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IL PREGIUDIZIO - TESINA
IL PREGIUDIZIO
Il pregiudizio nella società
Pirandello - L'Esclusa
The Victorian values and their trasgression: Emily Bronte
Gli impressionisti: il contrasto con l'accademismo
Da Tacito al Nazismo: il mito della razza pura e l'antisemitismo
Il razionalismo critico di Popper: il rapporto fra tradizione e conoscenza scientifica
La rivoluzione copernicana
La teoria della relatività
Bibliografia:
o Pirandello: "L'Esclusa"
o Emily Bronte: "Wuthering Heights"
o Tacito: "Germania" e "Historiae"
o Popper: "Le fonti della conoscenza e dell'ignoranza"
IL PREGIUDIZIO SOCIALE
PIRANDELLO - L'ESLUSA
Il tema del pregiudizio sociale appare marcato nel romanzo "L' Esclusa" di Luigi Pirandello.
La protagonista, Marta Ajala, vive in un paesino siciliano con il marito (Rocco) che, sulla sola base di alcune lettere, la accusa ingiustamente di adulterio e la ripudia.
Contro Marta vengono scagliate immediatamente le accuse, cieche e pesanti, oltre che infondate, non solo dalla famiglia di Rocco, ma anche del padre, che per la vergogna si lascia morire nella sua stanza, e dall'intero paese, da parte del quale dovrà subire pesanti umiliazioni.
Inutili sono i tentativi di Marta di reagire alle convenzioni sociali: Marta ottiene per meriti propri un lavoro da insegnante che però le viene tolto a causa delle maldicenze e dei pettegolezzi sul suo conto. Si trasferisce a Palermo, ma anche qui non riesce ad iniziare una nuova vita perché perseguitata nell'animo dall'ombra del proprio passato.
Il pregiudizio viene qui a sovrapporsi con il tema pirandelliano della maschera cioè, in questo caso del ruolo di adulterina che la società ha imposto a Marta e nel quale la stessa Marta rimane intrappolata a tal punto da trasformare, alla fine, la calunnia in verità: essa viene dunque a macchiarsi di quella colpa di cui tutti, fin da subito, l'avevano accusata.
Paradossalmente, solo dopo avere compiuto questo gesto, la donna sarà riaccettata dal marito.
Questo fatto, pur riabilitandola socialmente, non potrà però togliere a Marta il peso dei pregiudizi della gente:
". credi tu che quello che mi hai fatto, prima di lui, Rocco, poi il babbo, sia riparabile? No mamma, no: non si ripara.Io rimarrò, stanne pur certa, quello che sono, né più, né meno, nel concetto della gente.Sai che si dirà? Si dirà che egli ha perdonato; nient'altro! E rideranno di lui come di un imbecille.Io sarò sempre colpevole"
THE VICTORIAN VALUES AND THEIR TRASGRESSION: EMILY BRONTE
The prejudice is a negative judgement about someone or something mode before knowing him, her or it.
The prejudice has often its origins in the values and the ideals imposed by tradition and convention.
In the '800th, for example, this tradition is represented by
the system of the
Emily Bronte, a writer of the middle of XIX, in her work "
In the story, the Victorian values are represented by Thrushcross Grange, the typical bourgeois House, and by one of its inhabitants Edgar Linton.
On the contrary, the house of
These values are personified by Heathcliff, a child adopted by the owner of Wuthering Heights He is an orphan and so he is considered socially inferior. His feelings of rebellion and hatred, his inability to estabilish relationships with the other people make him a sort of Byronic hero.
The contrast between
The contrast between Victorian values and Bronte's romantic sensibility can be seen not only in the plot, but also in the reactions aroused by the novel in the readers.
The novel in fact, departs from the typical Victorian novel in the presence of violent and cruel details, the importance given to feeling like hatred and revenge, the lack of analysis of the problems of contemporary society and of a moral aim. For these reasons, when it was published, the novel was considered scandalous and only after many time obtained it's success.
GLI IMPRESSIONISTI: IL CONTRASTO CON L'ACCADEMISMO
L'impressionismo è una corrente artistica molto innovativa che nacque in Francia nella seconda metà dell'800.
Il nome "impressionisti" venne dato ai pittori di questa corrente dal critico d'arte Leroy, che guardando i loro quadri affermò, in senso dispregiativo, che questi non erano "arte", ma impressioni gettate su tela.
In effetti gli impressionisti si distinguono dagli artisti precedenti per la loro volontà di rappresentare la realtà così come è, come appare loro nella prima impressione.
