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I fondi pensione: perche'




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I  FONDI PENSIONE: PERCHE'




















L’ INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE


La popolazione dei Paesi industrializzati è aumentata in maniera pressoché costante negli ultimi 150 anni, riflettendo il declino dei tassi di natalità e l’ aumento della speranza di vita.

La percentuale della popolazione con oltre 65 anni di età è aumentata stabilmente in tutti i Paesi sviluppati dall’ inizio del ventesimo secolo.

Il baby boom che ebbe luogo nei 25 anni successivi alla seconda guerra mondiale rappresentò un’ importante e inattesa deviazione della tendenza al ribasso dei tassi di natalità: le previsioni sulla popolazione effettuate nell’ immediato dopoguerra, infatti, ipotizzavano, in generale, un breve aumento dei tassi di natalità in seguito al ritorno della pace, seguito dal proseguimento della tendenza di lungo periodo verso una fertilità in diminuzione.

Di conseguenza, la crescita della popolazione fu in media leggermente superiore all’ 1% l’ anno durante il periodo 1950–1970, dopodichè quasi tutti i Paesi industrializzati hanno sperimentato riduzioni drammatiche e prolungate nei tassi di fecondità e di crescita della popolazione.

Un altro fattore di accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione è rappresentato dalla maggiore longevità degli anziani. Progressi nelle cure mediche e sanitarie, fra gli altri fattori, hanno contribuito ad un significativo aumento della longevità: negli Stati Uniti, ad esempio, la speranza di vita all’ età di 65 anni è aumentata da meno di 15 anni nel 1970 a più di 17 anni nel 1990.

Secondo le previsioni da oggi al 2050  i tassi di crescita della popolazione continueranno a diminuire fino a diventare, per un certo periodo, negativi nella maggior parte dei Paesi industrializzati.

Inoltre si prevede che numerose popolazioni diminuiranno significativamente il loro numero rispetto al 1990: Italia -26%, Germania -12%, Giappone -11%.

Questi bassi tassi di crescita determineranno, inoltre, cambiamenti rilevanti anche sotto il profilo della composizione della popolazione per fasce d’età: mentre la proporzione di giovani con età inferiore ai 15 anni sul totale diminuirebbe in maniera significativa, la quota di popolazione con età superiore ai 65 anni aumenterebbe in tutti i Paesi e comincerebbe a salire in maniera rapida dopo il 2010. Il tasso di dipendenza degli anziani, ovvero il rapporto tra le persone con più di 65 anni e quelle di età compresa tra i 15 e 65 anni d’età, aumenterebbe in maniera significativa in tutti i Paesi industrializzati, raggiungendo livelli in alcuni casi molto elevati (ad esempio il 69%  in Italia) entro il 2050. Esistono comunque differenze notevoli sulla misura e la velocità dell’ invecchiamento, anche se si prendono in considerazione i solo Paesi industrializzati.


TASSO DI DIPENDENZA DEGLI ANZIANI: rapporto tra le persone con più di 65 anni e quelle di età compresa tra i 15 e i  65 anni






Stati Uniti





Giappone





Germania





Francia





Italia





Regno Unito





Canada





Belgio





Paesi Bassi





Svezia





Svizzera







LA POPOLAZIONE IN ITALIA


Al 31 dicembre 2005 la popolazione residente in Italia ammontava a 58.751.711 persone, un valore elevato, inferiore in Europa solo a quelli della Germania, della Francia  del Regno Unito.

Dalla data del primo censimento demografico nazionale (1861) la popolazione italiana è più che raddoppiata, seguendo un ritmo di crescita elevato e regolare fino alla metà del decennio 1970- 1980, dopo il quale ha subito un forte rallentamento.

L’ indice di fertilità, ovvero il numero medio di figli per donna, è di appena 1,32 uno dei valori più bassi registrati in Europa occidentale.

La diminuzione del tasso di incremento naturale è legato essenzialmente al calo della natalità, fenomeno comune a tutti i Paesi industrializzati, e si spiega con le trasformazioni socio-economiche che hanno accompagnato il passaggio della società italiana da agricola a industriale.

