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Sartre: il vuoto come dramma esistenziale




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Sartre: il vuoto come dramma esistenziale


"L'essere e il nulla"

Il punto cruciale del ragionamento di Sartre ne "L'essere e il nulla" è che l'essere vive uno sdoppiamento tra un risvolto fenomenico, che vive il rapporto con gli oggetti (essere in sé), ed un altro che riguarda la sfera del rapporto con gli altri (essere per sé).

"In termini filosofici, ogni oggetto ha un'essenza e un'esistenza. Un'essenza, cioè un assieme costante di proprietà; un'esistenza, cioè una certa presenza effettiva nel mondo. L'esistenzialismo reputa, al contrario, che nell'uomo, e solo nell'uomo, l'esistenza precede l'essenza. Ciò significa semplicemente che l'uomo anzitutto è e che poi è questo o quello. L'uomo deve crearsi la propria essenza". [Action del 27-12-1944

Il filosofo si accorge subito che la libertà porta l'uomo ad uno stato di angoscia e disperazione quando si rapporta con le altre persone. Essa diventa estremamente negativa per un motivo apparentemente irrilevante: la possibilità di scelta viene meno nel momento in cui il soggetto è consapevole di dover relazionare con gli altri; prendiamo come esempio la libertà di decidere, cioè la capacità di esprimere un giudizio sugli altri, ebbene essa viene a mancare quando ci si accorge di non essere l'unico a poter decidere, di non essere il solo ad avere la facoltà di scelta per sè: la propria scelta è condizionata dall'altro.

"L'essenza che l'uomo si crea non è un'essenza universale; egli crea quei caratteri specifici della sua individualità, e li crea attraverso la sua libera 'scelta'. Certo, la scelta non è assolutamente incondizionata; essa ha luogo nell'ambito delle possibilità che caratterizzano la situazione di ciascuno. L'uomo non è che una situazione. È totalmente condizionato dalla sua classe sociale, dal suo guadagno, dalla natura del suo lavoro, condizionato fin nei sentimenti, fino nei suoi pensieri. Pur cosi condizionato, tuttavia l'individuo, e solo lui, "decide' sul significato della sua condizione."

Da questo scaturisce il dramma esistenziale di Sartre, in cui il soggetto (ormai ridotto ad oggetto) è il vero responsabile del proprio stato e non gli altri, poiché sono le proprie scelte ad averlo messo in difficoltà.

"Ma l'esser liberi non è in senso proprio un privilegio, bensí una condanna. Io sono per sempre condannato ad esistere al di là della mia essenza, al di là del moventi e del motivi della mia azione, sono condannato ad essere libero." [L'essere e il nulla]

L'altro, anche solo guardandomi, spossessa me di me stesso, si appropria di me, mi rende 'oggetto' per sé. Io non sono piú un 'per-sé' ma una 'cosa' tra le altre, 'parte' del mondo dell'altro. L'esistenza dell'altro dunque 'mi colpisce in pieno cuore', mi crea il 'malessere', mi getta nella 'vergogna' di esser 'caduto' al ruolo di 'cosa utilizzabile', mi produce quel senso di instabilità che dipende sia dal fatto che so che io esisto per l'altro perché l'altro mi fa esistere (sia pure come cosa), sia perché so che l'altro 'mi mette in pericolo', col suo 'dominio' su di me.

Anche quello d'amore, che altro non è se non volontà di dominio, di conquista, di possesso dell'altro. Ma  non di possederlo come 'cosa', ma come 'soggetto'; di possederne la libertà, cioè il suo stesso esistere. E infatti chi ama aspira a dissolvere il 'tu' dell'amato nel proprio 'io: perciò l'amante vuole essere amato, vuole che l'altro conservi in qualche misura quella libertà per la quale egli esiste.

"Tuttavia Dio 'esiste', cioè esiste per l'uomo. L'uomo non può fare a meno di pensare a Dio, e lo pensa come suo proprio progetto; egli aspira ad essere Dio. Dio, valore e termine ultimo della trascendenza, rappresenta il limite permanente in base al quale l'uomo si fa annunciare ciò che è. Essere uomo significa tendere ad essere Dio, o, se si preferisce, l'uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio." [L'essere e il nulla]


La stessa opera fu scritta nel 1943 nel pieno dell'occupazione tedesca della Francia, anni in cui le tensioni tra gli Stati durante la guerra diventano più acute, all'interno delle quali  gli intellettuali, nonché la popolazione stessa, vivono il dramma esistenziale, che genera il sentimento della nausea.