Essi dunque, sebbene facciano uno studio molto preciso sul colore e sui contrasti tra luci e ombre, ritengono fondamentale la "velocità di rendere": solo creando velocemente un'opera l'artista può rendere l'impressione del momento, senza che essa svanisca.
Caratteristico degli impressionisti è il loro modo di stendere il colore: questo non viene mai mescolato ad altri colori, ma accostato ad essi in modo da accogliere l'influenza che ogni tonalità di colore ha su quelle vicine. I pittori impressionisti inoltre non utilizzano nel disegnare le figure né la linea di contorno né le regole della prospettiva prescritte dalle accademie.
Per queste tendenze antiaccademiche non fu permesso a questi artisti di esporre i loro quadri al "Louvre" (il salone ufficiale). Per essi fu aperto da Napoleone il cosiddetto "Salone dei rifiutati".
Gli impressionisti furono i primi di una lunga serie di artisti che si posero sempre in maggior contrasto con la tradizione accademica.
DA TACITO AL NAZISMO: IL MITO DELLA RAZZA PURA E L' ANTISEMITISMO
Sicuramente una delle forme più eclatanti e violente di pregiudizio che
la storia ricordi è da individuarsi all' interno dell' ideologia nazista, che
caratterizzò fortemente
I principi di questa ideologia furono sostenuti e portati fino alle loro estreme conseguenze dal cancelliere tedesco Adolf Hitler, che salì al potere nel 1933.
Alla base del nazionalsocialismo si trova il concetto di Volk, parola subordinare i propri diritti ed interessi.
Il popolo tedesco era infatti, secondo Hitler, il più alto rappresentante della cosiddetta razza ariana, cioè di una razza pura, superiore per gli alti ideali di umanità e cultura che essa incarnava, e quindi destinata a dominare sulle altre razze (si precisa che il concetto hitleriano di razza era strettamente legato a fattori biologici e genetici).
Hitler riteneva dunque che
il compito dello stato, guidato da un capo o Furer, fosse quello di garantire
la prosperità della razza ariana. In politica interna questo si traduceva nel
proteggere la purezza della razza ariana dalle contaminazioni da parte di razze
inferiori (Hitler procedette in questo senso con la sterilizzazione forzata dei
portatori di malattie ereditarie e con le leggi di Norimberga, che toglievano
il diritto di cittadinanza a coloro che non fossero di sangue tedesco o affine
e vietavano i matrimoni misti). In politica estera, invece, lo stato doveva
guidare il Volk verso la conquista di uno "spazio vitale", cioè di un impero
sufficientemente vasto da garantire la crescita e soddisfare le esigenze della
razza superiore (Hitler prospettava un'espansione della Germania verso
I concetti di Volk e di razza pura, nonostante abbiano trovato in Hitler un loro acceso sostenitore, non furono certo una sua invenzione: per tutto il '800, in Germania, una serie di intellettuali ,che si definivano nazional-patriottici, di stampo conservatore, in opposizione ai moderni cambiamenti della società (la rivoluzione industriale con tutte le sue conseguenze), avevano auspicato una "rivoluzione spirituale" volta a ricostituire lo "spirito del Volk". Con l'espressione "spirito del Volk" essi alludevano a quei valori tipicamente tedeschi di integrità e genuinità che il popolo acquistava vivendo a contatto con la propria terra natia, dalla quale i tedeschi, fin dai tempi antichi, non si erano mai separati. È all'interno di questi valori che la componente razziale assunse sempre maggior importanza: l'aspetto esteriore era considerato come un "marchio dell'anima", che rifletteva le qualità interiori di ogni uomo, e, in questo senso, i tratti somatici tipici dei tedeschi (occhi azzurri, capelli biondi, corporatura alta e robusta) vennero ritenuti, dagli stessi tedeschi, un segno di superiorità della loro razza.