Il tasso di natalità in Italia è passato dal 32‰ nel 1901 al 18‰ nel 1951 per scendere al 9,5‰ nel 2005. Anche il tasso di mortalità è diminuito costantemente, passando dal 30‰ nel triennio 1861-1863, al 18‰ negli anni 1912-1914, per scendere a valori intorno al 9-10‰ alla fine degli anni ’60, dopodichè si è stabilizzato (9,7‰ nel 2005).

Negli ultimi decenni la vita media degli italiani si è allungata sensibilmente e nel 2004 raggiungeva 77 anni per gli uomini e 83 anni per le donne.

Conseguentemente si è modificata la composizione per età della popolazione, che ha visto aumentare il numero degli anziani e diminuire quello dei giovani.

Gli abitanti con più di 60 anni rappresentano il 25,2% del totale, mentre quelli al di sotto dei 15 anni appena il 14,2%.

L’ indice di vecchiaia, ovvero il rapporto tra coloro che hanno un’età superiore ai 65 anni e i minori di 15 anni, è aumentato considerevolmente: nel 1981 era pari a 61,7%, nel 2005 è salita al 137,7%.

La composizione della popolazione per età è un dato importante, perché ha notevoli influenze sull’ economie del Paese.

Una popolazione giovane, infatti, presenta bisogni di vario genere, come assistenza pediatrica, scuole e spazi per lo sport e il divertimento, oltre a rappresentare un potenziale di forza lavoro.

Viceversa, l’ invecchiamento della popolazione determina altri problemi: innanzitutto una riduzione della popolazione attiva e l’ aumento delle persone pensionate; inoltre, crea bisogni diversi come l’ assistenza, case di riposo e vacanze invernali e al mare.


Come conseguenza dell’ invecchiamento della popolazione  le economie dovranno dedicare una quota maggiore del prodotto per sostenere una popolazione anziana relativamente più numerosa. Sotto un sistema pensionistico pubblico a ripartizione, indicizzato ai salari reali e finanziato attraverso contributi previdenziali, le conseguenze del baby boom e il successivo crollo delle nascite (baby bust) ricadono interamente sulle coorti più piccole della generazione del baby bust.

Tratterò ora le conseguenze economiche di questo fenomeno sociale, e l’impatto che ha avuto sul sistema pensionistico italiano.

LA CRISI DEL SISITEMA PENSIONISTICO ITALIANO


Dalla metà degli anni ’70 il sistema previdenziale italiano entra in una fase di progressivo disavanzo.

A causa delle generose politiche pensionistiche e della progressiva espansione del welfare state, il rapporto tra prestazioni previdenziali e contributi è salito da un valore vicino al 100% (1976) e quindi di sostanziale equilibrio tra entrate e uscite, al 135%  del 1986.

Nell’ arco di 30 anni la spesa per pensioni è cresciuta incessantemente:

da un livello del 5% del PIL nel 1960 è passata, di decennio in decennio, al 7,4, al 10,2 e infine al 12,8% del 1990.

La differenza tra pensioni e contributi doveva quindi essere coperta da  un crescente intervento dello Stato pari a, nel 1990, 50 mila miliardi di lire in un anno, quasi la metà di tutta l’ Irpef incassata.

Tale onere, inoltre, andava ad affiancarsi ai forti squilibri già esistenti nelle altre voci di spesa, come la sanità, l’ istruzione, le imprese pubbliche, e agli alti tassi di interesse che colpivano il debito pubblico, aggravando ulteriormente la situazione finanziaria dello Stato.

L’ adesione al Trattato di Maastricht nel 1992 e l’accettazione dei  parametri economici per la partecipazione alla moneta unica ha reso necessario un forte contenimento del disavanzo previdenziale, imponendo maggiori contributi, riduzione dei trattamenti, blocco delle pensioni, riforma del sistema, affinché il rapporto disavanzo pubblico/PIL potesse diminuire da oltre il 10% dei primi anni ’90 al 3%, e rispettare, così, quanto previsto dal Trattato stesso.

L’ intervento sulle pensioni fu, dunque, determinante per il riequilibrio dei conti pubblici e la partecipazione dell’ Italia all’ UEM: per poter andare subito in Europa gli italiani hanno dovuto non andare subito in pensione.






