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Che cos'è la globalizzazione
L'errore di fondo (voluto)
Possibili conseguenze future della globalizzazione
Un'alternativa alla globalizzazione
Che cos'è la globalizzazione
Globalizzazione: neologismo di origine inglese che indica la globalizzazione finanziaria, ossia l'esistenza di un mercato mondiale dei capitali. In senso lato sottintende che le decisioni strategiche delle imprese multinazionali sono svincolate da una base territoriale, e sono giustificate da una strategia produttiva in funzione dei costi di produzione relativi nei diversi paesi e in vista di un prodotto da vendere nel maggior numero possibile di paesi. oi, in occasione dell'avvento del governo Prodi e in giustificazione degli enormi sacrifici richiesti alla popolazione per far rientrare l'Italia nei parametri di Maastricht, negli ultimi 4 anni si è ricorsi ad un vero e proprio lavaggio collettivo del cervello, magnificando ed esaltando i pregi ed i vantaggi che un'economia mondializzata avrebbe prodotto nel Paese. Tutti erano convinti della necessità di aprire i mercati ( e chiudere le menti ) al nuovo corso dell'economia. Tutti erano a conoscenza dei presunti benefici... La realtà è invece che solo oggi si cominciano a sperimentare praticamente gli effetti negativi della tanto decantata globalizzazione.
La globalizzazione è l'estensione a livello planetario di un modello unico di economia, di un modello unico di pensiero, di un modello unico di cultura.
Per capire che cos'è la mondializzazione, non cercherò di fare discorsi teorici e fumosi ( proprio come hanno fatto gli economisti, trainandosi al guinzaglio i vari politici ). Cercherò di presentare l'essenza vera della globalizzazione attraverso i suoi effetti più evidenti ed eclatanti. Più di tanti discorsi accademici, credo che i fatti spieghino semplicemente come le cose vanno, ed andranno in futuro. Gli esempi in campo economico si sprecano; balza all'occhio la conseguenza più eclatante di un tentativo di racchiudere in un unico modello economico realtà disomogenee e completamente diverse: la caduta dell'Euro. A tutt'oggi, Settembre 2000, l'Euro si è svalutato di circa il 27% rispetto al Dollaro, a poco meno di 2 anni dalla sua nascita. Nei confronti dello Yen la svalutazione è stata del 30% (questo tanto per zittire quelli che giustificano l'accaduto con l'eccezionale performance dell'economia americana). Conseguenza di questa svalutazione, è l'enorme aumento del petrolio e delle materie prime, che vengono pagate in dollari. In un periodo di stagnazione dei consumi e di flebile ripresa della produzione, l'Italia si trova così ad 'importare' inflazione dall'estero (inflazione che è ben maggiore del dato ufficiale offerto in pasto al popolo-mediatico). Sconvolgente è la conseguenza sui magri bilanci familiari: a tutt'oggi, con l'approssimarsi dell'inverno, si calcola che la spesa per il riscaldamento delle abitazioni costerà alle famiglie circa il 20% in più all'anno. Un altro aspetto della mondializzazione, più subdolo e pericoloso, ci colpisce quotidianamente ogni volta che ci sediamo a tavola e ci apprestiamo a mangiare cibi modificati geneticamente. E' infatti ormai chiara la volontà della grande industria di servirsi a piene mani, delle possibilità economiche offerte dalle biotecnologie applicate alle produzioni alimentari. Altrettanto chiara è la volontà del governo americano di imporre questi tipi di alimenti a tutto il mondo. Chiarissima è la non volontà dell' Unione Europea e dei singoli Paesi ad opporsi allo sviluppo ed all'uso di tali tecnologie. Sicuramente in futuro ci troveremo a mangiare sempre più prodotti transgenici, su cui non esiste alcuna certezza di innocuità. Devastanti saranno le conseguenze sia per gli agricoltori del primo mondo (che vedranno calare drasticamente i prezzi delle loro produzioni, e quindi dei loro guadagni), sia per quelli del terzo mondo, obbligati a comperare dalle multinazionali quelle sementi che poi non saranno in grado di pagare (altro che canzoncine sull'azzeramento del debito al terzo mondo). Globalizzazione è anche distruzione della cultura alimentare dei vari popoli della terra; a questo proposito è sufficiente menzionare un'azienda simbolo della mondializzazione: Mc Donald's. Questa multinazionale sopperisce ed incentiva il bisogno di un'alimentazione veloce ed 'economica', con un cibo ed un linguaggio pubblicitario che fanno leva sulla parte infantile presente in ogni uomo. Regrediti ad età prescolare, privati dei propri gusti e sapori, i clienti di Mc Donald's diventano un unico, enorme e facile mercato fonte di enormi guadagni. E forse proprio mentre state leggendo queste righe, un nuovo Mc sta sorgendo da qualche parte sul pianeta...