Inoltre i teorici del Volk,
e in seguito lo stesso Hitler, dopo aver definito i valori e le caratteristiche
della razza ariana, si impegnarono a delinearne il nemico: esso si identificava
in primo luogo con l'ebreo. L'ebreo rappresentava infatti l'esatto opposto
dell' ariano: in contrapposizione all'autoctonia tedesca, esso era
l'espressione dello sradicamento, poiché apparteneva ad un popolo che non aveva
mai occupato un territorio specifico e dunque non poteva possedere quelle virtù
morali che si acquisiscono solo con il contatto con la terra natia; del resto,
coerentemente con le tesi razziali che si erano diffuse, lo stesso aspetto
fisico degli ebrei (gambe corte, naso pronunciato, capelli scuri) era
considerato un segno di malvagità interiore. Da questi presupposti si partì
verso una progressiva demonizzazione dell' ebreo, accusato di complottare nell'
ombra per raggiungere il dominio della Germania, di voler sottrarre al Volk la
sua terra d' origine e quindi di volerlo allontanare dalla fonte della sua
virtù, oltre che, mescolandosi con esso, di corromperne il sangue. L'ebreo,
causa di tutte le disgrazie del popolo tedesco, veniva privato, così, di tutte
le sue qualità umane e diventava un principio contro cui combattere, un nemico
contro cui Hitler poteva rivolgere la rabbia emotiva delle masse.
Effettivamente, l'odio contro gli ebrei, assieme al mito del Furer e della
razza ariana e agli iniziali successi nel corso della II guerra mondiale, fece
parte del cemento emotivo che permise a Hitler di mantenere per anni
Per legittimare le proprie ideologie con l' autorevolezza del passato, sia gli intellettuali del nazional-patriottismo, sia Hitler fecero spesso riferimento ai testi di uno dei più importanti storici dell'epoca romana: Tacito.
Di particolare interesse, in epoca nazista, era la sua opera "Germania": in essa l'autore latino, parlando degli usi, dei costumi e della posizione geografica del popolo germanico, ne sottolineava l'autoctonia e la "purezza razziale". Tacito sosteneva infatti che i Germani, forti di corporatura e fieri nel carattere, avevano sempre difeso la propria terra dalle popolazioni straniere,alle quali non si erano mai mescolati. Essi in questo modo avevano mantenuto la loro forza e la loro integrità, sia nelle caratteristiche fisiche, che apparivano molto simili in tutti gli individui (in questo senso Tacito definisce "pura" la razza germanica) sia, a differenza dei romani, dal punto di vista morale.
In epoca nazista queste affermazioni furono, se non altro, fraintese e utilizzate come prove a sostegno della teoria della superiorità della razza ariana, ma certamente non era questo il messaggio che Tacito voleva trasmettere. Innanzitutto va detto che la lode tacitiana delle virtù dei Germani non aveva lo scopo di esaltare questi ultimi, ma quello di denunciare per contrasto la situazione di corruzione e decadenza morale a cui si erano abbandonati i romani dopo aver ottenuto, con le loro conquiste, grande prestigio e molte ricchezze. Inoltre Tacito non si limita a riportare i pregi della popolazione germanica, ma ne enuncia anche i difetti e le abitudini barbariche (ad esempio il fatto che gli uomini, nei periodi di pace, vivevano nell' ozio, ubriacandosi e dando origine a violente risse). Va detto poi che il mondo romano è stato da sempre il mondo della mescolanza, a partire dalle origini troiane che esso vantava, ed era dunque lontanissimo dal culto di miti razziali.
Al di là di queste considerazioni, è da notare che anche in Tacito e nel mondo romano esistevano, se pure in modo diverso dal nazismo, forme di ostilità e pregiudizio nei confronti degli ebrei. La lontananza culturale fra i due popoli, la rigidità e la chiusura delle tradizioni ebraiche (che lo stesso Tacito giudica sciocche e malvagie), e in particolare il rifiuto da parte del popolo ebraico di venerare come sacra la figura dell'imperatore, spingono lo storico a formulare verso gli ebrei un giudizio estremamente negativo:
"Presso di loro sono profane tutte le cose per noi sacre e, per contro, considerano lecite tutte quelle illecite per noi. .tra loro la fede è ostinata e la solidarietà immediata,mentre nutrono un odio ostile contro tutti gli altri. ..la tradizione dei Giudei è assurda e sordida."
Alla luce di queste considerazioni, Tacito giustifica la distruzione di Gerusalemme, avvenuta sotto il regno di Tito.
IL RAZIONALISMO CRITICO DI POPPER:
IL RAPPORTO FRA TRADIZIONE E CONOSCENZA SCIENTIFICA
Anche nella storia della scienza è possibile individuare alcune forme di pregiudizio: Più volte infatti la comunità scientifica ha rifiutato delle teorie (che poi nel tempo si sono rivelate migliori delle precedenti), perché le tesi da queste sostenute erano in contrasto con il "senso comune", cioè con il modo tradizionale di considerare il mondo che ci circonda.
A questo proposito Karl Popper, epistemologo del primo '900, analizzando i modi e le forme della conoscenza scientifica, prende in considerazione, tra le altre cose, il rapporto tra tradizione e conoscenza.
