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LA STORIA DELLA VILLA REALE
Nella seconda metà del 1700 Maria Teresa d'Austria, sovrana del riformismo illuminato, invia a Milano, come Governatore Austriaco della Lombardia, il figlio Ferdinando II. Egli ha il compito di rappresentare la casa d'Austria a Milano, ".perno dell'influsso imperiale in Italia." e assolvere, attraverso lo sfarzo della sua corte, a quelle funzioni di rappresentanza, indispensabili a consolidare il potere degli Asburgo nella regione, secondo un preciso piano politico perseguito dagli stessi Asburgo nel corso di tutto il secolo.
La presenza del principe a Milano influisce notevolmente sul destino della città; Ferdinando dà un'impronta profonda e personale alla vita politico-amministrativa della città attraverso importanti e complesse riforme e contribuisce in maniera decisiva a ridisegnarne e riqualificarne gli spazi. Il perno ed il nuovo assetto urbano sarà il "sistema di reggie" - il palazzo di città e la dimora di campagna - collegate dall'asse viario che passa dalla Porta Orientale.
Affrontato e felicemente risolto il problema della residenza a Milano, con l'adattamento della Corte Ducale in "comoda abitazione" dell'Arciduca, Ferdinando, già nel 1775, prende in considerazione l'ipotesi di una casa di campagna dove ".passare fuori di città la calda stagione.".
L'incarico viene affidato a Piermarini, insignito del titolo di Architetto Arciducale e Camerale, Ispettore delle Fabbriche dello Stato, per aver brillantemente portato a termine la ristrutturazione dell'antico Palazzo Ducale. Determinante fu per il Piermarini, la collaborazione con il Vanvitelli alla Reggia di Caserta, della quale trasse quelle regole espressive e quella metodologia progettuale che ne fecero "l'arbitro del fare architettonico a Milano".
La scelta del luogo dove erigere la dimora estiva dell'Arciduca cade su Monza e una lettera di Firmian degli inizi del 1777 spiega tale scelta. Firmian, parlando di Monza dice che ".l'aria è generalmente reputata assai buona per essere alle falde del monte di Brianza." e sottolinea il ".vantaggio di possedere una villa in una situazione che così in discreta lontananza dalla città è certamente la più felice e per la salubrità dell'aria e per l'amenità del paese circonvicino.".
Piermarini ha cercato così di lasciare da parte ogni ornamento di magnificenza e superfluità di lusso, riducendo il fabbricato al puro bisogno della corte e della famiglia Arciducale.
L'assenso al progetto ed il benessere all'investimento di ben 70.000 zecchini, successivamente aumentati di altri 35.000 per consentire la realizzazione dei giardini, fa sì che la casa di campagna voluta inizialmente da Ferdinando venga sostituita dal ben più ambizioso disegno di una reggia vera e propria in grado di rappresentare il potere sovrano degli Asburgo.
La Villa può considerarsi quasi conclusa dopo solo tre anni di solerte lavoro grazie all'esperta direzione del Piermarini, al quale Ferdinando, dopo una visita in cantiere, invia per riconoscenza una scatola d'oro e un anello di smalto blu con brillanti e diamanti.
Nel 1780 Maria Teresa muore e Ferdinando deve affrontare il difficile rapporto con il fratello Giuseppe II, che ha una diversa concezione della sovranità, tutta rivolta al bene del popolo. Questo influenza non poco i lavori intorno alla Villa che andranno d'ora in poi nel senso del pubblico interesse. La realizzazione dei due viali verso Milano e verso il borgo di Monza sono rivelatori di questo nuovo indirizzo.
Con la morte di Giuseppe II nel 1790 cessano definitivamente ulteriori ampliamenti e abbellimenti. La Villa vive anni di splendore sino all'arrivo dei francesi a Milano che vi insediano un reggimento di ussari dando così l'avvio a quell'alternarsi di vicende storiche che la vedranno perdere identità e senso quando non potrà più essere rapportata alla società di corte ed al potere politico che attraverso di essa si esprima.
Ed è proprio questo suo simbolo di un potere da sradicare che la rende sgradita ai francesi. Venduta ad un privato per essere demolita, è successivamente rivalutata da parte del Governo Francese grazie alla protesta di un semplice cittadino che grida allo scandalo per l'abbattimento di uno "dei più magnifici monumenti della Lombardia, e senza esagerazione, di tutta l'Italia.
