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CONTRIBUTI PER UN NUOVO APPROCCIO AI PROBLEMI ECONOMICI
INTRODUZIONE
In questo capitolo intendo riportare il pensiero di alcuni autori contemporanei, i quali evidenziano i limiti teorici e pratici del paradigma del self-interest; prendono atto della complessità dell'attuale realtà sociale ed economica, che ospita al suo interno esperienze significative ed in crescita, non riconducibili totalmente all'attuale paradigma individualistico, perché fondate su motivazioni di tipo etico-sociale - basti pensare all'ampio settore no-profit, alle cooperative, alla Banca Etica, al commercio equo-solidale, ecc. -; si interrogano sulle motivazioni e sui fini in economia e sul ruolo che essi possono svolgere nella soluzione dei problemi sociali.
Nel pensiero di tali autori, questi aspetti, dai quali l'economia non può assolutamente prescindere, in quanto ne costituiscono - in ogni concezione economica - i presupposti, possono rappresentare la sfida per un rinnovamento dell'economia in senso più umano.
Par. 2.1. STEFANO Zamagni: LA DIMENSIONE RELAZIONALE
Nel pensiero del prof.Zamagni emerge l'esigenza di superare gli 'angusti'
limiti dell'attuale impostazione della teoria economica, incentrata su una visione di uomo individualista e disinteressato delle scelte e delle sorti altrui, cercando di rivalutare e di porre al centro della riflessione economica un concetto più ricco di persona, e con esso la, fino ad ora, trascurata dimensione relazionale della realtà economica.
In una recente intervista[54], fatta da Luigino Bruni , Zamagni mette in discussione la separazione tra economia ed etica, e sostiene che la teoria della razionalità in economia ha un contenuto etico.
'Nella teoria dominante - dice Zamagni - sono presenti due nozioni di razionalità: quella 'formalista' e quella 'sostantivista'.
La prima afferma che è razionale il soggetto economico che nel proprio comportamento rispetta alcuni canoni di coerenza formale, primo fra tutti l'assioma di transitività . E dunque, quale che sia l'obiettivo che persegue il soggetto, il suo comportamento è razionale se esso rispetta certe regole di coerenza formale.
La seconda, legata all'utilitarismo, sostiene che è razionale il soggetto che massimizza il proprio interesse personale (self-interest)'.[57]
Entrambi i concetti, però, non si chiedono quali siano gli obiettivi dei soggetti razionali; il rischio a ciò collegato è di definire razionale qualsiasi comportamento. 'Se vedessi, per esempio, che un soggetto beve benzina, dovrei concludere che questo avviene perché egli preferisce la benzina ad altre bevande; il che è assurdo'.
Inoltre, egli sostiene che 'l'effetto più deleterio della dottrina del self-interest e della nozione di razionalità che su essa si fonda è quello di farci credere che un comportamento che si ispiri a valori diversi da quello dell'interesse personale conduce al disastro economico.(.) Una dottrina del genere finisce col limitare enormemente l'utilizzabilità, a fini pratici, di disposizioni quali l'altruismo e la fiducia, dal momento che essa considera queste disposizioni come fossero qualità intrinseche del carattere umano, anziché connotazioni posizionali dovute a certe configurazioni dell'interdipendenza sociale'.
Il concetto attuale di razionalità ha molte implicazioni, tra le quali la più importante è la tesi dell'a-valutatività.
A tal riguardo Pareto scrive nel suo Manuale: 'Erra grandemente chi accusa l'autore il quale studia le azioni economiche - oppure l'homo oeconomicus - di trascurare, o peggio, disprezzare le azioni morali, religiose, ecc. - ossia l'homo ethicus, l'homo polithicus, l'homo religiosus,ecc. - tanto varrebbe dire che il geometra trascura le proprietà chimiche dei corpi, quelle fisiche.Erra del pari chi biasima l'economia politica di non tener conto della morale; tanto varrebbe accusare una teoria del giuoco degli scacchi di non tener conto dell'arte culinaria'.
Zamagni ritiene priva di fondamento tale tesi, in quanto Pareto in tal modo
sostiene la tesi della doppia morale: da un lato l'economista come economista, e dall'altro l'economista come soggetto che vive in un determinato contesto istituzionale. Non è possibile assumere la completa neutralità dell'economia dall'etica: 'l'economista deve sempre avere un qualche rapporto con la realtà che osserva e di cui è partecipe'.[61] Egli ha una grande responsabilità morale: le sue affermazioni tenderanno a produrre l'evento previsto dalla teoria.
Come ricordato nel capitolo precedente, un importante filone di ricerca che
dimostra i limiti del modello individualista è la teoria dei giochi, la quale mette
l'accento sulla natura relazionale dell'uomo.[62]
A tal riguardo, il prof.Zamagni riconosce l'importanza di un tale approccio: quello relazionale. Egli, tuttavia, riconosce un limite a tale teoria: 'essa, cioè, può far dimenticare che non tutti i rapporti interpersonali sono traducibili nei termini adatti alla teoria dei giochi'.[63] (Si pensi alle relazioni di dono, di reciprocità, di altruismo, ecc.)
Il problema di fondo dell'economia, secondo Zamagni, 'riguarda la scelta fra fini alternativi e non già la scelta dei mezzi migliori per conseguire un dato fine. Questo indica che la natura del problema economico di oggi è qualitativamente diversa da quella del problema di ieri; e dunque che è necessario dilatare l'orizzonte per arrivare a proporre soluzioni economicamente efficaci e soprattutto credibili. Il rinvio alla categoria delle motivazioni e dei valori diviene perciò ineludibile.
Ma, qual è il luogo dove le motivazioni si dispiegano e i valori vengono forgiati? Non certo lo Stato (a meno che si crei uno 'stato etico') né, a maggior ragione, il mercato (che è ancorato ad uno zoccolo di valori, ma non è esso stesso in grado di generarli, pur risultando uno strumento assai efficace al loro consolidamento). Questo 'luogo' non può che essere la società civile, intesa quale insieme articolato di soggetti collettivi intermedi. Oggi, sembra ormai acquisito che è la società civile che 'crea' il mercato, ed è lo Stato che lo 'sostiene' mediante una fitta rete di regole e di istituzioni socio-economiche. Il mercato è compatibile con culture diverse - ed infatti c'è
mercato sia negli USA sia in Giappone sia in Germania -, ma la diversità dei presupposti culturali non è senza effetti sull'efficienza dei risultati del mercato stesso. Il mercato dunque deve essere 'progettato' perché esso possa produrre il più grande bene per il più grande numero. Ecco perché occorre ripensare, in modo originale, le relazioni tra mercato, Stato e società civile'.
Par. 2.2. L'ALTRUISMO E LE SCELTE ECONOMICHE
Il termine 'altruismo', generalmente, si riferisce ad un comportamento tenuto
in una determinata sfera della vita dell'uomo, ossia quella della famiglia e quella civile. Sembra, infatti, che esso non possa avere un ruolo nel mondo del lavoro dove, fino ad oggi, si è prevalentemente agito secondo il già ricordato self-interest. La visione comune è quella di individui mossi unicamente dal calcolo razionale e dal perseguimento del proprio interesse.
In realtà , oggigiorno sembra farsi strada sempre più la possibilità di dare un senso economico a valori di natura etica, quali l'altruismo.
Analizzando il comportamento umano, molti studiosi - soprattutto a partire dagli anni '80 - si sono resi conto che le persone, anche in campo economico, agiscono mosse dall'amore, dall'altruismo, dalla fedeltà, dall'onestà e da simili atteggiamenti etici, e che questi possono avere un'influenza diretta sulle relazioni di mercato.
2.2.1. Un approccio evolutivo all'altruismo
P.L.Sacco e S.Zamagni in un articolo[65] propongono un loro approccio dinamico ed evolutivo all'altruismo, contrapponendolo a quello sociobiologico.
La concezione sociobiologica esprime la convinzione di una componente ereditaria nell'evoluzione di un tale comportamento, spiegabile con l'assunzione dell'ipotesi della inclusive fitness, secondo la quale i comportamenti di mutua assistenza o di beneficenza possono essere concepiti come la conseguenza di una programmazione genetica che mira ad aumentare la probabilità di sopravvivenza di geni 'parenti'.
Altri fattori che spingono verso atteggiamenti altruistici, secondo tale approccio, sono: l'empatia definita come il processo di identificazione con un altro individuo con il quale si crea una sorta di comunione affettiva; i sentimenti di gratitudine o di fiducia verso coloro che, in un processo selettivo basato sulla reciprocità, rispettano questa regola; le norme sociali: il bisogno di approvazione sociale che deriva dal rispetto di tali consuetudini è un elemento molto importante e alla base di molti atteggiamenti collaborativi.
Sacco e Zamagni fanno rientrare l'approccio sociobiologico in una accezione del self-interest, anche se più ampio: ritengono che la funzione individuale del soggetto che agisce includa anche quella di altri individui. In questo modo
l'altruismo è espressione di preferenze specifiche, sia che esse vengano
scelte per se stesse, sia che vengano considerate come un effetto diretto
della programmazione genetica.
