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Nuovi orientamenti mondiali: il risveglio ideologico negli anni sessanta




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NUOVI ORIENTAMENTI MONDIALI: IL RISVEGLIO IDEOLOGICO NEGLI ANNI SESSANTA


L'ascesa del Terzo mondo, il nuovo nazionalismo e socialismo nei paesi in via di sviluppo, misero in luce che il decennio della deideologizzazione non avrebbe avuto l'ultima parola. La dissoluzione del colonialismo, il confronto Est-Ovest, le conseguenze di un'espansione mondiale e delle idee di progresso euro-americane, fecero da sfondo a una nuova sfida e una nuova crisi di modelli di valore.

La democrazia stabile e i suoi valori apparvero specialmente ai giovani come un sistema autoritario sempre di più. L'antitotalitarismo fu preso per una pura ideologia dell'anticomunismo.
L'ondata di autocritica investì l'Occidente con la guerra del Vietnam. La letteratura sociologica rimise nuovamente in circolazione un'affascinante figura retorica: il sospetto d'ideologia.

Si vide che i problemi fondamentali della cultura politica in tutte le democrazie occidentali erano analoghi. In Francia e Italia, data la forza ei partiti comunisti, i problemi furono quelli del significato del comunismo; in Inghilterra e Scandinavia si affrontarono i problemi nello Stato del benessere; negli USA il conflitto tra gli obblighi internazionali e i dubbi in politica interna.

Ci fu una reviviscenza del pensiero rivoluzionario: l'ascesa di Mao e il culto di Castro. Il rafforzamento della politica della distensione tra est e ovest contribuì a smantellare i modelli di orientamento tradizionali, ritenuti anacronistici e smentiti dai fatti. Significava rendere relative le differenze fondamentali tra democrazia e dittatura, sicché fu l'anticomunismo a cadere nel sospetto di ideologia.

In Germania ci fu Adenauer, in Italia l'apertura a sinistra, in Francia il declino di De Gaulle. Questa scossa raggiunse la sua punta più alta nel 1968 che porto la ribellione studentesca a Parigi e poi la "doccia fredda" sovietica della "primavera di Praga".

La fede politica radicale tornava alla carica con la relativizzazione della critica al comunismo. Si passò a mettere in questione l'idea stessa di sistema oe di libertà occidentale, con un'aperta ricaduta nella critica antidemocratica degli anni '20.

Ora la posizione antifascista del comunismo si proiettava nella democrazia occidentale.

Nel loro carattere antitotalitario e anticomunista alle democrazie occidentali veniva a mancare un fondamentale momento di determinazione e criterio di distinzione rispetto alla dittatura.

Nella Repubblica Federale intanto c'era una rinascita del radicalismo di estra, che questa volta arrivava a usare il concetto di democrazia, in senso nazionalistico; l'ascesa fu del "Partito nazionaldemocratico", che ebbe comunque breve vita.

Impressionante fu invece la famelica ricezione delle teorie marxiste della società e della democrazia. Questo trovò diffusione nella rapida espansione e nelle precipitose riforme del sistema scolastico e universitario.

Le conseguenze si potevano constatare guardando alle scuole e università di massa, col loro miscuglio di anarchia e burocratizzazione. Si può scorgere un effetto della pressione intellettuale.

La "rottura generazionale" crea la coscienza di una "intellighenzia" studentesca e una massa di aspettative che assumevano i colori dell'ideologia di sinistra. Si guardò con simpatia all'estremismo violento delle minoranze attivistiche, cui fecero concessioni anche certi politici liberali insicuri. La rivoluzione ancora possibile era quella di una "democratizzazione integrale" dello Stato e della società. Il nuovo ordine doveva essere antifascista, non antitotalitario.

Il rapido stravolgimento della stratificazione sociale e professionale con la presenza del mondo della comunicazione, contribuì a creare la mobilitazione ideologia degli anni '60.

Billington: la nascita e la diffusione del pensiero radicale nella storia contemporanea non possono essere spiegate solo con motivazioni politiche. Accanto al contesto economico e sociale c'è quello psicologico. C'è una sfida ai valori morali e una componente edonistica, ma soprattutto nella "rivoluzione sessuale" del movimento di emancipazione furono praticate nuove forme di vita collettiva di tipo utopistico-comunistico, nella prospettiva di una rivoluzione sociale e di una società "non autoritaria".
Questa teoria che ebbe larga diffusione definiva sbrigativamente "violenza strutturale" tutte le istituzioni sociali e politiche, e giustificava qualsiasi azione contro di esse come resistenza legittima.

Erano i motivi di fondo dei movimenti utopistici; davano grande rilievo alle apparenti aperture del chiuso sistema comunista.