Rimasta ai francesi diventa Villa della Repubblica ed è occupata da reparti militari. Le ricche sale decorate dall'Albertolli, dal Traballesi e dai migliori artisti dell'epoca vengono ridotte in uno stato talmente precario da quest'uso improprio e devastante, da richiedere urgenti interventi di manutenzione.
Il Vice Presidente della Nuova Repubblica, Francesco Melzi d'Eril, che abiterà saltuariamente la Villa dal 1803, descrive lo stato dell'abitazione abbastanza malconcio con giardini rovinati e mobili distrutti. I lavori di ripristino, avviati dallo stesso Melzi, proseguono con ritmo incalzante, motivati anche dall'esigenza di sistemare l'edificio monzese per un possibile soggiorno di Napoleone.
Con l'incoronazione di Napoleone del 1805, avvenuta nel Duomo di Milano con la Corona Ferrea, Monza assume il titolo di "città imperiale" e anche la Villa, ormai completamente riadattata, riacquista l'originario ruolo di rappresentanza.
Nell'agosto del 1805 Eugenio Beauarniers venne ad alloggiare in questo Palazzo Reale con tutto il seguito.
Visite di grandi personaggi, ricevimenti, udienze, animano la Villa, chiamata da quel momento Reale.
Negli anni di dominio francese l'architetto Canonica, che subentrò al Piermarini nel 1797, realizza alcuni importanti interventi riguardanti il complesso monzese, come la doppia recinzione, i corpi di guardia ed il teatrino; ma primo tra tutti costruisce, per decreto napoleonico, il vasto parco in estensione ai Giardini Reali.
Ad un nuovo periodo di relativo abbandono, che ha inizio nel 1814 con il ritorno delle truppe austriache, seguiranno quarant'anni di vita intensa per la Villa grazie alla figura di Ranieri, Viceré del Regno Lombardo-Veneto, che si stabili a Monza dal 1818. Numerosi interventi, anche di notevole portata, verranno condotti, ad opera dell'architetto Giacomo Tazzini, Ispettore delle Pubbliche Costruzioni, nei corpi di fabbrica, nel parco e nei giardini. Sono questi ultimi in particolare a godere l'attenzione del Viceré, esperto in botanica, che seguirà da vicino l'operare dei giardinieri Rossi e Manetti, con risultati di notevole interesse.
Occupata nel 1848dai militari del maresciallo Radetsky, la Villa ritorna ad essere sede di una corte sfarzosa soltanto dal 1857 al 1859, durante il breve soggiorno monzese dell'ultimo rappresentante della casa d'Austria, Massimiliano d'Asburgo, fratello di Francesco Giuseppe.
Con la proclamazione del Regno d'Italia (1861), Milano decade dal ruolo di capitale e la Villa, svincolata da funzioni di rappresentatività di stato, per la prima volta nella sua storia diventa veramente luogo di villeggiatura; residenza privilegiata, però, perché Umberto I è legato in modo molto particolare a Monza dove lo attira la piacevolezza della residenza immersa nel verde, il fascino del parco in cui cacciare e cavalcare e la felice prossimità di Villa Litta di Vedano, residenza della Duchessa Eugenia Attendolo Bolognini Litta sua assai intima amica.
Appassionato di Monza ogni anno vi attuava restauri e lavori artistici sotto la direzione del suo Architetto Achille Majnoni d'Intignano, il quale modificò qualche volta radicalmente certe sale, decorazioni e mobilia. Alla fine del 1800, infatti, il Majnoni, il Marchese di Villamarina e l'architetto Tarantola operano una serie di trasformazioni mirate a conferire ai locali della Villa una sontuosa e ricercata comodità, ottenuta spesso a scapito del raffinato gusto estetico settecentesco.
L'uccisione di Umberto I, avvenuta proprio a Monza il 29 luglio 1900, pone definitivamente fine alla contrastata e alterna esistenza della Villa come dimora regale.
Vittorio Emanuele III, immediatamente dopo i funerali del Re, dà disposizioni di chiudere l'edificio e non consentirvi l'accesso a nessuno e da quel momento comincia il lento, ma inesorabile declino. Passata al demanio dello Stato nel 1919 e data in concessione d'uso ai Comuni di Milano e Monza nel 1921, vede un primo momento di fervore culturale.
