commerciali e per le imprese. Infine, l'art. 29 prevede la possibilità di emissione da parte delle ONLUS dei titoli cosiddetti di solidarietà: cioè tali enti potranno usufruire di finanziamenti anche da parte di privati, un po' come le società quotate in Borsa.

In Italia, come anche nel modello di non profit statunitense,il soggetto che fruisce dei beni o dei servizi erogati da una organizzazione non profit ne è socio, ed ha così la possibilità di controllare e verificare lo svolgimento del lavoro, l'impegno e l'efficienza di amministratori e dipendenti. Inoltre la posizione di membro dell'organizzazione consente attraverso lo strumento assembleare la rimozione degli amministratori nel caso in cui l'operato non sia soddisfacente o non risponda alle aspettative dei soci. Funzione di uguale importanza svolgono coloro che consentono la costituzione di una organizzazione non profit attraverso donazioni o finanziamenti: essi infatti possono svolgere una forma di controllo sulla gestione dell'Ente e sulla spendita del denaro erogato attraverso la creazione di comitati, costituiti dagli stessi finanziatori, che hanno il compito di controllare con quali modalità viene investito il denaro donato o raccolto.

I modelli non profit interessano in modo particolare i grandi settori di servizio: i grandi servizi pubblici di carattere sociale, come assistenza, sanità e istruzione.

Negli Stati Uniti la crisi del Welfare State ha avuto un impatto particolarmente attenuato proprio per la presenza massiccia del terzo settore volto ad assicurare fini sociali attraverso l'opera di soggetti privati, costituito appunto dalle non profit organizations [1]

Proprio la presenza del terzo settore economico intermedio fra quello governativo e quello profit e di un collaudato modello giuridico di non profit organizations permette di alternare politiche economiche che spingano nel senso del pubblico o in quello del privato: il sistema non profit è servito dunque per delle modificazioni di indirizzo nella politica economica statunitense.

Il non profit negli Stati Uniti costituisce un fenomeno di rilievo sotto l'aspetto sociale, politico, normativo oltreché economico.

"Forme organizzative di questo tipo, sin dalla nascita dello Stato Federale sono state individuate quali luoghi istituzionalmente deputati a convogliare le energie presenti nella società, nei casi in cui siano necessario intervenire in situazioni considerate di rilevanza pubblica..affiancandosi allo Stato nello sforzo di migliorare il livello di vita della collettività". [3]

Per tale motivo queste organizzazioni sono state oggetto dell'attenzione e del favore legislativo ed anche politico: tuttora, negli Stati Uniti, il potere politico in generale e la pubblica amministrazione in modo particolare considerano queste forme di organizzazione interlocutori privilegiati per l'adempimento dei propri obblighi e il raggiungimento dei propri fini istituzionali.

In sostanza, nel caso di un problema urgente, per dotarsi di un servizio utile ed efficiente, il cittadino americano non attende che sia lo Stato ad intervenire: utilizzando le non profit organizations interviene direttamente cooperando con altri cittadini che hanno lo stesso tipo di esigenza.

La normativa del decreto ha determinato un notevole passo in avanti nella cooperazione tra amministrazione pubblica, organizzazioni non-profit, imprese e cittadini. Tuttavia non mancano i limiti ..

L'interrogativo più ovvio è quello che dietro il titolo di non profit si possano celare dei veri e propri proventi che sfuggono al fisco ed esercitano sul mercato una concorrenza sleale.

Questo è certamente un pericolo reale, tuttavia non è sufficiente a sminuire una prassi economica nuova alla cui radice stanno valori etici e umanitari degni di promozione

Piuttosto si deve puntualizzare sulla mancanza in Italia di un adeguato organo di coordinamento e controllo della variegata realtà non profit.

Vi è tra gli ambienti economici e culturali una disincantata aspettativa sulle reali potenzialità del non profit: in quali campi può attecchire questo tipo di attività economica?, deve preferire determinati soggetti o particolari situazioni (come suggerisce il titolo Terzo Settore), oppure può espandersi anche a beni meritori quali per esempio le università e il sistema sanitario?[4]

Qualsiasi risposta a tali interrogativi sarebbe parziale perché la realtà del non profit è ancora tutta in divenire e precisamente dipende dalla maturità politica e culturale del tessuto sociale dei singoli paesi. Non si deve dimenticare infatti che questa nuova economia è nata dall'intervento responsabile in campo economico di privati cittadini, mossi da motivazioni ideologiche diverse dal profitto e per questo non ancora sufficientemente analizzate.

Infine permangono delle perplessità circa la sovrapposizione concettuale e la commistione lavorativa tra non profit e volontariato.

In merito Valerio Melandri nel libro Paradossi Aziendali sostiene la tesi di una proficua commistione tra impiego e volontariato: "Ciò da cui si vuole partire è un nuovo approccio alla gestione delle risorse umane. ...E' proprio dall'analisi approfondita delle relazioni, molte volte difficili, fra dipendenti e volontari, che questo lavoro prende le mosse. (.). Nella maggior parte delle organizzazioni non profit con cui ho lavorato in questi anni, se domandate ai dirigenti ed ai quadri la reale motivazione che li spinge ad avvalersi di forze volontarie, la risposta, praticamente univoca, sarà: <<perché non possiamo permetterci solo dipendenti, a causa di un budget limitato>>."[5]

Questa però non è l'unica verità: l'opera del volontario fa la differenza ed è la caratteristica peculiare del non profit, perché chi riceve il servizio da un volontario non si sente oggetto di una prestazione di lavoro, ma soggetto di un rapporto, fosse anche di

un rapporto economico.

Sul piano istituzionale, da più parti, è avvertita l'esigenza di una produzione legislativa che permetta alla sfera dell'economia non profit o civile di dilatarsi per assorbire il lavoro liberato dalla sfera dell'economia privata.

L'obiettivo a cui tendere, secondo gli esperti di questo settore, è quello di una società che aspiri al raggiungimento della piena occupazione mantenendo il rispetto di valori che la società civile valuta come buoni.

In questo caso allo Stato spetta riconoscere  "l'auto-organizzazione dei soggetti collettivi in tutti gli ambiti in cui i loro membri ritengono, in piena autonomia, di avere interessi legittimi da tutelare. ...Lo Stato deve garantire le regole di esercizio di questa auto-organizzazione, facendo in modo che sia la competizione a stabilire il confine tra economia civile ed economia privata. ..E' in ciò il significato profondo di un'autentica democrazia economica, alla quale non basta il pluralismo nelle istituzioni economiche: essa esige piuttosto il pluralismo delle stesse istituzioni."




P.DeCarli, p. 140

P.De Carli, I modelli organizzativi non profit

F.Cavazza Rossi, Le non profit organizations statunitensi ed il sistema delle sovvenzioni statali e federali.


Giusso, Seminario sul non profit del 20 aprile 1998 Facoltà di Giurisprudenza

V.Melandri, Paradossi Aziendali, nuove idee dal mondo nonprofit. Ed. Monti 1997 p. 18 e succ.

S.Zamagni, Lavoro, occupazione, economia civile. Op.cit.

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