L'errore di fondo (voluto) che anima la teoria della globalizzazione
Per cambiare, migliorare o riformulare il futuro che ci attende, occorre prima di tutto scoprire l'errore, lo sbaglio fondamentale, il seme corrotto, oserei dire, dal quale si è sviluppata la rigogliosa pianta delle idee e delle teorie responsabili della mondializzazione dei mercati. Il sistema capitalistico globale si basa sulla convinzione che i mercati, lasciati a se stessi, tendano all'equilibrio. Corollario di questa teoria, è la credenza che il mercato così libero, possa garantire benessere e ricchezza alla maggior parte della popolazione.Da questa premessa, totalmente falsa, derivano tutte quelle teorie atrettanto false, che stanno influenzando e cambiando in modo così radicale, la nostra società. Che i mercati non riescano ad autoequilibrarsi è stato sperimentato nei vari crack borsistici che hanno caratterizzato l'economia mondiale del ventesimo secolo, a partire da quello piu' famoso accaduto nel 1929. Proprio per limitare questi squilibri è stato inventato il F.M.I., un organizzazione nata con lo scopo di sorvegliare ed impedire i grossi stravolgimenti che un mercato completamente libero può causare. Ovviamente questa organizzazione deve intervenire solo in caso di emergenza: come dire, finchè si guadagna il mercato non deve avere regole (ed i profitti sono appannaggio di pochi); quando si perde, la politica deve intervenire (e le sofferenze sono redistribuite fra tutti). Proprio dalla disomogeneità dei mercati e dai diversi tipi di società economiche che caratterizzano il nostro pianeta, trae principio e forza la teoria della globalizzazione: produrre in paesi con un basso costo del lavoro e con poche restrizioni sociali ed ambientali, è oltremodo conveniente. Mi chiedo a questo punto, perché mai i mercati globali dovrebbero cancellare tali 'paradisi' della produzione, in mome di un non meglio precisato 'equilibrio economico mondiale'. La verità è che le differenze sociali, vera miniera d'oro per l'economia mondializzata, si acuiranno ancora di piu', aumentando a dismisura il divario fra primo e terzo mondo, fra ricchi e poveri del pianeta. Le differenze culturali invece verranno distrutte, a favore della nascita di un modello unico di consumatore. Già oggi i problemi, le aspirazioni, il modo di ragionare di un impiegato di banca sudcoreano non sono molto diversi da quelli di un generico bancario europeo. Abbagliati dalla chimera di un economia mondiale stabile ed equilibrata, stiamo sacrificando la nostra cultura, la nostra identità, la nostra salute, le pluralità esistenti sul nostro pianeta in nome di un sistema economico distruttivo e dirompente che garantirà solo e soltanto una profonda sperequazione della ricchezza a livello planetario. Il libero scambio a livello globale è un processo che tende a tutto meno che all'equilibrio: è l'area in cui la libera circolazione avviene, che garantisce la stabilità del processo. Se l'area è omogenea, se il tessuto sociale entro cui gli scambi avvengono è uniforme, allora il sistema economico sarà stabile. Credere che il processo della mondializzazione possa autosostenersi ed autocorreggersi è come credere che una casa, costruita sulla sabbia, possa stabilizzarsi autonomamente..è più facile che crolli al primo acquazzone (ed oggi con il F.M.I. a secco di risorse, anche una semplice pioggerellina può fare alla bisogna). Solo gli organismi politici, espressione di una volontà comune, possono regolare ed equilibrare il mercato e decidere l'interazione stessa del mercato sulla società civile. Solo una chiara volontà politica può guidare ed indirizzare l'economia libero-scambista globalizzata. Ecco allora sorgere spontanea la domanda: se esiste un'economia globalizzata, esiste un governo politico che la possa equilibrare ed indirizzare? La risposta ovviamente è no. Non c'è alcun'istituzione politica ad organizzare questo progetto, semplicemente perché non si vuole avere alcun controllo democratico su questo tipo di processo. In un regime di caos e confusione, sono i più forti ed i più organizzati a trarre il massimo del profitto........