Gli spazi interni, ormai completamente svuotati dall'arredo, disperso tra i Comuni, Enti e Ministeri vari, vengono usati dal 1923 al 1930 come sede di edizioni della Biennale delle Arti decorative e Industriali Moderne, la futura Triennale di Milano. Nelle sue prestigiose sale, tra gli stucchi, gli ori, le preziose tappezzerie trovarono posto opere di arte moderna.
Ma queste manifestazioni, seppur di livello, diedero avvio ad un'ulteriore spogliazione della Villa, quella relativa agli arredi fissi: porte, boiseries, camini, specchiere e quant'altro poteva intralciare l'allestimento delle sale venne smantellato e accatastato nei depositi della Villa.
Trasferita la Triennale a Milano, chiusa nel 1929 l'Università delle Arti Decorative che aveva trovato posto nelle scuderie, la Villa, dapprima abbandonata, viene occupata, nel corso della Seconda Guerra Mondiale dalle truppe e dai senzatetto. Successivamente ospita, insieme alle più varie manifestazioni, ben 43 edizioni della Mostra Internazionale dell'Arredamento che abusa con i propri allestimenti il piano mobile e il primo piano della Villa abbandonando poi, fino all'anno successivo, con gravissimi pericoli d'incendio, i resti del "festino".
Allontanata definitivamente la M.I.A. nel 1990, Stato e Comuni cercano di superare la lunga discussione sulla proprietà concordando un uso dei prestigiosi spazi che possa restituire al complesso la dignità ed il ruolo europeo che le sono consoni.
La Villa Reale in un'acquatinta ottocentesca di V. Ranieri
LA ROTONDA: "L'anticamera delle meraviglie"
Costruita nel 1790 dal Piermarini, dopo 13 anni dalla realizzazione del progetto iniziale della Villa Reale, occupa lo spazio di raccordo fra le ali basse di sinistra e il Serrone che si colloca fra il roseto verso la corte d'ingresso e il parco.
La Rotonda è l'unico elemento architettonico di forma circolare che è presente in questa struttura rigidamente lineare e squadrata.
Il Piermarini la concepì come una specie di dépendance scenografica dove l'Arciduca potesse intrattenere gli ospiti e stupirli, mostrando delle porte che sparivano o delle fontane che zampillavano a suon di musica o dei camini girevoli azionati da meccanismi d'ingegneria meccanica, facendo inoltre apprezzare a tutti le favolose piante esotiche fatte giungere da ogni parte del mondo. Anche in questa parte della Villa il Piermarini non tralasciò il linguaggio architettonico classico antico e quello del tardo Rinascimento Italiano.
All'interno è caratterizzata da arcate scandite da paraste; lo zoccolo e il cornicione sono a fascia. Quattro grandi porte si aprono al suo interno, una delle quali è a specchio per nascondere un passaggio segreto di raccordo tra la Rotonda e la Villa, specchio che riflette la bellezza del parco da una parte, il roseto dall'altra, e quando veniva aperta la porta meccanica, il contenuto del Serrone.
Il pavimento è in marmo bianco di Carrara, il soffitto, a volta, ha un medaglione centrale e quattro vele in corrispondenza delle porte. La Rotonda nel 1791 venne affrescata da Andrea Appiani, amico di Piermarini e di Parini, il grande letterato milanese illuminista, precettore di nobili lombardi, molto apprezzato dall'Arciduchessa Maria Beatrice Ricciarda D'Este. La Rotonda venne realizzata ed affrescata in occasione del ventennale di nozze degli Arciduchi d'Asburgo. E' proprio su consiglio del Parini che l'Appiani affrontò il tema mitologico di Amore e psiche per gli affreschi della Rotonda.
Gli affreschi sono collocati in posizioni diversificate per meglio comprendere la favola tratta dall'Asino d'oro di Apuleio. Quattro affreschi curvi, di forma rettangolare, posti sopra le finte porte che scandiscono la circolarità della struttura, raffigurano:
Psiche adorata dalle genti dove sono contrapposte due splendide figure, quella del vecchio sacerdote pronto a profferire l'offerta sull'altare, e quella di Psiche, avvolta in un manto giallo mentre passeggia fra corone di fiori, adorata dalla folla.
Psiche che guarda Eros dormiente
Psiche in ginocchio mentre supplica Proserpina a concederle il vaso della bellezza
Psiche svegliata dai dardi di Eros, dopo un lunghissimo sonno causatole dall'apertura del vaso della bellezza, per poter piacere maggiormente al suo sposo.
