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La crittografia italiana nella grande guerra




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LA CRITTOGRAFIA ITALIANA NELLA GRANDE GUERRA

Dalla metà del XIX secolo l'uso della crittografia assume un ruolo determinante nella trasmissione di messaggi di carattere logistico e strategico. Questi, trasmessi anche via etere (a partire dal XX secolo) richiedevano alcuni espedienti atti a precludere il contenuto dei medesimi al nemico.
All'inizio del XX secolo la crittografia in Italia, che pure vantava tradizioni di tutto rispetto, aveva toccato uno dei suoi livelli più bassi; basti pensare che era ancora in uso il cifrario militare tascabile, una variante della tavola di Vigenere di cui da tempo era noto un metodo di decrittazione (quello del Kasiski).

All'inizio della Grande Guerra la stazione radiotelegrafica di Codroipo era in grado di intercettare i messaggi austriaci ma non di decrittarli, poichè l'Esercito Italiano non disponeva di un Ufficio Cifra! Per rimediare il Comando Supremo inviò il cap. Sacco, comandante della stazione di Codroipo, in Francia presso il quartier generale. Qui i Francesi furono in grado di decrittare i messaggi austriaci, ma rifiutarono di istruire gli italiani sui loro metodi di decrittazione.
Irritato da questa situazione il Sacco propose ai suoi superiori di istituire un Ufficio Cifra italiano (' Se i Francesi sono riusciti in questa impresa, non vedo perchè non dovremmo riuscirci anche noi'); fu preso in parola, e, nella primavera del 1916, incaricato di organizzare un Ufficio Crittografico.
Sotto la guida del Sacco e dei suoi collaboratori Tullio Cristofolini, Mario Franzotti, e Remo Fedi, l'ufficio riuscì a decrittare il cifrario campale austriaco, quello diplomatico, e quello navale. Notevoli risultati furono ottenuti anche contro i cifrari tedeschi in uso nei Balcani.
La possibilità di intercettare e decrittare i messaggi austriaci ebbe un'importanza non trascurabile nel 1918, per fronteggiare l'offensiva austriaca del Piave.


Un caso particolare: il codice 'Navajos'



In un epoca di supercomputer e macchine potentissime il codice Navajo è un monumento alla più potente e sofisticata macchina che esista al mondo: la mente umana. Nel tentativo di ottenere delle comunicazioni vocali 'sicure' l'esercito USA, prima della seconda guerra mondiale ha sperimentato l'uso della lingua degli indiani Choctaws per criptare le comunicazioni vocali, lingua che era già di per se 'criptata'. Dopo l'entrata in guerra degli USA, nel 1941, lo studio di questo tipo di 'crittografia' venne esteso e si sperimentarono i linguaggi di Commanches, Choctaws, Kiowas, Winnebagos, Seminoles, Navajos, Hopis e Cherokees. Successivamente la Marina USA ha proseguito il lavoro dell'esercito codificando, espandendo e perfezionando il metodo, usando esclusivamente il linguaggio Navajos. Usati con successo su molti fronti i 'NAC' (Native American Codetalkers) non hanno mai visto 'infranto' il loro 'codice'.


La Macchina Enigma

Dopo che la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania il 3 settembre 1939, le operazioni di decrittazione Britanniche furono spostate da Londra a Bletchley Park. Questa cittadina di campagna era vicina alla, allora piccola, stazione ferroviaria di Bletchley, a metà strada tra Oxford e Cambridge.

Tra il 4 settembre 1939 e l'estate del 1944,Alan Turing (1912-1954) (uno dei più famosi matematici di questo secolo, fra i fondatori dell'informatica teorica: forse anche a causa delle circostanze misteriose in cui morì, il suo nome è ormai entrato nella leggenda) allogiò al Crown Inn, a Shenley Brook End, un villaggio vicino Bletchley.

Codici

La Crittografia, la scienza del fare e interpretare informazioni cifrate, fu fino al 1979 un campo così gelosamente custodito dai governi, che le pubblicazioni su di esso furono molto rare. Da allora i codici crittografici sono stati analizzati e pubblicati e la crittografia è divenuta un importante ramo della matematica. Così, il lavoro eseguito da Alan Turing e i suoi colleghi a Bletchley Park può essere completamente apprezzato solo ora.