Essi sostengono che tali argomentazioni non sono in grado di spiegare in modo completo il fenomeno in oggetto: è stato dimostrato che fattori di natura genetica influenzano solo in minima parte la condotta umana che, invece, sembra essere determinata da altri fattori come il processo di evoluzione culturale, con il quale esperienze individuali vengono trasmesse da una generazione all'altra consentendo di accumulare le esperienze passate e realizzarne selettivamente di nuove.[66]
A differenza di quella naturale, la selezione culturale è dominata, quindi, da fenomeni di imitazione dei comportamenti.
L'approccio evolutivo all'altruismo alternativo è in grado, a differenza di quello sociobiologico, di spiegare gli effetti di feedback per mezzo dei quali l'altruismo si consolida all'interno del sistema motivazionale di un individuo oppure viene abbandonato.
I due autori propongono un gioco ipotetico in cui vi sono due soggetti (I e II) che devono decidere se contribuire a favore di un terzo soggetto (P) che ha bisogno di aiuto.
Essi stilano una classificazione dei tipi altruisti, basata sugli ordinamenti di preferenze:
a) l'Altruista Sussidiario, un individuo che si preoccupa del benessere di P, ma che preferisce indurre l'altro giocatore a sostenere l'onere della contribuzione, intervenendo solo nel caso che quest'ultimo non lo faccia;
b) l'Altruista Reciproco, che preferisce la divisione equa dell'onere fra i soggetti, rinunciando a contribuire qualora dovesse sostenerlo da solo;
c) l'Altruista Kantiano, colui che è pronto a contribuire con la sua quota qualunque sia il comportamento dell'altro giocatore, per adempiere al suo dovere morale;
d) l'Altruista Superkantiano l'individuo che è disposto ad assumersi l'intero onere del contributo nel caso in cui l'altro soggetto non intenda contribuire poiché ciò che più conta per lui è il benessere di P.
Distinguono anche fra due tipi di egoisti:
a) l'Egoista Puro che non si preoccupa del benessere di P e non ha mai motivi per contribuire;
b) l'Egoista con Recriminazione il quale non è interessato al benessere di P e non è disposto a offrire qualcosa ed è addirittura infastidito dal fatto che vi sia qualcuno che voglia contribuire.
Definite le preferenze di ogni tipo di giocatore con l'utilizzo di una rappresentazione numerica, i due autori ipotizzano la dinamica evolutiva di una popolazione in cui coesistono inizialmente due tipi di giocatori.
Questi vengono accoppiati in modo casuale per giocare nel gioco della contribuzione e di volta in volta vengono considerati i possibili risultati che scaturiscono dalle strategie poste in essere da ogni giocatore.
Vengono fatte alcune premesse: i soggetti scelgono in modo volontario; si presume che i comportamenti siano modificabili grazie ad un processo di imitazione o di feedback che le esperienze dei giocatori esercitano sui sistemi motivazionali.
Le conclusioni a cui pervengono i due autori sono interessanti:
L'Egoismo Puro non può essere mai eliminato se è presente nella distribuzione iniziale dei tipi. Vi sono tuttavia due tipi di altruisti, quello Kantiano e Superkantiano che possono in alcuni casi sopravvivere all'Egoismo Puro.
Il genere di altruismo più efficace contro l'Egoista con Recriminazione è rappresentato dall'Altruista Superkantiano. Quello Sussidiario o Reciproco sono invece eliminati da qualsiasi genere di comportamento egoistico.
Le forme di Altruismo Kantiano e Superkantiano, anche se molto efficaci contro il comportamento egoistico, rischiano invece di essere eliminate dall'Altruismo Sussidiario.
Vi sono infine dei casi in cui i giocatori non possono apprendere dall'esperienza, ad esempio nel caso di popolazione omogenea, e perciò la distribuzione iniziale dei tipi si riproduce nel tempo.
I risultati raggiunti da questa analisi, anche se non mancano dei limiti, rappresentati in primo luogo da un'eccessiva semplificazione (la popolazione è ridotta a due sole tipologie di comportamento), sono importanti in quanto esprimono con l'utilizzo di un'indagine formale e quindi non solamente teorica, la possibilità di una diffusione del comportamento altruista grazie all'opportunità di quest'ultimo di influenzare gli altri giocatori.
Ciò che vogliono sottolineare i due autori con questo modello è essenzialmente il fatto che il comportamento individuale non è un comportamento isolato, ma che grazie alla ricorrente interazione sociale subisce dei mutamenti
Gli autori tendono a superare la concezione individualistica verso il recupero di un concetto di "razionalità" che tenga conto della dimensione relazionale: 'una concezione estesa della razionalità, che riconosca la capacità umana di considerare criticamente le proprie motivazioni, emerge allora come alternativa teoricamente superiore rispetto alla classica concezione
L'altruismo 'non calcolativo'
Herbert Simon è uno di quegli gli autori che hanno posto un crescente interesse sulle forme di altruismo 'non calcolativo' o 'morale'[69] e che hanno sottolineato la forte componente di apprendimento sociale in esse.
Nella sua concezione la benevolenza diventa un elemento fondamentale per aumentare le prospettive di sopravvivenza di un gruppo che si trova a competere con altri gruppi in uno stesso ambiente.
La sua analisi è incentrata sul concetto di 'docilità' inteso come la propensione, nella scelta delle proprie azioni, a dipendere dai suggerimenti e dalle raccomandazioni che derivano dalla conoscenza superiore altrui. L'uomo, secondo Simon, non è in grado di acquisizione tutte le conoscenze necessarie per poter realizzare scelte ottimizzanti; egli non conosce tutte le alternative possibili a disposizione e tanto meno tutte le variabili ambientali, presenti e future, in grado di determinare le conseguenze delle sue decisioni.
A causa di questa limitata razionalità, la 'docilità' diventa un importante mezzo per migliorare la propria utilità. Seguire le indicazioni e i consigli che derivano dall' altrui esperienza è un modo per acquisire facilmente
informazioni su ciò che è 'il proprio bene'.
D'altra parte, poiché l'individuo molto spesso non è in grado di valutare se la scelta compiuta seguendo le raccomandazioni sociali è realmente vantaggiosa in termini di utilità personale, la società può indurlo, attraverso un' opera di persuasione, a tenere comportamenti altruistici per migliorare il benessere medio dei suoi membri.
La docilità, quindi, diventa un elemento fondamentale per l'evoluzione sociale perché consente la promozione di qualità come la solidarietà nelle azioni individuali, favorendo di conseguenza la società nel suo complesso.
Se nel linguaggio comune e nella stessa teoria economica il benessere viene spesso identificato con il profitto o la ricchezza, Simon propone una visione più ampia e concreta che nega la veridicità all'assunzione secondo cui l'attore economico è spinto unicamente da motivi di interesse egoistico.
L'autore ritiene essere maggiormente realista una concezione della scelta umana basata anche su altri fattori come le aspettative sulle conseguenze, in termini di piacere e di sofferenza, che questa stessa decisione determina: è importante verificare gli effetti provocati sulle altre persone dalle nostre azioni, in modo tale da influenzare i nostri stessi comportamenti.
L'altruismo, perciò, nella concezione di Simon rappresenta un movente molto frequente dell'agire umano.
Bisogna tuttavia porre l'attenzione su ciò che in questa concezione
costituisce il fondamento di questo atteggiamento e cioè la ' fedeltà al
gruppo '
Tale sentimento si esprime in vario modo e a diversi livelli: si può parlare di
legami etnici, di classe, fino a scendere su un piano più vicino all'individuo che è quello familiare o quello dell'organizzazione di cui è parte.
Quest'ultima sembra essere oggi giorno la più importante, in quanto associazioni di ogni tipo rivestono un ruolo fondamentale nell'attuale società e sistema economico: organizzazioni commerciali, associazioni volontarie e culturali rappresentano gli attori principali.
L'identificazione dei membri che compongono queste organizzazioni con l'organizzazione stessa e di conseguenza con i suoi scopi, ha un'importante influenza sul loro comportamento: nel gruppo essi trovano non solo una motivazione per il loro agire, ma anche un modo di pensare comune.
2.2.3. Il problema del free - riding e l'altruismo
Un approccio interessante al tema dell'altruismo è fornito da J.Elster e R.Sugden che inseriscono la loro trattazione nella questione del free rider (o della partecipazione volontaria alla produzione dei beni pubblici).
Essi hanno mostrato come nel mercato dei beni pubblici la razionalità individuale non riesce a raggiungere soluzioni ottimali, ottenibili introducendo nel concetto di 'razionalità' altre motivazioni.
Il consumo di un bene pubblico da parte di un singolo non diminuisce il consumo da parte di qualsiasi altro. Inoltre, una volta che il bene è stato prodotto, nessuno può essere escluso dal suo uso.