"La nausea"


La Nausea, per Sartre, altro non è che una dimensione metafisica, un atteggiamento psicologico nei confronti dell'esistenza che pervade tutto il nostro essere, al punto che persino le "cose in-sé" hanno il potere di incidere profondamente sulla coscienza, sul "per-sé". Le sensazioni che tali "cose" suscitano sono, secondo Sartre, ribrezzo e disgusto. Ciò che ci circonda, nostro malgrado,  ci "tocca" e ci opprime. Gli oggetti del quotidiano sono "di troppo", "pesano" nella loro "gonfiezza", tanto da risultare soffocanti.

Protagonista de "La Nausea", che per la struttura possiamo considerare un romanzo-diario, è Antoine Roquentin, un intellettuale/scrittore che, per completare le sue ricerche storico biografiche sul marchese di Rollebon, libertino vissuto in epoca settecentesca, si stabilisce per tre anni a Bouville - ove si svolge la vicenda - dove sperimenterà per la prima volta la Nausea.

In un certo senso la sensibilità di Sartre è affine a quella dei filosofi Orfici di età presocratica, proprio per il senso di pena e tristezza che essi attribuivano alla condizione degli uomini sulla terra. La nausea scopre 'l'inferno del quotidiano', le cui categorie non sono il nulla e il vuoto, bensì la nullità e la vacuità di ciò che 'è di troppo'. 'La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col caffè, son io che sono in essa'.

Le considerazioni filosofiche dell'io narrante, il protagonista Antoine Roquentin, trovano espressione linguistica nella modalità discorsiva del flusso di coscienza. Temi narrativi e riflessivi si susseguono secondo una successione arbitraria, che simula i ritmi delle libere associazioni mentali, motivati nell'incipit grazie all'espediente del manoscritto ritrovato e pubblicato dagli editori: il diario di Antoine Roquentin, appunto.


Il gioco letterario delle note integrative apposte al manoscritto si interrompe dopo pochissime pagine: la rinuncia nei confronti del punto di vista del narratore esterno è una modalità utilizzata da Sartre per sottolineare l'inutilità del commento, perché 'gli avvenimenti si verificano in un senso e noi li raccontiamo in senso inverso'.

La nausea impegna a sua volta in un altro tipo di ricerca, quella delle fonti di riferimento che stanno alla base del testo: i richiami più influenti chiamano in causa i filosofi: Heidegger e Husserl. L'esistenza anonima e banale che non possiede il coraggio dell'angoscia innanzi alla morte, così come Heidegger la descrive, ha infatti inequivocabili e profonde affinità con la Nausea.

Improvvisamente l'identificazione dell'oggetto mediante il nome fa balenare l'idea che anche l'esercizio del nominare sia del tutto inconsistente. L'utilizzo della parola decade, perciò "la parola sedile rifiuta di andarsi a posare sulla cosa, sul sedile appunto che appare piuttosto simile ad un ventre, con tutte le sue zampe morte". Ma nello stesso momento in cui il protagonista smarrisce la consapevolezza della parola, cioè il potere di far corrispondere segni e significati, la realtà assume 'forma di un vuoto'. Questo è il processo mediante il quale l'esistenza corrode l'essere.

Il meccanismo del ricordo è altrettanto pericoloso: il pensiero di Anny, l'ex fidanzata, è una fuga dal presente, un ulteriore inganno di Roquentin che preferisce raccontarsi la vita, anziché avere il coraggio di viverla. "Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare ecco la Nausea"

Attualmente, a distanza di oltre sessant'anni, il romanzo assume una connotazione davvero singolare: Sartre ha predetto in chiave psicologica un'angoscia di vivere che nel nuovo millennio sta esplodendo in eclatanti patologie manifestate attraverso i malesseri del corpo. E dunque non si può sperperare l'esistenza senza un progetto: è il messaggio finale di Roquentin. L'importante è attraversare il testo alla ricerca di questa consapevolezza, ben determinati a voler vivere, piuttosto che a raccontarsi.



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