LA RIFORMA


All’ inizio degli anni ’90, quindi, il sistema della previdenza pubblica andava riformato. In particolare, era necessario applicare criteri di proporzionalità tra contributi e pensioni, senza perdere, però, il consenso dell’ ultima generazione che aveva pagato le pensioni ai precedenti lavoratori e non aveva più la possibilità di godere di un uguale trattamento.

Tale riforma in un paese democratico come l’ Italia richiedeva, secondo gli studiosi, due condizioni indispensabili: innanzitutto dei tempi lunghi affinché il passaggio potesse essere graduato e mantenere, così, il consenso dei lavoratori, evitando di disinnescare la “bomba demografica” innescando una “bomba sociale”; inoltre dovevano essere predisposti nuovi strumenti previdenziali, complementari rispetto alla pensione pubblica, capaci di ridurre se non annullare gli effetti del taglio dei benefici pensionistici.

Sono stati necessari tre anni e tre governi (Amato, Ciampi e Dini) per dar forma e attuazione, tra il 1992 e il 1995, al nuovo sistema pensionistico.



I TRE PILASTRI DELLA RIFORMA PREVIDENZIALE


Visti questi interventi restrittivi e tenendo presenti le esperienze dei Paesi più evoluti, la riforma previdenziale ha disegnato la nuova pensione come somma di tre componenti distinte, tre pilastri su cui si poggia il nuovo trattamento pensionistico:

  1. La pensione pubblica, frutto dell’ Assicurazione Generale Obbligatoria per coloro che hanno lavorato per un certo numero di anni (pensione di anzianità), o che hanno raggiunto una certa età (pensione di vecchiaia), o che sono inabili al lavoro (pensione di invalidità), erogata in generale dall’ Inps secondo le nuove regole di calcolo;
  2. la pensione complementare, ricavata dalla partecipazione ai fondi pensione, in regime di capitalizzazione effettiva, con investimento dei versamenti in attività del mercato finanziario;

la pensione integrativa individuale, frutto dei risparmi aggiuntivi stabiliti dai singoli cittadini per un investimento espressamente finalizzato alla pensione, come ad esempio i Contratti di Assicurazione sulla vita con finalità previdenziali o i Fondi Comuni d’ investimento.



I PILASTRO:


Per quanto riguarda il primo pilastro, sono stati effettuati interventi restrittivi riguardanti diversi aspetti:

elevamento da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 anni per le donne dell’ età pensionabile dei lavoratori dipendenti;

un maggior requisito contributivo minimo;

il ricalcalo della retribuzione pensionabile come media delle retribuzioni passate prendendo in considerazione l’ intera vita lavorativa dell’ assicurato;

minori diritti i integrazione al trattamento minimo;

restrizioni sulle pensioni d’ anzianità;

progressiva parità tra dipendenti pubblici e privati;

indicizzazione delle pensioni al costo della vita (e non alle retribuzioni).



II PILASTRO:


Nel nuovo regime il trattamento pensionistico non si esaurisce con la pensione pubblica. Il secondo pilastro del sistema è costituito dalla pensione complementare, che rappresenta la vera novità introdotta dalla riforma del 1992.

La novità del secondo pilastro, come spesso succede, è un ritorno all’ antico. Si abbandona la logica del regime a ripartizione per rimettere in funzione un vero e proprio regime a capitalizzazione.

Al centro di tale pilastro è il fondo pensione, un soggetto relativamente nuovo nel panorama previdenziale e finanziario italiano, su cui è riposto il successo del nuovo regime e la sorte dei futuri trattamenti pensionistici.

FONDI PENSIONE


I fondi pensione rappresentano una forma di previdenza complementare, il cui scopo è fornire più elevati livelli di copertura previdenziale al fine di compensare i tagli previdenziali o, come dice l’art. 1 della riforma, “al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale”. Essi ricevono contributi dagli aderenti, che vengono poi investiti da operatori specializzati sul mercato finanziario fino al momento della pensione del lavoratore stesso. Il montante ottenuto fino e quel momento è la base patrimoniale che verrà trasformata in rendita pensionistica complementare (diritto alla prestazione finale). I Fondi pensione rappresentano un ramo dei Fondi comuni d’ investimento: per questo motivo il loro funzionamento è lo stesso; l’ esposizione di tale funzionamento è rimandata alle pagine seguenti.

