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BENE ECONOMICO E BENE COMUNE
Già filosofi del calibro di Platone e Aristotele prestano attenzione nelle loro opere, a valutazioni di carattere economico: osservazioni che vertono in particolare sulla distinzione fra valore d'uso e valore di scambio e sulle loro connessioni con la utilità e la rarità dei beni; sull'influsso della domanda e dell'offerta sul prezzo; sulla funzione dello scambio come fattore di crescita dell'utilità dei beni.
Le loro osservazioni però sono volte ad un interesse di ordine filosofico che tende a finalizzare tutta l'attività umana al raggiungimento della virtù ( le riforme che i pensatori greci chiedono allo stato toccano l'attività economica in quanto essa non deve ostacolare il raggiungimento delle finalità etico-politiche).
Nel Medioevo il pensiero economico viene ancor più subordinato alla morale, nella fattispecie quella cristiana; nella Summa Theologica di S. Tommaso sono sistematicamente trattati i temi fondamentali del pensiero economico della Scolastica: la definizione di 'Bene comune'; la liceità della proprietà privata e l'obbligo dell'uso sociale della ricchezza; la condanna dell'usura.
Secondo l'interpretazione di San Tommaso, la proprietà privata va intesa come una forma di concessione che la comunità fa all'individuo e va esercitata come un servizio: "non è uno jus utendi, fruendi et abutendi, ma solo una potestas procurandi et dispensandi." [2]
A partire dal XV secolo, dopo secoli di decadenza, riprende lentamente l'attività mercantile e nelle strutture feudali vi sono già i semi del futuro capitalismo: negli studiosi si fa strada l'idea che i fenomeni economici, pur essendo dominabili dalla volontà umana, sono soggetti a leggi proprie di cui occorre studiare il meccanismo prima di valutarne i risultati, l'idea cioè della possibilità dello studio scientifico dell'economia.
"La nascita della scienza economica è passata in realtà attraverso due processi di emancipazione: uno che ha richiesto il superamento dell'idea aristotelico-tomistica secondo cui essa avrebbe a che fare esclusivamente con il comportamento degli agenti economici individuali, le famiglie; un altro che ha implicato l'abbandono della gnoseologia e della metafisica scolastica."
E' in questo strappo che si preannuncia il distacco della economia dall'etica e dalla morale.
E' con il mercantilismo, XVI - XVIII secolo che lo studio dei problemi economici subisce una notevole trasformazione: si modifica l'atteggiamento dell'economista verso l'attività economica: prima ci si domandava qual era la condotta economica più giusta, ora ci si domanda qual è quella che assicura il massimo arricchimento dello Stato.
Nella seconda metà del XVIII secolo si afferma il pensiero economico dei Fisiocratici. Per la prima volta tutta l'analisi economica è impostata sul presupposto che esistano leggi economiche naturali, immanenti al sistema, capaci di realizzare spontaneamente un ordine razionale e benefico (si sente in questa impostazione l'influenza della dottrina giusnaturalista).
Gli economisti ora cercano di interpretare analiticamente le relazioni che si stabiliscono fra i vari settori nella circolazione del prodotto netto e di individuare le condizioni per lo sviluppo: in ciò l'unica vera norma di politica economica è quella rivolta allo Stato laissez faire et laissez passer.
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