La critica ufficiale al dispotismo staliniano si fermava dinanzi all'ideologia e al sistema monopartitico; solo il culto della personalità e non la struttura totalitaria del comunismo dovevano essere oggetto di dibattito.Questa limitata autocritica alimenta la speranza di un comunismo "dal volto umano".

Gli anni '60 sembrarono avviare una progressiva decentralizzazione e liberalizzazione del comunismo mondiale. Anche la Chiesa di Giovanni XXIII (Pacem terris, 1963), aprì un dialogo con i partito comunisti. In Italia e Francia questi vantavano anche un'autonomia deologica: in particolare in Italia il PCI col richiamo a Gramsci, il Lenin italiano.

Sembrava che questo socialismo più fosse lontano e più fosse attraente (Cina, Castro; entusiasmava le idee di rivoluzione permanente, di guerriglia, di lotta contro le metropoli).

Dapertutto il socialismo avanza: ha dimostrato di essere l'idea vincente, l'unica alternativa del pensiero politico. E qui l'indeterminatezza del concetto diventava sconcertante data la varietà di forme.

Per un pensiero ideologizzato le differenze tra democrazia e dittatura, pluralismo e totalitarismo diventano irrilevanti. Il culto degli eroi rivoluzionari (Castro, Che, Ho Chi-minh) rafforzava l'impronta romantica che veniva attribuita al socialismo nel Terzo mondo.

La mobilitazione delle simpatie politiche furono ingigantiti con la duiffusione globale della televisione (fenomeno della "telecrazia").

Siamo in presenza di una drastica dislocazione delle possibilità di influenza da parte degli intellettuali, e ogni storia delle idee politiche attuali dovrà tenerne conto per il futuro.

L'avvento dell'era della televisione comporta una dilatazione ma anche un involgarimento della comunicazione di massa: si cede il passo alla suggestione delle immagini (McLuhan).

Riscontro nella diffusione massiccia di fogli volanti che raggiunse livelli record specie nelle università.

I "giovani arrabbiati" di Osborne vanno contro la società, i suoi valori e i suoi tabù. Questo baccano della rivolta studentesca ha prodotto nelle generazioni più giovani un enorme turbamento e disorientamento.

Anche i cambiamenti in politica rientravano in questa tendenza che andava vesso una larga domanda di riforme e di distensione.

Gli effetti psicologici: il fatto che i socialisti europei marciassero di nuovo sotto una bandiera ideologica ietro la quale si riversò la corrente di riflusso della rivolta studentesca; l'inflazione del concetto di fascismo e la parallela opera di discredito del concetto di totalitarismo (definito come banale anticomunismo), tutto questo dominò e confuse le menti. Imponente fu l'uso di munizioni teoriche e di astratte formule strategiche.

Il risultato spirituale è rimasto incerto, e l'ulteriore tragitto ha portato a numerose delusioni umane e politiche.

A differenza degli anni '20 vennero alla ribalta poche idee, che erano spesso prosecuzioni o appendici della vecchia teoria critica neomarxista con un'aggiunta di ermeneutica hegeliana, con la grande influenza della "teoria critica" di Francoforte. I fondatori Horkheimer e Adorno erano tornati in Germania. Erano considerati i filosofi della società non dogmatici, esponenti di un umanesimo marxista rappacificati con la democrazia liberale.
Marcuse dalla California riformulò il vecchio messaggio rivoluzionario del marxismo, trasferendolo dal proletariato operaio all'avanguardia intellettuale di un movimento antisistema e antiparlamentare, non senza attingere da Bakunin e Sorel.

Nella Kulturkritik moderna sputava un giovane marxismo, per il quale non bisognava identificarsi con l'URSS, ma ci si poteva richiamare anche a una sinistra americana che era ritenuta l'avanguardia di una rivoluzione culturale occidentale. Abbracciava una gioventù intellettualmente viva, che si annoiava della quotidianità. Contestazione globale e violenza progressiva erano le forme glorificate di una nuova politica.
Ritornavano le finzioni e le fantasie chiliastiche di tutte le ideologie totalitarie. Si trattava qui di un movimento giovanile neoidealista ma fondamentalmente irrazionale.
Dunque il periodo tra 1963 e 1973 rappresenta una transizione con un carattere particolare: esplosione della società, un punto di rottura tra ottimismo degli anni '50 e la nuova austerità degli anni '70.

Alla fine dei '70 la rivolta giovanile e radicale metteva in dubbio le certezze della società progressista di poter conquistare un maggior benessere. Si assisteva a una nuova ventata di sociologismo e psicologismo; lo stato d'animo era scettico, pauroso del futuro, bisognoso di forme di vita diverse con nostalgia.

La crisi del petrolio nel '73 fece nascere la questione dei limiti dello sviluppo. Il progressismo storico di sinistra cade a sua volta in sospetto di ideologia.

Questo bilancio ci illustra la delusione che è seguita alle aspettative massimaliste degli ideologi e dei professionisti del cambiamento.



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