'Supponiamo di vivere in una strada buia, in un quartiere malfamato della città e che un gruppo volontario di vicini decida di istituire un'associazione di isolato per illuminare la strada. L'associazione scopre che, quanto più denaro spende a questo scopo, più la strada sarà illuminata. Il problema allora si pone in questi termini: qual è l'intensità ottimale di illuminazione da acquistare? Se l'associazione conosce quanto denaro ciascun membro è disponibile a spendere per i vari livelli di illuminazione, sarà in grado di scegliere in modo ottimale. Ma il mercato è in grado di ottenere una tale soluzione? Se l'associazione tenta l'approccio più ovvio, chiedendo ai suoi membri quanto sarebbero disposti a pagare, l'esistenza simultanea dalla razionalità individuale e del fatto che il bene è pubblico rendono improbabile il raggiungimento della quantità ottimale. Ogni socio, essendo interessato a se stesso, potrebbe rispondere: 'Credo che l'idea di illuminare la strada sia sbagliata'. In tal modo egli trarrebbe due vantaggi: non pagherebbe nulla e riceverebbe gratuitamente i benefici dell'illuminazione. Se, però, tutte le persone agiscono in questo modo, il bene non sarà fornito, sebbene lo desiderino. Un tale comportamento è definito da free rider[70].
J. Elster propone l'altruismo come una delle possibili motivazioni razionali, accanto a quelle egoistiche, che spingono un individuo a scegliere e preferire l'azione cooperativa al comportamento da free rider.
In tal modo, il soggetto si interessa dei risultati, ma non dei risultati effettivi di una certa azione, bensì ciò che per ipotesi potrebbe accadere se tutti adottassero un certo comportamento.
Esiste, però, un'ulteriore motivazione che è riconducibile alla norma di imparzialità secondo la quale è dovere di ciascuno contribuire ma solo se anche gli altri fanno lo stesso, senza tenere conto dei risultati che un tale
comportamento determina. L'autore espone a questo proposito un caso che dimostra, però, come questa norma possa portare a risultati insoddisfacenti: ad esempio quando gli invitati ad una festa la mattina dopo partecipano tutti quanti alle pulizie generando una situazione di confusione e di intralcio.
Le riflessioni più interessanti che emergono dall'analisi di Elster sull'altruismo sono quelle incentrate a controbattere la tesi secondo cui è l'egoismo a fare
'girare il mondo'[71].
Un altro approccio interessante al tema dell'altruismo è quello rappresentato da Robert Sugden.
Nella sua spiegazione dell'altruismo egli riprende il criterio di reciprocità.
Oltre all'attitudine personale verso l'altruismo, un elemento importante e in grado di spiegare la maggior parte delle azioni caritatevoli della gente è il considerare queste stesse azioni essenzialmente come frutto di una reazione al comportamento degli altri: egli sostiene cioè che i membri di un collettivo di fronte all'altrui beneficenza sentano l'obbligo morale di contribuire nella stessa maniera.
Il modello di altruismo di Sugden vuole rappresentare un'alternativa a quello fondato su ciò che egli definisce 'the principle of unconditional commitment', secondo il quale gli individui sono soggetti all'obbligo morale di contribuire al bene pubblico indipendentemente dal comportamento altrui. A suo parere questo principio non è giusto dal momento che non sempre tutti quanti collaborano: 'we need a principle that says, not that you must always contribute towards public goods, but that you must not take a free ride when other people are contributing'.[72]
In altre parole quello che ci propone è il principio di reciprocità secondo il quale ci viene richiesto di collaborare almeno nella stessa misura in cui lo fanno gli altri.
Sugden fa notare tuttavia come l'analisi dell'impatto di questo principio sulla
produzione di beni pubblici, attraverso la cooperazione volontaria, abbia rivelato risultati insoddisfacenti dal punto di vista dell'efficienza paretiana, poiché ogni individuo cerca di perseguire il proprio interesse scegliendo di contribuire nel minor grado possibile. Egli dimostra come soltanto considerando il caso speciale in cui tutti i membri hanno identiche preferenze è possibile raggiungere l'efficienza: 'in other words, Pareto efficiency is possible only if, were everyone to be asked to choose a single contribution for everyone in the community, they would all opt for the same contribution. In every other case, equilibrium is a state of under-supply'.
Questo problema sembra non riguardare invece il modello fondato sul principio dell'unconditional commitment, poiché in tale contesto ognuno contribuisce nella misura in cui egli vorrebbe che ognuno facesse, senza curarsi di ciò che gli altri fanno effettivamente.
2.2.4. L'altruismo: dalla famiglia alla società
Il premio nobel per l'economia 1992, Gary S.Becker, in un articolo del 1994[74] illustra l'utilità del comportamento altruistico in economia, laddove né l'iniziativa privata né lo Stato riescono a promuovere il bene pubblico.
Riprendendo Smith, egli sottolinea la conquista dell'economia: mostrare che,
sotto certe condizioni, l' azione dei singoli, seppur mossi dall' egoismo,
promuove il benessere comune. Questo principio, però, non agisce se non sono verificate le seguenti condizioni: la presenza della concorrenza, di imprese private, di un sistema legislativo e di uno Stato con ruoli limitati (ad esempio il far rispettare la legge, l'offrire un sistema educativo,.).
Il problema, secondo Becker, è che non sempre queste condizioni sono soddisfatte: 'talvolta la concorrenza può essere limitata, o certi mercati possono essere assenti o molto imperfetti'.[75] Egli richiama i rischi sottolineati dal professor Arrow, rischi sociali e privati, causati da situazioni che recano vantaggio ad alcuni, nuocendo però ad altri.
Allo stesso modo, anche l'azione dello Stato può incorrere in tali difficoltà.[77]
'Che cosa può fare allora la società se il comportamento egoistico non porta
a buoni risultati e se l'attività dello Stato è stata sopravvalutata
semplicisticamente?', si chiede Becker.
Egli sostiene che 'i comportamenti e le convinzioni etiche possono aiutare a risolvere i problemi economici'.[78]
Finora, non è mai stato preso in considerazione il fatto che atteggiamenti altruistici possano influenzare direttamente non solo il comportamento all'interno della famiglia, ma anche quello degli operatori economici. Negli ultimi anni, però questa tendenza sta cambiando, in quanto 'ci si è resi conto che le persone sono più complicate e possono essere mosse dall'amore, dall'altruismo, dalla fedeltà e da simili atteggiamenti etici e morali. Questi motivi dell'agire umano non sono semplicemente sullo sfondo, ma hanno un'influenza diretta anche sulla più stretta relazione di mercato. E soprattutto possono avere enormi conseguenze sui risultati delle azioni dei singoli'.[79]
Becker prende a modello la famiglia e le relazioni presenti tra i suoi membri, ipotizzando tali atteggiamenti anche in campo economico.
Nonostante le famiglie differiscano tra loro, è possibile rilevare che al loro interno le motivazioni non sono certamente egoistiche[80]. La presenza di tali aspetti spesso porta a risultati radicalmente diversi da quelli convenzionali.
Nel nucleo familiare, per esempio, si svolge un processo che Becker chiama 'teoria del bambino malvagio'. Tale teoria vuole dimostrare che l'atteggiamento dei genitori verso un figlio cattivo, egoista è sempre altruistico (i genitori amano i loro figli); questo spingerà il figlio cattivo a comportarsi come se fosse altruista, perché più conveniente dal suo punto di vista egoistico.
Anche fuori dalla famiglia, in altre realtà sociali, è possibile osservare atteggiamenti che mostrano 'come un po' d'amore può risolvere problemi che un comportamento egoistico e, ovviamente, lo Stato non potrebbero
Becker sostiene, quindi, la necessità di riportare tali valori anche nell'economia. Considera, ad esempio, 'la situazione che si crea quando i membri di un gruppo lavorano per la realizzazione di un prodotto o di un progetto, in cui ciò che fa ognuno dipende da quello che fanno gli altri; se tutti fossero egoisti, ognuno sarebbe tentato di lavorare meno lasciando un carico maggiore sugli altri membri del gruppo. Ma anche se soltanto le persone più egoiste si comportassero così, la squadra non lavorerebbe molto bene. E' importante sottolineare che ogni attività di gruppo implica un'interdipendenza di questo tipo. D'altra parte, se le persona hanno un interesse anche minimo gli uni verso gli altri e vogliono impegnarsi per sostenere il gruppo, ognuno si sentirà rafforzato dall'atteggiamento degli altri.
Un piccolo interesse nei confronti del prossimo può avere un'influenza molto
positiva sull'efficienza di un gruppo, e ciò spesso non può essere raggiunto con un comportamento egoistico'.[82]
Un modello di sviluppo fondato su tali valori 'può aiutare a risolvere con successo le difficoltà create nel settore privato da un comportamento prettamente egoistico e nel settore pubblico dalla centralizzazione del potere dello Stato'[83].
Par. 2.3.: AMARTYA SEN: IL WELL - BEING STATE
'L'economista d'alto livello deve avere una rara combinazione di doti. Deve attingere un livello elevato in più direzioni diverse, combinare capacità che non si trovano spesso assieme. Deve essere, in certo modo, matematico, storico, statista, filosofo; (.) vedere il particolare alla luce del generale e toccare l'astratto e il concreto con lo stesso colpo d'ala del pensiero. Non c'è parte della natura e delle istituzioni umane che possa sfuggire al suo sguardo. Deve essere, contemporaneamente, risoluto e disinteressato; distaccato e incorruttibile come un artista, eppure a volte vicino alla terra come l'uomo politico'.[84] [Keynes, 1933]
Amartya Sen[85], economista e filosofo di origine indiana, presenta una certa somiglianza con la figura descritta da Keynes; svolge i suoi studi economici interangendo sempre con la filosofia. E' uno studioso molto originale all'interno del panorama scientifico contemporaneo, anche perché si prende a cuore i problemi dei poveri e dei sofferenti; cerca le cause e vede nell'economia uno strumento per andare incontro all'uomo.
