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Montale




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MONTALE

Montale, Eugenio (Genova 1896 - Milano 1981), poeta e critico letterario italiano, premio Nobel per la letteratura nel 1975. Nato da una famiglia di commercianti, frequentò le scuole tecniche e studiò canto, ma rinunciò alla carriera musicale. Partecipò dal 1917 alla prima guerra mondiale come ufficiale sul fronte della Vallarsa in Trentino. Tornato a Genova, prese contatto con i poeti liguri (primo fra tutti Camillo Sbarbaro) e con l'ambiente torinese: furono anni di intense letture di italiani e stranieri, specie i simbolisti francesi.

OSSI DI SEPPIA

Del 1916 è il testo che segna la sua nascita come poeta: Meriggiare pallido e assorto. Nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce e pubblicò, per le edizioni di Piero Gobetti, il suo primo libro, Ossi di seppia. Con un cliché nuovo e personalissimo, filtrato attraverso Pascoli, D'Annunzio e gli scrittori della 'Voce', la raccolta propone un linguaggio scabro ed essenziale, un po' abbassato verso i modi colloquiali e ironici di Gozzano, vicino alla concretezza delle cose. Il paesaggio ligure (centrato su Monterosso, dove i Montale avevano una villa) che vi domina è il 'correlativo oggettivo' di una condizione esistenziale, in cui il senso della vita risulta inafferrabile e le vie di uscita dalla catena delle necessità naturali si possono solo intravedere, e in forma ipotetica. Si tratta di una poesia metafisica che 'nasce dal cozzo della ragione contro qualcosa che non è ragione'.


Montale aveva anche iniziato un'attività di critico, collaborando a varie riviste, con aperture intellettuali molto ampie. A lui si deve la scoperta di Italo Svevo in Italia (Omaggio a Svevo, 1925). A Trieste, dove era stato invitato da Svevo per l'anno seguente, conobbe Umberto Saba e altri scrittori triestini come Virginio Giotti e Silvio Benco. L'incontro con il poeta americano Ezra Pound nel 1926 lo aprì alla letteratura anglosassone.

LE OCCASIONI

Nel 1928 Montale fu nominato direttore del Gabinetto Vieusseux a Firenze, ma ne venne allontanato dopo dieci anni perché non iscritto al partito fascista. Si dedicò allora, oltre all'attività di critico, a quella di traduttore. Nel vivace ambiente fiorentino stabilì stimolanti rapporti intellettuali con Vittorini, Gadda, Landolfi, Pratolini, Contini. Nel 1939 uscirono Le occasioni, poesie in parte già precedentemente pubblicate su riviste. In esse Montale continua l'indagine esistenziale degli Ossi di seppia. Nel modificarsi e svanire di una realtà indecifrata e incupita, acquista forza il tema della memoria (anch'essa gracile), sollecitata da 'occasioni' di richiamo, e si delineano le figure salvifiche di alcune donne. Il linguaggio si fa meno penetrabile e i messaggi appaiono più nascosti; Montale però non muove verso l'irrazionale gorgo analogico degli ermetici, ma riafferma la sua tensione razionale e pudicamente sentimentale. Nel 1943 pubblicò in Svizzera, per interessamento di Contini, il volumetto Finisterre.

LA BUFERA E L'ALTRO

Dopo la guerra e la breve esperienza politica nelle file del Partito d'azione, divenne per poco tempo condirettore della rivista 'Il mondo'. Nel 1948 si trasferì a Milano, dove lavorò al 'Corriere della Sera' e al 'Corriere d'informazione', e pubblicò il Quaderno di traduzioni. Nel 1956 uscì La bufera e altro, che comprende anche le poesie già comparse in Finisterre. La 'bufera' è la guerra intesa come catastrofe della storia e della civiltà, e simbolo dunque di una disperata condizione umana e personale. Dalla speranza di un'immaginata salvezza attraverso la donna-angelo e dai lampi di fiducia nella possibilità di un mondo diverso, Montale passa all'angoscia per il presente. Nell'amara esperienza dell'orrore della guerra e degli anni cupi della Guerra Fredda, la poesia diventa il segno di un'estrema umana resistenza e di decenza nel quotidiano 'mare / infinito di creta e di mondiglia'.