Innanzitutto Popper parte dall'osservazione che la concezione empirista della scienza, secondo cui l'osservazione e la raccolta dei dati precedono la teoria senza esserne influenzati, è sbagliata: l'osservazione in sé, pura, dei fenomeni infatti non può esistere, in quanto, in realtà, lo scienziato non saprebbe cosa osservare se non avesse almeno un'anticipazione di quello che deve cercare.
Nella nostra mente esistono dunque delle preteorie, ovvero degli scenari mentali, grazie ai quali possiamo osservare i fenomeni e che derivano dalla nostra cultura, educazione e formazione e quindi dalla nostra tradizione. La descrizione scientifica che faremo dopo l'osservazione di un determinato evento dipende non solo dai fatto osservati, ma anche dal nostro punto di vista, dal nostro modo di interpretarli, che spesso è connesso sia con la nostra tradizione sia con la teoria o ipotesi che intendiamo verificare.
La tradizione è dunque una base importante della nostra conoscenza. Nonostante ciò, sia la tradizione, sia le ipotesi che ne conseguono, non vanno accettate in modo acritico. Con un atteggiamento che Popper definisce "razionalismo critico", il filosofo afferma che ogni teoria deve poter essere sottoposta a verifica, cioè deve superare ogni tentativo di smentita nei suoi confronti.
"Dal punto di vista quantitativo, e da quello qualitativo, la fonte di gran lunga più importante della nostra conoscenza è la tradizione. La maggior parte delle cose che conosciamo le abbiamo imparate da esempi, o perché ci sono state dette, o perché le abbiamo lette nei libri, o imparando come criticare, come accogliere ed accettare le critiche, come rispettare la verità.
Il fatto che la maggior parte delle fonti della nostra conoscenza provengano dalla tradizione, condanna come futile l'antitradizionalismo. Questo fatto però non deve essere invocato per sostenere un atteggiamenti tradizionalistico: ogni singolo pezzettino della nostra conoscenza tradizionale è aperto all'esame critico e può essere mandato all'aria. Nondimeno, senza la tradizione, la conoscenza sarebbe impossibile".
Va precisato che, per Popper, dai dati sperimentali si può dedurre solo la falsità di una teoria qualora essa sia smentita dalle osservazioni o presenti contraddizioni al suo interno, mentre non abbiamo nessun elemento per stabilire in assoluto che tale teoria sia vera: questa potrà infatti sempre essere smentita in futuro.
È sbagliato dunque cristallizzare le proprie idee all'interno di una tradizione che potrebbe rivelarsi sbagliata e dare vita a forme di conoscenza ottuse ed errate e quindi, in un certo senso, a dei pregiudizi.
Inteso in questo senso, un esempio significativo di pregiudizio, in ambito scientifico, è individuabile nella disputa, che caratterizzò gran parte del '500 e di tutto il '600, tra il sistema tolemaico e quello copernicano.
Il sistema tolemaico aveva le sue basi nell'aristotelismo ed in particolare nell'idea di circolarità ed uniformità dei moti dei corpi celesti. Questi erano caratterizzati da una perfezione immutabile ed incorruttibile che si contrapponeva alla natura mortale e corruttibile della terra. La stessa terra inoltre era considerata ferma al centro del mondo ed attorno ad essa doveva ruotare l'intera volta celeste con tutti i corpi che ne facevano parte.
I moti dei pianeti, che non apparivano lineari e regolari, ma caratterizzati da retrocessioni, venivano spiegati da Tolomeo con il sistema degli epicicli, circonferenze su cui i pianeti si muovevano di moto uniforme e che a loro volta si spostavano attorno alla terra, sempre di moto uniforme, su altre circonferenze di diametro maggiore.
Questa è la concezione del mondo che per secoli fu accettata anche dalla Chiesa in quanto poteva, in qualche modo, combaciare con la descrizione biblica della formazione dell'universo.
L'ipotesi tolemaica riusciva a predire abbastanza bene le posizioni occupate dai pianeti nella volta celeste, ma risultava estremamente complicata.
Verso la prima metà del '400, Nicolò Copernico propose nella sua opera "de Revolutonitus Orbium Coelestium", l'ipotesi eliocentrica. Con essa il sole veniva posto al centro dell'universo, i pianeti venivano dotati di un moto di rivoluzione attorno al sole e di un moto di rotazione attorno al proprio asse, mentre la luna doveva girare attorno alla terra (ciò spiegava le fasi lunari).