Da diversi anni, ha concentrato la sua riflessione sulla necessità di un recupero della dimensione etica nella disciplina economica, poiché, a suo parere, 'la natura dell'economia moderna ha subito un sostanziale impoverimento a causa della distanza venutasi a creare tra l'economia e l'etica'.[86]
L'approccio di Sen ai problemi economici e sociali è globale: egli prende in considerazione aspetti che normalmente vengono esaminati da altre discipline.
Egli stesso scrive: 'Alcuni problemi richiedono anche di superare quelli che vengono normalmente considerati quei limiti della disciplina economica, per considerare anche aspetti politici, sociali e filosofici. Questi limiti vengono spesso definiti in modo ristretto, sulla base di partizioni che gli economisti classici, come Smith e Marx, avrebbero fatto fatica a riconoscere. Parte dell'economia moderna sembra quindi aver fatto propri il vecchio consiglio del corsettiere: 'se la signora si sente a proprio agio in questa misura, allora ha certamente bisogno di una taglia più piccola' '.[87]
L'economista indiano si inserisce all'interno di quella branca dell'economia
rappresentata dalla teoria delle scelte sociali[88] ed è soprattutto in questo settore che ha portato i suoi contributi più importanti.
Nel saggio "The impossibility of a Paretian Liberal"[89] egli sostiene che può essere impossibile scegliere tra alternative sociali in modo da rispettare i diritti individuali e da determinare anche esiti Pareto-ottimali. Nessun criterio sociale soddisfa , contemporaneamente, le condizioni di:
a) dominio universale: il dominio della funzione deve includere tutti gli ordinamenti individuali possibili;
b) libertà minimali: il nucleo minimo di scelte, rispetto alle quali le esigenze delle persone sono da considerarsi sovrane;
c) principio di Pareto.
L'impossibilità deriva dall'incompatibilità tra il principio di Pareto - basato sull'utilità - e le libertà - fondate su elementi quali i diritti, le capacità e i valori delle persone -; per questo, sostiene Sen, è necessario inserire nelle variabili dei soggetti altri aspetti, oltre all'utilità.
L'economista indiano in questo modo introduce nella teoria delle scelte sociali anche le problematiche dell'etica e della giustizia che con il criterio paretiano erano state relegate alla sfera dei valori da cui lo scienziato doveva prescindere.
Non mancano in questi ultimi anni altri importanti contributi in materia di
teorie della giustizia, con cui anche la riflessione di Sen si è confrontata.
Uno di questi contributi è rappresentato sicuramente da John Rawls con la sua 'A theory of justice' del 1971.
Lo scopo principale di Rawls è quello di proporre un'interpretazione alternativa a quella utilitarista, attraverso l'elaborazione di un concetto fondamentale e cioè quello di "giustizia come equità".
Alla base di questa impostazione vi è una premessa di fondo che ritroviamo già all'inizio del capitolo introduttivo:
'Ogni persona possiede un'inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri. Non permette che i sacrifici imposti a pochi vengano controbilanciati da una maggiore quantità di vantaggi goduti da molti'.[90]
Questa posizione pone l'autore in netta contrapposizione con la concezione tradizionale, secondo la quale ciò che conta, ai fini della giustizia, è la massimizzazione dell'utilità sociale ottenuta sommando quelle individuali. A tal fine, non è importante il modo in cui queste utilità sono distribuite all'interno della società.
Nella visione rawlsiana, al contrario, libertà fondamentali e diritti acquisiti non possono essere oggetto di contrattazione poiché derivano da quei principi che sarebbero scelti nella posizione originaria.
L'idea guida dell'opera rawlsiana è, infatti, quella secondo cui i principi che regolano la struttura fondamentale della società - intendendo con questo termine l'insieme di istituzioni che distribuiscono doveri e diritti fondamentali, opportunità economiche e condizioni sociali - siano oggetto di un accordo originario. Per questo motivo questo autore viene fatto rientrare nella scuola di pensiero neo-contrattualista.
La sua teoria, che si differenzia sostanzialmente dall'impostazione classica soprattutto per un'esaltazione dei principi di giustizia come valore fondamentale in un assetto sociale, è costruita sull'idea di un'ipotetica situazione iniziale in cui regna l'uguaglianza.
La premessa da cui parte Rawls è quella secondo cui nello stato originario i soggetti liberi, razionali e autointeressati (quindi non altruisti), sono tutti su uno stesso piano. In questa posizione infatti nessuno conosce il suo stato sociale e le sue doti naturali grazie ad un 'velo di ignoranza' in cui sono avvolti tutti quanti, garantendo quindi una contrattazione equa: ogni contraente, infatti, non conoscendo la condizione che andrà ad occupare nella società adotterà quello che viene definito dall'autore il criterio del maximin. Esso significa, cioè, che ciascuno potendosi trovare in qualsiasi situazione cercherà di migliorare il più possibile la condizione di chi si verrà a trovare nella condizione peggiore.
In questo modo perciò tutti cercheranno di adottare principi equi e imparziali che tengono conto degli interessi di tutti i soggetti coinvolti.
Rawls parla allora di 'giustizia come equità' poiché le regole che devono
governare tutti gli aspetti di una vita associata sono frutto di un accordo
raggiunto in una condizione iniziale equa.
E' possibile notare quindi come l'autore utilizzando questo espediente del velo d'ignoranza riesca ad inserire, in una logica che rimane individualistica, valori di equità nelle scelte sociali.
Rawls sostiene due particolari principi che le persone sceglierebbero:
'Primo: ogni persona ha un eguale diritto alla più estesa libertà fondamentale compatibilmente con una simile libertà per gli altri.
Secondo: le ineguaglianze sociali ed economiche devono essere combinate in modo da essere (a) ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno; (b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti'.[91]
Il secondo principio viene normalmente chiamato 'principio di differenza' : esso in sostanza rappresenta un accordo originario con il quale le parti si impegnano a far sì che, coloro i quali sono stati maggiormente avvantaggiati nella distribuzione iniziale dei talenti e doti naturali, agiscano in modo da migliorare il benessere dei meno fortunati.
A parere di Rawls 'nessuno merita né le sue maggiori capacità naturali né una migliore posizione di partenza nella società. Ma ciò non implica che si devono eliminare queste distinzioni. Esiste un altro modo di considerarle. La struttura fondamentale può essere modificata in modo che questi fatti contingenti operino per il bene dei meno fortunati'.[93]
La sua concezione di sistema sociale "giusto" è quindi strettamente collegata alla distribuzione dei beni primari che sono rappresentati dalle libertà e opportunità, ricchezza e reddito, stima di sé.
Si tratta perciò di un'impostazione che pone l'accento soprattutto su un'uguaglianza delle opportunità e non tanto sui risultati effettivamente conseguiti.
Ed è essenzialmente su quest'ultimo aspetto che si differenzia il contributo di A. Sen.
Egli affronta il problema della giustizia ancorandolo alla nozione di capacità fondamentali, intendendo con essa le funzioni che un individuo riesce ad esercitare disponendo di certi beni e servizi. L'accento è posto non tanto sulla quantità di questi beni, ma soprattutto sull'opportunità che egli possiede di potersene servire per le proprie necessità.
Essendo queste 'opportunità' determinate dalla condizione socio-economica occupata nella società emerge la necessità di garantire una certa eguaglianza.[94]
Tuttavia, ed è qui la novità rispetto alla teoria rawlsiana, avere pari opportunità non significa che queste si traducano poi in comportamenti effettivi, e questo perché diverse sono le capacità, da un individuo all'altro, di perseguire i propri fini attraverso le risorse e i beni primari che si possiedono. Da qui la sua critica a Rawls:
'Il punto cruciale è l'inadeguatezza della base informativa dei beni primari (.) di Rawls e l'eventuale esigenza di focalizzare l'attenzione sulle capacità. (.).Nella valutazione della giustizia basata sulle capacità, le situazioni individuali non devono essere giudicate sulla base delle risorse o dei beni primari che ciascuno possiede, ma sulla base della libertà effettivamente goduta di scegliere la vita che si ha motivo di apprezzare'.[95]
Nel testo del 1988, "Etica ed Economia", Sen parla di questa capacità fondamentale, chiamata basic capability, come l'espressione di quella 'libertà positiva' che consente all'individuo di esprimere se stesso e di fare le proprie scelte nella ricerca dei propri interessi. In questo senso essa viene ad assumere importanza e valore, indipendentemente dai risultati che consente di ottenere.
In altri termini: poiché la capacità di svolgere una funzione appartiene alla categoria dei diritti, essa ha valore, a prescindere dall'utilità che quella funzione gli può conferire.
Questa posizione, come è evidente, si contrappone a quella predominante che tende ad attribuire a questa libertà esclusivamente un ruolo strumentale per la realizzazione di risultati concreti.