Secondo la normativa italiana, i fondi pensione possono essere classificati in due categorie:

  1. fondi chiusi (o negoziali), istituiti da una categoria professionale per i propri appartenenti in base a contratti collettivi aziendali stipulati tra lavoratori e datori di lavoro oppure, a livello nazionale, dalle organizzazioni sindacali;
  2. fondi aperti, ai quali possono accedere indistintamente tutti i lavoratori; questi sono istituiti da banche, SIM, SGR, che li propongono direttamente, o attraverso una rete di collocatori, alla propria clientela.


III PILASTRO:


Lo scopo della pensione integrativa individuale è generare, attraverso la capitalizzazione delle somme accantonate, montanti previdenziali futuri. Caratteristica peculiare è il carattere individuale dell’ iniziativa che, tuttavia, deve soddisfare vincoli contrattuali sulla durata e i soggetti preposti alla gestione finanziaria.

In particolare, sono definite forme di risparmio individuale di tipo previdenziale quelle attuate mediante i Contratti di Assicurazione sulla vita o i Fondi Comuni di Investimento.


CONTRATTI DI ASSICURAZIONE SULLA VITA


La stipula di tali contratti deve avvenire con imprese assicurative autorizzate (dall’ Isvap) ad operare nello Stato o operanti in regime di stabilimento o di prestazione di servizi. Condizione necessaria affinché possano operare è la costituzione di un patrimonio autonomo e separato. Il rapporto con l’ iscritto deve essere disciplinato non solo nel contratto assicurativo ma anche in un apposito regolamento, redatto in base alle direttive Covip al fine di garantire all’ aderente gli stessi diritti e prerogative delle altre forme pensionistiche complementari; in tale documento devono essere indicate le regole circa le modalità di partecipazione, il trasferimento delle posizioni individuali, la comparabilità dei costi e trasparenza degli stessi. Inoltre è prevista la figura del responsabile.


I FONDI COMUNI D’INVESTIMENTO


I Fondi Comuni d’Investimento sono Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR) volti a raccogliere denaro presso il pubblico dei risparmiatori per impiegarlo nell’acquisto di strumenti finanziari o, grazie al d.lgs.  58/1998, di altri beni mobili o immobiliari.

I sottoscritti, di fatto, entrano a far parte di un consorzio che investe la totalità del capitale raccolto:di conseguenza, non occorrono elevate risorse finanziarie per aderire al fondo e, anche i piccoli investitori , se ben consigliati, hanno la possibilità di sottoscrivere investimenti aderenti al proprio profilo finanziario, in termini rischio/rendimento.

I risparmiatori detengono un certo numero di quote, proporzionale all’importo versato, il cui valore varia nel tempo in relazione all’andamento dei titoli nei quali investe il fondo:


VALORE DELLA QUOTA = PATRIMONIO NETTO DEL FONDO

NUMERO DELLE QUOTE


Indipendentemente dalla tipologia del fondo, tutti i partecipanti hanno gli stessi diritti: i guadagni o le perdite,dal momento che il fondo non garantisce un rendimento certo (tranne alcune particolari tipologie di prodotti), sono in proporzione alle quote possedute.

L’organizzazione di un fondo comune di investimento si basa su tre figure:


La Società di Gestione del Risparmio (SGR): essa si occupa della promozione, della istituzione e della gestione del fondo.


L’obbiettivo della SGR è quello di costruire portafogli per i fondi utilizzando specifiche leve gestionali:

definizione dell’asset allocation strategica, cioè ripartizione del  patrimonio fra diverse patologie di titoli, aree geografiche e settori merceologici sulla base dei rendimenti attesi, del rischio e delle correlazioni tra le diverse asset class.