DA SATURA AL QUADERNO DI QUATTRO ANNI

Nel 1966 Montale pubblicò i saggi Auto da fé, una lucida riflessione sulle trasformazioni culturali in corso. Nel 1967 venne nominato senatore a vita. Nel 1971 uscì Satura, cui seguirono nel 1973 Diario del '71 e '72 e nel 1977 Quaderno di quattro anni. A partire da Satura il registro linguistico di Montale subisce una svolta. La sua poesia sceglie uno stile basso e prosastico, in cui la parodia, l'ironia amara, il tono epigrammatico sostituiscono quello lirico. Questo perché il mondo gli appare ora perduto in una civiltà dell'immagine, che ha rinunciato alla ricerca del senso di sé e alla tensione etica. Dalla bufera della guerra si è passati alla palude immobile nel vuoto del presente.



COLLOCAZIONE DELL'AUTORE NELLA 'DIMENSIONE FASCISTA'


Montale ed il contesto storico-politico - Alcuni sostengono che anche se si fossero verificati dal punto di vista storico eventi diversi, cioè anche se il fascismo non avesse turbato fin dal profondo le coscienze degli italiani e dell'Europa tutta, l'uomo degli inizi del '900, ed il poeta stesso, avrebbe in ogni caso scritto versi così duri come pietra, avrebbe sentito l'angoscia e il dolore di una vita così diversa dalle aspettative, perché questa angoscia aveva radici profonde nel suo animo e la storia non aveva fatto altro che evidenziare un processo già in atto. A conferma di ciò, viè un'intervista fatta ad Eugenio Montale da un giornalista intorno agli anni '50. Montale, alle provocazioni del giornalista che voleva veder la sua poesia come frutto bacato di un'epoca di sofferenze, si ribella e rinforza il concetto del suo dolore quale dolore generazionale e non solo storico.

Alcuni studiosi hanno invece voluto sottolineare come il primo "input" alla poesia ermetica e neorealista venga proprio dato dalla raltà storico-politica di quegli anni.

Mentre Mussolini iniziò la scalata verso il potere, nasce in parallelo una nuova relazione con la cultura. Essa non deve essere di ostacolo al regime, non abituare le menti alla confutazione, deve bensì stimolare alla conferma ed all'assenso.

Contrariamente a quanto si pensi, eventi così dolorosi non poterono non lasciar segno nella vita e nella produzione letteraria di uno scrittore. Infatti nelle poesie di Ungaretti il peso di quella guerra inutile è il vero ispiratore di ogni verso. L'ermetismo di Ungaretti, è tutto racchiuso nell'espressione "allegria di un naufrago" e le parole si rincorrono incalzante e poi si fermano in lunghi spazi bianchi proprio come si era fermata la vita di tanti giovani.

Ancora, Quasimodo, avverte profondamente nei suoi versi l'urlo della madre che va incontro al figlio "crocifisso" sul palo del telegrafo e sente l'angoscia per quei morti che gridano vendetta. Ora egli chiede solo il silenzio, e quel silenzio diventa la logica della sua ...., del suo ermetismo.

Infine, lo stesso Montale, che aveva asserito il contrario, in più punti vuole porre le distanze tra la sua poesia umile, che utilizza versi secchi e parole aspre, e quello dei poeti laureati come D'Annunzio che avevano servito con i loro versi il regime.

Così, l'assunzione di una poetica, diventa l'assunzione anche di una posizione politica. Se non ci fosse stato il dolore della guerra, della sofferenza data dal fascismo, "il male di vivere" arebbe avuto toni più smorzati e meno intensi.

In conclusione, è difficile separare il pensiero del letterato dall'origine storica e dall'ideologia politica. Ogni poeta, in ogni epoca resta il segno più profondo della sua realtà storica e sociale


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