Tornando al confronto con Rawls, quindi, mentre le capacità esprimono le
libertà di un individuo, i beni primari sono i mezzi per esercitare queste libertà.
Sen dunque propone un'uguaglianza basata sulle capabilities, al cui interno ne individua alcune fondamentali, come quella di essere vestiti, nutriti, protetti dalle malattie prevedibili, ecc. Esse 'sono , in ultima analisi, lo spazio valutativo su cui Sen pone l'accento per la sua analisi dell'uguaglianza, poiché le capacità fondamentali misurano il livello minimale di libertà e di well-being che ogni uomo dovrebbe avere garantito'.[96]
Introducendo il concetto di 'well being' o 'star bene' - che deve servire a misurare la giustizia di un assetto sociale -, egli va oltre il termine di benessere inteso nel senso economico-utlitarista, per assumere un significato più ampio che tiene conto delle capacità di funzionare dell'individuo, ossia della sua libertà di scegliere fra le diverse alternative a disposizione quella che più soddisfa i suoi desideri e i suoi bisogni.
'Sen, proponendo il well-being come criterio per misurare lo star-bene, reintroduce la categoria del bisogno tra le variabili fondamentali della teoria economica e, facendo questo, riumanizza l'atto economico, subordinando le merci al bisogno degli uomini che esse devono soddisfare'.[97]
Si deduce quindi da tutta l'impostazione seniana una proposta più generale di rivedere la struttura stessa su cui l'economia del benessere si fonda da tempo, partendo da una considerazione dell'uomo, come figura centrale di tutta l'economia, attenta a cogliere aspetti più ampi della sua personalità che vanno oltre la visione dell'homo oeconomicus.
Ciò che egli mette in discussione non è soltanto l'opinione per cui chi agisce è spinto sempre da motivi di interesse personale, ma anche il principio fondamentale che vede la razionalità necessariamente collegata alla massimizzazione dello stesso interesse individuale: 'è assurdo sostenere che la razionalità debba invariabilmente esigere la massimizzazione dell'interesse personale. Un egoismo generale quale effettiva realtà può ben essere falso, ma un generale egoismo quale requisito della razionalità è cosa patentemente assurda'.[98]
Nel pensiero di Sen perciò si trova la netta convinzione dell'esistenza di altre motivazioni che sottostanno al comportamento effettivo delle persone senza che questo implichi una irrazionalità dell'attore: altre considerazioni, ad esempio di natura etica, spingono infatti i soggetti a perseguire obiettivi più ampi di quelli prettamente individuali e a far sì che il benessere individuale venga fatto dipendere non esclusivamente dal consumo personale.
In altre parole il comportamento reale degli attori non soddisfa la condizione del nesso supposto fra 'scelte e preferenze da un lato e fra preferenze e benessere dall'altro'.[99]
L'uomo è un essere sociale e per questo motivo 'le complesse interrelazioni esistenti in una società possono generare norme e regole di comportamento, in grado di creare un solco fra benessere e comportamento. Il comportamento della gente può ancora essere descritto come se fosse generato da una struttura coerente di preferenze, ma a questa rappresentazione numerica delle preferenze del come se non può essere attribuito il significato di benessere individuale'.
L'autore dimostra allora come regole morali di comportamento che si sostituiscono o che si aggiungano al calcolo razionale svolgano spesso un ruolo fondamentale nel perseguimento di un maggiore benessere da parte dei soggetti e lo fa ricorrendo al già citato esempio del 'dilemma del prigioniero'.
Sen propone a questo proposito due varianti del dilemma del prigioniero[101] al fine di dimostrare che, apportando alcune modifiche alle strutture delle preferenze degli attori, è possibile rendere comportamento morale e comportamento razionale perfettamente compatibili.
La prima è rappresentata dal 'gioco della fiducia' in cui i soggetti hanno sottoscritto un patto di collaborazione che non necessita, per essere rispettato, di alcuna costrizione, perché si fonda sulla fiducia reciproca. La seconda invece si spinge oltre, portando l'autore ad ipotizzare una situazione in cui non ci sarebbe bisogno neppure della fiducia per dare vita a comportamenti collaborativi, qualora le preferenze fossero 'altruistiche'.
Tuttavia, e in questo sta l'originalità del suo contributo, egli sostiene che per arrivare a questo risultato non è necessario che gli individui siano autenticamente altruisti: 'e, cosa ancora più interessante, se la gente si comportasse come se avesse queste preferenze modificate, tutti finirebbero per star meglio anche in termini delle preferenze originarie'.[102]
In altri termini, è sufficiente che essi agiscano non secondo una logica individuale, bensì seguendo una norma di razionalità collettiva che li porti a scegliere un comportamento altruistico pur mantenendo le proprie preferenze autointeressate.
La tesi di Sen quindi rappresenta un notevole cambiamento di prospettiva: essa afferma che risultati socialmente ottimali non possono essere raggiunti senza l'esistenza di comportamenti altruistici e che è possibile per gli individui, i quali non si interessano realmente del benessere altrui, ottenere dei vantaggi, per quanto riguarda le loro stesse preferenze egostiche, dal comportarsi "come se" fossero altruisti. Inoltre un tale comportamento, se assunto da molti, potrebbe generare una sua diffusione e un consolidamento, grazie ai meccanismi di apprendimento sociale.
Con Sen si assiste allora al recupero della dimensione relazionale dell'uomo, il quale è guidato non unicamente dall'interesse personale ma da altre considerazioni e valori.
Par. 2.4.: ALTRI CONTRIBUTI
Intervenendo al Convegno 'Etica e democrazia economica', promosso
dall'Istituto internazionale J.Maritain - febbraio 1989, il prof. Siro Lombardini[103] così si esprimeva: 'Alla base del difficile momento che sta attraversando la teoria economica, c'è la crescente dissonanza tra comportamento teorico e comportamento effettivo, che sta producendo un ricco e importante dibattito intorno ai presupposti etici della scienza economica'.
'La dissonanza tra comportamento teorico ed effettivo è solo uno dei sintomi di una più profonda crisi delle stesse fondamenta su cui si è costruita tutta la cosiddetta teoria economica. Questa crisi è evidenziata, in particolare, dalla gravità dei problemi ambientali, dalla persistenza della povertà, della fame e di sacche di malattie nelle più ricche economie del mondo, ecc.'
Lombardini rileva la crisi parallela dell'etica, sempre più isolata nella sfera privata dei singoli individui, incapace di influenzare positivamente le scelte economiche.
Nel libro 'La morale, l'economia e la politica', egli auspica un ritorno alle origini della scienza economica, quando essa era strettamente collegata alla politica, alla morale, alla filosofia. E ciò per poter rispondere alle sfide che i problemi economici pongono.
I sostenitori dell'attuale paradigma sostengono, come già scritto, la neutralità della scienza economica rispetto all'etica, in quanto essa già incorpora un'etica, quella individualista.
Questo è l'equivoco rilevato da Lombardini: 'il punto dolens della teoria economica tradizionale è il rapporto individuo-società. (.) Secondo le teorie neo-classiche è sufficiente che ciascun individuo massimizzi la sua utilità, operando in modo atomistico (ignorando quello che gli altri individui possono fare). Orbene, si può provare che in molti casi il comportamento individuale porta all'insuccesso'.[106]
Nel mondo attuale, complesso e interdipendente, 'un'azione che non tenga conto dell'altro, che non ragioni in termini di 'noi' è destinata all'insuccesso, proprio da un punto di vista strettamente economico'.[107]
E' necessario un nuovo modello economico che tenga conto dell'aspetto relazionale dell'uomo. 'La reciprocità dei bisogni, il 'sistema dei bisogni', si fa collaborazione e compartecipazione dei prodotti del lavoro'.[108]
Stessa opinione è espressa dalla prof.ssa Stefania Tormena[109] nell'articolo 'Note e discussioni su alcune relazioni tra economia ed etica'.
Alla base della sua riflessione pone alcuni interrogativi: 'la scienza economica è neutrale rispetto ai fini, etici o politici, della società? E' possibile una 'autonomia' della scienza economica? E' possibile fare dell'economia una scienza positiva, pur tenendo conto del suo collegamento con l'etica?'.[110]
La prof.ssa Tormena, sostenendo l'interdipendenza delle discipline, risponde affermando che è possibile conciliare l'etica con l'autonomia dell'economia come scienza: 'distinzione non implica separazione. L'economia studia un aspetto della realtà umana e sociale, non un segmento; per cui nella ricerca scientifica il contrasto di valutazioni ed interessi è parte del problema economico, e il processo analitico è coinvolto da giudizi di valore. La difficoltà di definire leggi costanti (leggi scientifiche) deriva dal fatto che la scienza economica ha per oggetto l'attività umana; per cui studia un ordine di rapporti, che varia nello spazio e nel tempo, che riguardano l'uomo e che non sono fatalistici, ma riconosciuti e giudicati dalla ragione e tradotti in atto di volontà per i fini scelti. E come non ricordare l'influenza della cultura e dei modelli di comportamento sui dati economici?'.[111]
Interrogandosi sul concetto di 'razionalità', sostiene: 'E' ben vero che l'attività economica è fatta dall'uomo, in base al principio, valido non solo in economia, della razionalità, dell'adeguamento di mezzi limitati ai fini. Tuttavia, la spiegazione razionale della condotta non comporta che ogni atto sia razionale; e, soprattutto, il principio di razionalità non coincide necessariamente con il principio del tornaconto personale. Il farlo coincidere esprime un giudizio di valore.(.)'