La spiegazione di Copernico era sicuramente molto più semplice di quella tolemaica; essa tuttavia stravolgeva completamente le concezioni ed i quadri mentali di tutta la tradizione culturale dell'epoca: contraddiceva le sacre scritture, toglieva all'uomo la sua centralità nell'universo ed annullava l'idea aristotelica di una rigorosa distinzione tra il mondo celeste, perfetto ed immutabile, e quello sublunare, materiale e soggetto a mutamento.
La teoria eliocentrica trovò una seguente conferma sia negli studi di Keplero, che riuscì a calcolare con precisione le modalità di rotazione dei pianeti attorno al sole, sia nelle osservazioni di Galileo, che più di una volta si trovarono in contrasto con le tesi tolemaiche (Galileo osservò, ad esempio, le imperfezioni della superficie lunare e le macchie solari confutando le idee aristoteliche di perfezione dei corpi celesti).
Nonostante ciò, per molti anni, l'eliocentrismo dovette scontrarsi con le resistenze, sia di filosofi ed intellettuali, ancora fortemente legati alla tradizione aristotelica, sia della Chiesa che, con il crollo del sistema tolemaico vedeva disgregarsi la sua influenza, quantomeno nelle questioni scientifiche (il libro di Copernico fu considerato eretico e messo all'indice , mentre Galileo fu costretto ad abiurare).
Solo con il tempo e con il superamento dei pregiudizi nei sui confronti, la teoria Copernicana ottenne la sua definitiva conferma.
Più di 300 anni dopo la rivoluzione copernicana, quando già molti scienziati pensavano di avere capito quasi completamente la realtà del mondo fisico, lo scienziato tedesco Albert Einstein elaborò la teoria della relatività, destinata, ancora una volta, a sconvolgere le fondamenta della conoscenza scientifica.
Einstein giunse alla formulazione di questa teoria in seguito ai numerosi fallimenti, da parte della comunità scientifica del tempo, degli altrettanto numerosi tentativi di dimostrare l'esistenza dell'etere.
L'etere doveva essere il mezzo attraverso cui si propagava la luce, che permeava ogni corpo dell'universo, trasparente, imponderabile ed immobile (per questo motivo nessuno fino a quel momento si era accorto della sua esistenza). Essendo l'unico elemento immobile dell'universo, esso doveva costituire un sistema di riferimento assoluto. Poiché la ricerca dell'etere aveva causato solo contraddizioni (si vedano i risultati dell'esperimento di Michelson e Morley), Einstein nega la sua esistenza.
Tutta la teoria della relatività si basa su due semplici postulati:
I. Non esiste un sistema di riferimento privilegiato; le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
II. La velocità della luce nello spazio vuoto ha lo stesso valore c = 300000 Km/s in tutti in sistemi inerziali.
(Questi due postulati, che appartengono alla relatività ristretta, cioè valida solo nei sistemi di riferimento inerziali, saranno estesi anche ai sistemi accelerati dopo l'enunciazione del "principio di equivalenza" che stabilisce l'impossibilità di distinguere gli effetti di un campo gravitazionale da quelli di un opportuno campo di accelerazione).
Le conseguenze di questi postulati non solo contrastano fortemente con il nostro modo quotidiano di vedere le cose, ma contraddicono la ormai secolare concezione newtoniana di tempo e spazio: questi non possono più essere considerati assoluti, ma dipendono dal moto relativo dell'osservatore: se due osservatori si muovono con velocità costante l'uno rispetto all'altro, a ciascuno di essi sembrerà che la durata dei fenomeni che si svolgono presso l'altro sia rallentata e che la lunghezza di ogni oggetto solidale con l'altro si contragga nella direzione del moto.
È interessante notare inoltre, che Einstein, nel modificare le trasformazioni del moto galileiano per adattarle alla propria teoria, giunse a conclusioni (formule) identiche a quelle ottenute da Lorentz nel cercare di giustificare il fallimento dell'esperimento di Michelson e Morley (che doveva provare l'esistenza dell'etere).
Lorentz tuttavia, essendo ancora fortemente legato alla tradizione newtoniana ed al concetto di tempo assoluto, non aveva attribuito alla sua scoperta un reale significato fisico.
La teoria della relatività non fu immediatamente accettata. Molti furono gli oppositori che cercarono di mettere in luce le assurdità e le contraddizioni tramite la formulazione di paradossi (fra cui il più noto è quello dei gemelli) che alla fine, però, si rivelarono infondati.
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