Le quattro vele proseguono il discorso della favola di Amore e Psiche:
Psiche riporta il vaso della bellezza a Venere
Eros vola da Giove a chiedere protezione, e la ottiene
Venere indica ad Eros la rea da punire
Mercurio rapisce Psiche su ordine di Giove
Infine il medaglione centrale raffigura Psiche sorretta da Eros nel momento in cui viene presentata a Giove e alla sua corte. Appiani ha voluto così distinguere gli episodi terreni da quelli celesti, infatti quelli raffigurati nei riquadri rettangolari sono prettamente ambientati nel mondo terreno, mentre per le vele e per il medaglione si tratta di episodi celesti.
La singolarità di questa struttura architettonica inserita in un corpo di fabbrica lineare e squadrato, sottolinea il gusto di un momento culturale di transizione, in cui Piermarini esalta e rievoca la pianta centrale dell'antica architettura termale romana, collegandola alla zona pastorale per eccellenza: il Serrone.
LA CAPPELLA DELLA VILLA REALE
Si tratta di una vera e propria chiesa dedicata all'immacolata: il Piermarini dispose la sua collocazione all'esterno della Villa stessa, nel punto di snodo tra l'ala sinistra del corpo centrale e lo sviluppo delle ali basse verso settentrione. E' una chiesa tonda a croce greca, inserita in un perimetro esterno di forma quadrata.
Una volta a vela rinforzata da quattro costoloni che convergono in un oculo centrale privo di lanternino dimostra gli studi di questo architetto sulla stabilità delle coperture a cupola.
L'interno della chiesa è molto scenografico e ricco di stucchi, fregi e rosoni; una serie di colonne e lesene corinzie scandiscono gli altari e le nicchie. L'altare maggiore, sopra il quale è collocata una pala raffigurante la Vergine Immacolata, è inserito in un tempietto formato da colonne corinzie sormontate da un timpano forgiato da ovoli e listelli.
Le nicchie sono occupate da statue di santi. Lo zoccolo è realizzato in scagliola imitante il bardiglio. In questa cappella vengono regolarmente tenute le funzioni religiose, il pubblico vi accede da una porticina laterale.
Anno: 1806
Ubicazione: ala sinistra della Villa Reale
Capienza: 100 posti a sedere
Fondale di scena: tela mitologica dipinta dall'Appiani
E' situato nell'ala laterale sinistra della Villa Reale ed è costituito da una serie di salette che occupano tutta la parte di ala ribassata che va dalla cappella sino all'angolo che collega il fabbricato al Serrone.
Il guardaroba del teatro confina con la Chiesetta Reale mentre il teatro vero e proprio è situato nell'ultimo salone a sinistra dopo l'ingresso.
Si tratta di un vero e proprio teatro di corte, di piccole dimensioni con un palcoscenico in legno, leggermente inclinato verso gli spettatori ed un fondale di scena con soggetto mitologico. Il soffitto della platea ha la volta a forma di ombrello, è interamente affrescato con motivi floreali, strumenti musicali e maschere dai colori vivacissimi; mentre il soffitto del palcoscenico ha la volta in cotto dipinta. Due grossi pilastri affrescati delimitano il boccascena e terminano con un'arcata all'interno della quale sono inseriti cinque rosoni quadrati e quattro rosoni rettangolari, dipinti in colori contrastanti.
Nel lato opposto al palcoscenico in posizione dominante ed inseriti in una specie di catino, sono situati il palchetto reale e la balconata. Sotto il palchetto reale è posta una gradinata curvilinea in legno. Le pareti ed il palchetto reale sono interamente affrescate con motivi di stile neoclassico. La parte superiore della fascia terminale delle pareti è fregiata con dentellature, ovuli e fogliette.
Secondo le documentazioni, il teatrino era collegato con la Rotonda per mezzo di un lunghissimo corridoio soprastante, che seguiva a nord ed ad est l'angolo dell'ala subalterna delle cucine fino ad incontrare l'ammezzato nell'ala cappuccina settentrionale. Questo teatrino fu progettato nel 1806 da Luigi Canonica, allievo prediletto del Piermarini.
Il primo articolo di cronaca che ci descrive gli spettacoli del Teatrino realizzati dalla Compagnia del Teatro Carcano di Milano è datato 3 Agosto 1808, in occasione della ricorrenza di Santa Amalia.
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