Secondo la Tormena, il rinnovamento dell'economia passa attraverso 'l'esplicitazione dei giudizi di valore', in quanto 'la scienza economica ha per scopo la soddisfazione anche di fini (e non solo di bisogni materiali) dell'uomo e della collettività'[113].
Giuseppe De Rita sostiene che bisogna tornare a riflettere sulla società, sulla sua trasformazione e sul suo sviluppo e individua quattro variabili da considerare nello sforzo di un rinnovamento culturale, sociale ed economico:
la prima riguarda il tipo di cultura sottostante all'economia: 'in una società fatta di comportamenti, di miliardi di comportamenti al giorno, non si possono fare discorsi solo di carattere strutturale, di modifica strutturale dell'economia o dei gruppi sociali, bisogna guardare ai comportamenti.(.) Oggi abbiamo la consapevolezza che per cambiare il mondo bisogna cambiare le persone, i comportamenti, la soggettività interiore'.
la seconda variabile è quella della cultura del rischio e della cultura del limite. Si tratta di trovare un nuovo rapporto tra etica del rischio (che trasforma, modifica, cambia, crea conflitto) ed etica del limite (il limite ambientale, il limite socio-biologico, il limite dell'ingegneria biologica). Ci sono segnali di allarme che invitano a porre attenzione ai rischi che l'umanità sta correndo e ai limiti che essa deve trovare. Si tratta di fare una cultura dello sviluppo che sia anche cultura della virtù dei comportamenti individuali; fare una cultura del rischio che in qualche
modo non sia soffocata dalla cultura del limite.
la terza variabile riguarda il fatto che 'la cultura dello sviluppo è sempre stata cultura del progetto, della costruzione del nuovo, del progettare il nuovo e disegnare una società diversa da quella attuale'.[117]
Oggi, non è più possibile progettare lo sviluppo, sostiene De Rita, ma è necessario 'aprirsi all'altro, che è esattamente l'opposto del progettare.(.) La vera etica non consiste nel progettare il nuovo, il meglio, il bello per tutti, ma uscire dalla propria soggettività per incontrare l'altro'.
Da ciò emerge che lo sviluppo si fonda su un processo di inculturazione che riconosca e valorizzi le diversità, promuova il dialogo e la costruzione di rapporti di reciprocità tra persone, gruppi e popoli.
la quarta variabile considera la ridefinizione dei soggetti della società. De Rita crede che 'oggi il soggetto dello sviluppo non sia più l'imprenditore o lo Stato, ma la società nel suo complesso, nei suoi
comportamenti, nel modo di agire, nelle sue diverse convenienze'.[120]
Lo Stato deve, quindi, avere un ruolo sussidiario, come sostiene Paolo Savona, in modo di creare 'l'habitat istituzionale e sociale che permetta a tutti la partecipazione alla vita economica'.[121] E' necessaria una ripartizione dei rischi fra individui e collettività. Ciò implica che il bene comune diventi un impegno che riguarda tutti, non solo lo Stato.
Lo studioso Serge Latouche[122] indica l'Africa quale esempio di come, nonostante i flagelli che la affliggono, la società civile sia fondamentale nel processo di sviluppo. Egli riconosce quanto gli africani stanno facendo per sopravvivere in una situazione così gravemente compromessa. 'Il segreto? Una rete di solidarietà fittissima che ingloba centinaia di abitanti delle periferie metropolitane, o dei villaggi rurali'.
'La sopravvivenza di milioni di africani si fonda proprio sul legame sociale
che è più importante di qualsiasi bene materiale, è la vera ricchezza'[124], la base su cui organizzare la propria vita. La logica del dono che struttura i rapporti di prossimità condiziona, dunque, anche le attività economiche. E' proprio nelle difficoltà delle esperienze di vita che la società, cosiddetta 'informale' da Latouche, ha trovato la spinta ad uscire dall'isolamento e a riscoprire il valore del dono.
Questo aspetto della società africana, secondo lo studioso francese, insegna qualcosa anche a noi occidentali: 'Da noi l'economia si è emancipata dal sociale, si è automatizzata, è diventata un obiettivo in sé che assorbe tutto. La soluzione è proprio reinserire l'economia nel sociale, e riscoprire, anzi rilegittimare, la logica del dono, ovvero l'obbligo di donare, ricevere, restituire, sempre forte nella nostra società, ma al momento completamente delegittimata. La prova? Se non esistessero questi rapporti extra-mercato, non ci sarebbe nemmeno un mercato, non ci sarebbe nemmeno una società'.
L'alternativa, secondo lo studioso, non è un altro modo di pensare l'economia, ma 'piuttosto il reinserimento di essa nel tessuto delle relazioni umane'.[126]
Par. 2.5.: RELAZIONALITA' E SCIENZA ECONOMICA:
VERSO UN NUOVO PARADIGMA
'L'individuo per essere se stesso , al limite ha necessità solo di se stesso: l'altro è un aiuto esterno, funzionale. La persona, per essere se stessa, ha necessità (.) non funzionale ma esistenziale dell'altro il quale, aprendo l'individualità, la conduce a superarsi e a compiersi nella persona'.[127] [Zanghì, 1991]
Come ho avuto modo di affermare nel primo capitolo, l'economia come scienza autonoma è nata da un processo, prevalentemente influenzato da una cultura di tipo positivista, che ha trovato nell'individualismo metodologico lo strumento adatto a studiare l'aspetto economico dell'agire umano: gli economisti neoclassici osservavano la realtà e vedevano che più che dall'altruismo e dall'amore, i soggetti, in economia, sono mossi dall'egoismo
e dall'interesse individuale.[128]
Ciò ha comportato non solo l'autonomia dell'economia come scienza, ma anche la sua netta separazione dalle altre discipline e la concezione di un 'uomo economico' astratto, ridotto ad un'unica dimensione, quella materiale, oggettivamente misurabile, confrontabile, prevedibile.
Il paradigma attuale si fonda, infatti, su due categorie principali: l'approccio individualistico e l'ipotesi di razionalità.
Tale approccio riduce l'agire economico ad un'operazione individuale che si
svolge nella mente del singolo uomo, il quale spinto dal self-interest a soddisfare i propri desideri - non importa di che tipo - cerca di massimizzare la propria utilità, scegliendo fra alternative possibili.
Il processo di ottimizzazione rimanda ad un criterio che permetta di definire se una scelta è, o non è, ottima. Questa funzione è racchiusa nell'ipotesi di
razionalità.
La concezione di 'uomo' che tale paradigma presuppone è quella di un individuo teso all sua realizzazione, ma chiuso in se stesso, incapace di stabilire relazioni con gli altri (considerati, peraltro, mezzi, strumenti per ottenere i risultati economici, non partners dai quali dipende la sua felicità, la sua realizzazione). Tale individuo, però, è astratto, ridotto ad un'unica dimensione; non esiste nella realtà, la quale - come ho cercato di dimostrare nei paragrafi precedenti, con il contributo di autorevoli esponenti - è molto più complessa e ricca di significati e valori; per questo possiamo dire che la scienza economica, che dovrebbe studiare e descrivere la realtà, in pratica si limita a studiare un mondo 'di carta', anche se il paradigma individualistico facilita certamente il compito della scienza.
Lo stesso Smith difficilmente si riconoscerebbe nell'homo oeconomicus; egli afferma infatti: 'l'uomo dovrebbe considerare se stesso non come qualcosa di separato e staccato, ma come un concittadino del mondo, un membro della vasta comunità della natura (.), all'interesse di questa grande comunità egli dovrebbe sempre esser lieto che si sacrifichi il suo piccolo interesse personale'.
Il paradigma individualistico lascia aperti molti interrogativi, sui quali discutono ormai numerosi economisti contemporanei (come ho cercato di illustrare nelle pagine precedenti).
Tali autori concordano sulla necessità di riconsiderare l'antropologia che sta
alla base dell'individualismo e risalire ad un nuovo concetto di 'uomo', quale si trova nella realtà ed è delineato anche da altre scienze umane, con le quali l'economia è chiamata a dialogare..
Erich Fromm, ad esempio, nel suo libro 'L'arte d'amare', afferma la natura sociale , predisposta ad amare, dell'uomo e così illustra le conseguenze negative prodotte dal pensiero individualista sulla società: 'la gente è spinta da suggerimenti di massa, il suo scopo è di produrre di più e di consumare di più come fine a se stesso. Tutte le attività sono subordinate a scopi economici, i mezzi sono diventati i suoi fini; l'uomo è un automa, ben nutrito, ben vestito, ma senza un vero interesse per quella che è la sua particolare qualità e funzione umana. Se l'uomo è capace di amare, deve essere messo nel suo posto supremo. La macchina economica deve servirgli, anziché lui servire ad essa. Egli deve essere in grado di partecipare all'esperienza ed al lavoro, anziché ai profitti. La società deve essere organizzata in modo tale che la natura sociale e amante dell'uomo non sia separata dalla sua esistenza sociale, ma diventi un'unica cosa con essa. Che questo bisogno sia stato oscurato, non significa che non esista. Analizzare la natura dell'amore significa scoprire la sua attuale assenza totale criticare le condizioni sociali che sono la causa di tale assenza. Aver fede nelle possibilità dell'amore come fenomeno sociale, oltre che individuale, è fede razionale che si fonda sull'essenza intima dell'uomo'.[130]
'L'uomo è un rapporto: non che sia in rapporto, non che abbia un rapporto, ma che è un rapporto, più precisamente un rapporto con l'essere (ontologico), rapporto con l'altro'.[131]
E' sorprendente notare quali identità di pensiero esista tra filosofi, sociologi ed economisti.