Questa attività è vincolata nel regolamento del fondo, il quale è predisposto e reso pubblico dalla stessa SGR; qui sono indicati la denominazione e la durata del fondo, la banca depositaria, le modalità di partecipazione al fondo, il tipo di beni, di strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, o titoli di stato) o di altri valori in cui è possibile investire il patrimonio del fondo, i criteri relativi alla determinazione dei proventi della gestione del fondo, le spese a carico del fondo, le modalità di pubblicità del valore delle quote di partecipazione (art. 39);

definizione dell’asset allocation tattica: aggiustamenti dell’asset allocation strategica di breve periodo dettati da esigenze di mercato;      

stock picking: scelta dei titoli da acquistare o vendere;

market timing: scelta del momento migliore per l’acquisto o la vendita dei titoli, cercando di anticipare i cambiamenti e di modificare il peso del portafoglio in modo da ridurlo prima della diminuzione dei prezzi d’aumentarlo prima della loro crescita.


Per garantire lo svolgimento di tali attività, la Società percepisce delle provvigioni a carico del fondo e/o dei singoli partecipanti.


La Banca depositaria: gli strumenti finanziari acquistati e le disponibilità liquide di un fondo devono essere custoditi da una banca indicata nel regolamento del fondo. Le operazioni di acquisto e di vendita, di riscossione di crediti e di pagamento di debiti sono ordinate dalla SGR alla banca stessa, la quale si occupa della loro esecuzione.


I partecipanti al fondo: essi sono i risparmiatori che affidano il loro denaro alle decisioni di investimento che prenderà la Società di Gestione del Risparmio: se gli strumenti finanziari o gli altri beni acquistati da quest’ ultima aumentano complessivamente il valore, aumenterà di valore anche la loro quota di partecipazione; se invece questi diminuiscono di valore, i partecipanti perderanno in tutto o in parte il denaro investito.

I fondi possono essere di vari tipi a seconda dell’investimento che perseguono e della modalità di accesso al fondo di riscatto della propria quota; un’importante distinzione è quella che viene fatta tra i fondi chiusi e i fondi aperti: i primi prevedono il rimborso delle quote sottoscritte solo in periodi determinati, mentre chi aderisce ad un fondo aperto ha la possibilità di chiedere il rimborso della propria quota di denaro in qualsiasi momento, al valore che questa ha in quel determinato istante (per questo motivo le SGR devono calcolare e rendere pubblico tale valore giorno per giorno).

A tutela dei sottoscritti la legge prevede alcuni controlli, che devono essere effettuati da:

- la banca depositaria;

- il Ministero dell’Economia e delle Finanze, cui compete l’autorizzazione             alla costituzione di nuove società e di nuovi fondi;

- la Consob, che vigila sulla correttezza dell’operato delle SGR e dei soggetti incaricati del collocamento; essa approva inoltre i “prospetti informativi” consegnati ai risparmiatori;

- la Banca d’Italia, la quale autorizza, sentita la CONSOB, l’attività alle SGR;approva il Regolamento di gestione dei Fondi Comuni e vigila sull’operato delle Banche depositarie;

- la Società di revisione dei conti, che verifica la correttezza di bilanci e rendiconti della SGR e del fondo.





I FONDI COMUNI D’INVESTIMENTO MOBILIARE:


I fondi comuni più diffusi sono di tipo “mobiliare aperto”: mobiliare perché il patrimonio gestito viene esclusivamente investito in titoli finanziari, quali azioni, obbligazioni e titoli di stato; aperto perché il sottoscrittore è libero uscire dal fondo in ogni momento.

A seconda del settore del mercato mobiliare nel quale operano, si distinguono:

fondi azionari: investono almeno il 70% del proprio portafoglio in azioni, italiane o estere: queste costituiscono titoli a reddito variabile, il cui andamento economico varia in funzione delle variabilità dell’ambiente esterno e della capacità delle strategie aziendali di adattarsi alle nuove condizioni operative: di conseguenza, ne l’entità dei profitti conseguiti, ne l’ammontare dei dividenti eventualmente distribuiti (ai sottoscrittori) potranno essere costanti nel tempo.