Possibili conseguenze future della globalizzazione
Immaginare come si presenterà il mondo fra una 50 di anni, a questo punto, non è certo un mero esercizio fine a se stesso, ma un dovere che ogni persona, ogni uomo deve prendere in considerazione, soprattutto se prevede di avere dei figli, o già ne ha. Le grandi innovazioni impongono uno sforzo di previsione sulle loro capacità di trasformare il mondo e gli uomini. Cercare di immaginare il mondo che si creerà in seguito alle nostre decisioni , è un'esigenza soprattutto sentita da quelli come noi che oggi camminano per boschi ridotti a discariche, e nuotano in acque sporche ed inquinate. Della globalizzazione, fino ad oggi, sono state decantate solo le qualità a breve termine: si è cercato di far leva soprattutto sui vantaggi che gli uomini riceveranno in quanto ' consumatori' o in quanto 'investitori'. Nel breve periodo senz'altro i vantaggi riscontrabili dagli abitanti del primo mondo, saranno notevoli. Già oggi ce ne accorgiamo andando a fare acquisti per negozi: troviamo merci di ottima qualità a prezzi senz'altro più bassi. Prodotti fatti a mano con costi bassissimi. Cibi in abbondanza in tutte le stagioni dell'anno, prodotti precotti e surgelati che costano meno dei rispettivi 'freschi'. Per non parlare poi della gioia degli investitori, che possono ormai movimentare i loro soldi dalla tranquilla scrivania di casa, grazie ad Internet. Siamo tutti felici oggi, le cose vanno per il meglio...ma domani come staranno le cose? Proviamo a sforzarci un po' e ad immaginare come sarà diversa la nostra società. Non c'è molto bisogno di arrovellarsi per prevedere come sarà la vita nel nostro paese fra una ventina d'anni. Non mi devo impegnare molto per immaginare come sarà la mia valle nel 2020. Basta guardare la società americana: si perchè la globalizzazione sta in pratica omologando le società componenti il primo mondo, al modello statunitense, la cui peculiarità è quella di aver eliminato quasi totalmente la classe media. La società americana infatti comprende una nutritissima fetta di popolazione che vive al limite della povertà, a cui si contrappone un 10% di superricchi che detengono la stragrande maggioranza della ricchezza del paese. In mezzo a questi due blocchi, c'è solo una piccola parte di persone che si potrebbero definire 'in mobilità', nel senso che si stanno spostando verso uno dei due blocchi a seconda degli eventi più o meno fortunati a cui sono sottoposte. Per rendere ancora più evidente questa mia affermazione, ecco due piccoli grafici riguardanti la distribuzione della ricchezza nella società statunitense e in quella italiana: In questo grafico viene rappresentata la distribuzione del reddito in Italia: in ascissa poniamo il reddito procapite percepito annualmente; in ordinata consideriamo la popolazione italiana. La curva ottenuta e' simile ad una piramide. Ciò dimostra che la maggior parte della popolazione si attesta in un'area di ricchezza media. La classe media, è la parte più cospicua della società italiana. Le fasce estreme di povertà e ricchezza, sono ridotte al minimo. Il tessuto sociale è abbastanza omogeneo. Consideriamo ora il reddito e la popolazione degli Stati Uniti. In ascissa si rappresenta il reddito procapite, in ordinata la popolazione. La curva ottenuta in questo caso è completamente diversa: ci sono due picchi evidenti che stanno a dimostrare come ad una enorme fascia di popolazione spetti un reddito basso (e spesso insufficiente), mentre ad un'altra porzione consistente (ma senz'altro minoritaria), viene assegnato un reddito altissimo. In questo tipo di società le fasce estreme, sia di ricchezza che di povertà, sono le più numerose. La classe media praticamente non esiste; ricchezza estrema e miseria, convivono l'una a fianco dell'altra. La società è disomogenea. (i grafici rappresentati sono chiaramente di tipo empirico, e vogliono semplicemente e 'visivamente' spiegare il concetto di fondo che li anima. Per chi volesse dei dati ricavati da ricerche, vi rimando alla pagina quà sotto).
