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Inno di Mameli (Fratelli d'Italia)
Nel periodo immediatamente precedente all'unità d'Italia si diffuse una corrente patriottica romantica, caratterizzata da una <<musicalità vaga e sospirosa>>, nata per diffondere gli ideali dell'Italia unita nei circoli di letterati, negli ambienti borghesi, ma soprattutto tra i lavoratori. Altra caratteristica di questa corrente secondaria e di breve durata fu la vaghezza delle linee di pensiero, incerte e confuse, generiche; infatti i patrioti stessi, per quanto tutti anelanti ad un'Italia unita, non erano concordi tra loro sui metodi secondo i quali si doveva realizzare quest'unità, e soprattutto non sapevano a quanto potevano effettivamente ambire, ed in quali limiti di tempo (espressione di questo saranno i moti del 1848, dal carattere non univoco).
Il mezzo più adatto per divulgare questo tipo di ideali ad un pubblico così ampio risultò essere la musica, campo nel quale si espresse <<l'anima romantica, appassionata, sentimentale, languidamente virile>> (G. Petronio) di musicisti del calibro di Verdi e Rossini, e di intellettuali mazziniani come Giuseppe Mameli, il quale scrisse e cantò in pubblico nel 1847 quello che dal 1946 è il nostro inno nazionale, "Fratelli d'Italia".
Questo testo risulta interessante, sia dal punto di vista contenutistico che da quello lessicale, in quanto fa da perfetto "sample" a questa corrente.
Il lessico del testo si caratterizza come arcaizzante, infatti troviamo parole quali "coorte" e "speme", che conferiscono al testo un'aura di antichità, di misteriosità. La scelta di tali vocaboli è oculata: infatti con questa adozione l'autore sottolinea ancora di più l'obiettivo patriottico, rimandando il lettore, anzi in questo caso l'ascoltatore, al passato, al tempo in cui l'Italia era unita sotto un unico potere: quello imperiale romano (coorte deriva da cohors, latino).
Il testo è formato da 5 strofe di 8 versi (dei quali i primi 7 sono senari, a differenza dell'ultimo, che è un quinario) rimati ABCADEEF. Ognuna delle strofe è alternata ad un ritornello di 3 versi (dei quali i primi due sono senari, mentre l'ultimo, come nelle strofe, è un quinario) rimati AAB.
Questo tipo di schema metrico, unito ad un motivo musicale che tende a scandire assai bene le parole ed a insistere sugli accenti, da enfasi, incisività e "carica" ad un testo che presenta invece le tipiche caratteristiche dei testi del patriottismo romantico (incertezza, vaghezza, genericità) ottenendo un canto patriottico sicuramente convincente, adattissimo a scaldare i cuori delle milizie provvisorie della Repubblica Romana, allestite velocemente ed approssimativamente dal governo mazziniano provvisorio onde tentare di difendere Roma, faticosamente conquistata, dal prossimo arrivo dell'esercito francese, che da sempre appoggiava il Santo Padre e il suo potere temporale, distrutto con l'instaurarsi della Repubblica Romana.
Di fatto la Repubblica Romana sopravvisse pochi mesi, ma la marcetta "Fratelli d'Italia" venne ripresa in seguito, esattamente nel 1946, quando venne utilizzata come inno nazionale della Repubblica Italiana, ed ancora adesso ha questa funzione.
C'è da dire che nel 1848 l'Italia era divisa in piccoli staterelli indipendenti, oltre che essere in parte dominio austriaco, e che, essendo così da secoli, questo testo incitante alla guerra pro liberatio patriae poteva assolutamente assolvere la funzione sperata, ossia divulgare le idee (per quanto vaghe) dei patrioti mazziniani tra gli italiani del tempo, che, frazionati, sentivano quel bisogno di fondersi sotto <<un'unica bandiera, una speme>>, conquistando approvazioni e spingendo verso una direzione unitaria, appunto l'unità.
Nel 1946 l'adozione di questo testo come inno della Repubblica Italiana era pienamente giustificata; si veniva, infatti, da un regime dittatoriale che aveva limitato enormemente le libertà dei singoli individui, e questo testo simboleggiava benissimo la direzione politica che si stava prendendo, quella repubblicana, inneggiando alla libertà e all'unità della patria, concetto esteso anche al singolo individuo.
Quello che ci si chiede adesso è se questo tipo di inno nazionale sia adatto ad un'Italia come quella di oggi, dove non troviamo più quella voglia di unità e libertà che caratterizzava i patrioti della Repubblica Romana ed i repubblicani del primo dopoguerra. Infatti risulta un po' fuori dal contesto storico nel quale è stato generato, ed addirittura inserito in uno non particolarmente affine, anzi. Personalmente, ritengo che sia opportuno mantenere questo testo come inno della nazione italiana, in quanto, anche se forse anacronistico, riesce sempre a farmi commuovere facendomi sentire una parte del tutto italiano, unito agli altri come se fossero fratelli. e forse in un mondo in cui combattiamo continuamente perfino contro noi stessi questo inno può ancora servire.
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