Per tali motivi le azioni sono gli strumenti finanziari più rischiosi per i sottoscrittori e, quindi, più remunerativi;

fondi obbligazionari: investono l’intero capitale in obbligazioni: frazioni ideali di un mutuo che le società stipulano con una pluralità di risparmiatori, attribuiscono ai loro titolari il diritto al rimborso, ad una determinata scadenza, del capitale prestato e al pagamento periodico degli interessi: per questo motivo costituiscono titoli a reddito predeterminato, in quanto i sottoscrittori non rischiano il capitale investito; naturalmente il tasso di rendimento sarà minore rispetto a quello applicato alle azioni;

fondi bilanciati (o misti): investono in azioni per importi che vanno dal 10% al 90% del portafoglio, il resto in titoli a reddito predeterminato, realizzando così un sostanziale equilibrio tra investimento azionario e obbligazionario;

fondi flessibili: non hanno vincoli di asset allocation azionaria, cioè possono decidere di investire azioni dallo 0% al 100%.

Il patrimonio complessivo del fondo è variabile, essendo investito in titoli la cui quotazione è soggetta a continue oscillazioni;questo deve essere determinato al termine di ciascun giorno di Borsa aperto attraverso la valorizzazione degli elementi che lo compongono.

Il rendimento (o performance) del fondo, ovvero l’incremento che il valore della quota ha registrato in un determinato periodo, è strettamente correlato di titoli verso i quali si sono orientati gli investimenti: i fondi, in relazione alla stessa natura dei titoli, non possono garantire rendimenti certi.

Un fondo comune che investe prevalentemente in titoli azionari, ad esempio, risente dell’andamento dalla Borsa Valori.

In particolare, nel breve periodo, il rendimento può anche assumere segno negativo: i fondi comuni rappresentano investimenti di medio-lungo periodo e l’andamento settimanale o mensile della quota, quindi, non è particolarmente significativo.



CONCLUSIONI:


Il problema esposto riguarda, dunque, l’ “ultima generazione”, che deve pagare ai padri la pensione a ripartizione, ma nel contempo deve provvedere ad accumulare per se la pensione a capitalizzazione.

Tale riforma ha, quindi, avviato in Italia un’ opera di correzione degli squilibri precedenti, rendendo più articolato e flessibile l’ intero sistema previdenziale. Pilastro centrale del nuovo sistema sono i fondi pensione, uno strumento che può rivelarsi, per chi lo saprà sfruttare, un’ adeguata contropartita al taglio delle prestazioni pubbliche.

I benefici fiscali, il contenimento dei costi, le garanzie di correttezza e trasparenza, l’ asset allocation dinamica e i rendimenti di lungo periodo fanno dei fondi pensione, nelle intenzione del legislatore e nell’ esperienza dei Paesi più avanzati, il tentativo più riuscito di avere sia  l’uovo oggi che la gallina domani.

Milioni di italiani devono decidere come utilizzare al meglio il loro Tfr per integrare o accrescere in maniera significativa le pensioni di domani: per questo motivo, affinché tale strumento possa essere utilizzato correttamente, è necessario che i diretti interessati, prima di prendere una decisione, lo conoscano, ne comprendano le finalità e i meccanismi, tenendo conto anche della loro situazione personale e dei propri obiettivi.



BIBLIOGRAFIA:


  • R. Cesari I fondi pensione, Il Mulino;
  • F. Fortuna, F. Ramponi, A. Scucchia Corso modulare di economia aziendale 4B, Le Monnier;
  • F. Fortuna, F. Ramponi, A. Scucchia Corso modulare di economia aziendale 5D, Le Monnier;
  • F. Fortuna, F. Ramponi, A. Scucchia Corso modulare di economia aziendale 5E, Le Monnier;
  • https://www.tfr.gov.it/tfr ;
  • I. Savasta Fiore, G. Paciariello, R. Collura Scienza delle finanze, nozioni fondamentali di economia pubblica e diritto tributario, Il Capitello;
  • https://it.wikipedia.org/wiki/fondi_comuni_di_investimnto ;
  • L. Bobbio, E. Gliozzi, L. Lenti Diritto commerciale, Elemond scuola & azienda;
  • DO.GE. Geografia dell’ Italia e dell’ Europa, Markes.





















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