Nei prossimi anni in Italia la produzione crescerà, accompagnata dal costante raggrumarsi della ricchezza in poche mani e dall'allargamento delle povertà vecchie e nuove. La classe media perde potere d'acquisto al ritmo dell'1% l'anno; tra qualche tempo sarà quasi povera anch'essa. Il capitalismo sorto dal processo di globalizzazione sta quindi disgregando e distruggendo il ceto medio della società italiana, ceto medio che, pur con tutti i suoi difetti, è il serbatoio più grande di 'capitale sociale'. Il 'capitale sociale' può essere definito semplicemente come un insieme di valori o norme non ufficiali, condiviso dai membri di un gruppo, che consente loro di aiutarsi a vicenda e di instaurare un senso di fiducia. La fiducia è paragonabile a un lubrificante che accresce l'efficienza di qualsiasi gruppo od organizzazione. Per esempio è possibile notare che l'incidenza delle malattie è minore dove il tessuto sociale è più compatto e le differenze di reddito meno marcate, dove il 'capitale sociale' è più elevato, dove lo sapazio pubblico è un luogo socializzante che coinvolge una larga parte della popolazione in attività. La disgregazione in atto sta bruciando questa enorme risorsa, creatasi nell'arco dei secoli e delle generazioni, lasciando la nostra società moderna con un unico valore comune: il valore dell'individualismo stesso. Da questo punto in poi, lascio alla vostra immaginazione il compito di disegnare la vita, le relazioni, la società che ci caratterizzeranno in un immediato futuro.
Un'alternativa alla globalizzazione
L'argomento più efficace, la tesi forse più definitiva in favore della mondializzazione dei mercati, è da sempre quella che recita della mancanza di alternative alla globalizzazione stessa: non c'è nessun' altro sistema economico realizzabile nelle moderne società evolute. Questa tesi, tanto vaga quanto definitiva, ha fatto proseliti in tutti gli strati della società italiana, tanto che oggi uomini di destra come uomini di sinistra, concordano sull'inevitabilità di un'economia di mercato globale. Nella politica poi questa tesi si è rivelata devastante: la presunta necessità di un'economia di mercato globalizzata, supportata dalla caduta dell'ideologia marxista, ha completamente spiazzato la politica, incapace di proporre un modello alternativo di società; e il fallimento della politica è diventato l'argomento più efficace di chi vorrebbe allentare ancor più le briglie ai mercati. Assistiamo quindi all'ignobile spettacolo dei politici che, pur di preservarsi la poltrona, seguono, scodinzolanti e completamente asserviti, le teorie formulate dai 'fondamentalisti del mercato' (la vicenda del 'nuovo cioccolato Europeo' ne è un chiaro esempio). Ecco quindi che il potere politico, scaturito dall'investitura popolare, è completamente al servizio della volontà dei potentati economici. E' il 'dio-mercato' che regna incontrastato, e che decide i destini del mondo e degli uomini che ci sono e che verranno. E' il 'sistema', assolutamente inorganico e privo di una testa pensante, che sta per decidere il destino del mondo... Ma è proprio vero che non esiste altra alternativa al mercato mondializzato? Prima di tentare una risposta, vorrei argomentare un concetto: le scienze economiche, contrariamente a quanto affermano i fondamentalisti del mercato, sono molto più simili alla sociologia che alla matematica. Con questo voglio affermare che a priori nessuno può sapere se una teoria economica si rivelerà azzeccata oppure no. Questo perché le teorie, una volta applicate, concorrono a modificare quella realtà su cui agiscono, provocando effetti spesso imprevedibili. Se Marx fosse vivo, potrebbe ben concordare con questa affermazione. Ecco quindi la necessità non di trovare una teoria economica migliore della globalizzazione, ma di pensare il tipo di società che vorremmo avere in futuro, e di costruire una teoria economica che possa sostenere e dare corpo a questa società. Questo concetto mi sembra basilare: mentre