Alla luce di quanto sostenuto, emerge la necessità di un recupero da parte dell'economia della categoria della 'relazionalità', che esprima la dimensione sociale dell'uomo, il quale nel suo agire economico si interroga sui fini, sulle motivazioni, sul valore morale delle proprie scelte, sulle conseguenze delle proprie azioni a livello sociale, ecc. L'agire economico è ricco, quindi, di significati che il paradigma attuale non spiega.
Tutti questi aspetti hanno un'influenza non indifferente anche in campo economico. Lo dimostra l'ormai ampia realtà dell'economia civile[132], nella quale l'elemento della reciprocità gioca un ruolo principale.
'Una società caratterizzata da spirito di fiducia tra le persone, da una rete di rapporti ricca, dalla dimensione del gratuito che trasforma i rapporti in qualcosa di più di semplici rapporti di mercato, è certamente una regione che 'sta meglio' di un'altra che ha meno di queste cose'.[133]
'La crescita di un'economia di un Paese o di una regione dipende dalla dotazione di fattori produttivi di cui dispone e dall'attivazione di tali fattori. Tra i fattori produttivi (capitale, tecnologia, terra, lavoro) il 'capitale umano' riveste una particolare importanza, e non solo per quanto riguarda lo stock, qualitativo e quantitativo, ma anche nella misura in cui il capitale umano è inserito in una rete di rapporti, in una cultura e in un assetto istituzionale che ne permetta lo sviluppo e il potenziamento.
Le politiche di sviluppo che fino ad oggi sono state prese in considerazione hanno tenuto conto, nella migliore delle ipotesi, del potenziamento dei fattori produttivi in un'area, trascurando quasi completamente il contesto relazionale. La non valutazione del grado di sviluppo degli aspetti relazionali ha portato al fallimento di queste politiche'.[134]
Nell'ottica dell'economia civile, la ricchezza di una regione, di un paese è valutata anche da variabili che esprimono la dimensione interpersonale e relazionale di un tessuto sociale.
Facendo un passo indietro, è possibile notare che, prima della nascita dell'economia moderna, una tradizione di pensiero - quella degli economisti 'mediterranei' - aveva posto alla base della sua antropologia l'aspetto sociale dell'uomo. Il leccese Palmieri scriveva: 'fra tutti gli esseri l'uomo è il più utile all'uomo. Non può egli sperare da altri quei beni che solo dai suoi simili può ottenere.Basta che l'uomo cominciò a far uso della ragione che conobbe che da solo e colle sue forze non poteva conseguire quella felicità a cui si
sentiva portato dalla sua natura'.[135]
Attualmente, esiste un dibattito fra economisti, fra i quali Sugden, Zamagni, Sen, Hausman, che hanno capito la necessità di riformulare l'attuale paradigma economico basandolo su un nuovo concetto di ' uomo', un uomo sociale, che si realizza come persone attraverso la relazione, la costruzione di rapporti di reciprocità. La cellula elementare diventa la persona, e non l'individuo, dove 'l'individuo è sé in se stesso; la persona è sé nell'altro'.
In questo nuovo paradigma la 'razionalità' non coincide con la massimizzazione della propria utilità, ma comprende anche quei comportamenti finora non considerati tali, ma che sono parte integrante dell'agire economico e hanno una rilevanza.
L'economia come scienza è stata sicuramente una grande conquista.ma essa non è statica, definitiva, è in continua evoluzione, come in continua evoluzione è la vita reale delle persone, dei popoli.
Alcuni autori hanno riconosciuto l' importanza di introdurre nella teoria
economica il concetto di 'beni relazionali', in aggiunta a quelli privati e pubblici.
Il prof.Gui definisce tali beni come 'beni pubblici immateriali, che per la loro produzione richiedono la compartecipazione e i contributi di tutti; tali contributi - è questa una delle caratteristiche peculiari - non sono negoziabili. Un bene relazionale non prevede quindi la possibilità di incentivi diretti alla produzione, poiché se una parte del rapporto scopre la non gratuità della relazione, il bene non si produce'.[137]
Il prof. Zamagni attribuisce ai beni relazionali una caratteristica peculiare: 'l'utilità che conferiscono a chi li consuma dipende dalla particolare relazione che si instaura tra chi offre e chi domanda. Questo vuol dire che nel bene relazionale il modo conta: il modo con cui il bene viene fornito e il modo in cui viene consumato contano ai fini della creazione di utilità. Non così nei beni privati, la cui utilità è intrinseca, legata alle proprietà che essi hanno, indipendentemente dal modo in cui vengono forniti'.[138]
L'introduzione del concetto di 'beni relazionali' in aggiunta ai beni privati e pubblici aiuta a capire meglio la realtà, in particolare fa comprendere quelle esperienze come il non-profit e l'Economia di Comunione che non potrebbero
essere capite in un'ottica individualistica e razionale.
L'aver riconosciuto la presenza di beni relazionali e dei loro benefici non basta, però. E' necessario, a detta di L. Bruni, arrivare a 'riscrivere l'intera teoria economica sostituendo l'attuale paradigma basato sull'individuo massimizzante un nuovo paradigma incentrato sulla persona vista in un'ottica relazionale, in modo che anche la scienza economica tenga conto della legge relazionale inscritta nel cuore delle cose e dei rapporti tra le persone'.[139]
L'economia, secondo l'economista Ng, pur rimanendo scienza, deve ritornare a guardare al suo fine ultimo, che è la felicità dell'uomo, 'felicità' che non può essere raggiunta al di fuori della società: 'noi vogliamo denaro (o altre cose) solo come mezzo per aumentare la nostra felicità. Se avere più denaro non aumenta sostanzialmente la nostra felicità, allora il denaro non è molto importante, ma la felicità lo è'.[140]
Mentre a livello teorico il dialogo fra economisti continua, è possibile vedere che i beni relazionali nella realtà già agiscono. Una delle esperienze che si basano su questo nuovo (ancora in fase di elaborazione) paradigma è l'Economia di Comunione, comprendente 'imprese for-profit che immettono beni relazionali nell'ambiente, che concepiscono la loro attività come un mezzo per aumentare il 'ben vivere', e in grado di affrontare le grandi sfide relazionali del nostro tempo'.[141] I soggetti che vi aderiscono si muovono in una logica di reciprocità, dove tutti danno e tutti ricevono.
Nella seconda parte del mio elaborato esamino questo progetto e le sue prospettive.
Il prof. Stefano Zamagni è docente di economia politica e preside della facoltà di economia dell'Università di Bologna; è consulente della Conferenza Episcopale Italiana per i documenti in materia economico-sociale e membro della commissione governativa per la riforma dello stato sociale.
L'intervista risale al 1996 ed è riportata in L.BRUNI, Stefano Zamagni: per un'economia relazionale, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1996, n° 103, pag. 41-57.
Tale assioma afferma che se un soggetto preferisce A rispetto a B e B rispetto a C, allora preferisce A rispetto a C.
L.BRUNI, Stefano Zamagni: per un'economia relazionale, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1996, n° 103, pag.46.
S.ZAMAGNI, Sul fondamento etico del discorso economico: a proposito di un recente documento della CEI, in 'Note Economiche del Monte dei Paschi di Siena', 1994, n° 2, pag. 212.
L.BRUNI, Stefano Zamagni: per un'economia relazionale, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1996, n° 103, pag.48.
Ricordo che la teoria dei giochi sostiene che: comportarsi senza tener conto delle decisioni degli altri agenti con me interrelati, non solo porta a risultati sociali non ottimali, ma non consente neanche di conseguire i miei interessi individuali.
L.BRUNI, Stefano Zamagni: per un'economia relazionale, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1996, n° 103, pag.51.
S.ZAMAGNI, Sul fondamento etico del discorso economico: a proposito di un recente documento della CEI, in 'Note Economiche del Monte dei Paschi di Siena', 1994, n° 2, pag. 204-205.
P.L.SACCO e S.ZAMAGNI, Un approccio dinamico evolutivo all'altruismo, in 'Rivista Internazionale di Scienze Sociali', n°2, 1994, pag. 223-258.
P.L.SACCO e S.ZAMAGNI, Un approccio dinamico evolutivo all'altruismo, in 'Rivista Internazionale di Scienze Sociali', n°2, 1994, pag. 258.
Cfr., H.SIMON, Altruism and Economics, in 'American Economic Review', May 1993, vol. 83, n° 2, pag. 156-161.