L'opera di Turing

Quasi tutte le comunicazioni tedesche venivano criptate con una macchina di cifra chiamata Enigma.
Questa macchina è una rappresentante niente affatto indegna di una classe di cifrari a rotore, utilizzati fino all'introduzione di cifrari elettronici e microelettronici che hanno sconvolto e trasformato il mondo della crittografia.

Per forzare l'Enigma (alcuni dettagli della soluzione sono tenuti segreti fino ad oggi) Turing, per conto del governo inglese, si servì di gigantesche macchine chiamate appunto Colossi, che possono considerarsi i precursori dei moderni calcolatori elettronici.

Alcuni sostengono che il 1943, l'anno in cui entrarono in funzione i Colossi, sia l'anno di nascita dell'informatica, ma forse anche questa data va anticipata di qualche anno a favore delle ingegnose macchine elettroniche progettate dal tedesco Konrad Zuse fin dal 1963. Turing è autore di ricerche estremamente raffinate e molto profonde sul concetto logico-matematico di calcolabilità: la strumento che egli ha proposto per affrontare il problema è noto oggi col nome di macchina di Turing.
Le macchine di Touring non hanno niente da spartire coi Colossi, non possiedono né valvole, né transistor, né circuiti integrati (come i calcolatori della prima, della seconda o della terza generazione), esse sono macchine 'astratte' e meramente 'ideali' che esistono solo mente di Turing e in quelle dei logici che proseguono le sue ricerche.

Una delle prime macchine di cifra a rotori è stata costruita dal californiano Edward Hebern, che la brevettò nel 1921. Autentici gioielli della crittografia meccanica sono le macchine costruite da Boris Hangelin; nel 1927 egli aveva rilevato una ditta che produceva materiale crittografico e che ancora oggi è prospera e fiorente, anche se ormai i rotori sono entrati nei musei della scienza. Per rendersi conto di quanto i tempi siano cambiati basterà ricordare che l'Enigma aveva un grande inconveniente: era sprovvisto di stampante. I risultati apparivano illuminati su una tastiera apposita, lettera dopo lettera, e una persona doveva provvedere a trascriverli a mano su un foglio di carta. Una stampante elettro-meccanica avrebbe appesantito troppo il congegno e lo avrebbe reso poco maneggevole: un problema che la tecnica odierna consente di superare senza difficoltà.

Alan  Mathison  Turing


Turing, Alan Mathison (Londra 1912-1954), logico e matematico britannico, pioniere della teoria degli elaboratori. Studiò all'università di Cambridge e, negli Stati Uniti, a Princeton; nell'ambito degli studi sulla ricorsività (una sezione della logica matematica) condotti per l'università di Manchester, elaborò teoricamente una nozione di 'computabilità' che fosse applicabile a quei dispositivi ideali di calcolo ed elaborazione da lui definiti come 'macchine', che vennero delineati nel suo studio pubblicato nel 1936, mentre era ancora studente: Sui numeri computabili, con un'applicazione al problema della decisione. Con il termine 'macchine di Turing', esistenti unicamente a livello teorico, viene inteso il complesso delle proposizioni, formalizzate in un linguaggio consistente di simboli finiti, che prescrivono le possibilità operative (spostamento, selezione o cancellazione di un simbolo del linguaggio) di un apparecchio formato da un nastro che può invece essere infinito e che viene segmentato in caselle. Mediante un'operazione lo 'stato interno' della macchina può - o meno - subire una variazione, che 'definisce', insieme al linguaggio e al dispositivo, la 'macchina' stessa. La computabilità delle 'macchine di Turing', la possibilità cioè di questo 'elaboratore ideale' di computare funzioni complesse, raggiunge livelli pari a quelli delle più sofisticate macchine elaboratrici esistenti.

Turing in tal modo aprì alle ricerche matematiche un campo che attualmente è noto con il nome di intelligenza artificiale. Propose inoltre nello scritto Macchine calcolatrici e intelligenza (1950) un metodo denominato 'test di Turing' per determinare se le macchine possano essere in grado di pensare. Nel corso della seconda guerra mondiale lavorò come crittografo per il ministero degli Esteri britannico. Morì suicida all'età di quarantun anni.


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