i fondamentalisti del mercato, mettono al primo posto nella loro 'ipotetica' scala di valori, il tipo di economia in cui vorrebbero operare, gli altri (quelli che la pensano come me) mettono al primo posto il tipo di società in cui vorrebbero vivere. La società in cui mi piacerebbe vivere è formata da un tessuto sociale ben connesso, fondato sui valori propri della tradizione socio-culturale di quell'area: una società con differenze (sia economiche che culturali), ma non con macroscopiche ingiustizie. Per una società di questo genere, omogenea, ci vuole di conseguenza un'economia 'limitata' a quell'area. Quello che voglio dire è che l'economia di scambio libero, deve valere solo all'interno di aree omogenee. Non si possono mettere in competizione aree diverse, sottoponendole alle stesse regole di mercato: è evidente che il più forte avrà il sopravvento in questo genere di competizione. E' come se in una gara di ciclismo si mettessero in competizione un gruppo di corridori dotati delle migliori biciclette, con un gruppo dotato di semplici 'Grazielle'; secondo voi chi avrebbe la meglio? E' anche vero poi che le aeree devono essere omogenee non solo sul piano tecnologico, ma anche su quello culturale. Se ci fosse infatti un' area del mondo in cui la filosofia di vita non impone la ricerca del profitto come fine ultimo, perché mai imporre un modo di pensare diverso (pena la sopravvivenza)? Se ci fosse un gruppo di corridori che preferisce gareggiare con la 'Graziella', oppure preferisce misurarsi su un kilometraggio molto basso, chi mai avrebbe il diritto di stravolgere queste convinzioni? La mia ricetta è quindi quella di ritornare ad un tipo di capitalismo precedente il trattato di Bretton Woods, trattato che sancì le basi di un economia di tipo globale. Ripristinare i dazi doganali ed istituire politiche di tipo protezionistico, favorirebbe l'equo interscambio commerciale (ed in definitiva culturale) tra le diverse aree del pianeta. Le aree omogenee del pianeta verrebbero così salvaguardate e l'economia non perderebbe dinamismo, dato che la competizione si trasferirebbe da un livello planetario ad un livello di tipo 'nazionale'. Non è infatti il principio del libero-scambio che porta allo sviluppo dell'economia ma, al contrario, è il dinamismo interno delle economie 'nazionali' che conduce alla crescita. Libero-scambio solo all'interno di aree omogenee: questa potrebbe essere la base su cui progettare un nuovo sistema economico. Volere od accettare il libero-scambio globale, significa volere od accettare l'ingiustizia globale. Salvaguardare le produzioni e le economie nazionali, vuol dire proteggere le innumerevoli società che popolano il nostro pianeta dall'espansionismo della cultura anglosassone. A Bretton Woods si riunirono i futuri vincitori della Seconda Guerra Mondiale, e da buoni vincitori stilarono l'ordinamento futuro dell'economia e della società mondiale; un ordinamento che ovviamente ricalca la società e l'economia di questo gruppo di nazioni. Probabilmente il loro sogno di globalizzazione avrebbe avuto un successo immediato, se non ci fosse stata di mezzo l'Unione Sovietica e la Guerra Fredda. Il mio non è un discorso antiamericano: il nocciolo duro del gruppo dei vincitori, i paesi che, 56 anni fa, hanno maggiormente contribuito alla pianificazione del mondo in cui oggi noi viviamo, sono tutte nazioni anglosassoni con culture di estrazione calvinista e puritana. Guarda caso, questo gruppo di nazioni è lo stesso che si trova a capo oggi del progetto Echelon.
Che queste nazioni abbiano deciso un assetto del pianeta ad immagine e somiglianza della loro comune società anglosassone, lo trovo più che comprensibile (ma non giustificabile). Quello che noi oggi dobbiamo chiederci è invece, se vogliamo permettere l'annullamento delle diverse culture che popolano la terra e, soprattutto, se desideriamo 'standardizzare' la nostra società a questo modello.
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