R.SUGDEN, Reciprocity: the supply of public goods throught voluntary contributions, in 'The Economic Journal', December 1984, vol. 94, pag. 775.
G.S.BECKER, L'utilità del comportamento altruistico, in 'Etica degli affari e delle professioni', 1994, n° 1, pag. 45-49.
Ad esempio situazioni in cui i lavoratori possono non lavorare in modo diligente perché non osservati, oppure casi di imprese che deludono i clienti offrendo prodotti di qualità inferiore alle aspettative.
Nel settore pubblico è possibile il monopolio, la corruzione, la 'lotta' di gruppi di interesse per conquistare particolari privilegi.
G.S.BECKER, L'utilità del comportamento altruistico, in 'Etica degli affari e delle professioni', 1994, n° 1, pag. 47.
Scrive Becker: 'marito e moglie, ad esempio, sono mossi l'uno verso l'altra da sentimenti di amore e rispetto e i genitori sono mossi da sentimenti simili nei confronti dei loro figli. A loro volta i figli sono mossi dal senso del dovere e anche di colpa nei confronti dei loro genitori'. [G.S.BECKER, L'utilità del comportamento altruistico, in 'Etica degli affari e delle professioni', 1994, n° 1, pag. 47]
Ibid., pag. 48: 'immaginiamo una persona che sta per annegare in mare e immaginiamo di essere l'unica persona sulla spiaggia. La domanda che subito ci poniamo è: dobbiamo provare a salvare la vita di quella persona? E' una scelta rischiosa perché entrando in mare si può sempre annegare. Un egoista se ne andrebbe. Una persona, anche solo con un piccolo interesse per il suo prossimo, se il rischio è basso proverà a fare qualcosa per salvare l'uomo che sta affogando.'
G.S.BECKER, L'utilità del comportamento altruistico, in 'Etica degli affari e delle professioni', 1994, n° 1, pag. 48. Le imprese giapponesi, ad esempio, sono note per creare un senso di fedeltà tra i lavoratori. Lo fanno forse in parte perché spinti da motivi egoistici - i lavoratori fedeli producono molto più degli altri -. Ma lo fanno anche per altri. Becker sostiene, comunque, l'importanza di stimolare le persone non solo con considerazioni egoistiche.
J.M.KEYNES, Essay in biography, London, 1933; in L.BRUNI, Amartya Sen: dall'economia del benessere all'economia dello 'star bene', in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1995, n° 98, pag.113.
Premio Nobel per l'economia 1998. Attualmente è docente di economia e filosofia alla Harward University.
Tale teoria è normalmente considerata la naturale evoluzione dell'economia del benessere, anche se con alcune peculiarità.
La traduzione italiana di questo saggio del 1970 è contenuta nel testo di A.Sen, 'Scelta, benessere, equità', Il Mulino, Bologna, 1986.
Il principio di differenza si presta anche ad ulteriori osservazioni sollevate dallo stesso autore:
il principio rawlsiano conduce ad una distribuzione più equa rispetto a quello utilitarista poiché, come già accennato, quest'ultimo è indifferente alla distribuzione dell'utilità;
è comunque necessario limitare la disparità fra le persone poichè una crescente differenza tra ricchi e poveri peggiora la situazione degli ultimi;
l'equilibrio rawlsiano è un ottimo paretiano poiché spostandosi da tale punto non esiste un modo per migliorare la posizione di qualcuno senza peggiorare quella di qualcun altro.
Si deduce quindi una compatibilità tra principio di differenza e quello di efficienza e, di conseguenza, tra redistribuzione e ottimalità paretiana [in G.BROSIO, Economia e finanza pubblica, NIS, Roma, 1986.]
Cfr. S.ZAMAGNI (a cura di), Economia ed etica. Saggi sul fondamento etico del discorso economico., ed. AVE, Roma, 1994.
L.BRUNI, Amartya Sen: dall'economia del benessere all'economia dello 'star bene', in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1995, n° 98, pag.127.
L'esposizione di queste due varianti è contenuta nel testo di Sen Scelta, benessere, equità, a cui rimando per la dimostrazione dei risultati a cui si perviene.
S.TORMENA, Note e discussioni su alcune relazioni tra economia ed etica, in 'Rivista Internazionale di Scienze Sociali', 1982, pag. 404.
Ibid., pag. 404. Risultano rilevanti i problemi legati allo sviluppo 'sia dei sistemi arretrati che dei sistemi avanzati, il tema della pianificazione a vari livelli e dell'allocazione delle risorse, la ridefinizione del ruolo dello Stato dell'economia e il controllo dell'impatto delle innovazioni tecnologiche sulla vita economica, temi che si prestano particolarmente a un coinvolgimento etico, in quanto attinenti ad obiettivi economici con un forte contenuto sociale, in cui il tema del lavoro assume una particolare rilevanza'.
G.DE RITA, Introduzione: l'etica del possibile, in 'Etica degli Affari e delle Professioni', 1994, n° 1, pag. 5.
Si pensi a problemi quali la concezione dell'uomo, la bioetica, l'ingegneria biologica, l'equilibrio ambientale, l'effetto serra, il buco dell'ozono, ecc., ma anche l'esplosione delle città, le tensioni urbane, l'eccesso di cultura di massa, la sicurezza delle città, ecc.
Tale idea di sviluppo si riscontra anche nell'esperienza dell'E.d.C., che analizzerò nella seconda parte della tesi.
P.SAVONA, La partecipazione di tutti alla vita economica, in 'Etica degli Affari e delle Professioni', 1995, n° 1, pag. 20.
S.Latouche è studioso francese, laureato in diritto e 'pluridottore' in Scienze economiche e in filosofia. Attualmente è docente all'Istituto di Studi sullo sviluppo economico e sociale presso l'Università di Parigi, specialista del Terzo Mondo e autore di numerosi saggi.
S.LATOUCHE, intervista di Giovanna De Stefani, Il dono contro il mercato, in 'Avvenire', 20 settembre 1997, pag. 21.
S.LATOUCHE, intervista di Anna Pozzi, I naufraghi dello sviluppo, in 'Avvenire', 10 gennaio 1999, pag. 21.
Pantaleoni, per esempio, ridicolizzava quegli economisti (socialisti e cattolici) che criticavano l'ipotesi egoista, e li sfidava a mostrare che i criteri che spingono 'gli spazzini a spazzare le strade, la sarta a fare un abito, il tramviere a fare dodici ore di servizio sul tram, il minatore a scendere nella mina,ecc.' fossero occupazioni nelle quali il movente fosse 'l'onore, la dignità, lo spirito di sacrificio, .l'attesa di compensi paradisiaci, l'amore per il prossimo, lo spirito di solidarietà.e il bene dei posteri', e non invece 'soltanto un genere di tornaconto che chiamasi economico'.[in PANTALEONI, Erotemi di economia, Laterza, Bari, 1925, pag. 217.]
G.SIGNORINO, Amartya Sen su Etica ed Economia, in 'Economia di Comunione - una cultura nuova', Città Nuova Editrice, Roma, 1995, n° 1, pag. 15.
E.FROMM, L'arte d'amare, Il Saggiatore, Milano, 1978, pag. 165: 'Se è vero, come ho cercato di spiegare, che l'amore è l'unica soluzione valida al problema dell'esistenza umana, allora qualunque società che escluda lo sviluppo dell'amore deve, a lungo andare, perire per le proprie contraddizioni con le fondamentali necessità della natura umana.'
Tale espressione fu utilizzata, già nel ' 700, da A.Genovesi per indicare quell'attività economica dove le virtù civili quali la reciprocità, la fiducia e la mutua confidenza vengono considerate prioritarie per lo sviluppo di una nazione. Oggi, in tale definizione rientrano le esperienze del settore non-profit, del volontariato, delle cooperative, della banca etica.e dell'Economia di Comunione.
L. BRUNI, Prime linee per una lettura relazionale dell'economia civile del non-profit, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1997, n° 109, pag. 125.
PALMIERI, Riflessioni sulla pubblica felicità, 'Scrittori classici Italiani di Economia Politica', Collezione Custodi, Destefanis, Milano, 1805, pag. 17 e 19 [nell'intervento di L.BRUNI al convegno 'Nuove dimensioni dell'economia: il progetto di Economia di comunione', Università Bocconi, Milano - 11 marzo 1998].
L. BRUNI, Prime linee per una lettura relazionale dell'economia civile del non-profit, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1997, n° 109, pag. 123: 'la non negoziabilità dei contributi dei co-produttori dei beni relazionali è cosa diversa dalla non negoziabilità del bene relazionale (che potrebbe o dovrebbe essere negoziabile per una sua analisi economica). Ciò che invece non può essere negoziato è il comportamento posto in essere dai membri dell'organizzazione che crea tali beni, e pertanto, qualora si voglia produrre beni relazionali, devono essere previste altre forme indirette di incentivazione (supporto strutturale, ecc.) compatibili con questo elemento di gratuità che il bene relazionale richiede per la sua stessa esistenza'.
L.BRUNI, Stefano Zamagni: per un'economia relazionale, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1996, n° 103, pag.52.
L. BRUNI, Relazionalità e scienza economica, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1997, n° 111/112, pag. 453.
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